Il problema dei crediti non riscossi dello Stato è un problema serio ed articolato da connettere con un ripensamento generale del sistema dei tributi in Italia. Ne abbiamo parlato all'incontro di approfondimento sulle novità fiscali per il 2017 presso il Dipartimento Giuridico dell'Università degli Studi del Molise.
Il sistema della riscossione nel nostro paese. Campobasso, 20 marzo 2017
1. Prof. Avv. Alessandro Giovannini – Ordinario di Diritto Tributario, Università degli Studi di Siena
IL SISTEMA DELLA RISCOSSIONE NEL NOSTRO PAESE
Campobasso, 20 marzo 2017
L'Italia è al primo posto, tra i paesi più industrializzati, per crediti erariali non riscossi
dopo la dichiarazione. Questo è l'impietoso record che emerge da due studi dell'OCSE
( Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico ) del 2016. Situazione,
peraltro, che Parlamento e Governo italiano conoscevano da anni.
Equitalia, la società a totale controllo
pubblico incaricata delle riscossione su tutto il territorio nazionale, ad eccezione della
Sicilia, nel 2015 ha incassato circa 8 miliardi. Questa cifra è sicuramente molto più alta di
quanto fosse possibile incassare 10 anni fa, ma è una cifra marginale rispetto alla spesa
pubblica di 830 miliardi (meno del'1%) e rispetto alle entrate da tributi e contributi che
ammontano a 730 miliardi (circa l'1%).
Incasso Equitalia 2015 8 miliardi
Entrate tributarie e contributive 720 miliardi
Spesa pubblica 830 miliardi.
I crediti a suo carico ammontavano al 31 dicembre 2015 a 850 miliardi di cui 750
non riscossi. Non sono stati contabilizzati come riscossi i 20 miliardi in rateazione e gli 80
già riscossi.
Crediti Equitalia NON riscossi 850 miliardi
Crediti Equitalia in rateazione 20 miliardi
Crediti Equitalia già riscossi 80 miliardi
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Con ogni probabilità soltanto 40 miliardi saranno effettivamente recuperati nei
prossimi 5 anni. La maggior parte di questo credito (750 miliardi) è perduto quasi
sicuramente:
• 140 si riferiscono a soggetti falliti
• 80 a persone morte o imprese chiuse
• 100 a nullatenenti
• 320 a soggetti nei confronti dei quali sono state eseguite infruttuosamente delle
azioni esecutive
• 30 non sono “lavorabili” a causa di norme a favore del contribuente come la
non pignorabilità della abitazione o per soglie minime di riscossione.
Soggetti Falliti 140 miliardi
Persone morte e imprese chiuse 80 miliardi
Azioni esecutive infruttuose 320 miliardi
Nullatenenti 100 miliardi
Non “lavorabili” 30 miliardi
Speranza di recupero 40 miliardi
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Il 50% di questi crediti è riferibile all'agenzia
delle entrate mentre il restante si divide tra INPS e altre amministrazioni pubbliche.
Il Fondo Monetario Internazionale e l'OCSE pongono l'accento sulla gravità di
questa situazione soprattutto perché negli altri paesi industrializzati la differenze tra crediti
messi in riscossione e quelli non riscossi è di importo minimale rispetto all'enormità dei
nostri crediti.
Tra i motivi che hanno determinato questa situazione ci sono indubbiamente forti
carenze organizzative, la mala gestione e – cosa mai trascurabile nel nostro paese – la
criminalità vera e propria. Ovviamente, le lentezza della maggior parte delle nostre
procedure, legate ad un sistema che non ha saputo riformarsi per rendersi compatibile con le
esigenze reali degli operatori economici, delle famiglie e dei cittadini e più in generale con i
grandi cambiamenti che hanno caratterizzato gli ultimi decenni, ha la sua parte di
responsabilità. Così come partecipano ad ingrandire il problema tutti i limiti strutturali del
sistema impositivo che, da tempo, avrebbe bisogno di un radicale processo di riforma. Non
ultimo, è innegabile che la crisi economica abbia minato la disponibilità di liquidità da parte
dei contribuenti.
Insomma anche per la riscossione si può tranquillamente dire che ci troviamo di
fronte alla necessità di adeguare alla situazione presente un'eredità del passato, in questo
caso profondamente negativa.
Per gli organismi internazionale il “male per eccellenza” è tuttavia un altro. Dietro
all'elevato ammontare di crediti in giacenza vi è una dabbenaggine contabile: molti dei
crediti inesigibili non sono stati stornati o sgravati. Se i conti fossero stati tenuti correttamente
o, almeno, venissero ripuliti adesso, i crediti da riscuotere sarebbero minori.
Questo discorso è suggestivo ma tecnicamente errato: può andare bene per i crediti
dichiarati inesistenti dal giudice o dalla stessa agenzia delle entrate, per quelli rateizzati o già
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riscossi. Questi avrebbero dovuto essere senz'altro sgravati e, nel farlo, non ci sarebbe stato
nessun “trucco”. Però questa tipologia di credito – pari a ulteriori 200 miliardi, secondo la
dichiarazione dell'amministratore delegato di Equitalia - sono già fuori dal totale dei crediti
non riscossi e dunque non sono compresi tra quelli già indicati.
Per i 700 miliardi che rimangono – e che diffcilmente potranno essere riscossi, è
bene ricordarlo - gli storni contabili non possono essere usati come una bacchetta magica.
Eliminandoli si aprirebbe una voragine nel bilancio dello stato. La titolarità di questi crediti
non è infatti di Equitalia, in quanto agente di riscossione, ma dello Stato. Mantenere questa
montagna di crediti nei conti di Equitalia, allora è in realtà, è uno stratagemma per evitare il
problema. Equitalia è il tappeto sotto il quale nascondere la polvere che minerebbe la
quadratura sostanziale del bilancio statale su cui queste centinaia di miliardi graverebbero.
É possibile continuare a fngere? Per quanto tempo?
La complicità tra evasione e mancata riscossione genera squilibri letali nella
distribuzione dei carichi fscali, nelle distribuzione e nell'accumulo della ricchezza, che
infuenzano direttamente il commercio interno ed internazionale. Soprattutto mina, quella
complicità, l'equità e si pone in spregio alla legalità.
Per compensare queste gravi malattie si è preferito aggredire i contribuenti sani con
l'aumento della pressione fscale sulle ricchezze sottoposte all'imposta progressiva. Insomma
abbiamo aumentato le tasse di chi già le pagava riuscendo a penalizzare chi contribuisce
onestamente.
L a politica non è sembrata in grado di dare risposte concrete per cambiare questa
direzione: gli interventi seri e portati a compimento sono stati pochi e asistematici. Molte
leggi sono severe solo in apparenza per poi perdere la propria effcacia in troppi
adempimenti burocratici, complicazioni interpretative, scarsissima vigilanza applicativa.
Leggi che uniscono al proprio carattere oppressivo un'ineffcacia dei risultati concreti.
Non possiamo nasconderci dietro ad una foglia di fco: l'evasione, la mancata
riscossione, l'elusione e l'economia criminale sono fenomeni noti e gravissimi. I metodi
tecnici per ridurli al minimo “fsiologico” esistono. Oggi sono problemi politici ad impedire
un vero, robusto, drastico cambiamento: la volontà politica di risolverli seriamente non c'è
oppure la politica non è capace di mettere in campo interventi strutturali che ridiamo fato
sistema paese. Questo è il problema che prima o poi dovremo seriamente affrontare, sia
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come operatori e studiosi, sia come cittadini.
In prospettiva, un intervento che potrebbe semplifcare e rendere meno oneroso
l'intero settore potrebbe essere quello di rovesciare il procedimento determinazione,
liquidazione, accertamento e riscossione dei principali tributi, ad iniziare dalle imposte
dirette.
Occorre ripensare il concetto di “effettività” del reddito: il sistema attualmente non è
in grado di assicurare che la capacità contributiva dichiarata e tassata sia quella effettiva
( come dimostra inequivocabilmente l'enormità dell'evasione fscale).
Il reddito e l'effettività sono concetti convenzionali e come tali occorre ripensarli.
Possiamo immaginare un metodo anticipato di determinazione della materia
imponibile ed accordi tra amministrazione fnanziaria e singolo contribuente? È eretico
parlare in questi termini? Oppure è una via, forse l'unica, che consentirebbe davvero di
uscire dalla palude nella quale è costretto il sistema?
Oggi un articolato procedimento determina esistenza ed ammontare del reddito
partendo dalla dichiarazione dei redditi del contribuente alla quale seguono i controlli ( in
realtà solo nel'1% dei casi ), l'istruttoria della Guardia di Finanza e dell'agenzia delle
Entrate, per arrivare alla “ritualizzazione” dell'accertamento: accertamenti automatici e
formali, analitici e contabili, sintetici, induttivi o indiziari, per prove documentali e per
presunzioni, seguiti da ulteriori tronconi procedimentali di confronto con il contribuente o di
immediata riscossione. Al termine del confronto si aprono altri procedimenti che danno vita
ad un ulteriore, complesso e costosissimo reticolato incoerente e irrazionale, faticoso e pieno
di “trabocchetti”.
Questo metodo ex post di determinazione e controllo della ricchezza può essere
accantonato senza troppi rimpianti per fare spazio ad un metodo che pesi ex ante il reddito
per un periodo predeterminato.
Occorre progettare la contribuzione per il futuro piuttosto che verifcare
costantemente quella avvenuta nel passato. Troppo spesso il processo di verifca e
riscossione avviene quando la memoria dei fatti è già sbiadita, le prove non più attendibili e,
troppo spesso, quando i redditi prodotti e i patrimoni da “colpire” non sono più
rintracciabili.
Che senso ha sapere di avere miliardi di crediti che non incasseremo mai? Che senso
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ha saperlo 5 o 6 anni dopo la realizzazione del presupposto e dopo altri 5 o 6 anni prima di
poterli dichiarare esigibili in via defnitiva?
Scegliendo strada della determinazione ex ante, oltre al risparmio in termini di
adempimenti e costi, avremmo la “certezza” della tassazione prima di iniziare un'attività o
un anno lavorativo. Il contribuente potrebbe sapere quanto spenderà, si semplifcherebbe il
processo di accertamento e si avrebbe “certezza” delle entrate dello Stato.
Questo nuovo rapporto anticipato prenderebbe la forma di un vero contratto di
responsabilità contributiva e lealtà reciproca tra Stato e cittadino, e, in caso di mancato
versamento nei termini e tempi concordati, avrebbe effcacia di titolo immediatamente
esecutivo.
Questo strumento, per dirla in una battuta, risponderebbe ad un'esigenza
fondamentale del nostro sistema: avvicinare la riscossione al momento della produzione
della ricchezza.
E' opportuno sottolineare, inoltre, la necessità di un “fsco digitale”: il ritardo
tecnologico sta infuenzando negativamente sia le entrate dello Stato, sia la vita dei cittadini,
anche dei contribuenti onesti e puntuali. Sarebbe interessante approfondire la relazione tra
ritardo tecnologico, sclerotizzazione del sistema e capacità di adeguamento del sistema alle
esigenze di oggi. Da punto di vista fscale penso ai casi di Google e Apple di cui mi sono
trovato a parlare in altre circostanze e che sono emblematici di un problema più ampio che
riguarda sia la tassazione dei redditi prodotti dall'economia digitale, sia le conseguenze sui
comportamenti sociali. E non mi riferisco soltanto al tema della bit tax ma ad una visione più
ampia rispetto al modello di società che dobbiamo avere in mente per potere mettere mano
ad una riforma del sistema tributario che guardi all'equità e alle nuove realtà che stanno
arrivando con la quarta rivoluzione industriale.
Al di là di questi interventi di modifcazione strutturale del sistema, ci sono alcune
misure che andrebbero attuate urgentemente per permettere allo Stato di identifcare i beni
che gli evasori furbescamente sottraggono agli occhi del fsco. Occorre incrociare gli iscritti
all'anagrafe delle popolazione residente con in dati reddituali e patrimoniali in possesso
dell'agenzia e delle altre amministrazioni e creare una task force dedicata allo scopo.
Non dimentico mai che Al Capone fu arrestato proprio per l'evasione fscale prima
ancora che per i crimini per i quali era famoso.
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A questo fne si è recentemente presa la determinazione di sopprimere Equitalia e la
contestuale determinazione di affdare la riscossione all'agenzia delle entrate (d.l. n.
193/2016). È una scelta che fu suggerita qualche mese fa dall'OCSE e dal FMI, ma che da
anni la dottrina italiana auspicava per eliminare distorsioni nel procedimento, vuoti
temporali, buchi istruttori.
Finalmente, mi vien da dire, gli auspici si sono tradotti in realtà (almeno è per ora)
normativa. La speranza è che si trovi il coraggio di portare a termine la riforma e si giunga
anche all'eliminazione dell'aggio (il cui gettito è di circa 600 milioni all'anno), al quale
ormai residua solo la fnalità di sanzione impropria (nonostante le acrobazie del legislatore e
le asciutte pronunce della Corte costituzionale).
È poi necessario la revisione degli strumenti di riscossione superando defnitivamente
il ruolo e la cartella di pagamento riconducendo interamente la procedura in seno
all'amministrazione eliminando l'aggio esattoriale che oggi è di fatto una sanzione
“impropria” a carico del debitore.
Si deve superare, con una rinnovata normativa, lo schermo della personalità giuridica
degli enti e le molte fnzioni che la seguono, in modo da far pagare le tasse a chi si è messo
effettivamente in tasca i soldi e che, dietro a quello schermo, ha intascato anche i crediti
erariali.
Questo ultimo aspetto è in qualche modo legato alla cosiddetta “tax compliance”, un
argomento di cui si scriveva già negli anni '50, immaginando un sistema generale radicato su
un patto sociale e contributivo tra Stato e cittadino fondato su lealtà e affdabilità reciproca.
Oggi la compliance, lo ricordo di passata avviandomi alla conclusione, è fnalizzata
alle sole imprese e prevede, oltre ad una serie di servizi dedicati e minori adempimenti,
l'esenzione dalla responsabilità sanzionatoria degli amministratori e dei soci ed una sorta di
salvagente nel mare procelloso dell'accertamento.
L a compliance, o “fsco amico” ha però scarsissimo peso nella vita di milioni di
contribuenti. Ne benefciano, infatti, solo le grandissime aziende, ossia 45 su 5 milioni. A
regime si parla di 4 mila (grandi aziende) su 5 milioni.
È chiaro che, per fronteggiare seriamente questa situazione, si deve per forza tornare
ad una valutazione complessiva della società e della politica. Non si può derogare al dovere
di ogni singolo cittadino di contribuire secondo le proprie possibilità. Non possiamo più
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permetterci di minare il sistema nel suo complesso perché capaci solo di promuovere
provvedimenti occasionali che, a fronte di risultati (forse) immediati in termini di cassa,
producono nel tempo colossali problemi di stabilità dei conti pubblici e di coscienza civica.
E' ormai un problema che, oltre al proflo tecnico, riguarda il senso valoriale dello
stato,il senso di appartenenza ad una comunità, di condivisione e ripartizione equa dei
carichi pubblici e di redistribuzione equiordinata della ricchezza.
Termino ricordando le parole di un grande uomo, oltre che di un grande sacerdote,
che dedicò la vita alla formazione civica delle coscienze, Lorenzo Milani. Nella "Lettera ai
giudici" scrisse parole di alto valore etico, che ancora oggi si possono leggere nella sua
scuola di Barbiana, ormai museo della memoria e della contemporaneità: «I care. È il motto
intraducibile dei giovani americani migliori. ”Me ne importa", "mi sta a cuore". È il contrario
esatto del motto ... "me ne frego"». (Lorenzo Milani, Priore di Barbiana, Firenze, da Lettera ai
giudici, 18 ottobre 1965).
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