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Relatore
prof. Luigi Bistagnino
Candidati
Claudio Mansueto
Sebastiano Pirisi
Settembre 2014
Introduzione
Politecnico Torino
(design sistemico)
pag. 1-2
UEMG
Belo Horizonte
(sede ricerca tesi)
sustainablemaking.it
(nasce il Blog)
pag. 40
conclusioni
pag. 44
schede e schemi
sistemici
pag.46
Gruppo Facebook
Sustainable Making
(rete attiva)
pag. 37
Il ruolo della rete
pag.33
Pagina Facebook
nasce
Sustainble Making
pag. 36
Sìtio São José
(Paraty)
pag. 6
Casa dos Holons
(Sao Paulo)
pag. 9
Uma Quinta na
Cidade
(Curitiba)
pag. 11 Sete Ecos
(Sete Lagoas)
pag. 13
Fab Lab
Catania
pag. 17
Fab Lab
Roma
pag. 17
Fab Lab
Verona
pag. 17
Fab Lab
Torino
pag. 17
Laboratorio
Linfa
pag. 20
Orizzontale
pag. 22
Casa
insostenibilità
pag. 23
Streccapogn
pag. 25
Open Source
Verona
pag. 26
Cascina
Cuccagna
pag. 28
Grow the
planet
pag. 30
Viaggio
in
Brasile pag.3
Viaggio
in
Italia pag.15
INTRODUZIONE
Seguire il corso di Design Sistemico ha segnato nettamente il nostro modo di ragionare ed affrontare un
progetto, come un solco tracciato nella terra per dar vita a nuovi germogli. Tutto a un tratto si capisce
che la strada da poter prendere per affrontare una determinata sfida non è solo una e tutte le scelte che
abbiamo davanti sono in qualche modo relazionate l’una con l’altra.
L’approccio sistemico ha, necessariamente, una carica rivoluzionaria nella sua applicazione, soprattutto in
un sistema consumistico come quello attuale, improntato all’acquisto continuo e alla dismissione veloce.
Abbiamo intrapreso questa ricerca con l’intenzione di trovare, conoscere, documentare e divulgare le
iniziative che più si avvicinano all’approccio sistemico e che, secondo noi, possono aiutare la transizione
verso una società più equa e sostenibile.
La sostenibilità è un concetto vasto, da comprendere in profondità; l’aspetto ambientale dev’essere impre-
scindibilmente legato all’economia e alle tematiche sociali, creando una filosofia di progettazione comune e
sistemica.
Alla base della ricerca c’è la consapevolezza che la sostenibilità dev’essere necessariamente ambientale,
sociale ed economica, ed è per questo che abbiamo strutturato la ricerca ponendoci alcune domande:
-Come si può raggiungere l’autosufficienza in un territorio?
-Che ruolo deve avere la tecnologia nella nostra esperienza?
-Sono già stati avviati progetti che integrano le varie facce della sostenibilità?
-Esistono iniziative concrete di sviluppo alternativo?
Lavorare su questo progetto è stato come intraprendere un viaggio la cui meta era ancora sconosciuta,
un viaggio che ci ha spinto ad andare al di fuori dei confini italiani per conoscere e capire come vengono
affrontati nel mondo progetti riguardanti le tematiche sopra citate. La prima tappa è stata il Brasile, un
paese completamente differente a livello territoriale ma con una certa affinità a livello culturale. Abbiamo
avuto così la possibilità di fare una confronto tra un paese in costante crescita economica, con una netta
disuguaglianza sociale e che sfrutta massicciamente l’utilizzo degli OGM come il Brasile e l’Italia che an-
cora non vede la fine della crisi economica, con una disuguaglianza sociale che diventa sempre più netta
ed in cui gli OGM hanno ancora un mercato ristretto. Viaggiare in Brasile è stata una vera sorpresa, al di
là di quanto ci potessimo aspettare la sensibilità verso la sostenibilità ambientale e l’avversione agli OGM
ed alle colture intensive stanno prendendo sempre più piede. Abbiamo visitato diversi luoghi in cui sono
stati avviati progetti di permacultura, fattoria urbana, agroforesta ed è stato sorprendente vedere come, in
uno di questi luoghi sia stata raggiunta la completa autosufficienza alimentare ed energetica utilizzando
in modo sapiente le risorse del territorio. Ognuno di questi luoghi aveva in se il concetto di “vivência”,
la possibilità cioè di ospitare persone che, pagando una determinata quota per contribuire alle spese, ave-
vano l’opportunità di collaborare attivamente al progetto e di apprendere varie nozioni di permacultura,
costruzione con materiali naturali e “fare sostenibile” in generale. Si attivano così diverse collaborazioni
tra un numero sempre più elevato di persone che creano nel tempo una rete. Incuriositi da questa con-
trapposizione tra un paese che sfrutta massicciamente gli OGM ed abitanti che cercano di portare avanti
pratiche sostenibili partendo proprio dal fattore alimentare, abbiamo continuato a cercare altre realtà che
svolgono progetti in ambito ambientale e sociale, in città o in zone rurali prendendo la decisione che il
Brasile sarebbe stato un buon elemento di confronto con l’Italia per ciò che riguarda la ricerca sul campo
della sostenibilità ambientale.
La seconda tappa del viaggio è stata in Italia dove, oltre alla sostenibilità ambientale e sociale, abbiamo
1
cercato di ampliare il campo di ricerca alla sostenibilità economica e all’uso condiviso della tecnologia.
Sfruttando la rete del crowdfunding abbiamo avuto la possibilità di organizzare un viaggio che da Roma
ci ha portato fino a Torino, passando per Prato, Monteveglio, Verona e Milano. Le realtà analizzate sono
parte di un insieme eterogeneo che comprende FabLab, associazioni cittadine che si occupano di pratiche
sostenibili come Streccapogn a Monteveglio e associazioni che si interessano del recupero urbano.
Tutte queste realtà, sia in Italia che in Brasile hanno uno scopo in comune, quello di creare delle reti di
persone che possano essere in continuo contatto e collaborare tra di loro.
Un aspetto che ci ha colpito in questa esperienza è stato proprio quello della rete, tutte le realtà analizzate
puntano molto sulla creazione di una rete per farsi conoscere e per portare avanti i loro progetti ma para-
dossalmente poche di loro sono in contatto. Consci di ciò, abbiamo provato a fare un esperimento utiliz-
zando vari social network per cercare di creare una rete tra le realtà conosciute e persone interessate ai temi
trattati. Il risultato è stato sorprendente, una volta creata la rete essa stessa ha iniziato ad autorigenerarsi
tramite nuovi partecipanti che la alimentavano con nuovi argomenti o notizie che, a loro volta attraevano
nuovi utenti. Questo esperimento ha iniziato a delineare la meta del nostro viaggio, concretizzata in un
progetto che sarà in continuo divenire nel prossimo futuro, spiegato nei capitoli successivi.
Quanto riportato in questo lavoro è la prima parte di un lavoro più ampio svolto contemporaneamente
da Claudio Mansueto, Daniele Bucci e Sebastiano Pirisi. Gli sviluppi del progetto Sustainable Making
verranno esposti da Daniele Bucci nella sua discussione di laurea.
2
LA RICERCA
3
Il Brasile
La nostra ricerca inizia in Brasile, un paese grande quasi quanto l’Europa con 200 milioni di abitanti per
lo più concentrati nelle zone costiere e nel centro-sud; scoperto nel 1500 da Pedro Alvares Cabral, ha
ottenuto l’indipendenza nel 1822 alternando governi democratici a governi dittatoriali. L’ultimo regime
dittatoriale cominciò dopo il colpo di stato militare del 31 marzo 1964, durante il quale vennero sciolti
tutti i partiti politici e venne adottata una politica di liberismo economico che causò l’accentuarsi delle
sperequazioni sociali.
Analizzare un paese come il Brasile non è stato semplice, le sue contraddizioni sono tante e profonde,
alimentate da un sistema economico e sociale che favorisce la separazione e lo sfruttamento intensivo
delle risorse. Il Brasile, è un paese in forte sviluppo, ha appianato il suo debito ed è uno dei maggiori
esportatori di mais e soia, alimenti utilizzati fortemente negli allevamenti intensivi e per la sofisticazione
di cibi confezionati; il 91% della soia coltivata proviene da semi geneticamente modificati1
, ed è una per-
centuale in costante aumento, vista anche la portata enorme dell’esportazione, soprattutto verso un paese
sovrappopolato come la Cina. Il discorso è molto simile anche quando si parla della canna da zucchero,
coltivata per un massiccio utilizzo come bio carburante, infatti in tutto il paese ci sno 37 milioni di ettari
coltivati con OGM, rendendo il Brasile il secondo paese per coltivazione di prodotti provenienti da semi
geneticamente modificati2
.
Le contraddizioni di questo paese, ovviamente, vengono alla luce soprattutto vivendoci, ci si accorge di
quanta differenza tra classi esista all’interno della società brasiliana; è incredibile notare come un numero
impressionante di muri di cinta, in quartieri borghesi, siano coperti da fili elettrificati, di quanto i brasilia-
ni stessi abbiano fobia dei poveri e, soprattutto, di quanti siano i poveri. Passeggiare per il centro di Belo
Horizonte, dove abbiamo vissuto sei mesi durante la ricerca di tesi, vuol dire ammirare qualche casa in sti-
le coloniale, risalente alla fondazione della città, incastonata tra palazzi altissimi, simbolo del modernismo
di cui è follemente innamorato il Brasile; vuol dire vedere tante persone dormire per strada, sui marciapie-
de, chiedendo l’elemosina o semplicemente fissando il vuoto e la miriade di persone che affolla le strade.
Come già scritto, è un paese pieno di contraddizioni, tra le più marcate si nota il forte attaccamento alla
propria identità, che esplode nelle serate di samba, dove decine di persone si mettono a ballare al ritmo
di percussioni e chitarre improvvisate in mezzo ad una piazza, in completo contrasto con la servile accet-
tazione di montagne di prodotti provenienti da aziende multinazionali, che tappezzano la città di enormi
cartelloni pubblicitari che vendono la felicità.
Abbiamo vissuto i nostri mesi in Brasile con occhio critico, analizzando le differenze col vecchio continen-
te e le nostre abitudini, sorprendendoci delle enormi bellezze che questo paese regala e avvilendoci per le
palesi ingiustizie che ne minano il fascino; ci siamo stupiti di quanto sia davvero più semplice conoscere
le persone, di quanto sia più facile ottenere fiducia per avviare una propria idea e di quanto il pubblico
brasiliano risponda ad iniziative interessanti.
La ricerca è partita da una grande scrivania bianca messa al quinto piano del grigio edificio dell’Univer-
sidade do Estado de Minas Gerais a Belo Horizonte. Giorni di documentazioni, foto, e-mail e chiamate
che hanno portato alla programmazione di un viaggio che ci ha portato verso il sud. Il sud del Brasile è
la parte più sviluppata dell’intero paese, sia dal punto di vista economico che infrastrutturale; nel sud si
trovano le maggiori città ma anche i maggiori centri di ricerca e le più interessanti iniziative, proprio per
questo la maggior parte di tutta la ricerca svolta in Brasile è nel meridione.
1
Fonte reuters	
2
Fonte International Service For The Aquisition Of Agri-Biotech Application (ISAA)	
4
Siamo partiti con l’idea di conoscere e toccare con mano il mondo che vogliamo, interagire in prima
persona con le persone che ogni giorno lavorano per portare avanti un’idea di mondo davvero sostenibile.
Abbiamo dovuto fare una cernita tra tutte le realtà interessanti che avevamo trovato in rete, purtroppo è
stato un viaggio pagato interamente con i nostri soldi e non avremmo mai potuto visitare tutti i posti che
meritavano di essere visti e conosciuti, per cui abbiamo preso in considerazione quelli che più rappresen-
tavano la nostra idea di sostenibilità.
La sostenibilità è un concetto complesso, troppo spesso travisato o poco approfondito; una società soste-
nibile è una struttura organizzata in maniera sistemica, dove non esistono sprechi e dove ogni processo
produttivo ne alimenta a sua volta un altro grazie alle proprie materie di scarto. Una società sostenibile
mette le basi per la realizzazione umana, che è la ricerca della propria felicità e della pace, in un’ottica di
collaborazione e prosperità sociale in cui l’uomo si rende conto di essere parte di un pianeta i cui mecca-
nismi naturali si sono fragilmente instaurati nell’interesse di tutti.
Ci siamo concentrati su quelle iniziative che mirano a portare la natura e i suoi equilibri di nuovo all’in-
terno degli agglomerati urbani e periurbani, ricollocando la nostra vita nella rete naturale di cui fa parte,
5
volevamo conoscere davvero chi fa da esempio, chi dedica la propria vita allo studio e alla ricerca di un
modo di innestare il nostro stile di vita e la nostra economia giornaliera con un modo di vivere sostenibile.
Sìtio São José
Abbiamo mosso i primi passi esattamente tre giorni dopo capodanno, prendendo un pullman che ci
ha portato a Rio de Janeiro, trampolino di lancio verso la prima tappa del nostro breve tour nel sud del
Brasile, la fazenda di Zé Ferreira in mezzo alla foresta di Parati, comune a sud dello stato di Rio. Arrivati
alla fermata indicataci per e-mail da un ragazzo che si occupa dei contatti telematici di Zé, siamo rimasti
ad aspettare un oretta sotto la piccola tettoia di una fermata dell’autobus in mezzo alla strada statale per
ripararci dal sole cocente che, intanto, stava salendo velocemente; ci è venuto a prendere il figlio di Zé
Ferreira, un agile ragazzino di 17 anni con uno zainetto sulle spalle e poca voglia di parlare.
Lentamente abbiamo attraversato il paese e ci siamo tuffati nella foresta.
È stata forse una delle parti più sorprendenti di tutto il viaggio, trovarci per la prima volta in vita nostra
in quella che può essere, davvero, definita una foresta; alberi di cui non si vede la cima facevano ombra
a qualcosa che verrebbe difficile descrivere come il sottobosco a cui noi siamo abituati, un intreccio di
liane, rampicanti e piante dal fogliame gigante si alternavano a veloci torrenti che scorrevano tra le rocce
incastonate nel rigoglioso tappeto verde smeraldo.
Dopo un’ora e mezza di camminata siamo arrivati al cancello in legno che delimita la proprietà e, oltre-
passato questo, ci siamo trovati in un mondo quasi parallelo, uno spazio a se stante, in cui il selvaggio
disordine apparente della natura è gestito, non frenato né cambiato, ma tenuto sotto controllo; è palese
l’intervento di una mano esperta e paziente, che non doma la natura ma ci si immerge dandole un ordine.
L’aria è fresca e pulita, la foresta e le montagne cingono questa casa in un abbraccio mentre il rumore in-
cessante dell’acqua riempie la piscina scavata tra gli alberi. C’è un non so che di epico in ciò che quest’uo-
mo ha costruito, un qualcosa che blocca il respiro, che apre la mente. E’ silenzioso nell’accoglierti, non ti
6
da istruzioni né regole, è tutto scritto, a caratteri cubitali, nei suoi occhi. E’ silenzioso anche nel darti da
mangiare ciò che la terra gli offre, sorridendoti seduto nella grande veranda che unisce un lato della casa
con la cucina. Gli ci sono voluti anni di paziente sperimentazione per arrivare ad essere auto-sufficiente;
dopo anni di monocolture, prima con le banane, poi col caffè, Zé si imbatte nel concetto di agroforesta3
e decide di adottarlo per il suo terreno. Inizia così un lungo percorso di riforestazione e di ristabilimento
di equilibri che adesso fanno di questa foresta il suo ricchissimo e spettacolare orto. La sua è una presa
di posizione profondamente politica, contro la società attuale che è totalmente aliena alla natura e incu-
rante della felicità degli uomini; una scelta, tra il continuare a fare un lavoro da cui trarre esclusivamente
uno stipendio oppure essere felice tornando a coltivare, tra il percorso tracciato da qualcun altro o una
incessante ricerca nutrita dalla propria passione. Non è semplice la strada che ha intrapreso, lo si nota
nella profonda solitudine dei suoi occhi, nel viso provato da anni di lotte e scelte estreme. Non è una vita
che tutti potrebbero vivere, ma il suo è un esempio prezioso per chi vuole, profondamente, cambiare la
società attuale, renderla più giusta e più equa, in modo da accorgerci che i ritmi che ci imponiamo sono
ben lontani da quelli naturali, che, va da sé, ci appartengono da sempre. Basta una domanda per fargli
schiudere un’ immensità di aneddoti, ricordi ed esperienze costruite nei decenni dedicati a credere in se
stesso e nel suo sogno; in tutti questi anni ha costruito la sua vita e ciò che aveva sempre voluto essere:
libero, indipendente e senza padroni.
Siamo arrivati alla sua fazenda con l’intenzione di intervistarlo, ci eravamo preparati una lista di domande
da fargli e di curiosità generiche da soddisfare, ma il tutto si è trasformato in una spontanea chiacchierata
ininterrotta di cui abbiamo fatto in tempo a documentare qualche stralcio; è stato un lungo racconto,
fatto di fervore, passione, consigli, aneddoti e mai rassegnazione, ci ha parlato di come ha iniziato, di
quando ha deciso di lasciare il suo posto di lavoro a Sao Paulo e si è messo a cercare un pezzo di terra dove
vivere libero. Ha vissuto radicalmente la sua vita e le sue decisioni Zé, ha sempre rispettato il patto fatto
con se stesso, quello di riuscire ad essere indipendente e poter decidere della sua vita.
Ora è quasi del tutto solo, accanto a lui è rimasto solo il figlio diciassettenne che vive la maggior parte
delle sue giornate in città, la moglie e i figli hanno preso strade differenti, a volte non capendo le scelte di
Zé o, semplicemente rispettandole, ma facendo le proprie.
In ogni caso è un esempio, di tenacia, ma anche di come, nella vita, si può trovare un’alternativa a ciò che
abbiamo davanti, al percorso che è stato già tracciato, alla struttura societaria vigente.
A questo punto è necessario aggiungere che, oltre ad un’ arricchimento dal punto di vista umano, la visita
al Sìtio Sao José è stata fondamentale anche dal punto di vista accademico; la fazenda di Zé è un organi-
smo autosufficiente che integra ogni suo flusso con la natura in cui è immersa, la poca energia elettrica
di cui la casa ha necessità è fornita da un motore azionato da un piccolo torrente deviato che da vita alle
lampadine, alle poche prese elettriche usate per ricaricare i cellulari e far funzionare il frullatore e un pic-
colo computer.
Un terreno grande e ricco come quello della foresta offre davvero una varietà immensa di frutti, mescolati
e consociati secondo il metodo agroforestale spiegato in precedenza, dando possibilità di vivere bene e
in salute; nella fazenda non ci sono più gli animali, in quanto Zé, essendo rimasto praticamente solo, ha
preferito smettere di allevare.
Ogni output della casa è gestito al suo interno, come le acque grigie e le acque nere che vanno a finire in
3
Il bosco commestibile è un sistema di produzione alimentare sostenibile a bassa manutenzione basata sugli ecosistemi boschivi,
che incorporano alberi da frutta e noci, arbusti, erbe, viti e ortaggi perenni che hanno rese direttamente utili per l’uomo. Usando le
consociazioni, le piante possono essere mescolate a crescere in una successione di strati, per costruire un habitat boschivo.
	
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uno scarico bio-settico comune posto sotto a degli alberi di banane che, avendo la foglia molto larga, sono
molto adatti per un veloce assorbimento e traspirazione.
8
Veduta della casa di Ze Ferreira circondata “dall’ agroforesta”
Macchinario artigianle utilizzato per realizzare la farina di Mandioca
Particolare “agroforesta”: granturco Particolare “agroforesta”:
fiore di Banano
Frutto del Cacao coltivato da Ze Ferreira
Conserve realizzate con il raccolto dell’agroforesta
Casa dos Hòlons
Dopo tre giorni di estrema calma, in cui Zè ci ha mostrato la sua terra, ci ha parlato della sua storia e delle
sue scelte, ripartiamo alla volta di São Paulo.
Ancora una volta attraversiamo un po’ di foresta, fermandoci a scattare qualche foto e a rinfrescarci nel
fiume che costeggia il nostro cammino prima di salire sull’autobus che ci porterà nella città più popolosa
dell’emisfero australe.
Fondata nel 1554 da missionari gesuiti è ora una metropoli immensa, abitata da circa 11 milioni di
persone, che, nell’area metropolitana raggiungono i 20 milioni, ed è una delle città più multiculturali al
mondo; dalla fine del 1800 in poi ha subito ondate migratorie da varie parti del mondo, infatti, è stato
censito che la maggior parte dei suoi abitanti ha origini estere, di cui una grande percentuale italiana, ma
anche spagnola, portoghese, tedesca, araba e giapponese.
È facile immaginare quale sia stato l’impatto appena scesi dall’autobus alla stazione.
Dopo tre giorni passati in mezzo alla fazenda di Zé Ferreira, dove oltre al suono delle nostre voci era possi-
bile sentire solo il frastuono ovattato della foresta, ci trovavamo in mezzo alla confusione totale, sommersi
da sciami di persone che correvano ovunque, immersi in un caos dirompente, fatto di clacson, voci, pub-
blicità, luci e traffico. Dopo mezz’ora di metropolitana arriviamo alla stazione dove ci aspetta un amico
che, sorridente, capisce immediatamente il trauma che abbiamo appena subito.
São Paulo è sicuramente una città difficile, affascinante per certi versi, ma soffocante per molti altri. Non è
solo la quantità di gente fuori da ogni nostra esperienza che disturba, ma è anche l’omogeneità nella distri-
buzione di enormi palazzi, strade gigantesche, che sopprimono qualsiasi accenno di natura, di respiro e di
pace; il centro storico è un pugno nello stomaco, vista l’impressionante numero di persone che dormono
in ogni angolo, la sporcizia e il disagio coprono quello che in realtà sarebbe un pregevole pezzo di città,
la memoria storica e la parte architettonicamente più interessante; tutto questo da spazio ad un’immensa
cortina di fatiscenti palazzotti o giganteschi grattacieli decisamente più puliti, quando si tratta dei palazzi
della nobiltà finanziaria brasiliana e mondiale. São Paulo è un crudele specchio della nuova crescita econo-
mica del Brasile, un paese senza debito con immense ricchezze territoriali e materie prime, ma con un’in-
credibile disuguaglianza sociale, dove la povertà apre una finestra sul passato da paese del terzo mondo.
Questa città però, ti fa scoprire anche l’altra faccia di un magnifico paese come il Brasile; la faccia di tutte
quelle persone che vogliono vivere diversamente, che vogliono un mondo diverso e più giusto, è in questa
megalopoli disordinata e chiassosa che abbiamo trovato un oasi di calma e raccoglimento, proprio nel po-
sto più caotico e più lontano da ogni ideale di sostenibilità e sistemicità si è sviluppato un progetto molto
interessante che è la Casa Dos Hòlons.
Una piccola realtà dove si progettano sistemi alternativi di gestione della casa, come la raccolta dell’acqua
piovana, con annesso filtro contro le piogge acide, per irrigare il piccolo orticello nel giardino davanti
all’entrata, o come il giardino verticale a lato della casa, o lo smaltimento delle acque nere grazie al bana-
no piantato nel mezzo del cortile nel retro. Trasmette sensazioni positive questa casa nel mezzo del caos,
grazie ai colori vivaci, alle sue architetture eccentriche fatte con terra e vecchie bottiglie di vetro, con legno
e altri materiali di recupero. Questo è uno spazio di ricerca, ci spiega Rafael, dove si sperimentano modi
alternativi di gestione e di rapporto con la terra e col resto del mondo; è fortemente spirituale l’approccio
di questi ragazzi, una spiritualità che non ha a che vedere con una religione o un’altra, semplicemente un
rendersi conto che su questo pianeta siamo tutti connessi, uno all’altro, tramite una stessa madre, che è
il pianeta stesso o l’universo. E’ stato un bene visitare questa casa, ricollegarsi alla propria parte spirituale
nel posto più caotico mai incontrato finora, accorgersi che nonostante tutto si fa parte di qualcosa di
immenso, senza preconcetti o qualsiasi altro spauracchio hippie, semplicemente sapere e rendersi conto
9
che la terra che calpestiamo non è altro da noi, ma è necessariamente parte di noi, anche perché se fosse
altrimenti, noi, non esisteremmo.
Dal punto di vista sistemico è interessante conoscere una realtà come questa proprio perchè opera in un
ambiente decisamente ostico; oltre al piccolo orticello per lo più dimostrativo, gli arredi e delle piccole
case fatte con materiale di recupero la cosa più interessante è la fossa bio-settica sotto l’albero di banana.
Questo sistema ritorna, dopo la fazenda di Zé Ferreira, ma colpisce come sia stata adottato in un norma-
lissimo quartiere, che ci fa ben sperare per una riorganizzazione sostenibile delle nostre città.
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La permacultura secondo Casa dos Hòlons
Struttura con forno a legna, realizzata con terra, telai e altri materiali scartati
Particolare del giardino verticale della casa, alimentato con acqua piovana e realizzato
totalmente con materiali riciclati
Poltrona realizzata con vecchi pneumatici
scartati
Particolare dell’orticello sinergico della casa
Uma Quinta Na Cidade
Lasciamo São Paulo per andare ancora più a sud, nella capitale dello stato di Paranà, Curitiba.
Arriviamo in città sempre col pullman, che in Brasile è il mezzo più economico e più usato in assoluto,
in quanto il paese non è dotato di una linea ferroviaria efficiente e i collegamenti aerei sono davvero cari.
Arrivati alla stazione ci accorgiamo immediatamente della differenza tra una delle città col più alto tenore
di vita di tutto il Brasile e il resto delle città che abbiamo visitato; è palesemente più pulita e più organiz-
zata, la sua linea di autobus famosa per le fermate simili a quelle di una metropolitana funzionano davvero
e ne abbiamo subito una testimonianza diretta.
Curitiba non è come il resto delle città brasiliane, è una città decisamente più simile a una realtà europea,
sia a livello architettonico, sia per la maggiore densità di popolazione di pelle bianca, dato legato alle forti
immigrazioni dall’Italia, dalla Germania e da altri paesi del centro Europa, inoltre vanta una storia di
progettazione sostenibile da far invidia a molte città del vecchio continente, come la prima isola pedonale
negli anni ‘70 fino all’elezione a città più eco-sostenibile del mondo ai Globe Sustainable City Award nel
20104
.
In questo contesto così fertile opera una delle attività più interessanti che abbiamo avuto il piacere di
conoscere; Uma Quinta Na Cidade è un’associazione che ha come base storica la casa di Eduardo e
Débora Feniman, di formazione pedagogica entrambe e con una forte passione per l’ambiente. Sono
disponibilissimi nell’accoglierci a casa loro in un torrido pomeriggio di Gennaio, ci spiegano subito le
basi fondanti di un progetto come il loro, ossia il ritorno alla concezione di spazio abitativo come spazio
di produzione di cibo di qualità, di salvaguardia della biodiversità e di ricerca applicata. Eduardo ci parla
del loro sistema giardino: i conigli, messi in grandi gabbie in cui i cuccioli possano stare insieme e tenersi
caldo vicendevolmente come farebbero se fossero liberi, le capre e le galline allevate mangiando verdura
avanzata al mercato, l’orto cresciuto sulla terra creata compostando l’umido prodotto dalla cucina, le sca-
tole di plastica impilate progettate per fare il compost sul proprio balcone; inoltre ci spiega il metodo con
cui sfruttano ogni spazio possibile del loro giardino, come il sistema di coltivazione delle fragole in vasetti
sopra il posto macchina, piantate in modo da dare frutti tutto l’anno, infatti ogni vasetto ha diversi tipi di
fragole che maturano in diversi periodo dell’anno. Uma Quinta Na Cidade è uno studio a cielo aperto, un
laboratorio di ricerca dove sperimentare modi di produzione agricola in scala possibile nelle città attuali,
dove conservare e riprodurre l’enorme quantità di specie differenti salvaguardando la biodiversità. Sentire
parlare Eduardo di biodiversità è affascinante, in quanto ci spiega con pazienza la sua idea di combattere
fermamente il pessimo trend che le politiche economiche stanno portando avanti, ossia la severa scelta
delle specie in base a una commercializzazione piuttosto che alla ricchezza di nutrienti; un caso eclatante
che lui cita è quello dei pomodori che, comprandoli al supermercato, danno l’idea di essere l’unica o una
delle pochissime specie esistenti, tondi, a volte oblunghi, rossi e dalla scorza lucidissima e spessa. Esistono
migliaia di specie di pomodoro, ognuna adattata ad un luogo specifico di origine, dalla buccia più o meno
spessa, dal sapore intenso o delicato, dalle forme più strane, insomma, la biodiversità regala sorprese incre-
dibili, se solo fosse salvaguardata e non si privilegiasse la vendita di pomodori prodotti in serra, insapori e
soprattutto se si smettesse di venderli ogni giorno dell’anno. Uma Quinta Na Cidade insegna anche l’im-
portanza della stagionalità, della territorialità e della cura delle varietà autoctone e antiche; Eduardo parla
anche delle scelte politiche in base alla commercializzazione del cibo, facendo l’esempio di molti paesi
africani, in cui è stato importato massicciamente l’uso del mais per combattere la fame, non valorizzando
le specie autoctone e le piccole colture ma facendo in modo che le popolazioni dovessero imparare e
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Globe Award è un premio dato dal Globe Forum, organismo no-profit, per riconoscere e incoraggiare le società, il settore delle
imprese, individui e del mondo accademico che si sono distinti nel campo della sostenibilità.
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comprare cose che cui in realtà non avevano bisogno. Il mais e la soia sono le piante più coltivate nel
mondo e la maggior parte, spesso coltivata a partire da semi geneticamente modificati , va a ingrassare
animali che riempiono i supermercati di tutto l’occidente. E’ spaventoso accorgersi di quanta carne ogni
giorno venga prodotta per riempire gli scaffali di ogni supermercato esistente anche solo in Europa.
Eduardo ci parla di tutto questo, di un ritorno a pensare la propria vita e le proprie scelte come davvero
importanti, nel senso che attraverso ciò che scegliamo possiamo dare un segnale forte e decisivo, ridando
alla natura, all’ambiente e alla salute un ruolo centrale anche nei calcoli finanziari mondiali. Partendo
dalla propria casa, dal proprio balcone, si possono intraprendere vie diverse da quelle dettate da altri.
La cosa che colpisce di più di questo progetto è l’amore, la passione che queste persone ripongono nel
portare avanti un idea di auto-sufficienza cittadina, nel loro quartiere sub urbano, ormai minacciato da
enormi palazzi che vendono un lusso inutile; ci raccontano con soddisfazione soprattutto di quanto sia
virale un idea come la loro, di come i vicini, dopo aver visto il successo di un sistema ben strutturato, si
siano dati da fare per crearlo a loro volta. Uma Quinta Na Cidade è parte, inoltre, di una rete più ampia
che è Casa da Videira, collettivo di famiglie e persone che impegnano il loro tempo nella diffusione di
valori condivisi come l’autosufficienza e l’indipendenza dalla grande distribuzione.
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L’orto sinergico realizzato nel cortile della casa
Le capre, elementi fondamentali del sistema della casa
Ragazzi al lavoro durante un’attività di workshop
L’allevamento dei conigli, quanto basta per l’autosufficenza
Sete Ecos - Ecologia da Alma
Prima di concludere la nostra ricerca in Brasile abbiamo voluto conoscere più approfonditamente il lato
spirituale della sostenibilità, quello più intimo e legato profondamente con l’ambiente.
E’ per questo che siamo andati a passare tre giorni nella casa di Marconi Junior, un simpatico trentacin-
quenne che a un certo punto della sua vita ha deciso che la città non faceva per lui e ha deciso, insieme
ad altri amici e ai suoi genitori, di comprare un piccolo appezzamento di terreno e vivere insegnando la
permacultura, i metodi di costruzione con materiali naturali o di recupero e antichi riti indigeni.
Situato sulle colline che fanno da contorno a Sete Lagoas, paese a pochi chilometri da Belo Horizonte,
capitale dello stato di Minas Gerais, Sete Ecos è esempio di una scelta di vita che ha come obiettivo quello
di dipendere quanto meno possibile dalla città, dalla sua vita frenetica e dalle grandi catene di distribu-
zione alimentare; per usare le stesse parole di Marconi Jr, la scelta è stata fatta per andare incontro ad un
“bisogno di esodo urbano” di cui lui e la sua famiglia avvertivano la necessità. Tutta la carica spirituale,
l’attenzione ai flussi ed ai cicli insiti nella natura sono qui tramutati in un ambizioso progetto di perma-
cultura che fa dell’intero luogo un insieme di elementi interdipendenti l’uno dall’altro. Il lavoro svolto è
affascinante, la sperimentazione e la collaborazione sono la prerogativa per portare avanti il progetto in un
continuo scambio di saperi e nozioni. Dalla raccolta dell’acqua piovana incanalata seguendo il suo percor-
so naturale, quindi utilizzata e depurata secondo sistemi di fitodepurazione; la costruzione di ambienti,
come il semenzaio, utilizzando terra, paglia e bottiglie di vetro; la sperimentazione di orti sinergici e di un
piccolo sito di agro-foresta; tutte queste attività ed altre in continuo divenire vengono svolte durante una
serie di workshop in cui le persone sono, per così dire, il progetto principale su cui si lavora e dalla loro
collaborazione nascono e si portano avanti i vari lavori del progetto Sete Ecos. L’atmosfera che si crea ha
dell’incredibile, persone che fino a poco tempo prima non si conoscevano uniscono le forze e collaborano
proprio come in un ecosistema composto da più elementi interdipendenti ed in connessione l’uno con
l’altro.
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L’orto sinergico realizzato nel cortile della fazenda
Sistema di fitodepurazione per le
acque grige
Filtro usato per pulire l’acqua
piovana che proviene da bacino
di raccolta
Sistema di fitodepurazione per le
acque nere tramite Banani
La cupola geodetica realizzata
in legno, reti e terra. Lo spazio
sociale di Sete Ecos
Mattoni di terra e paglia usati per la costruzione del semenzaio
Avremmo potuto continuare a viaggiare, intervistare e conoscere altre persone e altre realtà, ma non
avevamo finanziamenti e viaggiare in Brasile può rivelarsi oneroso. In ogni caso abbiamo avuto modo di
conoscere iniziative interessanti, virtuose e notevoli, che ci hanno dato la possibilità di toccare con mano
il cambiamento già in atto in moltissime regioni del mondo.
Il ruolo del Brasile potrebbe essere decisivo per le sorti di questo pianeta, in quanto è un paese in forte
sviluppo, ricchissimo di materie prime e industrie, sempre più al centro del dibattito internazionale, con
sempre più peso economico e di conseguenza politico; sta a questo paese, ai suoi politici, ma soprattutto
alla sua gente, scegliere di percorrere un cammino di sostenibilità, diventare un faro guida per tutti quei
paesi che vogliono cambiare, intraprendere un percorso nuovo e più giusto o invertire la rotta e cambiare
le proprie strategie, per immaginare e costruire una società in piena armonia con la natura di cui facciamo
parte e decisa a mirare alla soddisfazione del desiderio umano di stare in pace, sereno e davvero felice.
Il Brasile può essere tutto questo, perchè ha l’energia della terra e l’energia della sua gente, perchè il cam-
mino tracciato dai paesi del ricco occidente hanno miseramente fallito e il mito americano si è manifestato
per quello che è sempre stato, l’ennesimo tentativo sbagliato che, sempre di più, ha conseguenze disastrose
per le nostre vite.
Proprio in un’ epoca come la nostra, ormai caratterizzata da guerre, fame, smodata ricchezza e povertà inu-
mana, un paese che contiene tutto questo può davvero essere l’ago della bilancia e scegliere uno sviluppo
sistemico e sostenibile per il suo avvenire.
Al suo interno il Brasile ha tutto, una miriade di etnie differenti, climi opposti, condizioni sociali agli
antipodi, popolazioni indigene che non hanno mai avuto contatto con la nostra civiltà, foreste impenetra-
bili e deserti aridi, città invivibili e paradisi incontaminati; è davvero il paese delle contraddizioni e delle
opportunità, si spera che le sue antitesi diventino ricche differenze e l’opportunità la colga prima di tutto
il Brasile.
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L’Italia
La seconda parte della nostra ricerca si è svolta in Italia, paese famoso in tutto il mondo per la ricchezza
della sua storia e dei suoi paesaggi, ricordato ovunque per l’apporto inestimabile dato all’arte e a qualsiasi
altra branca dello scibile umano.
Non sta a noi dilungarci sulla grandezza dell’Italia e della sua storia, piuttosto, come in Brasile, abbiamo
affrontato anche questa parte di ricerca con occhio critico e abbiamo analizzato ciò che studiavamo con
attenzione, dando il necessario peso a tutte le iniziative che abbiamo incontrato, soprattutto in relazione
con la situazione attuale italiana, ma, in larga maggioranza, anche europea.
La crisi che, dal 2008, imperversa in ogni strato della società civile, ha ormai contagiato ogni ambito,
tutto ciò che conosciamo è in crisi o risente della crisi; è uno spauracchio che, per persone come noi nate
nel 1987, alla fine del famoso miracolo economico italiano, fa parte della nostra storia.
L’Italia è, secondo noi, l’esempio più lampante di come si possa sperperare la più gloriosa delle ricchezze
nella ricerca dell’ennesimo guadagno e dell’ennesima speculazione. La cultura, l’arte, la bellezza dei pae-
saggi sono niente davanti all’ incompetenza di amministrazioni cieche e decise ad ampliare solo ed esclu-
sivamente economie lontane dalle vere esigenze della cittadinanza.
Abbiamo scelto questo paese non solo perchè qui siamo nati, cresciuti e studiamo, ma anche perchè con
i suoi 3 milioni 153 mila5
disoccupati è uno degli stati più in difficoltà dell’intera eurozona. Fa parte dei
PIIGS insieme a Spagna, Irlanda, Grecia e Portogallo, i paesi che, praticamente, rischiano di fallire da un
mese all’altro e in cui l’insieme dei suoi musei statali guadagna meno di quanto fa da solo il Louvre di
Parigi. L’Italia, è necessariamente uno dei paesi più rappresentativi di questa perenne crisi.
Nondimeno però, nel bel paese, si trovano anche una quantità considerevole di ottime iniziative, di per-
sone volenterose che dedicano il loro tempo a migliorare la situazione e a rendere questo paese e il mondo
più vivibile e più felice. Con l’intenzione di conoscere queste persone abbiamo intrapreso un altro viaggio
attraverso cui intervistare e documentare chi muove i suoi passi in un percorso di rinascita sostenibile.
Anche in questo caso è stato un breve tragitto che ci ha portato dal centro al nord della penisola, dovuto,
come sempre, alla scarsezza dei nostri fondi, questa volta ottenuti tramite il crowdfunding, ma comunque
insufficienti a coprire un viaggio in tutto il paese.
Come già avvenuto in Brasile abbiamo fatto una cernita delle iniziative più interessanti e siamo partiti.
La ricerca è partita da Roma, città che non ha bisogno di presentazioni, capitale e specchio del paese
intero, incredibilmente affascinante, spettacolare e meravigliosa, ma invasa da qualsivoglia problema di
gestione e raramente vivibile.
Con 2 866 2386
abitanti è il comune più popoloso d’Italia e il quarto dell’Unione europea, con i suoi
tremila anni di storia è stata la prima metropoli del mondo.
Fa davvero male vedere strade storiche di Roma invase da macchine, rumori e sporcizia, come fa male ar-
rivare in una delle città più antiche del mondo e attraversare lo squallore di interi quartieri alveare, enormi
palazzoni che soffocano la storia di questa città e la sua vita.
La capitale d’Italia è tristemente famosa per i suoi problemi, il traffico infinito delle sue strade, la scarsità
dei servizi e le spire in cui si avvolge gran parte dei lavori di ammodernamento e di messa a regime della
città; basti pensare agli eterni lavori per il completamento della metropolitana che, tra uno scandalo e un
altro, ancora oggi non vede il giorno della sua apertura.
Ciònonostante è per sua natura una fucina di idee, di eventi e un ricettacolo di innovazioni e di occasio-
ni per conoscere e fare cose nuove, infatti, non a caso, è proprio a Roma che abbiamo iniziato il nostro
5
dati Istat riferiti a giugno 2014	
6
dati Istat riferiti a febbraio 2014	
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viaggio concentrando quattro incontri e altrettante interviste.
Proprio qui abbiamo incontrato due dei quattro FabLab intervistati durante tutta la ricerca, quello di
Catania e quello di Roma.
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I Fab Lab
I FabLab sono officine di produzione su piccola scala che danno la possibilità all’utente di realizzare un
prodotto attraverso l’utilizzo di macchinari per la prototipazione rapida, come la stampante 3D, la mac-
china a taglio laser, la fresa a controllo numerico e altri macchinari per la prototipazione rapida.
Il primo FabLab nasce nel 2001 da una ricerca portata avanti nei laboratori del Center for Bits and Atoms
del Massachusets Institute of Technology (MIT), all’interno di un’ampia ricerca sulla fabbricazione digi-
tale. Un Fab Lab è una piattaforma di prototipazione tecnica per l’innovazione e l’invenzione, nata con
l’obiettivo di fornire stimoli per la piccola imprenditoria locale. Un Fab Lab è anche una piattaforma per
l’apprendimento e l’innovazione: un posto per giocare, creare, imparare e inventare. Per essere un Fab Lab
è necessario creare una connessione con una comunità globale di studenti, educatori, tecnici, ricercatori,
responsabili e innovatori che abbraccia 30 paesi.
Poiché tutti i Fab Labs condividono strumenti e processi comuni, si sta costruendo una rete globale, un
laboratorio distribuito per la ricerca e l’innovazione.
Originariamente progettati per le comunità come piattaforme di prototipazione per l’imprenditoria lo-
cale, i Fab Lab sono sempre più adottati dalle scuole come piattaforme a progetto, dove gli studenti im-
parano attraverso la progettazione e la creazione di oggetti di interesse personale o adottando idee fornite
dalla rete globale di utenti.
Attualmente i Fab Lab ufficiali nel mondo sono 2517
, anche se oltre a crescere di numero sotto il cappello
del Fab Foundation, quindi del MIT, nascono, sempre più spesso, anche centri non ufficiali che, nono-
stante l’adozione di nomi differenti e la non affiliazione al circuito principale, si basano comunque sui
valori, sugli obiettivi e sul modus operandi dei Fab Lab comuni.
Nella sua breve storia questo fenomeno si è sviluppato enormemente, andando a coinvolgere un gran
numero di aspetti della produzione attuale, non solo per i macchinari in sé, ma proprio per lo sviluppo
e la diffusione capillare di concetti innovativi e un approccio rivoluzionario come quello della progetta-
zione aperta, in creative commons e open source, ossia accessibile e modificabile da tutti. E’ sorprendente e
rivoluzionario lo spostamento, non solo concettuale, dei mezzi di produzione dai grandi centri industriali
a piccole officine di quartiere; questa possibilità apre enormi spazi e vie per un innovazione e una ricerca
diffusa, che infatti si sta traducendo in una corsa inarrestabile verso la reinvenzione di molte nostre abi-
tudini e consuetudini produttive.
Proprio le implicazioni produttive hanno attirato la nostra attenzione, perchè portano con sé necessaria-
mente delle importanti implicazioni prima a livello economico poi a livello sociale. Quando la possibilità
di produrre un prodotto diventa più accessibile, per un drastico abbassamento dei costi e per una capillare
distribuzione sul territorio, il panorama cambia completamente; le abitudini produttive cambiano, la
possibilità di creare micro-economie sul territorio diventa più concreta e si porta alla luce una carica di
imprenditorialità creativa che può tracciare un nuovo percorso di distribuzione della ricchezza.
Infatti, attorno al mondo dei Fab Lab è nato un intero movimento mondiale, i makers, che riunisce tutti
gli appassionati del fai-da-te, dell’open source, della prototipazione rapida, dei macchinari a controllo
numerico e dell’artigianato tecnologico.
Sono tanti i progetti che, per esempio, la stampa 3D ha reso possibili: sta diventando sempre più concreto
l’utilizzo di questa tecnologia in campo medico, per sostituire parti craniche8
e addirittura componenti
cardiache. I costi di molti prodotti vengono abbattuti, quindi aumenta drasticamente la possibilità di
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Dati forniti da Fab Foundation, organizzazione no-profit americana nata al MIT con l’obiettivo di creare e gestire la crescente
rete di Fab Labs nel mondo.
8
Allo University Medical Center (UMC) di Utrecht è stato realizzato il primo trapianto di cranio nel marzo del 2014.
	
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ricerca di nuove forme e di nuove applicazioni.
Quindi abbiamo inserito nella ricerca anche il mondo dei makers e dei Fab Lab, proprio perchè portatori
di possibili miglioramenti a livello economico, sociale e, purtroppo in pochi casi, anche ambientale.
Il purtroppo è da associare all’enorme consumo di materiale che queste officine comportano, tra espe-
rimenti, gadgets dimostrativi e prodotti, viene utilizzato un quantitativo incredibile di plastiche e legno
multistrato; anche in questo caso però, ci sono delle promettenti avvisaglie di cambiamento come, ad
esempio, piccoli macchinari che producono filo per tessere dalle bottiglie di PET, altri che sminuzzano
l’abs e ne fanno dei granuli da poter riutilizzare.
I fab lab che abbiamo conosciuto sono quelli di Catania, Roma, Verona e Torino.
La nostra prima intervista ha avuto luogo al giardino degli aranci, un posto magnifico situato in cima ad
uno dei colli più belli di Roma, l’aventino, da cui si può godere la vista sulla città. L’atmosfera tranquilla,
qualche bambino che giocava e la cornice degli alberi già carichi di frutti ci ha permesso di fare una lunga
chiacchierata con Carmen Russo, designer catanese, che ha deciso di aprire, insieme ad altri soci, il fab
lab nella sua città.
Carmen ci parla della sua attività di designer, di progetti passati e futuri, ma soprattutto della scelta di
aprire un fab lab come luogo di incontro, di lavoro e di speranza per lo sviluppo della propria terra e dei
giovani. Parla molto dei giovani, di come in Italia sia difficile esserlo, a volte ignorati a volte chiusi in
spirali di tirocini mai pagati, spesso costretti a trovare una vita all’estero. Questo progetto, ci racconta, è
nato soprattutto per questo, dare una speranza di lavoro e sviluppo a un territorio e ad una generazione.
Questi centri, ovunque sorgano, nascono come fucina creativa per gli artigiani tecnologici, cercano di
unire le abilità tipiche del lavoro in bottega con il supporto di macchine per la prototipazione rapida, con
corsi mirati all’apprendimento di nozioni base di elettronica, di programmazione, ma anche di tecniche e
abilità artigianali come la saldatura e la tornitura.
Silvio Tassinari, fondatore insieme ad altri del fab lab di Roma, può rappresentare la tenacia del giovane
che riesce a rimanere nella propria città, combattendo con la mancanza di fondi e la chiusura burocratica
di cui è maestro questo paese.
A Verona invece abbiamo conosciuto Riccardo Bertagnoli che, insieme ai suoi amici, ha fondato il fab lab;
anche loro molto giovani, hanno trovato meno difficoltà degli altri per aprire la loro officina.
La cosa che colpisce di tutte queste persone è l’entusiasmo e la passione, contro qualsiasi burocrazia e
impedimento, contro la crisi e la mancanza di fondi, c’è una forte voglia di cominciare, di aprirsi una stra-
da e di farcela da soli, proprio lo spirito imprenditoriale sano e pulito di cui qualsiasi sistema economico
ha necessariamente bisogno.
Il primo fablab in Italia ha aperto a Torino, in una piccola parte di un grande edificio industriale di un
epoca ormai passata. Il fablab di Torino non è molto differente dagli altri, se non fosse per il fatto che è il
primo e che ha un fortissimo legame con Arduino, che, oltre ad essere una scheda elettronica di piccole
dimensioni con un microcontrollore e circuiteria di contorno, utile per creare rapidamente prototipi, è
anche una delle aziende più prolifiche dell’intero panorama imprenditoriale italiano ed europeo. Questa
piccola scheda, supportata da un facile programma di codifica, permette di creare ogni sorta di prototipo
meccanico, dando la possibilità al progettista di far interegire una miriade di sensori diversi per gli scopi
più disparati.
Questo legame stretto tra Arduino e fablab Torino ha portato alla nascita delle Officine Arduino, azien-
da che mira alla diffusione della progettazione open-source attraverso la creazione di eventi e wor-
kshop. Grazie a questa sinergia è stata portata in Italia, a Roma, la Maker Faire, gigantesco evento in cui
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decine di aspiranti progettisti, ingegneri elettronici e chiunque si sia cimentato a livello professionale con
prototipazione rapida e software open source, ha partecipato e ospitato migliaia di persone.
E’ certo che il ruolo di quest’azienda, come del fablab Torino e di tutti gli altri fablab, sia destinato ad esse-
re sempre di maggior peso, vista la capillarità con cui si stanno diffondendo e la potenzialità dell’approccio
di condivisione aperta che promuovono.
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Laboratorio Linfa
Il recupero di materiali di scarto e il riciclo è sicuramente uno degli aspetti più conosciuti di un percorso
verso un vivere sostenibile, dalla raccolta differenziata fino ai quaderni in carta riciclata, progettare e realiz-
zare prodotti con materiali che altrimenti andrebbero in discarica è ormai una pratica diffusa. Noi siamo
andati ad intervistare chi, da quando ancora non era così comune, progetta arredi con legno di recupero.
Il Laboratorio Linfa è un collettivo di product designer che fa principalmente arredi col legno dei pallet
scartati dalle aziende.
Incontriamo Luigi Cuppone, fondatore del Laboratorio e professore all’Istituto Superiore per le Industrie
Artistiche (ISIA) di Roma, nella piccola officina che usa il collettivo per lavorare, nel quartiere del vecchio
Quadraro, zona sud della capitale.
Ci accoglie sorridente e ci mostra il laboratorio, è uno spazio lungo e stretto, piano di legno e segatura, con
qualche seduta e tavoli colmi di attrezzi, guanti e mascherine. Luigi si siede sopra il piano di uno scaffale
e comincia a raccontarci di come tutto è cominciato da una presa di coscienza e dal fatto che continuare
ad abbattere alberi incontrollatamente per fare l’ennesimo paio di sedie e di tavoli non aveva e non ha
alcun senso, quindi è stato quasi immediato prendere il pallet come materia prima, in quanto presente in
enormi quantità praticamente in qualsiasi magazzino di quasi tutte le aziende.
I pallet, o bancali, sono delle pedane usate per il trasporto delle merci, sono resistenti e durano molto tem-
po, ma comunque ne vengono scartati moltissimi, infatti è facile, girando nelle zone industriali, trovare
cumuli di pallet accatastati in attesa di smaltimento.
Non è difficile, quindi, reperire il materiale, dopodiché il bancale viene smontato e torna ad essere legno,
sporco, ma sicuramente materia prima con la quale realizzare nuove sedute, nuovi tavoli, nuovi arredi.
Luigi si sofferma molto sul carattere profondamente didattico del suo lavoro, visto che oltre alla cattedra
all’ISIA di Roma, molte delle attività del Laboratorio Linfa si strutturano in dei workshop, dove il parteci-
pante apprende l’utilizzo degli strumenti, oltre ad un metodo e ad uno stile di progettazione. Attraverso la
lavorazione del legno si possono veicolare nozioni e idee, come il riciclo, ma anche la posizione dell’uomo
rispetto alla natura e il suo ruolo di custode o di carnefice, ci si può trovare a discutere dell’uso dei mac-
chinari industriali come sostituzione del lavoro umano e tutto ciò che questo implica, fino a parlare della
funzione sempre più preminente che le nuove tecnologie stanno rivestendo.
Il Laboratorio Linfa è sicuramente un esempio di artigianato del recupero, infatti Luigi sottolinea più
volte l’importanza del fare concreto, della lentezza e della bellezza del mettere le mani sulla materia per
modificarla, la saggezza intrinseca nella conoscenza profonda del legno, della natura e dei suoi cicli.
Non è esattamente sistemico il modus operandi del Laboratorio, ma ha le basi per la presa di coscienza ne-
cessaria per fare il salto di qualità e per prendere in considerazione il necessario cambiamento dal sistema
attuale e l’applicazione di un approccio sistemico alla filera produttiva del legno, ma in realtà di qualsiasi
attività umana.
E’ importante che la progettazione non si fermi al ripensamento di una nuova vita per il prodotto scar-
tato, in quanto ad ogni modo, in questo caso non si interrompe la deprecabile abitudine al consumo che
è ormai insita nella cultura contemporanea; è necessaria la presa di coscienza da parte di tutti i cittadini
che, per far si che la crisi sia un ricordo, bisogna attuare il cambiamento attraverso una profonda revisione
delle consuetudini produttive finora adottate.
In questo ha un ruolo fondamentale l’università e tutto l’apparato educativo, in quanto formatori delle
generazioni future hanno il compito di fornire gli strumenti necessari ai giovani per affrontare il cambia-
mento e esserne i fautori di una società migliore di quella precedente.
Di questo aspetto Luigi è completamente convinto, infatti ci ricorda l’importanza di veicolare le informa-
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zioni attraverso il fare, attraverso lezioni pratiche e workshop insegnando agli studenti la passione per ciò
che ci circonda e per il sistema naturale di cui facciamo parte.
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Uno dei progetti realizzati da Laboratorio Linfa
Luigi Cuppone nel suo laboratorio durante la nostra intervista
Orizzontale
Non è l’ufficio che ti colpisce, né la disponibilità di Stefano, quanto piuttosto la storia che ti racconta, con
l’enfasi di chi ci ha messo tempo, speranze e ha investito nelle proprie idee e nel proprio futuro. Orizzon-
tale è un laboratorio di architettura in piena ascesa. L’età media è di trant’anni, perfetto per dare speranza
ai tanti giovani che, laureandosi in questi anni, hanno trovato o pensano di trovare solo porte chiuse;
questi ragazzi si sono conosciuti alla Sapienza di Roma, e, invece di laurearsi e poi cercare lavoro, si sono
laureati e se lo sono creato, il lavoro. Attraverso installazioni e arredi urbani hanno fatto quello che più
volevano, sporcarsi le mani e cambiare il volto dello spazio pubblico; tra i primi interventi è importante
ricordare le iniziative che hanno caratterizzato il progetto KIUI, appuntamenti in cui insieme ad altri col-
lettivi di designer, artisti e architetti, romani e non, hanno provato a ripensare spazi pubblici dimenticati
e in via di degrado, concludendo il tutto con un workshop di autocostruzione in cui hanno arredato uno
spazio del Forte Prenestino. Ultimo sforzo del gruppo è stata l’installazione al MAXXI di Roma con cui
si sono confermati progettisti di altissimo livello e tra le realtà più interessanti del panorama progettuale
italiano. Fa bene sentire Stefano dirci che questa loro passione è diventata un lavoro; può sembrare in-
credibile, ma è davvero una delle parti più belle di tuta la loro storia. Quella soddisfazione negli occhi di
aver costruito qualcosa di importante con le proprie mani, qualcosa che finalmente sta ripagando e sta
dando dei frutti forse inimmaginabili all’inizio, quel sorriso di chi sta lavorando con passione e dedizione
al proprio futuro, è la cosa di cui, probabilmente, ha più bisogno il paese Italia. Orizzontale è un esempio
virtuoso di unione di spirito imprenditoriale e capacità manuali e creative, nel classico percorso lavorativo
del progettista, che, il collettivo, sta percorrendo a grandi e veloci passi, partendo da piccoli lavori nel
quartiere fino ad arrivare ai grandi musei internazionali.
Il loro approccio è sistemico e utile alla nostra ricerca nella misura in cui operano nel territorio consci
di doversi relazionare profondamente col territorio stesso e non impiantando e costruendo architetture
inutili e avulse dal contesto.
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Varie viste di uno dei progetti realizzati da Orizzontale
Installazione urbana in cartone
Un altro progetto realizzato da Orizzontale
Arredo urbano in cartone
Casa dell’InSOStenibilità
La sostenibilità sociale riteniamo debba essere uno dei punti cardine di qualsiasi iniziativa umana, in
quanto crediamo sia giusta la ricerca della felicità e della realizzazione da parte di qualsiasi essere umano.
Nonostante le difficoltà palesi nel conseguire questo risultato per ogni singolo abitante del pianeta, siamo
convinti che il nostro essere animali sociali, il nostro lavoro e persino la nostra esistenza non abbiano altro
che questo scopo.
L’integrazione, la convivenza pacifica è alla base di una società equa e felice, ed è per questo che siamo
andati ad intervistare chi lavora, da anni, in prima linea per accogliere, educare e aiutare quelle fasce di
popolazione svantaggiate e con più difficoltà nell’inserirsi. Siamo arrivati a Prato, simbolo del fallimento
di ogni politica d’integrazione varata in questi anni.
Prato rappresenta uno dei più grandi distretti industriali italiani ed uno dei centri più importanti, a livello
mondiale, per le produzioni di filati e tessuti di lana9
; inoltre ufficialmente ospita la seconda comunità
cinese più numerosa d’Italia, anche se si pensa possa essere anche la prima10
, il che per una città di neanche
200 mila abitanti è un numero enorme. Infatti i problemi di integrazione sono evidenti e profondi.
All’interno di questa situazione già precaria, Prato riserva ancora sorprese.
Via Pier Cironi è una delle vie col maggior tasso di spaccio e delinquenza; è incredibile constatare di essere
praticamente dietro il duomo, insomma, nel centro storico della città. Anni di abbandono e trascuratezza
hanno consegnato questa piccola via al degrado, al sospetto e alla malavita. Ce lo racconta Paolo Massenzi,
che da anni si occupa di recupero sociale, da prima nelle carceri e adesso qui, allo spazio OpenCironi;
Paolo ha ottenuto in gestione una palazzina nel centro di Via Cironi che ormai versava in condizioni di
palese incuria e, dopo qualche tempo, ha trasformato il piano terra in un luogo magico. Quando si entra
dall’anonima saracinesca che dà sulla strada, ci si imbatte in una miriade di oggetti, manufatti e opere di
artigiani e artisti che negli anni hanno aiutato Paolo, usando vari materiali recuperati, come vecchi cesti di
lavatrici, vasche in plastica e bancali in legno; sono lì, in perenne mostra, ad accoglierti, proprio come in
una vecchia bottega di qualche vecchio artigiano dove gli occhi si fanno catturare dalla moltitudine, anche
all’entrata di questo luogo ci si perde a catalogare decine di oggetti misteriosi, belli e in vendita. Passato il
salone d’esposizione si entra in una grande stanza dove spiccano delle enormi casse audio appartenute ad
un vecchio cinema, un tavolo pieno di carte, le vetrate che danno sulla corte interna e lui, Paolo, sorriden-
te e cordiale, che ci offre un ottimo piatto di pasta e un buon bicchiere di vino. È un piacere conversare
con lui, anche quando ti racconta di come avvicina i tossicodipendenti raccogliendo le siringhe usate in
cambio di una nuova, in modo da evitare che si propaghino malattie e infezioni; sono scelte coraggiose,
sicuramente in controtendenza e per qualcuno persino sbagliate, ma è ammirevole come Paolo dimostri
che per affrontare un problema sia necessario spogliarsi di tutto quel facile e stupido perbenismo che ci fa
chiudere gli occhi davanti agli enormi problemi che affliggono questo mondo. Ci mostra il cortile interno,
dove organizza cene ed eventi, serate tranquille dove si mangia bene con poco, dove si parla, si discute e
si prova a sensibilizzare la città alle problematiche di questa strada che, spesso, rispecchiano in piccolo le
problematiche che tutte le città vivono. Paolo offre un luogo d’incontro nel mezzo del degrado e
dell’abbandono, dove parlare e dove educare, offre qualcosa di incredibilmente necessario, uno spazio.
9
Fonte Osservatorio Nazionale Distretti Italiani.	
10
Ufficialmente la città di Prato ospita 10.077 cittadini cinesi, ma si calcola tuttavia che i cinesi a Prato siano oltre 20.000. Fonte
Wikipedia.	
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24
RECUPERIAMOCI!
Momenti di una delle tante cene organizzata nello spazio sociale della casa dell’insostenibilità
Paolo Massenzi in piena via PierCironi
Streccapogn
La ricostruzione delle filiere produttive è quanto di più sistemico e sostenibile si possa cominciare a fare
in questo momento di crisi economica. Ricostruire una filiera significa andare ad integrare nel territorio il
più possibile tutte le fasi di produzione di un prodotto, quindi andare a fare una ricerca storica, culturale
e sociale della zona d’interesse, con l’obiettivo di portare uno sviluppo che impatti positivamente sul ter-
ritorio, di conseguenza sull’ambiente e sulle persone.
A Monteveglio, paese a pochi chilometri da Bologna, opera attivamente l’associazione Streccapogn con
l’intenzione di proseguire il cammino avviato non molto tempo fa da alcuni cittadini per trasformare il
paese in una transition town. Disattese le aspettative politiche che avrebbero sicuramente dato una spinta
in più al processo di innovazione, le persone che ancora credevano nel progetto si sono rimboccate le
maniche per far si che le cose cominciassero a cambiare così come loro volevano. L’impegno degli asso-
ciati è costante ed intenso; parlando con Davide Bochicchio, uno degli associati più attivi nella realtà
Streccapogn, si capisce quanto questo progetto parta dalla passione e da un bisogno concreto di una vita
più salutare, basata su relazioni sociali e lavori eticamente corretti che diano un sostanziale contributo a
tutta la comunità. Svolgendo una grande comunicazione prima e attività sul territorio poi, Streccapogn
sta “ricostruendo” la filiera di prodotti alimentari che dalla terra arrivano sui banchi del mercato cittadino
con l’obiettivo di produrre lavoro, meglio distribuito e più sostenibile. Le persone partecipano al pro-
getto ed ai lavori come volontari e le maestranze coinvolte sono tra le più disparate; si parte per esempio
dall’azienda agricola, primo attore della filiera che ha deciso di adottare metodi di coltivazioni biologici,
al panettiere che vende il pane fatto con grano coltivato e macinato nei dintorni di Monteveglio (una
delle scommesse più difficili del progetto), all’operatore sociale che si occupa della reintegrazione dei de-
tenuti nella società consentendo loro di lavorare nei campi dell’associazione. Un’altro esperimento vede
un possibile coinvolgimento di un ristorante all’interno del progetto, in modo tale da aumentare ancora
le relazioni tra le varie attività presenti sul territorio e sensibilizzare così un più vasto numero di persone.
Monteveglio non ha le sembianze di una transition town, girando per le vie si ha la sensazione di cam-
minare in un tipico paesino dell’Emilia Romagna ma parlando con le persone che lavorano o che con le
loro attività partecipano all’associazione si può notare come il percorso di transizione sia già in atto, in un
modo più sottile ma molto più efficace che ha stimolato una presa di coscienza comune.
Il connettere gli attori di un territorio all’interno della filiera crea la base per una convivenza sana e felice,
portatrice di ricchezza distribuita e sviluppo sociale.
L’opera di Streccapogn è sicuramente una delle più vicine all’approccio sistemico che abbiamo incontrato,
data la profonda spinta riformativa che ha il progetto e la volontà forte di riportare la sana cultura impren-
ditoriale e l’amore per il territorio alla base di qualsiasi pianificazione.
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Il grano coltivato dall’associazione
Streccapogn
Particolare del banco dell’associa-
zione al mercato cittadino
Uno dei campi in cui lavorano i
ragazzi di Streccapogn
Il pane realizzato con la farina
del grano coltivato
Open Source a Verona
Il Veneto, si sa, è sempre stata tra le regioni più industrializzate e più ricche d’Italia. E’ vero che l’impren-
ditoria veneta ha sofferto enormemente la crisi essendo, come il resto d’Italia, maggiormente caratterizzata
da piccole e medie imprese spesso a conduzione familiare, ma è altrettanto vero che lo spirito di iniziativa
non è mai mancato in questo territorio e, con risultati eccellenti, si sta rispondendo alla crisi in maniera
adeguata.
Siamo arrivati a Verona per intervistare l’appena nato Fablab di cui abbiamo già parlato e Walter Franchet-
ti, informatico intraprendente esperto di open source e promotore di numerose start-up.
Open source (termine inglese che significa codice sorgente aperto), in informatica, indica un software i cui
autori (più precisamente i detentori dei diritti) ne permettono e favoriscono il libero studio e l’apporto di
modifiche da parte di altri programmatori indipendenti. Questo è realizzato mediante l’applicazione di
apposite licenze d’uso11
.
Una delle molte domande che ci siamo posti durante la nostra ricerca è come l’approccio sistemico può
aderire alla realtà che viviamo ogni giorno, come questo cambiamento può essere spiegato ad ogni persona
che lavora e vive nei più disparati contesti sociali, economici e territoriali. Internet è sicuramente una delle
chiavi per spiegare a una grande fetta della popolazione come può funzionare il modello sistemico nella
nostra società e, soprattutto, come può cambiarla e renderla migliore.
Un programma rilasciato in licenza Creative Commons12
da la possibilità all’utente di modificare il pro-
gramma stesso in modo da renderlo più consono ai propri bisogni specifici; questo, applicato ad una
catena di produzione o ad esempio a delle leggi, consente di adattare le esigenze delle aziende con quelle
del territorio, facendo si che si crei un equilibrio.
Ovviamente la standardizzazione ha aiutato molto allo sviluppo della nostra economia e della nostra so-
cietà, ma è necessario non dimenticare che la diversità e la peculiarità sono, spesso, la ricchezza più grande.
Ogni comunità avrà la propria cultura, meritevole di rispetto, che dovrà rispettare delle norme comuni ma
che dovrà avere la possibilità di conservare e custodire la propria identità.
Quindi, è proprio per questo che siamo interessati all’open-source e al mondo che ci gravita attorno, in
quanto crediamo nelle potenzialità di un approccio aperto per una diffusione più capillare dei concetti
dell’approccio sistemico.
Quello che ci spiega Walter è proprio come la sostenibilità possa essere veicolata anche attraverso concetti
informatici e tecnologici, ed è per questo che in un percorso di rinnovamento sistemico bisogna avvalersi
di strumenti innovativi, di internet e della divulgazione attraverso le nuove pratiche legate all’utilizzo della
rete internet.
La visione di un informatico è preziosa per una comprensione più vasta di cosa serve a questo cambia-
mento, in quanto proprio il mondo di chi lavora prettamente con circuiti e tecnologia sembra essere così
distante dalla sostenibilità, anche perchè è utile sapere il costo immenso che l’industria dei computer ha
in termini di inquinamento.
Le soluzioni ci sono, se solo si uscisse dalla spirale di consumo e smaltimento continuo necessario all’e-
conomia, la cosiddetta obsolescenza programmata, ossia la programmazione della vita dei prodotti indu-
striali in modo da far si che durino il meno possibile così da garantire un ricambio e nuove vendite.
Walter ci parla degli hackathon (termine composto da due temini hacking e marathon), eventi al quale
11
Fonte: Codice Libero (Free as in Freedom) Richard Stallman e la crociata per il software libero - Sam Williams - prima edizione
nella collana “Cultura Digitale”- 2003.	
12
Creative Commons (CC) è un’organizzazione statunitense non profit dedicata ad ampliare la gamma di opere creative disponibili
alla condivisione e all’utilizzo pubblico in maniera legale. Rende possibile il riuso creativo di opere dell’ingegno altrui nel pieno
rispetto delle leggi esistenti.	
26
partecipano, a vario titolo, esperti di diversi settori dell’informatica: sviluppatori di software, programma-
tori e grafici web, in cui si propongono idee per la realizzazione di un software, anche se c’è un numero
crescente di esempi per i quali gli eventi assumono invece obiettivi didattici e sociali.
L’idea di Walter è quella di hackathon diffusi, su sempre più argomenti di interesse generale e in tutte le
città, in cui i partecipanti trovano soluzioni immediate o a lungo termine per i problemi, grandi e piccoli,
della zona, della città o del territorio.
Ci sono già esempi di incontri organizzati con queste intenzioni, ma è affascinante pensare che oltre alle
classiche riunioni e assemblee che spesso si tramutano in risse infruttuose, si diffondano sempre di più
buone pratiche di confronto e coordinazione, per un pacifico lavoro comunitario.
27
Cascina Cuccagna
La penultima tappa del nostro viaggio di ricerca ci porta a Milano, secondo comune per numero di abi-
tanti e costituisce il centro di una delle aree metropolitane più popolate d’Europa13
. Fin dalla rivoluzione
industriale il capoluogo lombardo si è via via ritagliato il ruolo di capitale economica italiana, diventando
il maggiore mercato finanziario, fucina di innovazione e apripista per le nuove tendenze e le mode.
E’ una città storicamente meta di immigrazione, sia interna che estera, a Milano esistono università blaso-
nate e all’avanguardia e centri studi importanti, la forte impronta industriale ne ha fatto una città ricca e
affollata, ma ha anche oscurato quel lato storico che ne delinea i contorni sin da quando era Mediolanum,
città romana crocevia di scambi e commerci col resto d’Europa.
Sarà la vocazione innovativa e recettiva che questa città ha sviluppato negli anni, ma qui si possono trovare
iniziative interessanti di ogni tipo, ad esempio noi cercavamo qualcuno che si occupasse di sostenibilità ri-
uscendo ad integrarla col tessuto urbano e creando quel dialogo necessario allo sviluppo del cambiamento;
ed è per questo che ci siamo ritrovati vicino a Porta Romana, tra i palazzotti bassi e le vie sempre troppo
colme di macchine.
Da fuori non ci si rende conto subito di che posto sia, sembra un normale palazzetto a due piani di qual-
che secolo fa, di quelli che riempiono i centri storici di tantissime città italiane, larghe mura puntellate di
finestre e un grosso portone di legno incastonato in un arco che sa di ‘700. La sorpresa la si prova quando
si entra dentro Cascina Cuccagna, quando il traffico diventa un sottofondo lontano e la grande corte si
colora di voci, profumi e del verde del prato che fa da sfondo. Affacciati sul cortile trovi un ristorante, una
bottega di prodotti biologici, una piccola falegnameria e un orto, stanze per esposizioni temporanee e altre
che comporranno l’ostello di prossima apertura.
Emanuela Plebani, responsabile della comunicazione di Cascina Cuccagna, ci racconta di come nel 2005
un consorzio di associazioni abbia strappato al degrado e all’abbandono questa tenuta e dopo i lavori di
ristrutturazione abbia avviato questo progetto di riqualificazione urbana. Sarà la posizione invidiabile,
praticamente attaccata alle mura della vecchia Milano (zona Porta Romana), sarà che negli anni si è inse-
rita ad esempio nelle tappe del Fuori Salone ospitando esposizioni interessanti, sarà che cavalca l’onda del
biologico e della filiera corta, in ogni caso Cascina Cuccagna è un posto da visitare e un progetto da cono-
scere; è un ottimo esempio di recupero e riqualifica di uno stabile storico abbandonato, trasformandolo
in un polo importante per la città, sia a livello culturale, sia a livello ambientale. Le grandi città hanno
bisogno di spazi dove far sorgere orti didattici, fondamentali per far crescere i bambini non totalmente
disconnessi dalla natura, spazi per capire che la buona cucina deve essere legata a doppio filo col territorio,
spazi, insomma, dove godere per un attimo della tranquillità e della pace che tanto mancano nelle frene-
tiche città di oggi.
Cascina Cuccagna nasce come progetto comunitario che vive di relazioni tra chi gestisce un’ attività
all’interno ma anche tra la cascina stessa e la città, unisce varie associazioni in un progetto sviluppato per
riprendere uno spazio che il quartiere di Porta Romana stava perdendo. Ora è uno spazio accessibile dove
portare avanti iniziative e attività, dove seguire seminari, incontri e vari workshop interessanti. La cascina
ospita ogni settimana un mercato dove confluiscono alcuni contadini delle zone attorno a Milano; inoltre
si è munita di una compostiera automatica che dagli scarti del ristorante crea la terra per l’orto che occupa
parte della grande corte.
Cascina Cuccagna si occupa principalmente di eventi culturali e sviluppo sociale veicolando, in questo
modo, messaggi e azioni di sensibilizzazione riguardo la sostenibilità ambientale, infatti è da sottolineare
la presenza di un orto didattico, un mercato a chilometro zero nel centro di un città storicamente vota-
13
dati OCSE	
28
ta all’industria come Milano. Vedere come un progetto complesso come questo riesca ad andare avanti
dimostra che anche iniziative di recupero architettonico, sviluppo sociale e diffusione culturale possono
funzionare. Mettendo insieme attività certamente remunerative, come un buon ristorante e un ostello
vicino al centro di Milano, con attività culturali, educative e sociali, Cascina Cuccagna ha ottenuto un
risultato notevole e esemplare, portando un guadagno sia al quartiere che alla città stessa.
29
Veduta aerea in fisheye di Cascina Cuccagna
Giardino
Interno del ristorante
Il giardino con zona ristoro
Una delle sale interne allestita per una mostra
La falegnameria
Grow The Planet
“Grow the Planet è il social network dedicato a chi ama il cibo buono e sano, a chi ha l’orto o a chi sem-
plicemente vuole imparare, in modo semplice e divertente, come coltivare un po’ di quel che mangia.”
Così si presenta Grow The Planet, social network nato nel 2011 da un’idea di Gianni Gaggiani con l’o-
biettivo di mettere in contatto tutte le persone interessate alla cura dell’orto; una parte funziona come
un diario che ti segue passo passo dalla posa dei semi fino alla raccolta, dandoti consigli anche su come
cucinare i tuoi prodotti, un’altra parte è quella di social network vero e proprio che, grazie anche alla ge-
olocalizzazione, ti permette di metterti in contatto con altri utenti attorno a te.
Il cuore di tutto il sistema è appunto la possibilità di poter strutturare il tuo orto, quasi come un gioco,
inserendo ortaggi e frutta e poterne seguire la crescita nella vita reale sfruttando i consigli che la piattafor-
ma ti da.
Gianni è disponibile, allegro e spiega con passione le proprie idee; racconta tutto il percorso che l’ha por-
tato a costruire una start-up tra le più promettenti d’Italia e a partecipare al TechCrunch Disrupt 2011,
l’evento dedicato alle startup più importante del pianeta.
Grow The Planet è ormai una realtà, seguita da milioni di utenti e con un fatturato crescente che promette
evoluzioni interessanti, che mira, giustamente, ad un totale auto-sostentamento e ad una partecipazione
sempre più capillare; seguiremo con interesse il suo cammino, sperando che aiuti le persone a capire l’im-
portanza della coltivazione, del cibo genuino, della provenienza di ciò che mangiamo e che l’agricoltura,
anche in piccolissima scala, porta con sé un bagaglio di consapevolezza che solo la terra può raccontare;
perchè ogni frutto o ortaggio che piantiamo, curiamo e cogliamo è un passo in avanti verso una totale
coscienza di ciò di cui abbiamo bisogno.
Essendo un social network, Grow The Planet, è inscindibile dalla comunità che ha creato e che va am-
pliandosi, che usa la piattaforma anche come mezzo di comunicazione per veicolare informazioni, atti-
vismo e scambio di idee. Uno strumento utilissimo non solo per chi ha la passione per l’orto, ma anche
un mezzo accattivante per avvicinare tutte quelle persone che cominciano ad interessarsi al buon cibo,
alla coltivazione e, speriamo sempre di più, alla sostenibilità. Coltivare un orto non sempre è sinonimo
di sostenibilità ambientale, ma va detto che Grow The Planet consiglia sempre concimi naturali e nessun
additivo chimico. Sono piccole cose che contribuiscono a far crescere negli utenti del social network e
nelle persone la consapevolezza e l’importanza del ritorno ad una lentezza e sapienza che sappiamo tutti
essere la miglior cura per un ambiente già pesantemente provato.
Nel 2012 la società ha fatturato più di 150.000 € che, per una start-up praticamente appena nata è un
ottimo risultato. Grow The Planet è un’ottima idea, ben strutturata e con un potenziale enorme, oltre ad
auto-sostenersi, cosa fondamentale per la salubrità di un azienda, può veicolare molti altri processi eco-
nomici virtuosi a livello locale; per esempio attraverso la formazione di gruppi d’acquisto e incontri tra le
comunità vicine.
Grow The Planet è innovativo come concetto; unire la piattaforma virtuale a qualcosa di profondamente
pratico come l’agricoltura è stato un colpo di genio. Inoltre, cercando all’interno della piattaforma, si
possono trovare articoli riguardanti ad esempio la permacultura, innovazione coltiva antica e sempre
nuova e la possibilità di consociare le piante nell’impostazione dell’orto, a sottolineare che l’innovazione
non passa solo dalla tecnologia ma anche nello studiare e sperimentare nuove tecniche, in questo caso, di
coltivazione.
30
31
A destra Gianni Gaggiani
Homepage del sito growtheplanet.it
IL RUOLO DELLA RETE
32
Nell’era dei social network, grazie ad internet ormai accessibile da chiunque sia tramite computer sia tra-
mite cellulare, è diventato di fondamentale importanza creare una rete di persone che condividono idee
e progetti. Già agli inizi degli anni ottanta Richard Stallman lavorava sulla sua teoria dell’ “open source14
”
nell’ambito della programmazione software.
In quegli anni le grandi aziende che operavano in campo informatico vendevano a costi elevati i loro pro-
dotti, negando la possibilità di modificarli in modo tale da assicurarsi una continua richiesta di mercato a
lungo periodo. L’idea di Stallman invece era quella di rendere libero il codice sorgente dei programmi in
modo tale che i fruitori potessero modificarli e adattarli alle proprie esigenze. Questa teoria ha portato alla
creazione di GNU Linux, un sistema operativo a “sorgente aperta”15
nato dalla collaborazione di più perso-
ne. Nel tempo l’idea open source è stata trasdotta e assimilata nel pensiero di molti progettisti che in altri
settori mettono a disposizione le proprie idee o intuizioni per arrivare a realizzare un progetto cooperando
con più persone. Nel caso il progetto sia già stato concretizzato, il trend è di renderlo scalabile per un altro
contesto. Questo è possibile solo tramite la tessitura di una rete che può nascere sia nel modo reale che
in internet, strumento che oggigiorno consente di divulgare o reperire informazioni da più fonti ad una
velocità impressionante. In questo periodo prendono vita sempre più progetti condivisi in cui persone con
diverse competenze cooperano in modo tale da mettere a disposizione del gruppo le proprie conoscenze
per raggiungere una meta comune. Piccoli esempi di quanto detto possono essere le associazioni cittadine
che operano nel contesto sociale, i fablab o ancora gli spazi di co-working dove più realtà di ambiti diversi
lavorano in uno spazio comune con la possibilità di cooperare colmando così una le mancanze dell’altra.
Traslando questi concetti in ambiti più complessi, come le filiere produttive, le grandi realtà che forni-
scono beni o servizi cooperando tra loro in modo tale da rendere più efficienti le filiere, aumentando il
tasso di riciclo o riutilizzo degli scarti di produzione e dei prodotti a fine vita, possiamo parlare di design
sistemico e economia blu (blue economy)16
.
Teorizzata dall’imprenditore ed economista Gunter Pauli, l’economia blu è una forma di economia a
cascata pensata per potersi rigenerare da sola per raggiungere l’obiettivo di una crescita ecosostenibi-
le, puntando sull’innovazione, intesa come cambiamento generato dalla condivisione delle conoscenze.
Come in un ecosistema o in un organismo vivente, si crea una rete di attori in relazione tra loro in grado
di autogenerare nuovi processi alimentati dalle diverse collaborazioni insite nel sistema, in cui gli output
di un elemento diventano input per un altro. Questa forma di economia non richiede più investimenti
per salvaguardare l’ambiente, anzi con minore impiego di capitali è in grado di creare maggiori flussi di
reddito e di costruire al tempo stesso capitale sociale. Nell’economia lineare, invece, terminato il consumo
termina anche il ciclo del prodotto che diventa rifiuto, alimentando la catena economica e riprendendo
continuamente lo stesso schema: estrazione, produzione, consumo, smaltimento.
Per contrastare lo schema dell’economia lineare, il 2 luglio 2014 la Commissione Europea ha approvato
l’adozione di un modello di economia circolare che pone al centro la sostenibilità del sistema produtti-
vo, in cui non ci sono prodotti di scarto e in cui le materie vengono costantemente riutilizzate. Questo
modello purtroppo è basato solo sulla produzione di beni materiali non tenendo conto dell’impatto,
delle relazioni e del benessere sociale. Tutto questo però non pone rimedio ad uno dei meccanismi più
dannosi e più impattanti alla base dell’economia lineare: l’obsolescenza programmata dei prodotti17
. E’ vero
14
Fonte: Codice Libero (Free as in Freedom) Richard Stallman e la crociata per il software libero - Sam Williams - prima edizione
nella collana “Cultura Digitale”- 2003
15
La sorgente, in temini informatici, è il codice elaborato in modo da rendere un programma eseguibile dal processore del computer.	
16
Fonte 	 “The blue economy: 10 years, 100 innovations, 100 million jobs” - Gunter A. Pauli - Edizioni Ambiente, 2010-2014
17
in economia industriale è una politica volta a definire il ciclo vitale (la durata) di un prodotto in modo da renderne la vita utile
limitata a un periodo prefissato. Il prodotto diventa così inservibile dopo un certo tempo, oppure semplicemente “fuori moda”, in
modo da giustificare l’entrata nel mercato di un modello nuovo.	
33
che l’adozione di un modello di economia circolare potrebbe introdurre una serie di cambiamenti a livello
culturale, è un primo passo ma non è ancora abbastanza. Quella blu o sistemica è una forma di economia
collaborativa, che mette al centro non tanto la proprietà e il prodotto in quanto tale, ma la relazione tra i
diversi soggetti e tra le diverse fasi produttive.
Lo scopo della nostra ricerca è stato proprio quello di intercettare in territori differenti tutte quelle piccole
realtà che dal basso iniziano a mettere in pratica questo modus operandi avvicinandosi ai criteri del design
sistemico. Parliamo quindi di iniziative molto piccole ma strettamente legate al territorio in cui operano,
la cui capacità è quella di riuscire ad utilizzare in modo virtuoso le risorse a loro disposizione, siano esse
umane, ambientali, economiche o energetiche. Singole persone o realtà che collaborando tra loro instau-
rano una serie di rapporti tali da creare una rete sia nel mondo reale che nel world wide web in grado di
auto-rigenerarsi.
Quali sono i luoghi in internet dove condividere informazioni o creare una rete?
Negli anni il mondo di internet è cambiato notevolmente, se prima era un qualcosa per poche persone con
minime conoscenze di informatica che comunicavano in chat talvolta ostiche, oggi l’accessibilità a queste
chat è alla portata di tutte le persone di diverse fasce d’età. In aggiunta, le vecchie chat si sono evolute in
software più completi e interattivi, come i blog o i social network che oltre alla funzione di inviare mes-
saggi offrono la possibilità di condividere articoli, foto, video e qualsiasi altro tipo di file si possa trovare
in internet. Ciò consente di far veicolare le informazioni ad un numero molto vasto di persone che a loro
volta condivideranno altri articoli, in un continuo vortice che attrae verso di se altri utenti. In questo
modo si inizia a tessere una rete di persone competenti o appassionate a determinati argomenti che, come
in un organismo vivente, auto-genereranno la rete con altre informazioni in modo tale da tenerla sempre
viva e dinamica. Questo è facilitato dal fatto che ad oggi internet è diventato parte della vita di tutti i
giorni, i vari paesi del mondo si sono dotati delle strutture necessarie per far si che gli abitanti ne possano
usufruire. Il sito Wired.com ha effettuato una ricerca su quanto internet sia utilizzato nelle varie nazioni
europee, da cui si evince che più dei due terzi degli abitanti di molte nazioni ne usufruiscono.
Tra siti di enti statali o privati, giornali o riviste, negozi online l’uso che si può fare del web è veramente
infinito. Può essere sia un facilitatore di processi che una grande fonte di informazioni, oltre che, con
34
l’avvento dei social network, un grande strumento di comuicazione tra persone. Come possiamo vedere
sempre dalla ricerca effettuata da Wired, ad oggi quasi la metà delle popolazioni europee fa uso dei social
media.
Dal 1997 ci sono stati diversi social network che come il web si sono evoluti in diverse forme e tipologie a
seconda degli obiettivi e delle categorie di interesse dei fruitori, tra queste possiamo trovare lavoro, musi-
ca, foto professionali o semplicemente finilità sociali generiche. In quest’ultima categoria rientra Facebo-
ok, uno dei social network più utilizzati al mondo e in Italia. Ogni giorno migliaia e migliaia di utenti si
connettono per gli scopi più disparati, dalla semplice messaggistica alla condivisione di immagini, pensieri
o informazioni in generale prese da altri siti. Testate giornalistiche, associazioni, organizzazioni, enti statali
o privati, politici ed in generale tutto ciò su cui può essere generato un profilo da presentare al mondo può
far parte di Facebook e tutte le informazioni condivise nel mondo, spesso, passano all’interno di questo
social network.
35
Sustainable Making - il primo step
Le sopracitate caratteristiche dei social network, se usate in modo appropriato, rappresentano la risposta
ad un preciso bisogno, fare rete. Durante il viaggio di ricerca in Brasile abbiamo avvertito sempre più l’e-
sigenza di condividere e divulgare le nostre esperienze e ciò che stavamo apprendendo. Ci siamo accorti
che il nostro lavoro, composto da reportage e video-interviste riguardanti diversi luoghi in cui si applicano
pratiche sostenibili a livello ambientale, sociale ed economico meritava di essere divulgato a persone che
come noi sono appassionate e lavorano su questi temi. La risposta l’abbiamo trovata in Facebook, il social
network più utilizzato al mondo. Quando una persona entra a far parte di Facebook, automaticamente si
inserisce in una rete mondiale di persone che lo utilizzano e, tramite alcune funzioni come quella di creare
una propria pagina, qualsiasi utente può iniziare a costruire la propria rete di persone, che diventa così una
rete contenuta in una rete di maggiori dimensioni.
La creazione della pagina facebook Sustainable Making è stato il primo passo per lo sviluppo del progetto.
Grazie a questa funzione abbiamo inizialmente condiviso il lavoro avviato in Brasile sotto forma di video-
interviste e articoli che spiegavano le attività svolte dalle varie persone incontrate durante il viaggio, a cui
si è aggiunto il materiale elaborato in un secondo tour che da Roma ci ha portato fino a Torino, in modo
tale da poter fare sia un’attività di confronto tra i due paesi visitati sia una divulgativa. Abbiamo iniziato
anche a “postare” aneddoti di alcuni designer come Papanek o di pensatori come Capra, accompagnati da
immagini metaforiche in modo tale da far assimilare agli utenti il pensiero del design sistemico, oltre che
divulgare articoli che per esempio esplicavano i disastri provocati dall’utilizzo degli OGM o delle nuove
frontiere architettoniche per far si che le città diventino più sostenibili. In questo modo abbiamo ottenuto
una sorta di diario della nostra tesi, aggiornato di giorno in giorno esplicando gli intenti del lavoro e con-
diviso con la rete per far si di attrarre quante più persone sensibili ai temi trattati. Ogni tappa del viaggio
intrapreso sia in Brasile che in Italia è stata recensita e messa in rete quasi in tempo reale è ed stato molto
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stimolante vedere la rapidità dei fedback dati ai nostri post.
Un altro intento della creazione della pagina è quello di far in modo che i soggetti delle varie
video-interviste possano conoscersi per mettersi in rete tra loro, scambiando informazioni o collaborando.
I risultati sono stati da subito soddisfacenti, un elevato numero di persone ha iniziato a conoscere e a far
conoscere Sustainable Making ed il progetto assumeva contorni sempre più definiti. Grazie a questa pic-
cola rete siamo stati in grado di avviare un progetto di crowdfunding18
tramite cui abbiamo reperito dalla
rete dei fondi per affrontare il viaggio in Italia. Questa iniziativa è stata accompagnata da un trailer che
racchiudeva vari spezzoni dei mini-documentari girati in Brasile e messo in rete sia sulla nostra pagina che
in Trevolta.it, un sito italiano di crowdfunding.
Per quanto stesse funzionando ci siamo subito resi conto però che fermarsi alla sola pagina Facebook sa-
rebbe stato controproducente ed i suoi limiti si sono subito palesati. Primo fra tutti era proprio il metodo
utilizzato per creare la rete, poco efficiente in quanto il numero di persone che si riusciva a raggiungere
era limitato e difficile da far aumentare, a questo va aggiunto che la pagina facebook ha un sistema di
interazione molto limitato. In genere la pagina viene intesa come uno spazio personale, come un diario
di cui si vogliono svelare i contenuti. Quanto detto rendeva l’esperienza della sola pagina facebook poco
attraente e non soddisfaceva in toto le nostre esigenze, necessitavamo di un dialogo, un confronto con le
persone della nostra rete che a questo punto doveva essere più autonoma ed in grado di autorigenerarsi.
18
Il crowdfunding (dall’inglese crowd, folla e funding, finanziamento) o finanziamento collettivo in italiano, è un processo
collaborativo di un gruppo di persone che utilizza il proprio denaro in comune per sostenere gli sforzi di persone e organizzazioni.
È una pratica di micro-finanziamento dal basso che mobilita persone e risorse.	
Sustainable Making network
La risposta a questo problema l’abbiamo trovata un’altra volta in Facebook con la creazione di un gruppo,
Sustainable Making Network. I risultati sono stati evidenti fin da subito. A questo livello tutti gli utenti
che avevano condiviso la nostra pagina sono entrati a far parte del gruppo ed a loro si sono aggiunte
persone giorno per giorno. Abbiamo così centrato l’obiettivo, la rete ha iniziato a generarsi e autorigene-
rarsi, ad un nostro “post” seguivano condivisioni e commenti di altri utenti; c’è stata la vera occasione di
confronto, ad un articolo da noi condiviso diverse persone esprimevano le loro idee, consensi e non ed il
risultato più sorprendente è stato che gli appartenenti al gruppo hanno iniziato a loro volta a condividere
articoli di interesse comune.
Tutto il materiale di ricerca da noi elaborato sotto forma di video-interviste e articoli presentato nella pa-
gina facebook che era diventata una sorta di diario della tesi è stato ricollocato all’interno del gruppo. In
questo modo abbiamo avuto non solo la possibilità di divulgare il nostro lavoro ma anche l’opportunità
di discuterne con la rete che si è venuta a formare composta da un gruppo eterogeneo di persone esperte
o appassionate in diversi campi quali la progettazione, la programmazione informatica, l’arte, la perma-
cultura, l’economia, associazioni cittadine e quant’altro possa avere un nesso con il nostro lavoro. Grazie
a questo metodo ed a una comunicazione più attiva siamo riusciti a tessere contatti e collaborazioni con
gli stessi utenti della nostra rete già conosciuti attraverso la pagina facebook. Non si è trattato più solo del
nostro lavoro ma bensì del lavoro di un’intera rete di persone che in un luogo immateriale ha condiviso le
proprie idee ed esperienze portate avanti nella vita di tutti i giorni. Obiettivo fondamentale del nostro la-
voro è quello di mostrare come, a dispetto di metodi di sfruttamento delle risorse naturali e umane sempre
più aggressivi e dannosi, in diverse parti del mondo gruppi di persone portano avanti pratiche
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sostenibili dal punto di vista ambientale, sociale ed economico; c’è chi lo fa per raggiungere l’autosufficien-
za ed essere indipendente e chi per raggiungere uno stile di vita più consono alla situazione di emergenza
e crisi a cui dobbiamo far fronte nel prossimo futuro, che sia in Italia, Brasile o in qualsiasi altra parte del
mondo. Dare spazio a queste realtà è di vitale importanza, fa intendere quanto sia sentita, in più parti del
globo, l’attuale situazione di crisi delle risorse naturali, del lavoro e dei sistemi sociali e mostra quanto
sia possibile cambiare senso di marcia partendo dal basso, con le proprie azioni. All’interno del gruppo a
parlare sono le stesse persone che attivano progetti e si adoperano per il cambiamento, persone comuni
come tutti gli altri appartenenti alla rete, facilmente raggiungibili e molto disposte al dialogo senza uso di
intermediari, senza appuntamenti o agende piene e tutto ciò, a dispetto della lontananza che può esserci
tra gli utenti, paradossalmente non fa altro che avvicinarli. I vari articoli presi da giornali online o altri siti
servono solo da contorno, aiutano a riflettere e a far veicolare determinati messaggi, i veri attori del grup-
po sono i partecipanti, le persone. Un buon esempio di quanto citato fin’ora può essere il progetto Uma
Quinta Na Cidade, avviato a Curitiba. In quella che è una delle città più sostenibili al mondo, Eduardo e
Débora Feniman hanno avviato un progetto di parmacultura cittadino in grado di fare rete sia all’interno
del quartiere, estendendosi a buona parte della città con rapporti che prevedono chiese, centri alimentari
fino ad arrivare alle università. Alla crescita del progetto è corrisposta la crescita della rete di persone col-
legate che ormai comprendeva buona parte del Sud America e dell’Europa ed in un momento di bisogno
c’è stato l’aiuto di tutte le persone. Ciò è stato possibile grazie ad una mailing list che comprendeva tutti
coloro che in qualche modo avevano avuto a che fare con il progetto e che avevano fatto rete. Oggi Uma
Quinta Na Cidade prevede anche dei programmi di workshop dove si insegnano la filosofia e le pratiche
utilizzate e non è strano vedere persone di altri continenti parteciparvi.
Una collaborazione che ci ha riguardato in prima persona è stata quella instaurata con Casa dell’Insoste-
nibità, associazione nata a Prato e che si occupa di recupero sociale. Abbiamo conosciuto il fondatore di
questo progetto durante il viaggio di ricerca in Italia e abbiamo continuato a discutere con lui su alcuni
temi e progetti, fino ad arrivare ad organizzare insieme un workshop di auto-costruzione nella sua sede.
L’evento è stato presentato sui nostri canali e in pochissimo tempo siamo stati in grado di organizzare il
team di lavoro. Una volta incontratasi, questa rete di persone composta da eco-designers, artisti e architet-
ti provenienti da tutta Italia in una settimana è stata in grado di rigenerare lo spazio-sede dell’associazione,
tramite il recupero di materiali donati o talvolta recuperati dalla strada ancora in buone condizioni. Come
di consueto giorno per giorno i progressi venivano condivisi sulla rete e commenti e consigli non hanno
tardato ad arrivare. Questo è stato il primo grande risultato raggiunto da Sustainable Making.
38
Particolare dell’orto sinergico, in breve tempo ha iniziato a dare grandi
soddisfazioni. In pieno centro cittadino
L’ orto sinergico realizzato durante il workshop e la tettoia realizzata
assemblando assi di legno scartate
39
Sgabello realizzato recuperando un cestello di lavatrice e piedi di comò
Nel workshop è stata anche curata la parte relativa alle pareti che delineano il giardino. Possiamo vedere ancora i lavori in corso e altri oggetti
come i tavoli e i bicchieri realizzati sempre con materiali di recupero
Sgabello realizzato con case di pc buttati e seduta in pallet verniciato
Sustainable Making.it
Alla fine del nostro viaggio di ricerca il numero delle realtà analizzate e schedate è diventato considerevole
e difficile da gestire all’interno della pagina e del gruppo facebook. Ci siamo accorti che le informazioni
riguardanti i luoghi da noi visitati erano difficili da rintracciare sia da parte nostra che da qualsiasi altro
utente fosse interessato, tanto che col tempo potevano perdersene le tracce. Pensare ad un database o ad
un qualcosa di simile che potesse contenere le informazioni dei soli posti visitati e usufruibile anche dalla
nostra rete sarebbe stato più efficace e avrebbe supportato al meglio i ruoli svolti dalla pagina e dal gruppo.
Abbiamo pensato che un sito o un blog sarebbe stata la giusta soluzione al nostro problema, ma quale
usare tra i due?
Il sito è di più difficile costruzione, ha una parvenza un po’ più istituzionale ed ha una struttura abbastanza
statica che rende più difficile l’aggiornamento dei contenuti.
Il blog ha una costruzione più facile, è pensato come uno spazio dove oltre a mostrare le proprie idee o
lavori possono generarsi delle discussioni ed è dotato di una struttura più dinamica.
Abbiamo deciso di utilizzare quest’ultimo in quanto è più affine alla nostra idea di database, che può es-
sere aggiornato in un modo più semplice e intuitivo e dotato di un sistema di ricerca più selettivo. È nato
così sustainablemaking.it.
Che ruolo svolgono quindi i vari strumenti utilizzati durante lo sviluppo del progetto?
-La pagina facebook è una sorta di vetrina dove rendere pubbliche notizie, lavori o eventi da noi svolti, in
modo da darne una risonanza ed attrarre persone interessate.
-Il gruppo facebook è il luogo dove vengono generati contenuti, discussioni, pubblicazioni, aggiorna-
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1 Sustainable Making  - Esempi di un Mondo che Cambia
1 Sustainable Making  - Esempi di un Mondo che Cambia
1 Sustainable Making  - Esempi di un Mondo che Cambia
1 Sustainable Making  - Esempi di un Mondo che Cambia
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1 Sustainable Making  - Esempi di un Mondo che Cambia
1 Sustainable Making  - Esempi di un Mondo che Cambia
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  • 1.
  • 2.
  • 3. Relatore prof. Luigi Bistagnino Candidati Claudio Mansueto Sebastiano Pirisi Settembre 2014
  • 4. Introduzione Politecnico Torino (design sistemico) pag. 1-2 UEMG Belo Horizonte (sede ricerca tesi) sustainablemaking.it (nasce il Blog) pag. 40 conclusioni pag. 44 schede e schemi sistemici pag.46 Gruppo Facebook Sustainable Making (rete attiva) pag. 37 Il ruolo della rete pag.33 Pagina Facebook nasce Sustainble Making pag. 36 Sìtio São José (Paraty) pag. 6 Casa dos Holons (Sao Paulo) pag. 9 Uma Quinta na Cidade (Curitiba) pag. 11 Sete Ecos (Sete Lagoas) pag. 13 Fab Lab Catania pag. 17 Fab Lab Roma pag. 17 Fab Lab Verona pag. 17 Fab Lab Torino pag. 17 Laboratorio Linfa pag. 20 Orizzontale pag. 22 Casa insostenibilità pag. 23 Streccapogn pag. 25 Open Source Verona pag. 26 Cascina Cuccagna pag. 28 Grow the planet pag. 30 Viaggio in Brasile pag.3 Viaggio in Italia pag.15
  • 5. INTRODUZIONE Seguire il corso di Design Sistemico ha segnato nettamente il nostro modo di ragionare ed affrontare un progetto, come un solco tracciato nella terra per dar vita a nuovi germogli. Tutto a un tratto si capisce che la strada da poter prendere per affrontare una determinata sfida non è solo una e tutte le scelte che abbiamo davanti sono in qualche modo relazionate l’una con l’altra. L’approccio sistemico ha, necessariamente, una carica rivoluzionaria nella sua applicazione, soprattutto in un sistema consumistico come quello attuale, improntato all’acquisto continuo e alla dismissione veloce. Abbiamo intrapreso questa ricerca con l’intenzione di trovare, conoscere, documentare e divulgare le iniziative che più si avvicinano all’approccio sistemico e che, secondo noi, possono aiutare la transizione verso una società più equa e sostenibile. La sostenibilità è un concetto vasto, da comprendere in profondità; l’aspetto ambientale dev’essere impre- scindibilmente legato all’economia e alle tematiche sociali, creando una filosofia di progettazione comune e sistemica. Alla base della ricerca c’è la consapevolezza che la sostenibilità dev’essere necessariamente ambientale, sociale ed economica, ed è per questo che abbiamo strutturato la ricerca ponendoci alcune domande: -Come si può raggiungere l’autosufficienza in un territorio? -Che ruolo deve avere la tecnologia nella nostra esperienza? -Sono già stati avviati progetti che integrano le varie facce della sostenibilità? -Esistono iniziative concrete di sviluppo alternativo? Lavorare su questo progetto è stato come intraprendere un viaggio la cui meta era ancora sconosciuta, un viaggio che ci ha spinto ad andare al di fuori dei confini italiani per conoscere e capire come vengono affrontati nel mondo progetti riguardanti le tematiche sopra citate. La prima tappa è stata il Brasile, un paese completamente differente a livello territoriale ma con una certa affinità a livello culturale. Abbiamo avuto così la possibilità di fare una confronto tra un paese in costante crescita economica, con una netta disuguaglianza sociale e che sfrutta massicciamente l’utilizzo degli OGM come il Brasile e l’Italia che an- cora non vede la fine della crisi economica, con una disuguaglianza sociale che diventa sempre più netta ed in cui gli OGM hanno ancora un mercato ristretto. Viaggiare in Brasile è stata una vera sorpresa, al di là di quanto ci potessimo aspettare la sensibilità verso la sostenibilità ambientale e l’avversione agli OGM ed alle colture intensive stanno prendendo sempre più piede. Abbiamo visitato diversi luoghi in cui sono stati avviati progetti di permacultura, fattoria urbana, agroforesta ed è stato sorprendente vedere come, in uno di questi luoghi sia stata raggiunta la completa autosufficienza alimentare ed energetica utilizzando in modo sapiente le risorse del territorio. Ognuno di questi luoghi aveva in se il concetto di “vivência”, la possibilità cioè di ospitare persone che, pagando una determinata quota per contribuire alle spese, ave- vano l’opportunità di collaborare attivamente al progetto e di apprendere varie nozioni di permacultura, costruzione con materiali naturali e “fare sostenibile” in generale. Si attivano così diverse collaborazioni tra un numero sempre più elevato di persone che creano nel tempo una rete. Incuriositi da questa con- trapposizione tra un paese che sfrutta massicciamente gli OGM ed abitanti che cercano di portare avanti pratiche sostenibili partendo proprio dal fattore alimentare, abbiamo continuato a cercare altre realtà che svolgono progetti in ambito ambientale e sociale, in città o in zone rurali prendendo la decisione che il Brasile sarebbe stato un buon elemento di confronto con l’Italia per ciò che riguarda la ricerca sul campo della sostenibilità ambientale. La seconda tappa del viaggio è stata in Italia dove, oltre alla sostenibilità ambientale e sociale, abbiamo 1
  • 6. cercato di ampliare il campo di ricerca alla sostenibilità economica e all’uso condiviso della tecnologia. Sfruttando la rete del crowdfunding abbiamo avuto la possibilità di organizzare un viaggio che da Roma ci ha portato fino a Torino, passando per Prato, Monteveglio, Verona e Milano. Le realtà analizzate sono parte di un insieme eterogeneo che comprende FabLab, associazioni cittadine che si occupano di pratiche sostenibili come Streccapogn a Monteveglio e associazioni che si interessano del recupero urbano. Tutte queste realtà, sia in Italia che in Brasile hanno uno scopo in comune, quello di creare delle reti di persone che possano essere in continuo contatto e collaborare tra di loro. Un aspetto che ci ha colpito in questa esperienza è stato proprio quello della rete, tutte le realtà analizzate puntano molto sulla creazione di una rete per farsi conoscere e per portare avanti i loro progetti ma para- dossalmente poche di loro sono in contatto. Consci di ciò, abbiamo provato a fare un esperimento utiliz- zando vari social network per cercare di creare una rete tra le realtà conosciute e persone interessate ai temi trattati. Il risultato è stato sorprendente, una volta creata la rete essa stessa ha iniziato ad autorigenerarsi tramite nuovi partecipanti che la alimentavano con nuovi argomenti o notizie che, a loro volta attraevano nuovi utenti. Questo esperimento ha iniziato a delineare la meta del nostro viaggio, concretizzata in un progetto che sarà in continuo divenire nel prossimo futuro, spiegato nei capitoli successivi. Quanto riportato in questo lavoro è la prima parte di un lavoro più ampio svolto contemporaneamente da Claudio Mansueto, Daniele Bucci e Sebastiano Pirisi. Gli sviluppi del progetto Sustainable Making verranno esposti da Daniele Bucci nella sua discussione di laurea. 2
  • 8. Il Brasile La nostra ricerca inizia in Brasile, un paese grande quasi quanto l’Europa con 200 milioni di abitanti per lo più concentrati nelle zone costiere e nel centro-sud; scoperto nel 1500 da Pedro Alvares Cabral, ha ottenuto l’indipendenza nel 1822 alternando governi democratici a governi dittatoriali. L’ultimo regime dittatoriale cominciò dopo il colpo di stato militare del 31 marzo 1964, durante il quale vennero sciolti tutti i partiti politici e venne adottata una politica di liberismo economico che causò l’accentuarsi delle sperequazioni sociali. Analizzare un paese come il Brasile non è stato semplice, le sue contraddizioni sono tante e profonde, alimentate da un sistema economico e sociale che favorisce la separazione e lo sfruttamento intensivo delle risorse. Il Brasile, è un paese in forte sviluppo, ha appianato il suo debito ed è uno dei maggiori esportatori di mais e soia, alimenti utilizzati fortemente negli allevamenti intensivi e per la sofisticazione di cibi confezionati; il 91% della soia coltivata proviene da semi geneticamente modificati1 , ed è una per- centuale in costante aumento, vista anche la portata enorme dell’esportazione, soprattutto verso un paese sovrappopolato come la Cina. Il discorso è molto simile anche quando si parla della canna da zucchero, coltivata per un massiccio utilizzo come bio carburante, infatti in tutto il paese ci sno 37 milioni di ettari coltivati con OGM, rendendo il Brasile il secondo paese per coltivazione di prodotti provenienti da semi geneticamente modificati2 . Le contraddizioni di questo paese, ovviamente, vengono alla luce soprattutto vivendoci, ci si accorge di quanta differenza tra classi esista all’interno della società brasiliana; è incredibile notare come un numero impressionante di muri di cinta, in quartieri borghesi, siano coperti da fili elettrificati, di quanto i brasilia- ni stessi abbiano fobia dei poveri e, soprattutto, di quanti siano i poveri. Passeggiare per il centro di Belo Horizonte, dove abbiamo vissuto sei mesi durante la ricerca di tesi, vuol dire ammirare qualche casa in sti- le coloniale, risalente alla fondazione della città, incastonata tra palazzi altissimi, simbolo del modernismo di cui è follemente innamorato il Brasile; vuol dire vedere tante persone dormire per strada, sui marciapie- de, chiedendo l’elemosina o semplicemente fissando il vuoto e la miriade di persone che affolla le strade. Come già scritto, è un paese pieno di contraddizioni, tra le più marcate si nota il forte attaccamento alla propria identità, che esplode nelle serate di samba, dove decine di persone si mettono a ballare al ritmo di percussioni e chitarre improvvisate in mezzo ad una piazza, in completo contrasto con la servile accet- tazione di montagne di prodotti provenienti da aziende multinazionali, che tappezzano la città di enormi cartelloni pubblicitari che vendono la felicità. Abbiamo vissuto i nostri mesi in Brasile con occhio critico, analizzando le differenze col vecchio continen- te e le nostre abitudini, sorprendendoci delle enormi bellezze che questo paese regala e avvilendoci per le palesi ingiustizie che ne minano il fascino; ci siamo stupiti di quanto sia davvero più semplice conoscere le persone, di quanto sia più facile ottenere fiducia per avviare una propria idea e di quanto il pubblico brasiliano risponda ad iniziative interessanti. La ricerca è partita da una grande scrivania bianca messa al quinto piano del grigio edificio dell’Univer- sidade do Estado de Minas Gerais a Belo Horizonte. Giorni di documentazioni, foto, e-mail e chiamate che hanno portato alla programmazione di un viaggio che ci ha portato verso il sud. Il sud del Brasile è la parte più sviluppata dell’intero paese, sia dal punto di vista economico che infrastrutturale; nel sud si trovano le maggiori città ma anche i maggiori centri di ricerca e le più interessanti iniziative, proprio per questo la maggior parte di tutta la ricerca svolta in Brasile è nel meridione. 1 Fonte reuters 2 Fonte International Service For The Aquisition Of Agri-Biotech Application (ISAA) 4
  • 9. Siamo partiti con l’idea di conoscere e toccare con mano il mondo che vogliamo, interagire in prima persona con le persone che ogni giorno lavorano per portare avanti un’idea di mondo davvero sostenibile. Abbiamo dovuto fare una cernita tra tutte le realtà interessanti che avevamo trovato in rete, purtroppo è stato un viaggio pagato interamente con i nostri soldi e non avremmo mai potuto visitare tutti i posti che meritavano di essere visti e conosciuti, per cui abbiamo preso in considerazione quelli che più rappresen- tavano la nostra idea di sostenibilità. La sostenibilità è un concetto complesso, troppo spesso travisato o poco approfondito; una società soste- nibile è una struttura organizzata in maniera sistemica, dove non esistono sprechi e dove ogni processo produttivo ne alimenta a sua volta un altro grazie alle proprie materie di scarto. Una società sostenibile mette le basi per la realizzazione umana, che è la ricerca della propria felicità e della pace, in un’ottica di collaborazione e prosperità sociale in cui l’uomo si rende conto di essere parte di un pianeta i cui mecca- nismi naturali si sono fragilmente instaurati nell’interesse di tutti. Ci siamo concentrati su quelle iniziative che mirano a portare la natura e i suoi equilibri di nuovo all’in- terno degli agglomerati urbani e periurbani, ricollocando la nostra vita nella rete naturale di cui fa parte, 5
  • 10. volevamo conoscere davvero chi fa da esempio, chi dedica la propria vita allo studio e alla ricerca di un modo di innestare il nostro stile di vita e la nostra economia giornaliera con un modo di vivere sostenibile. Sìtio São José Abbiamo mosso i primi passi esattamente tre giorni dopo capodanno, prendendo un pullman che ci ha portato a Rio de Janeiro, trampolino di lancio verso la prima tappa del nostro breve tour nel sud del Brasile, la fazenda di Zé Ferreira in mezzo alla foresta di Parati, comune a sud dello stato di Rio. Arrivati alla fermata indicataci per e-mail da un ragazzo che si occupa dei contatti telematici di Zé, siamo rimasti ad aspettare un oretta sotto la piccola tettoia di una fermata dell’autobus in mezzo alla strada statale per ripararci dal sole cocente che, intanto, stava salendo velocemente; ci è venuto a prendere il figlio di Zé Ferreira, un agile ragazzino di 17 anni con uno zainetto sulle spalle e poca voglia di parlare. Lentamente abbiamo attraversato il paese e ci siamo tuffati nella foresta. È stata forse una delle parti più sorprendenti di tutto il viaggio, trovarci per la prima volta in vita nostra in quella che può essere, davvero, definita una foresta; alberi di cui non si vede la cima facevano ombra a qualcosa che verrebbe difficile descrivere come il sottobosco a cui noi siamo abituati, un intreccio di liane, rampicanti e piante dal fogliame gigante si alternavano a veloci torrenti che scorrevano tra le rocce incastonate nel rigoglioso tappeto verde smeraldo. Dopo un’ora e mezza di camminata siamo arrivati al cancello in legno che delimita la proprietà e, oltre- passato questo, ci siamo trovati in un mondo quasi parallelo, uno spazio a se stante, in cui il selvaggio disordine apparente della natura è gestito, non frenato né cambiato, ma tenuto sotto controllo; è palese l’intervento di una mano esperta e paziente, che non doma la natura ma ci si immerge dandole un ordine. L’aria è fresca e pulita, la foresta e le montagne cingono questa casa in un abbraccio mentre il rumore in- cessante dell’acqua riempie la piscina scavata tra gli alberi. C’è un non so che di epico in ciò che quest’uo- mo ha costruito, un qualcosa che blocca il respiro, che apre la mente. E’ silenzioso nell’accoglierti, non ti 6
  • 11. da istruzioni né regole, è tutto scritto, a caratteri cubitali, nei suoi occhi. E’ silenzioso anche nel darti da mangiare ciò che la terra gli offre, sorridendoti seduto nella grande veranda che unisce un lato della casa con la cucina. Gli ci sono voluti anni di paziente sperimentazione per arrivare ad essere auto-sufficiente; dopo anni di monocolture, prima con le banane, poi col caffè, Zé si imbatte nel concetto di agroforesta3 e decide di adottarlo per il suo terreno. Inizia così un lungo percorso di riforestazione e di ristabilimento di equilibri che adesso fanno di questa foresta il suo ricchissimo e spettacolare orto. La sua è una presa di posizione profondamente politica, contro la società attuale che è totalmente aliena alla natura e incu- rante della felicità degli uomini; una scelta, tra il continuare a fare un lavoro da cui trarre esclusivamente uno stipendio oppure essere felice tornando a coltivare, tra il percorso tracciato da qualcun altro o una incessante ricerca nutrita dalla propria passione. Non è semplice la strada che ha intrapreso, lo si nota nella profonda solitudine dei suoi occhi, nel viso provato da anni di lotte e scelte estreme. Non è una vita che tutti potrebbero vivere, ma il suo è un esempio prezioso per chi vuole, profondamente, cambiare la società attuale, renderla più giusta e più equa, in modo da accorgerci che i ritmi che ci imponiamo sono ben lontani da quelli naturali, che, va da sé, ci appartengono da sempre. Basta una domanda per fargli schiudere un’ immensità di aneddoti, ricordi ed esperienze costruite nei decenni dedicati a credere in se stesso e nel suo sogno; in tutti questi anni ha costruito la sua vita e ciò che aveva sempre voluto essere: libero, indipendente e senza padroni. Siamo arrivati alla sua fazenda con l’intenzione di intervistarlo, ci eravamo preparati una lista di domande da fargli e di curiosità generiche da soddisfare, ma il tutto si è trasformato in una spontanea chiacchierata ininterrotta di cui abbiamo fatto in tempo a documentare qualche stralcio; è stato un lungo racconto, fatto di fervore, passione, consigli, aneddoti e mai rassegnazione, ci ha parlato di come ha iniziato, di quando ha deciso di lasciare il suo posto di lavoro a Sao Paulo e si è messo a cercare un pezzo di terra dove vivere libero. Ha vissuto radicalmente la sua vita e le sue decisioni Zé, ha sempre rispettato il patto fatto con se stesso, quello di riuscire ad essere indipendente e poter decidere della sua vita. Ora è quasi del tutto solo, accanto a lui è rimasto solo il figlio diciassettenne che vive la maggior parte delle sue giornate in città, la moglie e i figli hanno preso strade differenti, a volte non capendo le scelte di Zé o, semplicemente rispettandole, ma facendo le proprie. In ogni caso è un esempio, di tenacia, ma anche di come, nella vita, si può trovare un’alternativa a ciò che abbiamo davanti, al percorso che è stato già tracciato, alla struttura societaria vigente. A questo punto è necessario aggiungere che, oltre ad un’ arricchimento dal punto di vista umano, la visita al Sìtio Sao José è stata fondamentale anche dal punto di vista accademico; la fazenda di Zé è un organi- smo autosufficiente che integra ogni suo flusso con la natura in cui è immersa, la poca energia elettrica di cui la casa ha necessità è fornita da un motore azionato da un piccolo torrente deviato che da vita alle lampadine, alle poche prese elettriche usate per ricaricare i cellulari e far funzionare il frullatore e un pic- colo computer. Un terreno grande e ricco come quello della foresta offre davvero una varietà immensa di frutti, mescolati e consociati secondo il metodo agroforestale spiegato in precedenza, dando possibilità di vivere bene e in salute; nella fazenda non ci sono più gli animali, in quanto Zé, essendo rimasto praticamente solo, ha preferito smettere di allevare. Ogni output della casa è gestito al suo interno, come le acque grigie e le acque nere che vanno a finire in 3 Il bosco commestibile è un sistema di produzione alimentare sostenibile a bassa manutenzione basata sugli ecosistemi boschivi, che incorporano alberi da frutta e noci, arbusti, erbe, viti e ortaggi perenni che hanno rese direttamente utili per l’uomo. Usando le consociazioni, le piante possono essere mescolate a crescere in una successione di strati, per costruire un habitat boschivo. 7
  • 12. uno scarico bio-settico comune posto sotto a degli alberi di banane che, avendo la foglia molto larga, sono molto adatti per un veloce assorbimento e traspirazione. 8 Veduta della casa di Ze Ferreira circondata “dall’ agroforesta” Macchinario artigianle utilizzato per realizzare la farina di Mandioca Particolare “agroforesta”: granturco Particolare “agroforesta”: fiore di Banano Frutto del Cacao coltivato da Ze Ferreira Conserve realizzate con il raccolto dell’agroforesta
  • 13. Casa dos Hòlons Dopo tre giorni di estrema calma, in cui Zè ci ha mostrato la sua terra, ci ha parlato della sua storia e delle sue scelte, ripartiamo alla volta di São Paulo. Ancora una volta attraversiamo un po’ di foresta, fermandoci a scattare qualche foto e a rinfrescarci nel fiume che costeggia il nostro cammino prima di salire sull’autobus che ci porterà nella città più popolosa dell’emisfero australe. Fondata nel 1554 da missionari gesuiti è ora una metropoli immensa, abitata da circa 11 milioni di persone, che, nell’area metropolitana raggiungono i 20 milioni, ed è una delle città più multiculturali al mondo; dalla fine del 1800 in poi ha subito ondate migratorie da varie parti del mondo, infatti, è stato censito che la maggior parte dei suoi abitanti ha origini estere, di cui una grande percentuale italiana, ma anche spagnola, portoghese, tedesca, araba e giapponese. È facile immaginare quale sia stato l’impatto appena scesi dall’autobus alla stazione. Dopo tre giorni passati in mezzo alla fazenda di Zé Ferreira, dove oltre al suono delle nostre voci era possi- bile sentire solo il frastuono ovattato della foresta, ci trovavamo in mezzo alla confusione totale, sommersi da sciami di persone che correvano ovunque, immersi in un caos dirompente, fatto di clacson, voci, pub- blicità, luci e traffico. Dopo mezz’ora di metropolitana arriviamo alla stazione dove ci aspetta un amico che, sorridente, capisce immediatamente il trauma che abbiamo appena subito. São Paulo è sicuramente una città difficile, affascinante per certi versi, ma soffocante per molti altri. Non è solo la quantità di gente fuori da ogni nostra esperienza che disturba, ma è anche l’omogeneità nella distri- buzione di enormi palazzi, strade gigantesche, che sopprimono qualsiasi accenno di natura, di respiro e di pace; il centro storico è un pugno nello stomaco, vista l’impressionante numero di persone che dormono in ogni angolo, la sporcizia e il disagio coprono quello che in realtà sarebbe un pregevole pezzo di città, la memoria storica e la parte architettonicamente più interessante; tutto questo da spazio ad un’immensa cortina di fatiscenti palazzotti o giganteschi grattacieli decisamente più puliti, quando si tratta dei palazzi della nobiltà finanziaria brasiliana e mondiale. São Paulo è un crudele specchio della nuova crescita econo- mica del Brasile, un paese senza debito con immense ricchezze territoriali e materie prime, ma con un’in- credibile disuguaglianza sociale, dove la povertà apre una finestra sul passato da paese del terzo mondo. Questa città però, ti fa scoprire anche l’altra faccia di un magnifico paese come il Brasile; la faccia di tutte quelle persone che vogliono vivere diversamente, che vogliono un mondo diverso e più giusto, è in questa megalopoli disordinata e chiassosa che abbiamo trovato un oasi di calma e raccoglimento, proprio nel po- sto più caotico e più lontano da ogni ideale di sostenibilità e sistemicità si è sviluppato un progetto molto interessante che è la Casa Dos Hòlons. Una piccola realtà dove si progettano sistemi alternativi di gestione della casa, come la raccolta dell’acqua piovana, con annesso filtro contro le piogge acide, per irrigare il piccolo orticello nel giardino davanti all’entrata, o come il giardino verticale a lato della casa, o lo smaltimento delle acque nere grazie al bana- no piantato nel mezzo del cortile nel retro. Trasmette sensazioni positive questa casa nel mezzo del caos, grazie ai colori vivaci, alle sue architetture eccentriche fatte con terra e vecchie bottiglie di vetro, con legno e altri materiali di recupero. Questo è uno spazio di ricerca, ci spiega Rafael, dove si sperimentano modi alternativi di gestione e di rapporto con la terra e col resto del mondo; è fortemente spirituale l’approccio di questi ragazzi, una spiritualità che non ha a che vedere con una religione o un’altra, semplicemente un rendersi conto che su questo pianeta siamo tutti connessi, uno all’altro, tramite una stessa madre, che è il pianeta stesso o l’universo. E’ stato un bene visitare questa casa, ricollegarsi alla propria parte spirituale nel posto più caotico mai incontrato finora, accorgersi che nonostante tutto si fa parte di qualcosa di immenso, senza preconcetti o qualsiasi altro spauracchio hippie, semplicemente sapere e rendersi conto 9
  • 14. che la terra che calpestiamo non è altro da noi, ma è necessariamente parte di noi, anche perché se fosse altrimenti, noi, non esisteremmo. Dal punto di vista sistemico è interessante conoscere una realtà come questa proprio perchè opera in un ambiente decisamente ostico; oltre al piccolo orticello per lo più dimostrativo, gli arredi e delle piccole case fatte con materiale di recupero la cosa più interessante è la fossa bio-settica sotto l’albero di banana. Questo sistema ritorna, dopo la fazenda di Zé Ferreira, ma colpisce come sia stata adottato in un norma- lissimo quartiere, che ci fa ben sperare per una riorganizzazione sostenibile delle nostre città. 10 La permacultura secondo Casa dos Hòlons Struttura con forno a legna, realizzata con terra, telai e altri materiali scartati Particolare del giardino verticale della casa, alimentato con acqua piovana e realizzato totalmente con materiali riciclati Poltrona realizzata con vecchi pneumatici scartati Particolare dell’orticello sinergico della casa
  • 15. Uma Quinta Na Cidade Lasciamo São Paulo per andare ancora più a sud, nella capitale dello stato di Paranà, Curitiba. Arriviamo in città sempre col pullman, che in Brasile è il mezzo più economico e più usato in assoluto, in quanto il paese non è dotato di una linea ferroviaria efficiente e i collegamenti aerei sono davvero cari. Arrivati alla stazione ci accorgiamo immediatamente della differenza tra una delle città col più alto tenore di vita di tutto il Brasile e il resto delle città che abbiamo visitato; è palesemente più pulita e più organiz- zata, la sua linea di autobus famosa per le fermate simili a quelle di una metropolitana funzionano davvero e ne abbiamo subito una testimonianza diretta. Curitiba non è come il resto delle città brasiliane, è una città decisamente più simile a una realtà europea, sia a livello architettonico, sia per la maggiore densità di popolazione di pelle bianca, dato legato alle forti immigrazioni dall’Italia, dalla Germania e da altri paesi del centro Europa, inoltre vanta una storia di progettazione sostenibile da far invidia a molte città del vecchio continente, come la prima isola pedonale negli anni ‘70 fino all’elezione a città più eco-sostenibile del mondo ai Globe Sustainable City Award nel 20104 . In questo contesto così fertile opera una delle attività più interessanti che abbiamo avuto il piacere di conoscere; Uma Quinta Na Cidade è un’associazione che ha come base storica la casa di Eduardo e Débora Feniman, di formazione pedagogica entrambe e con una forte passione per l’ambiente. Sono disponibilissimi nell’accoglierci a casa loro in un torrido pomeriggio di Gennaio, ci spiegano subito le basi fondanti di un progetto come il loro, ossia il ritorno alla concezione di spazio abitativo come spazio di produzione di cibo di qualità, di salvaguardia della biodiversità e di ricerca applicata. Eduardo ci parla del loro sistema giardino: i conigli, messi in grandi gabbie in cui i cuccioli possano stare insieme e tenersi caldo vicendevolmente come farebbero se fossero liberi, le capre e le galline allevate mangiando verdura avanzata al mercato, l’orto cresciuto sulla terra creata compostando l’umido prodotto dalla cucina, le sca- tole di plastica impilate progettate per fare il compost sul proprio balcone; inoltre ci spiega il metodo con cui sfruttano ogni spazio possibile del loro giardino, come il sistema di coltivazione delle fragole in vasetti sopra il posto macchina, piantate in modo da dare frutti tutto l’anno, infatti ogni vasetto ha diversi tipi di fragole che maturano in diversi periodo dell’anno. Uma Quinta Na Cidade è uno studio a cielo aperto, un laboratorio di ricerca dove sperimentare modi di produzione agricola in scala possibile nelle città attuali, dove conservare e riprodurre l’enorme quantità di specie differenti salvaguardando la biodiversità. Sentire parlare Eduardo di biodiversità è affascinante, in quanto ci spiega con pazienza la sua idea di combattere fermamente il pessimo trend che le politiche economiche stanno portando avanti, ossia la severa scelta delle specie in base a una commercializzazione piuttosto che alla ricchezza di nutrienti; un caso eclatante che lui cita è quello dei pomodori che, comprandoli al supermercato, danno l’idea di essere l’unica o una delle pochissime specie esistenti, tondi, a volte oblunghi, rossi e dalla scorza lucidissima e spessa. Esistono migliaia di specie di pomodoro, ognuna adattata ad un luogo specifico di origine, dalla buccia più o meno spessa, dal sapore intenso o delicato, dalle forme più strane, insomma, la biodiversità regala sorprese incre- dibili, se solo fosse salvaguardata e non si privilegiasse la vendita di pomodori prodotti in serra, insapori e soprattutto se si smettesse di venderli ogni giorno dell’anno. Uma Quinta Na Cidade insegna anche l’im- portanza della stagionalità, della territorialità e della cura delle varietà autoctone e antiche; Eduardo parla anche delle scelte politiche in base alla commercializzazione del cibo, facendo l’esempio di molti paesi africani, in cui è stato importato massicciamente l’uso del mais per combattere la fame, non valorizzando le specie autoctone e le piccole colture ma facendo in modo che le popolazioni dovessero imparare e 4 Globe Award è un premio dato dal Globe Forum, organismo no-profit, per riconoscere e incoraggiare le società, il settore delle imprese, individui e del mondo accademico che si sono distinti nel campo della sostenibilità. 11
  • 16. comprare cose che cui in realtà non avevano bisogno. Il mais e la soia sono le piante più coltivate nel mondo e la maggior parte, spesso coltivata a partire da semi geneticamente modificati , va a ingrassare animali che riempiono i supermercati di tutto l’occidente. E’ spaventoso accorgersi di quanta carne ogni giorno venga prodotta per riempire gli scaffali di ogni supermercato esistente anche solo in Europa. Eduardo ci parla di tutto questo, di un ritorno a pensare la propria vita e le proprie scelte come davvero importanti, nel senso che attraverso ciò che scegliamo possiamo dare un segnale forte e decisivo, ridando alla natura, all’ambiente e alla salute un ruolo centrale anche nei calcoli finanziari mondiali. Partendo dalla propria casa, dal proprio balcone, si possono intraprendere vie diverse da quelle dettate da altri. La cosa che colpisce di più di questo progetto è l’amore, la passione che queste persone ripongono nel portare avanti un idea di auto-sufficienza cittadina, nel loro quartiere sub urbano, ormai minacciato da enormi palazzi che vendono un lusso inutile; ci raccontano con soddisfazione soprattutto di quanto sia virale un idea come la loro, di come i vicini, dopo aver visto il successo di un sistema ben strutturato, si siano dati da fare per crearlo a loro volta. Uma Quinta Na Cidade è parte, inoltre, di una rete più ampia che è Casa da Videira, collettivo di famiglie e persone che impegnano il loro tempo nella diffusione di valori condivisi come l’autosufficienza e l’indipendenza dalla grande distribuzione. 12 L’orto sinergico realizzato nel cortile della casa Le capre, elementi fondamentali del sistema della casa Ragazzi al lavoro durante un’attività di workshop L’allevamento dei conigli, quanto basta per l’autosufficenza
  • 17. Sete Ecos - Ecologia da Alma Prima di concludere la nostra ricerca in Brasile abbiamo voluto conoscere più approfonditamente il lato spirituale della sostenibilità, quello più intimo e legato profondamente con l’ambiente. E’ per questo che siamo andati a passare tre giorni nella casa di Marconi Junior, un simpatico trentacin- quenne che a un certo punto della sua vita ha deciso che la città non faceva per lui e ha deciso, insieme ad altri amici e ai suoi genitori, di comprare un piccolo appezzamento di terreno e vivere insegnando la permacultura, i metodi di costruzione con materiali naturali o di recupero e antichi riti indigeni. Situato sulle colline che fanno da contorno a Sete Lagoas, paese a pochi chilometri da Belo Horizonte, capitale dello stato di Minas Gerais, Sete Ecos è esempio di una scelta di vita che ha come obiettivo quello di dipendere quanto meno possibile dalla città, dalla sua vita frenetica e dalle grandi catene di distribu- zione alimentare; per usare le stesse parole di Marconi Jr, la scelta è stata fatta per andare incontro ad un “bisogno di esodo urbano” di cui lui e la sua famiglia avvertivano la necessità. Tutta la carica spirituale, l’attenzione ai flussi ed ai cicli insiti nella natura sono qui tramutati in un ambizioso progetto di perma- cultura che fa dell’intero luogo un insieme di elementi interdipendenti l’uno dall’altro. Il lavoro svolto è affascinante, la sperimentazione e la collaborazione sono la prerogativa per portare avanti il progetto in un continuo scambio di saperi e nozioni. Dalla raccolta dell’acqua piovana incanalata seguendo il suo percor- so naturale, quindi utilizzata e depurata secondo sistemi di fitodepurazione; la costruzione di ambienti, come il semenzaio, utilizzando terra, paglia e bottiglie di vetro; la sperimentazione di orti sinergici e di un piccolo sito di agro-foresta; tutte queste attività ed altre in continuo divenire vengono svolte durante una serie di workshop in cui le persone sono, per così dire, il progetto principale su cui si lavora e dalla loro collaborazione nascono e si portano avanti i vari lavori del progetto Sete Ecos. L’atmosfera che si crea ha dell’incredibile, persone che fino a poco tempo prima non si conoscevano uniscono le forze e collaborano proprio come in un ecosistema composto da più elementi interdipendenti ed in connessione l’uno con l’altro. 13 L’orto sinergico realizzato nel cortile della fazenda Sistema di fitodepurazione per le acque grige Filtro usato per pulire l’acqua piovana che proviene da bacino di raccolta Sistema di fitodepurazione per le acque nere tramite Banani La cupola geodetica realizzata in legno, reti e terra. Lo spazio sociale di Sete Ecos Mattoni di terra e paglia usati per la costruzione del semenzaio
  • 18. Avremmo potuto continuare a viaggiare, intervistare e conoscere altre persone e altre realtà, ma non avevamo finanziamenti e viaggiare in Brasile può rivelarsi oneroso. In ogni caso abbiamo avuto modo di conoscere iniziative interessanti, virtuose e notevoli, che ci hanno dato la possibilità di toccare con mano il cambiamento già in atto in moltissime regioni del mondo. Il ruolo del Brasile potrebbe essere decisivo per le sorti di questo pianeta, in quanto è un paese in forte sviluppo, ricchissimo di materie prime e industrie, sempre più al centro del dibattito internazionale, con sempre più peso economico e di conseguenza politico; sta a questo paese, ai suoi politici, ma soprattutto alla sua gente, scegliere di percorrere un cammino di sostenibilità, diventare un faro guida per tutti quei paesi che vogliono cambiare, intraprendere un percorso nuovo e più giusto o invertire la rotta e cambiare le proprie strategie, per immaginare e costruire una società in piena armonia con la natura di cui facciamo parte e decisa a mirare alla soddisfazione del desiderio umano di stare in pace, sereno e davvero felice. Il Brasile può essere tutto questo, perchè ha l’energia della terra e l’energia della sua gente, perchè il cam- mino tracciato dai paesi del ricco occidente hanno miseramente fallito e il mito americano si è manifestato per quello che è sempre stato, l’ennesimo tentativo sbagliato che, sempre di più, ha conseguenze disastrose per le nostre vite. Proprio in un’ epoca come la nostra, ormai caratterizzata da guerre, fame, smodata ricchezza e povertà inu- mana, un paese che contiene tutto questo può davvero essere l’ago della bilancia e scegliere uno sviluppo sistemico e sostenibile per il suo avvenire. Al suo interno il Brasile ha tutto, una miriade di etnie differenti, climi opposti, condizioni sociali agli antipodi, popolazioni indigene che non hanno mai avuto contatto con la nostra civiltà, foreste impenetra- bili e deserti aridi, città invivibili e paradisi incontaminati; è davvero il paese delle contraddizioni e delle opportunità, si spera che le sue antitesi diventino ricche differenze e l’opportunità la colga prima di tutto il Brasile. 14
  • 19. L’Italia La seconda parte della nostra ricerca si è svolta in Italia, paese famoso in tutto il mondo per la ricchezza della sua storia e dei suoi paesaggi, ricordato ovunque per l’apporto inestimabile dato all’arte e a qualsiasi altra branca dello scibile umano. Non sta a noi dilungarci sulla grandezza dell’Italia e della sua storia, piuttosto, come in Brasile, abbiamo affrontato anche questa parte di ricerca con occhio critico e abbiamo analizzato ciò che studiavamo con attenzione, dando il necessario peso a tutte le iniziative che abbiamo incontrato, soprattutto in relazione con la situazione attuale italiana, ma, in larga maggioranza, anche europea. La crisi che, dal 2008, imperversa in ogni strato della società civile, ha ormai contagiato ogni ambito, tutto ciò che conosciamo è in crisi o risente della crisi; è uno spauracchio che, per persone come noi nate nel 1987, alla fine del famoso miracolo economico italiano, fa parte della nostra storia. L’Italia è, secondo noi, l’esempio più lampante di come si possa sperperare la più gloriosa delle ricchezze nella ricerca dell’ennesimo guadagno e dell’ennesima speculazione. La cultura, l’arte, la bellezza dei pae- saggi sono niente davanti all’ incompetenza di amministrazioni cieche e decise ad ampliare solo ed esclu- sivamente economie lontane dalle vere esigenze della cittadinanza. Abbiamo scelto questo paese non solo perchè qui siamo nati, cresciuti e studiamo, ma anche perchè con i suoi 3 milioni 153 mila5 disoccupati è uno degli stati più in difficoltà dell’intera eurozona. Fa parte dei PIIGS insieme a Spagna, Irlanda, Grecia e Portogallo, i paesi che, praticamente, rischiano di fallire da un mese all’altro e in cui l’insieme dei suoi musei statali guadagna meno di quanto fa da solo il Louvre di Parigi. L’Italia, è necessariamente uno dei paesi più rappresentativi di questa perenne crisi. Nondimeno però, nel bel paese, si trovano anche una quantità considerevole di ottime iniziative, di per- sone volenterose che dedicano il loro tempo a migliorare la situazione e a rendere questo paese e il mondo più vivibile e più felice. Con l’intenzione di conoscere queste persone abbiamo intrapreso un altro viaggio attraverso cui intervistare e documentare chi muove i suoi passi in un percorso di rinascita sostenibile. Anche in questo caso è stato un breve tragitto che ci ha portato dal centro al nord della penisola, dovuto, come sempre, alla scarsezza dei nostri fondi, questa volta ottenuti tramite il crowdfunding, ma comunque insufficienti a coprire un viaggio in tutto il paese. Come già avvenuto in Brasile abbiamo fatto una cernita delle iniziative più interessanti e siamo partiti. La ricerca è partita da Roma, città che non ha bisogno di presentazioni, capitale e specchio del paese intero, incredibilmente affascinante, spettacolare e meravigliosa, ma invasa da qualsivoglia problema di gestione e raramente vivibile. Con 2 866 2386 abitanti è il comune più popoloso d’Italia e il quarto dell’Unione europea, con i suoi tremila anni di storia è stata la prima metropoli del mondo. Fa davvero male vedere strade storiche di Roma invase da macchine, rumori e sporcizia, come fa male ar- rivare in una delle città più antiche del mondo e attraversare lo squallore di interi quartieri alveare, enormi palazzoni che soffocano la storia di questa città e la sua vita. La capitale d’Italia è tristemente famosa per i suoi problemi, il traffico infinito delle sue strade, la scarsità dei servizi e le spire in cui si avvolge gran parte dei lavori di ammodernamento e di messa a regime della città; basti pensare agli eterni lavori per il completamento della metropolitana che, tra uno scandalo e un altro, ancora oggi non vede il giorno della sua apertura. Ciònonostante è per sua natura una fucina di idee, di eventi e un ricettacolo di innovazioni e di occasio- ni per conoscere e fare cose nuove, infatti, non a caso, è proprio a Roma che abbiamo iniziato il nostro 5 dati Istat riferiti a giugno 2014 6 dati Istat riferiti a febbraio 2014 15
  • 20. viaggio concentrando quattro incontri e altrettante interviste. Proprio qui abbiamo incontrato due dei quattro FabLab intervistati durante tutta la ricerca, quello di Catania e quello di Roma. 16
  • 21. I Fab Lab I FabLab sono officine di produzione su piccola scala che danno la possibilità all’utente di realizzare un prodotto attraverso l’utilizzo di macchinari per la prototipazione rapida, come la stampante 3D, la mac- china a taglio laser, la fresa a controllo numerico e altri macchinari per la prototipazione rapida. Il primo FabLab nasce nel 2001 da una ricerca portata avanti nei laboratori del Center for Bits and Atoms del Massachusets Institute of Technology (MIT), all’interno di un’ampia ricerca sulla fabbricazione digi- tale. Un Fab Lab è una piattaforma di prototipazione tecnica per l’innovazione e l’invenzione, nata con l’obiettivo di fornire stimoli per la piccola imprenditoria locale. Un Fab Lab è anche una piattaforma per l’apprendimento e l’innovazione: un posto per giocare, creare, imparare e inventare. Per essere un Fab Lab è necessario creare una connessione con una comunità globale di studenti, educatori, tecnici, ricercatori, responsabili e innovatori che abbraccia 30 paesi. Poiché tutti i Fab Labs condividono strumenti e processi comuni, si sta costruendo una rete globale, un laboratorio distribuito per la ricerca e l’innovazione. Originariamente progettati per le comunità come piattaforme di prototipazione per l’imprenditoria lo- cale, i Fab Lab sono sempre più adottati dalle scuole come piattaforme a progetto, dove gli studenti im- parano attraverso la progettazione e la creazione di oggetti di interesse personale o adottando idee fornite dalla rete globale di utenti. Attualmente i Fab Lab ufficiali nel mondo sono 2517 , anche se oltre a crescere di numero sotto il cappello del Fab Foundation, quindi del MIT, nascono, sempre più spesso, anche centri non ufficiali che, nono- stante l’adozione di nomi differenti e la non affiliazione al circuito principale, si basano comunque sui valori, sugli obiettivi e sul modus operandi dei Fab Lab comuni. Nella sua breve storia questo fenomeno si è sviluppato enormemente, andando a coinvolgere un gran numero di aspetti della produzione attuale, non solo per i macchinari in sé, ma proprio per lo sviluppo e la diffusione capillare di concetti innovativi e un approccio rivoluzionario come quello della progetta- zione aperta, in creative commons e open source, ossia accessibile e modificabile da tutti. E’ sorprendente e rivoluzionario lo spostamento, non solo concettuale, dei mezzi di produzione dai grandi centri industriali a piccole officine di quartiere; questa possibilità apre enormi spazi e vie per un innovazione e una ricerca diffusa, che infatti si sta traducendo in una corsa inarrestabile verso la reinvenzione di molte nostre abi- tudini e consuetudini produttive. Proprio le implicazioni produttive hanno attirato la nostra attenzione, perchè portano con sé necessaria- mente delle importanti implicazioni prima a livello economico poi a livello sociale. Quando la possibilità di produrre un prodotto diventa più accessibile, per un drastico abbassamento dei costi e per una capillare distribuzione sul territorio, il panorama cambia completamente; le abitudini produttive cambiano, la possibilità di creare micro-economie sul territorio diventa più concreta e si porta alla luce una carica di imprenditorialità creativa che può tracciare un nuovo percorso di distribuzione della ricchezza. Infatti, attorno al mondo dei Fab Lab è nato un intero movimento mondiale, i makers, che riunisce tutti gli appassionati del fai-da-te, dell’open source, della prototipazione rapida, dei macchinari a controllo numerico e dell’artigianato tecnologico. Sono tanti i progetti che, per esempio, la stampa 3D ha reso possibili: sta diventando sempre più concreto l’utilizzo di questa tecnologia in campo medico, per sostituire parti craniche8 e addirittura componenti cardiache. I costi di molti prodotti vengono abbattuti, quindi aumenta drasticamente la possibilità di 7 Dati forniti da Fab Foundation, organizzazione no-profit americana nata al MIT con l’obiettivo di creare e gestire la crescente rete di Fab Labs nel mondo. 8 Allo University Medical Center (UMC) di Utrecht è stato realizzato il primo trapianto di cranio nel marzo del 2014. 17
  • 22. ricerca di nuove forme e di nuove applicazioni. Quindi abbiamo inserito nella ricerca anche il mondo dei makers e dei Fab Lab, proprio perchè portatori di possibili miglioramenti a livello economico, sociale e, purtroppo in pochi casi, anche ambientale. Il purtroppo è da associare all’enorme consumo di materiale che queste officine comportano, tra espe- rimenti, gadgets dimostrativi e prodotti, viene utilizzato un quantitativo incredibile di plastiche e legno multistrato; anche in questo caso però, ci sono delle promettenti avvisaglie di cambiamento come, ad esempio, piccoli macchinari che producono filo per tessere dalle bottiglie di PET, altri che sminuzzano l’abs e ne fanno dei granuli da poter riutilizzare. I fab lab che abbiamo conosciuto sono quelli di Catania, Roma, Verona e Torino. La nostra prima intervista ha avuto luogo al giardino degli aranci, un posto magnifico situato in cima ad uno dei colli più belli di Roma, l’aventino, da cui si può godere la vista sulla città. L’atmosfera tranquilla, qualche bambino che giocava e la cornice degli alberi già carichi di frutti ci ha permesso di fare una lunga chiacchierata con Carmen Russo, designer catanese, che ha deciso di aprire, insieme ad altri soci, il fab lab nella sua città. Carmen ci parla della sua attività di designer, di progetti passati e futuri, ma soprattutto della scelta di aprire un fab lab come luogo di incontro, di lavoro e di speranza per lo sviluppo della propria terra e dei giovani. Parla molto dei giovani, di come in Italia sia difficile esserlo, a volte ignorati a volte chiusi in spirali di tirocini mai pagati, spesso costretti a trovare una vita all’estero. Questo progetto, ci racconta, è nato soprattutto per questo, dare una speranza di lavoro e sviluppo a un territorio e ad una generazione. Questi centri, ovunque sorgano, nascono come fucina creativa per gli artigiani tecnologici, cercano di unire le abilità tipiche del lavoro in bottega con il supporto di macchine per la prototipazione rapida, con corsi mirati all’apprendimento di nozioni base di elettronica, di programmazione, ma anche di tecniche e abilità artigianali come la saldatura e la tornitura. Silvio Tassinari, fondatore insieme ad altri del fab lab di Roma, può rappresentare la tenacia del giovane che riesce a rimanere nella propria città, combattendo con la mancanza di fondi e la chiusura burocratica di cui è maestro questo paese. A Verona invece abbiamo conosciuto Riccardo Bertagnoli che, insieme ai suoi amici, ha fondato il fab lab; anche loro molto giovani, hanno trovato meno difficoltà degli altri per aprire la loro officina. La cosa che colpisce di tutte queste persone è l’entusiasmo e la passione, contro qualsiasi burocrazia e impedimento, contro la crisi e la mancanza di fondi, c’è una forte voglia di cominciare, di aprirsi una stra- da e di farcela da soli, proprio lo spirito imprenditoriale sano e pulito di cui qualsiasi sistema economico ha necessariamente bisogno. Il primo fablab in Italia ha aperto a Torino, in una piccola parte di un grande edificio industriale di un epoca ormai passata. Il fablab di Torino non è molto differente dagli altri, se non fosse per il fatto che è il primo e che ha un fortissimo legame con Arduino, che, oltre ad essere una scheda elettronica di piccole dimensioni con un microcontrollore e circuiteria di contorno, utile per creare rapidamente prototipi, è anche una delle aziende più prolifiche dell’intero panorama imprenditoriale italiano ed europeo. Questa piccola scheda, supportata da un facile programma di codifica, permette di creare ogni sorta di prototipo meccanico, dando la possibilità al progettista di far interegire una miriade di sensori diversi per gli scopi più disparati. Questo legame stretto tra Arduino e fablab Torino ha portato alla nascita delle Officine Arduino, azien- da che mira alla diffusione della progettazione open-source attraverso la creazione di eventi e wor- kshop. Grazie a questa sinergia è stata portata in Italia, a Roma, la Maker Faire, gigantesco evento in cui 18
  • 23. decine di aspiranti progettisti, ingegneri elettronici e chiunque si sia cimentato a livello professionale con prototipazione rapida e software open source, ha partecipato e ospitato migliaia di persone. E’ certo che il ruolo di quest’azienda, come del fablab Torino e di tutti gli altri fablab, sia destinato ad esse- re sempre di maggior peso, vista la capillarità con cui si stanno diffondendo e la potenzialità dell’approccio di condivisione aperta che promuovono. 19
  • 24. Laboratorio Linfa Il recupero di materiali di scarto e il riciclo è sicuramente uno degli aspetti più conosciuti di un percorso verso un vivere sostenibile, dalla raccolta differenziata fino ai quaderni in carta riciclata, progettare e realiz- zare prodotti con materiali che altrimenti andrebbero in discarica è ormai una pratica diffusa. Noi siamo andati ad intervistare chi, da quando ancora non era così comune, progetta arredi con legno di recupero. Il Laboratorio Linfa è un collettivo di product designer che fa principalmente arredi col legno dei pallet scartati dalle aziende. Incontriamo Luigi Cuppone, fondatore del Laboratorio e professore all’Istituto Superiore per le Industrie Artistiche (ISIA) di Roma, nella piccola officina che usa il collettivo per lavorare, nel quartiere del vecchio Quadraro, zona sud della capitale. Ci accoglie sorridente e ci mostra il laboratorio, è uno spazio lungo e stretto, piano di legno e segatura, con qualche seduta e tavoli colmi di attrezzi, guanti e mascherine. Luigi si siede sopra il piano di uno scaffale e comincia a raccontarci di come tutto è cominciato da una presa di coscienza e dal fatto che continuare ad abbattere alberi incontrollatamente per fare l’ennesimo paio di sedie e di tavoli non aveva e non ha alcun senso, quindi è stato quasi immediato prendere il pallet come materia prima, in quanto presente in enormi quantità praticamente in qualsiasi magazzino di quasi tutte le aziende. I pallet, o bancali, sono delle pedane usate per il trasporto delle merci, sono resistenti e durano molto tem- po, ma comunque ne vengono scartati moltissimi, infatti è facile, girando nelle zone industriali, trovare cumuli di pallet accatastati in attesa di smaltimento. Non è difficile, quindi, reperire il materiale, dopodiché il bancale viene smontato e torna ad essere legno, sporco, ma sicuramente materia prima con la quale realizzare nuove sedute, nuovi tavoli, nuovi arredi. Luigi si sofferma molto sul carattere profondamente didattico del suo lavoro, visto che oltre alla cattedra all’ISIA di Roma, molte delle attività del Laboratorio Linfa si strutturano in dei workshop, dove il parteci- pante apprende l’utilizzo degli strumenti, oltre ad un metodo e ad uno stile di progettazione. Attraverso la lavorazione del legno si possono veicolare nozioni e idee, come il riciclo, ma anche la posizione dell’uomo rispetto alla natura e il suo ruolo di custode o di carnefice, ci si può trovare a discutere dell’uso dei mac- chinari industriali come sostituzione del lavoro umano e tutto ciò che questo implica, fino a parlare della funzione sempre più preminente che le nuove tecnologie stanno rivestendo. Il Laboratorio Linfa è sicuramente un esempio di artigianato del recupero, infatti Luigi sottolinea più volte l’importanza del fare concreto, della lentezza e della bellezza del mettere le mani sulla materia per modificarla, la saggezza intrinseca nella conoscenza profonda del legno, della natura e dei suoi cicli. Non è esattamente sistemico il modus operandi del Laboratorio, ma ha le basi per la presa di coscienza ne- cessaria per fare il salto di qualità e per prendere in considerazione il necessario cambiamento dal sistema attuale e l’applicazione di un approccio sistemico alla filera produttiva del legno, ma in realtà di qualsiasi attività umana. E’ importante che la progettazione non si fermi al ripensamento di una nuova vita per il prodotto scar- tato, in quanto ad ogni modo, in questo caso non si interrompe la deprecabile abitudine al consumo che è ormai insita nella cultura contemporanea; è necessaria la presa di coscienza da parte di tutti i cittadini che, per far si che la crisi sia un ricordo, bisogna attuare il cambiamento attraverso una profonda revisione delle consuetudini produttive finora adottate. In questo ha un ruolo fondamentale l’università e tutto l’apparato educativo, in quanto formatori delle generazioni future hanno il compito di fornire gli strumenti necessari ai giovani per affrontare il cambia- mento e esserne i fautori di una società migliore di quella precedente. Di questo aspetto Luigi è completamente convinto, infatti ci ricorda l’importanza di veicolare le informa- 20
  • 25. zioni attraverso il fare, attraverso lezioni pratiche e workshop insegnando agli studenti la passione per ciò che ci circonda e per il sistema naturale di cui facciamo parte. 21 Uno dei progetti realizzati da Laboratorio Linfa Luigi Cuppone nel suo laboratorio durante la nostra intervista
  • 26. Orizzontale Non è l’ufficio che ti colpisce, né la disponibilità di Stefano, quanto piuttosto la storia che ti racconta, con l’enfasi di chi ci ha messo tempo, speranze e ha investito nelle proprie idee e nel proprio futuro. Orizzon- tale è un laboratorio di architettura in piena ascesa. L’età media è di trant’anni, perfetto per dare speranza ai tanti giovani che, laureandosi in questi anni, hanno trovato o pensano di trovare solo porte chiuse; questi ragazzi si sono conosciuti alla Sapienza di Roma, e, invece di laurearsi e poi cercare lavoro, si sono laureati e se lo sono creato, il lavoro. Attraverso installazioni e arredi urbani hanno fatto quello che più volevano, sporcarsi le mani e cambiare il volto dello spazio pubblico; tra i primi interventi è importante ricordare le iniziative che hanno caratterizzato il progetto KIUI, appuntamenti in cui insieme ad altri col- lettivi di designer, artisti e architetti, romani e non, hanno provato a ripensare spazi pubblici dimenticati e in via di degrado, concludendo il tutto con un workshop di autocostruzione in cui hanno arredato uno spazio del Forte Prenestino. Ultimo sforzo del gruppo è stata l’installazione al MAXXI di Roma con cui si sono confermati progettisti di altissimo livello e tra le realtà più interessanti del panorama progettuale italiano. Fa bene sentire Stefano dirci che questa loro passione è diventata un lavoro; può sembrare in- credibile, ma è davvero una delle parti più belle di tuta la loro storia. Quella soddisfazione negli occhi di aver costruito qualcosa di importante con le proprie mani, qualcosa che finalmente sta ripagando e sta dando dei frutti forse inimmaginabili all’inizio, quel sorriso di chi sta lavorando con passione e dedizione al proprio futuro, è la cosa di cui, probabilmente, ha più bisogno il paese Italia. Orizzontale è un esempio virtuoso di unione di spirito imprenditoriale e capacità manuali e creative, nel classico percorso lavorativo del progettista, che, il collettivo, sta percorrendo a grandi e veloci passi, partendo da piccoli lavori nel quartiere fino ad arrivare ai grandi musei internazionali. Il loro approccio è sistemico e utile alla nostra ricerca nella misura in cui operano nel territorio consci di doversi relazionare profondamente col territorio stesso e non impiantando e costruendo architetture inutili e avulse dal contesto. 22 Varie viste di uno dei progetti realizzati da Orizzontale Installazione urbana in cartone Un altro progetto realizzato da Orizzontale Arredo urbano in cartone
  • 27. Casa dell’InSOStenibilità La sostenibilità sociale riteniamo debba essere uno dei punti cardine di qualsiasi iniziativa umana, in quanto crediamo sia giusta la ricerca della felicità e della realizzazione da parte di qualsiasi essere umano. Nonostante le difficoltà palesi nel conseguire questo risultato per ogni singolo abitante del pianeta, siamo convinti che il nostro essere animali sociali, il nostro lavoro e persino la nostra esistenza non abbiano altro che questo scopo. L’integrazione, la convivenza pacifica è alla base di una società equa e felice, ed è per questo che siamo andati ad intervistare chi lavora, da anni, in prima linea per accogliere, educare e aiutare quelle fasce di popolazione svantaggiate e con più difficoltà nell’inserirsi. Siamo arrivati a Prato, simbolo del fallimento di ogni politica d’integrazione varata in questi anni. Prato rappresenta uno dei più grandi distretti industriali italiani ed uno dei centri più importanti, a livello mondiale, per le produzioni di filati e tessuti di lana9 ; inoltre ufficialmente ospita la seconda comunità cinese più numerosa d’Italia, anche se si pensa possa essere anche la prima10 , il che per una città di neanche 200 mila abitanti è un numero enorme. Infatti i problemi di integrazione sono evidenti e profondi. All’interno di questa situazione già precaria, Prato riserva ancora sorprese. Via Pier Cironi è una delle vie col maggior tasso di spaccio e delinquenza; è incredibile constatare di essere praticamente dietro il duomo, insomma, nel centro storico della città. Anni di abbandono e trascuratezza hanno consegnato questa piccola via al degrado, al sospetto e alla malavita. Ce lo racconta Paolo Massenzi, che da anni si occupa di recupero sociale, da prima nelle carceri e adesso qui, allo spazio OpenCironi; Paolo ha ottenuto in gestione una palazzina nel centro di Via Cironi che ormai versava in condizioni di palese incuria e, dopo qualche tempo, ha trasformato il piano terra in un luogo magico. Quando si entra dall’anonima saracinesca che dà sulla strada, ci si imbatte in una miriade di oggetti, manufatti e opere di artigiani e artisti che negli anni hanno aiutato Paolo, usando vari materiali recuperati, come vecchi cesti di lavatrici, vasche in plastica e bancali in legno; sono lì, in perenne mostra, ad accoglierti, proprio come in una vecchia bottega di qualche vecchio artigiano dove gli occhi si fanno catturare dalla moltitudine, anche all’entrata di questo luogo ci si perde a catalogare decine di oggetti misteriosi, belli e in vendita. Passato il salone d’esposizione si entra in una grande stanza dove spiccano delle enormi casse audio appartenute ad un vecchio cinema, un tavolo pieno di carte, le vetrate che danno sulla corte interna e lui, Paolo, sorriden- te e cordiale, che ci offre un ottimo piatto di pasta e un buon bicchiere di vino. È un piacere conversare con lui, anche quando ti racconta di come avvicina i tossicodipendenti raccogliendo le siringhe usate in cambio di una nuova, in modo da evitare che si propaghino malattie e infezioni; sono scelte coraggiose, sicuramente in controtendenza e per qualcuno persino sbagliate, ma è ammirevole come Paolo dimostri che per affrontare un problema sia necessario spogliarsi di tutto quel facile e stupido perbenismo che ci fa chiudere gli occhi davanti agli enormi problemi che affliggono questo mondo. Ci mostra il cortile interno, dove organizza cene ed eventi, serate tranquille dove si mangia bene con poco, dove si parla, si discute e si prova a sensibilizzare la città alle problematiche di questa strada che, spesso, rispecchiano in piccolo le problematiche che tutte le città vivono. Paolo offre un luogo d’incontro nel mezzo del degrado e dell’abbandono, dove parlare e dove educare, offre qualcosa di incredibilmente necessario, uno spazio. 9 Fonte Osservatorio Nazionale Distretti Italiani. 10 Ufficialmente la città di Prato ospita 10.077 cittadini cinesi, ma si calcola tuttavia che i cinesi a Prato siano oltre 20.000. Fonte Wikipedia. 23
  • 28. 24 RECUPERIAMOCI! Momenti di una delle tante cene organizzata nello spazio sociale della casa dell’insostenibilità Paolo Massenzi in piena via PierCironi
  • 29. Streccapogn La ricostruzione delle filiere produttive è quanto di più sistemico e sostenibile si possa cominciare a fare in questo momento di crisi economica. Ricostruire una filiera significa andare ad integrare nel territorio il più possibile tutte le fasi di produzione di un prodotto, quindi andare a fare una ricerca storica, culturale e sociale della zona d’interesse, con l’obiettivo di portare uno sviluppo che impatti positivamente sul ter- ritorio, di conseguenza sull’ambiente e sulle persone. A Monteveglio, paese a pochi chilometri da Bologna, opera attivamente l’associazione Streccapogn con l’intenzione di proseguire il cammino avviato non molto tempo fa da alcuni cittadini per trasformare il paese in una transition town. Disattese le aspettative politiche che avrebbero sicuramente dato una spinta in più al processo di innovazione, le persone che ancora credevano nel progetto si sono rimboccate le maniche per far si che le cose cominciassero a cambiare così come loro volevano. L’impegno degli asso- ciati è costante ed intenso; parlando con Davide Bochicchio, uno degli associati più attivi nella realtà Streccapogn, si capisce quanto questo progetto parta dalla passione e da un bisogno concreto di una vita più salutare, basata su relazioni sociali e lavori eticamente corretti che diano un sostanziale contributo a tutta la comunità. Svolgendo una grande comunicazione prima e attività sul territorio poi, Streccapogn sta “ricostruendo” la filiera di prodotti alimentari che dalla terra arrivano sui banchi del mercato cittadino con l’obiettivo di produrre lavoro, meglio distribuito e più sostenibile. Le persone partecipano al pro- getto ed ai lavori come volontari e le maestranze coinvolte sono tra le più disparate; si parte per esempio dall’azienda agricola, primo attore della filiera che ha deciso di adottare metodi di coltivazioni biologici, al panettiere che vende il pane fatto con grano coltivato e macinato nei dintorni di Monteveglio (una delle scommesse più difficili del progetto), all’operatore sociale che si occupa della reintegrazione dei de- tenuti nella società consentendo loro di lavorare nei campi dell’associazione. Un’altro esperimento vede un possibile coinvolgimento di un ristorante all’interno del progetto, in modo tale da aumentare ancora le relazioni tra le varie attività presenti sul territorio e sensibilizzare così un più vasto numero di persone. Monteveglio non ha le sembianze di una transition town, girando per le vie si ha la sensazione di cam- minare in un tipico paesino dell’Emilia Romagna ma parlando con le persone che lavorano o che con le loro attività partecipano all’associazione si può notare come il percorso di transizione sia già in atto, in un modo più sottile ma molto più efficace che ha stimolato una presa di coscienza comune. Il connettere gli attori di un territorio all’interno della filiera crea la base per una convivenza sana e felice, portatrice di ricchezza distribuita e sviluppo sociale. L’opera di Streccapogn è sicuramente una delle più vicine all’approccio sistemico che abbiamo incontrato, data la profonda spinta riformativa che ha il progetto e la volontà forte di riportare la sana cultura impren- ditoriale e l’amore per il territorio alla base di qualsiasi pianificazione. 25 Il grano coltivato dall’associazione Streccapogn Particolare del banco dell’associa- zione al mercato cittadino Uno dei campi in cui lavorano i ragazzi di Streccapogn Il pane realizzato con la farina del grano coltivato
  • 30. Open Source a Verona Il Veneto, si sa, è sempre stata tra le regioni più industrializzate e più ricche d’Italia. E’ vero che l’impren- ditoria veneta ha sofferto enormemente la crisi essendo, come il resto d’Italia, maggiormente caratterizzata da piccole e medie imprese spesso a conduzione familiare, ma è altrettanto vero che lo spirito di iniziativa non è mai mancato in questo territorio e, con risultati eccellenti, si sta rispondendo alla crisi in maniera adeguata. Siamo arrivati a Verona per intervistare l’appena nato Fablab di cui abbiamo già parlato e Walter Franchet- ti, informatico intraprendente esperto di open source e promotore di numerose start-up. Open source (termine inglese che significa codice sorgente aperto), in informatica, indica un software i cui autori (più precisamente i detentori dei diritti) ne permettono e favoriscono il libero studio e l’apporto di modifiche da parte di altri programmatori indipendenti. Questo è realizzato mediante l’applicazione di apposite licenze d’uso11 . Una delle molte domande che ci siamo posti durante la nostra ricerca è come l’approccio sistemico può aderire alla realtà che viviamo ogni giorno, come questo cambiamento può essere spiegato ad ogni persona che lavora e vive nei più disparati contesti sociali, economici e territoriali. Internet è sicuramente una delle chiavi per spiegare a una grande fetta della popolazione come può funzionare il modello sistemico nella nostra società e, soprattutto, come può cambiarla e renderla migliore. Un programma rilasciato in licenza Creative Commons12 da la possibilità all’utente di modificare il pro- gramma stesso in modo da renderlo più consono ai propri bisogni specifici; questo, applicato ad una catena di produzione o ad esempio a delle leggi, consente di adattare le esigenze delle aziende con quelle del territorio, facendo si che si crei un equilibrio. Ovviamente la standardizzazione ha aiutato molto allo sviluppo della nostra economia e della nostra so- cietà, ma è necessario non dimenticare che la diversità e la peculiarità sono, spesso, la ricchezza più grande. Ogni comunità avrà la propria cultura, meritevole di rispetto, che dovrà rispettare delle norme comuni ma che dovrà avere la possibilità di conservare e custodire la propria identità. Quindi, è proprio per questo che siamo interessati all’open-source e al mondo che ci gravita attorno, in quanto crediamo nelle potenzialità di un approccio aperto per una diffusione più capillare dei concetti dell’approccio sistemico. Quello che ci spiega Walter è proprio come la sostenibilità possa essere veicolata anche attraverso concetti informatici e tecnologici, ed è per questo che in un percorso di rinnovamento sistemico bisogna avvalersi di strumenti innovativi, di internet e della divulgazione attraverso le nuove pratiche legate all’utilizzo della rete internet. La visione di un informatico è preziosa per una comprensione più vasta di cosa serve a questo cambia- mento, in quanto proprio il mondo di chi lavora prettamente con circuiti e tecnologia sembra essere così distante dalla sostenibilità, anche perchè è utile sapere il costo immenso che l’industria dei computer ha in termini di inquinamento. Le soluzioni ci sono, se solo si uscisse dalla spirale di consumo e smaltimento continuo necessario all’e- conomia, la cosiddetta obsolescenza programmata, ossia la programmazione della vita dei prodotti indu- striali in modo da far si che durino il meno possibile così da garantire un ricambio e nuove vendite. Walter ci parla degli hackathon (termine composto da due temini hacking e marathon), eventi al quale 11 Fonte: Codice Libero (Free as in Freedom) Richard Stallman e la crociata per il software libero - Sam Williams - prima edizione nella collana “Cultura Digitale”- 2003. 12 Creative Commons (CC) è un’organizzazione statunitense non profit dedicata ad ampliare la gamma di opere creative disponibili alla condivisione e all’utilizzo pubblico in maniera legale. Rende possibile il riuso creativo di opere dell’ingegno altrui nel pieno rispetto delle leggi esistenti. 26
  • 31. partecipano, a vario titolo, esperti di diversi settori dell’informatica: sviluppatori di software, programma- tori e grafici web, in cui si propongono idee per la realizzazione di un software, anche se c’è un numero crescente di esempi per i quali gli eventi assumono invece obiettivi didattici e sociali. L’idea di Walter è quella di hackathon diffusi, su sempre più argomenti di interesse generale e in tutte le città, in cui i partecipanti trovano soluzioni immediate o a lungo termine per i problemi, grandi e piccoli, della zona, della città o del territorio. Ci sono già esempi di incontri organizzati con queste intenzioni, ma è affascinante pensare che oltre alle classiche riunioni e assemblee che spesso si tramutano in risse infruttuose, si diffondano sempre di più buone pratiche di confronto e coordinazione, per un pacifico lavoro comunitario. 27
  • 32. Cascina Cuccagna La penultima tappa del nostro viaggio di ricerca ci porta a Milano, secondo comune per numero di abi- tanti e costituisce il centro di una delle aree metropolitane più popolate d’Europa13 . Fin dalla rivoluzione industriale il capoluogo lombardo si è via via ritagliato il ruolo di capitale economica italiana, diventando il maggiore mercato finanziario, fucina di innovazione e apripista per le nuove tendenze e le mode. E’ una città storicamente meta di immigrazione, sia interna che estera, a Milano esistono università blaso- nate e all’avanguardia e centri studi importanti, la forte impronta industriale ne ha fatto una città ricca e affollata, ma ha anche oscurato quel lato storico che ne delinea i contorni sin da quando era Mediolanum, città romana crocevia di scambi e commerci col resto d’Europa. Sarà la vocazione innovativa e recettiva che questa città ha sviluppato negli anni, ma qui si possono trovare iniziative interessanti di ogni tipo, ad esempio noi cercavamo qualcuno che si occupasse di sostenibilità ri- uscendo ad integrarla col tessuto urbano e creando quel dialogo necessario allo sviluppo del cambiamento; ed è per questo che ci siamo ritrovati vicino a Porta Romana, tra i palazzotti bassi e le vie sempre troppo colme di macchine. Da fuori non ci si rende conto subito di che posto sia, sembra un normale palazzetto a due piani di qual- che secolo fa, di quelli che riempiono i centri storici di tantissime città italiane, larghe mura puntellate di finestre e un grosso portone di legno incastonato in un arco che sa di ‘700. La sorpresa la si prova quando si entra dentro Cascina Cuccagna, quando il traffico diventa un sottofondo lontano e la grande corte si colora di voci, profumi e del verde del prato che fa da sfondo. Affacciati sul cortile trovi un ristorante, una bottega di prodotti biologici, una piccola falegnameria e un orto, stanze per esposizioni temporanee e altre che comporranno l’ostello di prossima apertura. Emanuela Plebani, responsabile della comunicazione di Cascina Cuccagna, ci racconta di come nel 2005 un consorzio di associazioni abbia strappato al degrado e all’abbandono questa tenuta e dopo i lavori di ristrutturazione abbia avviato questo progetto di riqualificazione urbana. Sarà la posizione invidiabile, praticamente attaccata alle mura della vecchia Milano (zona Porta Romana), sarà che negli anni si è inse- rita ad esempio nelle tappe del Fuori Salone ospitando esposizioni interessanti, sarà che cavalca l’onda del biologico e della filiera corta, in ogni caso Cascina Cuccagna è un posto da visitare e un progetto da cono- scere; è un ottimo esempio di recupero e riqualifica di uno stabile storico abbandonato, trasformandolo in un polo importante per la città, sia a livello culturale, sia a livello ambientale. Le grandi città hanno bisogno di spazi dove far sorgere orti didattici, fondamentali per far crescere i bambini non totalmente disconnessi dalla natura, spazi per capire che la buona cucina deve essere legata a doppio filo col territorio, spazi, insomma, dove godere per un attimo della tranquillità e della pace che tanto mancano nelle frene- tiche città di oggi. Cascina Cuccagna nasce come progetto comunitario che vive di relazioni tra chi gestisce un’ attività all’interno ma anche tra la cascina stessa e la città, unisce varie associazioni in un progetto sviluppato per riprendere uno spazio che il quartiere di Porta Romana stava perdendo. Ora è uno spazio accessibile dove portare avanti iniziative e attività, dove seguire seminari, incontri e vari workshop interessanti. La cascina ospita ogni settimana un mercato dove confluiscono alcuni contadini delle zone attorno a Milano; inoltre si è munita di una compostiera automatica che dagli scarti del ristorante crea la terra per l’orto che occupa parte della grande corte. Cascina Cuccagna si occupa principalmente di eventi culturali e sviluppo sociale veicolando, in questo modo, messaggi e azioni di sensibilizzazione riguardo la sostenibilità ambientale, infatti è da sottolineare la presenza di un orto didattico, un mercato a chilometro zero nel centro di un città storicamente vota- 13 dati OCSE 28
  • 33. ta all’industria come Milano. Vedere come un progetto complesso come questo riesca ad andare avanti dimostra che anche iniziative di recupero architettonico, sviluppo sociale e diffusione culturale possono funzionare. Mettendo insieme attività certamente remunerative, come un buon ristorante e un ostello vicino al centro di Milano, con attività culturali, educative e sociali, Cascina Cuccagna ha ottenuto un risultato notevole e esemplare, portando un guadagno sia al quartiere che alla città stessa. 29 Veduta aerea in fisheye di Cascina Cuccagna Giardino Interno del ristorante Il giardino con zona ristoro Una delle sale interne allestita per una mostra La falegnameria
  • 34. Grow The Planet “Grow the Planet è il social network dedicato a chi ama il cibo buono e sano, a chi ha l’orto o a chi sem- plicemente vuole imparare, in modo semplice e divertente, come coltivare un po’ di quel che mangia.” Così si presenta Grow The Planet, social network nato nel 2011 da un’idea di Gianni Gaggiani con l’o- biettivo di mettere in contatto tutte le persone interessate alla cura dell’orto; una parte funziona come un diario che ti segue passo passo dalla posa dei semi fino alla raccolta, dandoti consigli anche su come cucinare i tuoi prodotti, un’altra parte è quella di social network vero e proprio che, grazie anche alla ge- olocalizzazione, ti permette di metterti in contatto con altri utenti attorno a te. Il cuore di tutto il sistema è appunto la possibilità di poter strutturare il tuo orto, quasi come un gioco, inserendo ortaggi e frutta e poterne seguire la crescita nella vita reale sfruttando i consigli che la piattafor- ma ti da. Gianni è disponibile, allegro e spiega con passione le proprie idee; racconta tutto il percorso che l’ha por- tato a costruire una start-up tra le più promettenti d’Italia e a partecipare al TechCrunch Disrupt 2011, l’evento dedicato alle startup più importante del pianeta. Grow The Planet è ormai una realtà, seguita da milioni di utenti e con un fatturato crescente che promette evoluzioni interessanti, che mira, giustamente, ad un totale auto-sostentamento e ad una partecipazione sempre più capillare; seguiremo con interesse il suo cammino, sperando che aiuti le persone a capire l’im- portanza della coltivazione, del cibo genuino, della provenienza di ciò che mangiamo e che l’agricoltura, anche in piccolissima scala, porta con sé un bagaglio di consapevolezza che solo la terra può raccontare; perchè ogni frutto o ortaggio che piantiamo, curiamo e cogliamo è un passo in avanti verso una totale coscienza di ciò di cui abbiamo bisogno. Essendo un social network, Grow The Planet, è inscindibile dalla comunità che ha creato e che va am- pliandosi, che usa la piattaforma anche come mezzo di comunicazione per veicolare informazioni, atti- vismo e scambio di idee. Uno strumento utilissimo non solo per chi ha la passione per l’orto, ma anche un mezzo accattivante per avvicinare tutte quelle persone che cominciano ad interessarsi al buon cibo, alla coltivazione e, speriamo sempre di più, alla sostenibilità. Coltivare un orto non sempre è sinonimo di sostenibilità ambientale, ma va detto che Grow The Planet consiglia sempre concimi naturali e nessun additivo chimico. Sono piccole cose che contribuiscono a far crescere negli utenti del social network e nelle persone la consapevolezza e l’importanza del ritorno ad una lentezza e sapienza che sappiamo tutti essere la miglior cura per un ambiente già pesantemente provato. Nel 2012 la società ha fatturato più di 150.000 € che, per una start-up praticamente appena nata è un ottimo risultato. Grow The Planet è un’ottima idea, ben strutturata e con un potenziale enorme, oltre ad auto-sostenersi, cosa fondamentale per la salubrità di un azienda, può veicolare molti altri processi eco- nomici virtuosi a livello locale; per esempio attraverso la formazione di gruppi d’acquisto e incontri tra le comunità vicine. Grow The Planet è innovativo come concetto; unire la piattaforma virtuale a qualcosa di profondamente pratico come l’agricoltura è stato un colpo di genio. Inoltre, cercando all’interno della piattaforma, si possono trovare articoli riguardanti ad esempio la permacultura, innovazione coltiva antica e sempre nuova e la possibilità di consociare le piante nell’impostazione dell’orto, a sottolineare che l’innovazione non passa solo dalla tecnologia ma anche nello studiare e sperimentare nuove tecniche, in questo caso, di coltivazione. 30
  • 35. 31 A destra Gianni Gaggiani Homepage del sito growtheplanet.it
  • 36. IL RUOLO DELLA RETE 32
  • 37. Nell’era dei social network, grazie ad internet ormai accessibile da chiunque sia tramite computer sia tra- mite cellulare, è diventato di fondamentale importanza creare una rete di persone che condividono idee e progetti. Già agli inizi degli anni ottanta Richard Stallman lavorava sulla sua teoria dell’ “open source14 ” nell’ambito della programmazione software. In quegli anni le grandi aziende che operavano in campo informatico vendevano a costi elevati i loro pro- dotti, negando la possibilità di modificarli in modo tale da assicurarsi una continua richiesta di mercato a lungo periodo. L’idea di Stallman invece era quella di rendere libero il codice sorgente dei programmi in modo tale che i fruitori potessero modificarli e adattarli alle proprie esigenze. Questa teoria ha portato alla creazione di GNU Linux, un sistema operativo a “sorgente aperta”15 nato dalla collaborazione di più perso- ne. Nel tempo l’idea open source è stata trasdotta e assimilata nel pensiero di molti progettisti che in altri settori mettono a disposizione le proprie idee o intuizioni per arrivare a realizzare un progetto cooperando con più persone. Nel caso il progetto sia già stato concretizzato, il trend è di renderlo scalabile per un altro contesto. Questo è possibile solo tramite la tessitura di una rete che può nascere sia nel modo reale che in internet, strumento che oggigiorno consente di divulgare o reperire informazioni da più fonti ad una velocità impressionante. In questo periodo prendono vita sempre più progetti condivisi in cui persone con diverse competenze cooperano in modo tale da mettere a disposizione del gruppo le proprie conoscenze per raggiungere una meta comune. Piccoli esempi di quanto detto possono essere le associazioni cittadine che operano nel contesto sociale, i fablab o ancora gli spazi di co-working dove più realtà di ambiti diversi lavorano in uno spazio comune con la possibilità di cooperare colmando così una le mancanze dell’altra. Traslando questi concetti in ambiti più complessi, come le filiere produttive, le grandi realtà che forni- scono beni o servizi cooperando tra loro in modo tale da rendere più efficienti le filiere, aumentando il tasso di riciclo o riutilizzo degli scarti di produzione e dei prodotti a fine vita, possiamo parlare di design sistemico e economia blu (blue economy)16 . Teorizzata dall’imprenditore ed economista Gunter Pauli, l’economia blu è una forma di economia a cascata pensata per potersi rigenerare da sola per raggiungere l’obiettivo di una crescita ecosostenibi- le, puntando sull’innovazione, intesa come cambiamento generato dalla condivisione delle conoscenze. Come in un ecosistema o in un organismo vivente, si crea una rete di attori in relazione tra loro in grado di autogenerare nuovi processi alimentati dalle diverse collaborazioni insite nel sistema, in cui gli output di un elemento diventano input per un altro. Questa forma di economia non richiede più investimenti per salvaguardare l’ambiente, anzi con minore impiego di capitali è in grado di creare maggiori flussi di reddito e di costruire al tempo stesso capitale sociale. Nell’economia lineare, invece, terminato il consumo termina anche il ciclo del prodotto che diventa rifiuto, alimentando la catena economica e riprendendo continuamente lo stesso schema: estrazione, produzione, consumo, smaltimento. Per contrastare lo schema dell’economia lineare, il 2 luglio 2014 la Commissione Europea ha approvato l’adozione di un modello di economia circolare che pone al centro la sostenibilità del sistema produtti- vo, in cui non ci sono prodotti di scarto e in cui le materie vengono costantemente riutilizzate. Questo modello purtroppo è basato solo sulla produzione di beni materiali non tenendo conto dell’impatto, delle relazioni e del benessere sociale. Tutto questo però non pone rimedio ad uno dei meccanismi più dannosi e più impattanti alla base dell’economia lineare: l’obsolescenza programmata dei prodotti17 . E’ vero 14 Fonte: Codice Libero (Free as in Freedom) Richard Stallman e la crociata per il software libero - Sam Williams - prima edizione nella collana “Cultura Digitale”- 2003 15 La sorgente, in temini informatici, è il codice elaborato in modo da rendere un programma eseguibile dal processore del computer. 16 Fonte “The blue economy: 10 years, 100 innovations, 100 million jobs” - Gunter A. Pauli - Edizioni Ambiente, 2010-2014 17 in economia industriale è una politica volta a definire il ciclo vitale (la durata) di un prodotto in modo da renderne la vita utile limitata a un periodo prefissato. Il prodotto diventa così inservibile dopo un certo tempo, oppure semplicemente “fuori moda”, in modo da giustificare l’entrata nel mercato di un modello nuovo. 33
  • 38. che l’adozione di un modello di economia circolare potrebbe introdurre una serie di cambiamenti a livello culturale, è un primo passo ma non è ancora abbastanza. Quella blu o sistemica è una forma di economia collaborativa, che mette al centro non tanto la proprietà e il prodotto in quanto tale, ma la relazione tra i diversi soggetti e tra le diverse fasi produttive. Lo scopo della nostra ricerca è stato proprio quello di intercettare in territori differenti tutte quelle piccole realtà che dal basso iniziano a mettere in pratica questo modus operandi avvicinandosi ai criteri del design sistemico. Parliamo quindi di iniziative molto piccole ma strettamente legate al territorio in cui operano, la cui capacità è quella di riuscire ad utilizzare in modo virtuoso le risorse a loro disposizione, siano esse umane, ambientali, economiche o energetiche. Singole persone o realtà che collaborando tra loro instau- rano una serie di rapporti tali da creare una rete sia nel mondo reale che nel world wide web in grado di auto-rigenerarsi. Quali sono i luoghi in internet dove condividere informazioni o creare una rete? Negli anni il mondo di internet è cambiato notevolmente, se prima era un qualcosa per poche persone con minime conoscenze di informatica che comunicavano in chat talvolta ostiche, oggi l’accessibilità a queste chat è alla portata di tutte le persone di diverse fasce d’età. In aggiunta, le vecchie chat si sono evolute in software più completi e interattivi, come i blog o i social network che oltre alla funzione di inviare mes- saggi offrono la possibilità di condividere articoli, foto, video e qualsiasi altro tipo di file si possa trovare in internet. Ciò consente di far veicolare le informazioni ad un numero molto vasto di persone che a loro volta condivideranno altri articoli, in un continuo vortice che attrae verso di se altri utenti. In questo modo si inizia a tessere una rete di persone competenti o appassionate a determinati argomenti che, come in un organismo vivente, auto-genereranno la rete con altre informazioni in modo tale da tenerla sempre viva e dinamica. Questo è facilitato dal fatto che ad oggi internet è diventato parte della vita di tutti i giorni, i vari paesi del mondo si sono dotati delle strutture necessarie per far si che gli abitanti ne possano usufruire. Il sito Wired.com ha effettuato una ricerca su quanto internet sia utilizzato nelle varie nazioni europee, da cui si evince che più dei due terzi degli abitanti di molte nazioni ne usufruiscono. Tra siti di enti statali o privati, giornali o riviste, negozi online l’uso che si può fare del web è veramente infinito. Può essere sia un facilitatore di processi che una grande fonte di informazioni, oltre che, con 34
  • 39. l’avvento dei social network, un grande strumento di comuicazione tra persone. Come possiamo vedere sempre dalla ricerca effettuata da Wired, ad oggi quasi la metà delle popolazioni europee fa uso dei social media. Dal 1997 ci sono stati diversi social network che come il web si sono evoluti in diverse forme e tipologie a seconda degli obiettivi e delle categorie di interesse dei fruitori, tra queste possiamo trovare lavoro, musi- ca, foto professionali o semplicemente finilità sociali generiche. In quest’ultima categoria rientra Facebo- ok, uno dei social network più utilizzati al mondo e in Italia. Ogni giorno migliaia e migliaia di utenti si connettono per gli scopi più disparati, dalla semplice messaggistica alla condivisione di immagini, pensieri o informazioni in generale prese da altri siti. Testate giornalistiche, associazioni, organizzazioni, enti statali o privati, politici ed in generale tutto ciò su cui può essere generato un profilo da presentare al mondo può far parte di Facebook e tutte le informazioni condivise nel mondo, spesso, passano all’interno di questo social network. 35
  • 40. Sustainable Making - il primo step Le sopracitate caratteristiche dei social network, se usate in modo appropriato, rappresentano la risposta ad un preciso bisogno, fare rete. Durante il viaggio di ricerca in Brasile abbiamo avvertito sempre più l’e- sigenza di condividere e divulgare le nostre esperienze e ciò che stavamo apprendendo. Ci siamo accorti che il nostro lavoro, composto da reportage e video-interviste riguardanti diversi luoghi in cui si applicano pratiche sostenibili a livello ambientale, sociale ed economico meritava di essere divulgato a persone che come noi sono appassionate e lavorano su questi temi. La risposta l’abbiamo trovata in Facebook, il social network più utilizzato al mondo. Quando una persona entra a far parte di Facebook, automaticamente si inserisce in una rete mondiale di persone che lo utilizzano e, tramite alcune funzioni come quella di creare una propria pagina, qualsiasi utente può iniziare a costruire la propria rete di persone, che diventa così una rete contenuta in una rete di maggiori dimensioni. La creazione della pagina facebook Sustainable Making è stato il primo passo per lo sviluppo del progetto. Grazie a questa funzione abbiamo inizialmente condiviso il lavoro avviato in Brasile sotto forma di video- interviste e articoli che spiegavano le attività svolte dalle varie persone incontrate durante il viaggio, a cui si è aggiunto il materiale elaborato in un secondo tour che da Roma ci ha portato fino a Torino, in modo tale da poter fare sia un’attività di confronto tra i due paesi visitati sia una divulgativa. Abbiamo iniziato anche a “postare” aneddoti di alcuni designer come Papanek o di pensatori come Capra, accompagnati da immagini metaforiche in modo tale da far assimilare agli utenti il pensiero del design sistemico, oltre che divulgare articoli che per esempio esplicavano i disastri provocati dall’utilizzo degli OGM o delle nuove frontiere architettoniche per far si che le città diventino più sostenibili. In questo modo abbiamo ottenuto una sorta di diario della nostra tesi, aggiornato di giorno in giorno esplicando gli intenti del lavoro e con- diviso con la rete per far si di attrarre quante più persone sensibili ai temi trattati. Ogni tappa del viaggio intrapreso sia in Brasile che in Italia è stata recensita e messa in rete quasi in tempo reale è ed stato molto 36
  • 41. stimolante vedere la rapidità dei fedback dati ai nostri post. Un altro intento della creazione della pagina è quello di far in modo che i soggetti delle varie video-interviste possano conoscersi per mettersi in rete tra loro, scambiando informazioni o collaborando. I risultati sono stati da subito soddisfacenti, un elevato numero di persone ha iniziato a conoscere e a far conoscere Sustainable Making ed il progetto assumeva contorni sempre più definiti. Grazie a questa pic- cola rete siamo stati in grado di avviare un progetto di crowdfunding18 tramite cui abbiamo reperito dalla rete dei fondi per affrontare il viaggio in Italia. Questa iniziativa è stata accompagnata da un trailer che racchiudeva vari spezzoni dei mini-documentari girati in Brasile e messo in rete sia sulla nostra pagina che in Trevolta.it, un sito italiano di crowdfunding. Per quanto stesse funzionando ci siamo subito resi conto però che fermarsi alla sola pagina Facebook sa- rebbe stato controproducente ed i suoi limiti si sono subito palesati. Primo fra tutti era proprio il metodo utilizzato per creare la rete, poco efficiente in quanto il numero di persone che si riusciva a raggiungere era limitato e difficile da far aumentare, a questo va aggiunto che la pagina facebook ha un sistema di interazione molto limitato. In genere la pagina viene intesa come uno spazio personale, come un diario di cui si vogliono svelare i contenuti. Quanto detto rendeva l’esperienza della sola pagina facebook poco attraente e non soddisfaceva in toto le nostre esigenze, necessitavamo di un dialogo, un confronto con le persone della nostra rete che a questo punto doveva essere più autonoma ed in grado di autorigenerarsi. 18 Il crowdfunding (dall’inglese crowd, folla e funding, finanziamento) o finanziamento collettivo in italiano, è un processo collaborativo di un gruppo di persone che utilizza il proprio denaro in comune per sostenere gli sforzi di persone e organizzazioni. È una pratica di micro-finanziamento dal basso che mobilita persone e risorse. Sustainable Making network La risposta a questo problema l’abbiamo trovata un’altra volta in Facebook con la creazione di un gruppo, Sustainable Making Network. I risultati sono stati evidenti fin da subito. A questo livello tutti gli utenti che avevano condiviso la nostra pagina sono entrati a far parte del gruppo ed a loro si sono aggiunte persone giorno per giorno. Abbiamo così centrato l’obiettivo, la rete ha iniziato a generarsi e autorigene- rarsi, ad un nostro “post” seguivano condivisioni e commenti di altri utenti; c’è stata la vera occasione di confronto, ad un articolo da noi condiviso diverse persone esprimevano le loro idee, consensi e non ed il risultato più sorprendente è stato che gli appartenenti al gruppo hanno iniziato a loro volta a condividere articoli di interesse comune. Tutto il materiale di ricerca da noi elaborato sotto forma di video-interviste e articoli presentato nella pa- gina facebook che era diventata una sorta di diario della tesi è stato ricollocato all’interno del gruppo. In questo modo abbiamo avuto non solo la possibilità di divulgare il nostro lavoro ma anche l’opportunità di discuterne con la rete che si è venuta a formare composta da un gruppo eterogeneo di persone esperte o appassionate in diversi campi quali la progettazione, la programmazione informatica, l’arte, la perma- cultura, l’economia, associazioni cittadine e quant’altro possa avere un nesso con il nostro lavoro. Grazie a questo metodo ed a una comunicazione più attiva siamo riusciti a tessere contatti e collaborazioni con gli stessi utenti della nostra rete già conosciuti attraverso la pagina facebook. Non si è trattato più solo del nostro lavoro ma bensì del lavoro di un’intera rete di persone che in un luogo immateriale ha condiviso le proprie idee ed esperienze portate avanti nella vita di tutti i giorni. Obiettivo fondamentale del nostro la- voro è quello di mostrare come, a dispetto di metodi di sfruttamento delle risorse naturali e umane sempre più aggressivi e dannosi, in diverse parti del mondo gruppi di persone portano avanti pratiche 37
  • 42. sostenibili dal punto di vista ambientale, sociale ed economico; c’è chi lo fa per raggiungere l’autosufficien- za ed essere indipendente e chi per raggiungere uno stile di vita più consono alla situazione di emergenza e crisi a cui dobbiamo far fronte nel prossimo futuro, che sia in Italia, Brasile o in qualsiasi altra parte del mondo. Dare spazio a queste realtà è di vitale importanza, fa intendere quanto sia sentita, in più parti del globo, l’attuale situazione di crisi delle risorse naturali, del lavoro e dei sistemi sociali e mostra quanto sia possibile cambiare senso di marcia partendo dal basso, con le proprie azioni. All’interno del gruppo a parlare sono le stesse persone che attivano progetti e si adoperano per il cambiamento, persone comuni come tutti gli altri appartenenti alla rete, facilmente raggiungibili e molto disposte al dialogo senza uso di intermediari, senza appuntamenti o agende piene e tutto ciò, a dispetto della lontananza che può esserci tra gli utenti, paradossalmente non fa altro che avvicinarli. I vari articoli presi da giornali online o altri siti servono solo da contorno, aiutano a riflettere e a far veicolare determinati messaggi, i veri attori del grup- po sono i partecipanti, le persone. Un buon esempio di quanto citato fin’ora può essere il progetto Uma Quinta Na Cidade, avviato a Curitiba. In quella che è una delle città più sostenibili al mondo, Eduardo e Débora Feniman hanno avviato un progetto di parmacultura cittadino in grado di fare rete sia all’interno del quartiere, estendendosi a buona parte della città con rapporti che prevedono chiese, centri alimentari fino ad arrivare alle università. Alla crescita del progetto è corrisposta la crescita della rete di persone col- legate che ormai comprendeva buona parte del Sud America e dell’Europa ed in un momento di bisogno c’è stato l’aiuto di tutte le persone. Ciò è stato possibile grazie ad una mailing list che comprendeva tutti coloro che in qualche modo avevano avuto a che fare con il progetto e che avevano fatto rete. Oggi Uma Quinta Na Cidade prevede anche dei programmi di workshop dove si insegnano la filosofia e le pratiche utilizzate e non è strano vedere persone di altri continenti parteciparvi. Una collaborazione che ci ha riguardato in prima persona è stata quella instaurata con Casa dell’Insoste- nibità, associazione nata a Prato e che si occupa di recupero sociale. Abbiamo conosciuto il fondatore di questo progetto durante il viaggio di ricerca in Italia e abbiamo continuato a discutere con lui su alcuni temi e progetti, fino ad arrivare ad organizzare insieme un workshop di auto-costruzione nella sua sede. L’evento è stato presentato sui nostri canali e in pochissimo tempo siamo stati in grado di organizzare il team di lavoro. Una volta incontratasi, questa rete di persone composta da eco-designers, artisti e architet- ti provenienti da tutta Italia in una settimana è stata in grado di rigenerare lo spazio-sede dell’associazione, tramite il recupero di materiali donati o talvolta recuperati dalla strada ancora in buone condizioni. Come di consueto giorno per giorno i progressi venivano condivisi sulla rete e commenti e consigli non hanno tardato ad arrivare. Questo è stato il primo grande risultato raggiunto da Sustainable Making. 38 Particolare dell’orto sinergico, in breve tempo ha iniziato a dare grandi soddisfazioni. In pieno centro cittadino L’ orto sinergico realizzato durante il workshop e la tettoia realizzata assemblando assi di legno scartate
  • 43. 39 Sgabello realizzato recuperando un cestello di lavatrice e piedi di comò Nel workshop è stata anche curata la parte relativa alle pareti che delineano il giardino. Possiamo vedere ancora i lavori in corso e altri oggetti come i tavoli e i bicchieri realizzati sempre con materiali di recupero Sgabello realizzato con case di pc buttati e seduta in pallet verniciato
  • 44. Sustainable Making.it Alla fine del nostro viaggio di ricerca il numero delle realtà analizzate e schedate è diventato considerevole e difficile da gestire all’interno della pagina e del gruppo facebook. Ci siamo accorti che le informazioni riguardanti i luoghi da noi visitati erano difficili da rintracciare sia da parte nostra che da qualsiasi altro utente fosse interessato, tanto che col tempo potevano perdersene le tracce. Pensare ad un database o ad un qualcosa di simile che potesse contenere le informazioni dei soli posti visitati e usufruibile anche dalla nostra rete sarebbe stato più efficace e avrebbe supportato al meglio i ruoli svolti dalla pagina e dal gruppo. Abbiamo pensato che un sito o un blog sarebbe stata la giusta soluzione al nostro problema, ma quale usare tra i due? Il sito è di più difficile costruzione, ha una parvenza un po’ più istituzionale ed ha una struttura abbastanza statica che rende più difficile l’aggiornamento dei contenuti. Il blog ha una costruzione più facile, è pensato come uno spazio dove oltre a mostrare le proprie idee o lavori possono generarsi delle discussioni ed è dotato di una struttura più dinamica. Abbiamo deciso di utilizzare quest’ultimo in quanto è più affine alla nostra idea di database, che può es- sere aggiornato in un modo più semplice e intuitivo e dotato di un sistema di ricerca più selettivo. È nato così sustainablemaking.it. Che ruolo svolgono quindi i vari strumenti utilizzati durante lo sviluppo del progetto? -La pagina facebook è una sorta di vetrina dove rendere pubbliche notizie, lavori o eventi da noi svolti, in modo da darne una risonanza ed attrarre persone interessate. -Il gruppo facebook è il luogo dove vengono generati contenuti, discussioni, pubblicazioni, aggiorna- 40