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L’euro rischia di scomparire ?
Nel contrapporre “parsimoniosi” e “lassisti", l’Europa si è rinchiusa in una narrativa sterile, al
contempo falsa, sotto il profilo storico, e distruttiva, sotto quello politico. Per uscirne, occorre
tornare ai valori comuni del progetto europeo. La gravità della crisi attuale impone una visione
rinnovata che, paradossalmente, potrebbe spianare la strada verso l’Europa politica.
L’Europa delle cicale e l’Europa delle formiche.
Lo scorso marzo, alle prime avvisaglie della crisi sanitaria in Europa, il ministro delle finanze
olandese Wopke Hoekstra suggeriva di "indagare su Paesi come la Spagna, che sostengono di non
disporre di spazi di bilancio per far fronte alla crisi del coronavirus, contrariamente a quanto la
zona euro aveva creduto da sette anni a questa parte."1
Questo discorso assai deludente pone la domanda sbagliata sul futuro della zona euro. Il dibattito
sulla mutualizzazione del debito all’interno della zona non è affatto nuovo, e continua ad
avvelenare una buona parte dei rapporti tra i Paesi dell’Unione da molti anni. Con la necessità di
nuovi finanziamenti per l’emergenza sanitaria, il dibattito ha ripreso slancio nelle ultime settimane.
Gli attori sono ben noti. Da un lato, gli Stati favorevoli all’indebitamento dell’Unione per finanziare
il suo sviluppo, e ai trasferimenti necessari alla sua stabilità. Tra questi troviamo soprattutto i Paesi
del sud dell’Europa, ma anche Irlanda, Lussemburgo e Belgio. Dall’altro, i Paesi cosiddetti
"anseatici" (Olanda, Svezia, Danimarca, Finlandia). Nel bel mezzo, Francia e Germania: la Francia,
più vicina al primo gruppo, e la Germania al secondo. Gli uni invocano la solidarietà in seno
all’Unione, gli altri dichiarano di non voler pagare i debiti dei Paesi considerati poco rigorosi.
Tuttavia, non di rado le critiche mosse ai Paesi lassisti risultano in realtà ingiustificate.
Prendiamo l’Italia. Troppo spesso si dimenticano gli sforzi considerevoli messi in campo dai
successivi governi italiani dagli anni 90 in poi per ridurre il debito pubblico ereditato dal decennio
precedente2
. Tra il 1995 e il 2019, l’Italia ha fatto registrare ogni anno un surplus primario, a
2
eccezione del 2009. In altre parole, anno dopo anno, le entrate pubbliche sono state superiori alle
spese, escluso il pagamento degli interessi sul debito. Nel medesimo arco temporale, la Germania
ha registrato un deficit primario nel 1995-1996, 2004-2005 e 2009-20103
. Persino nel 2012-13, in
piena crisi dell’euro, il governo di Mario Monti ha raggiunto un’eccedenza primaria del 2% del PIL
nel momento stesso in cui, nelle sue parole, l’austerità "stava distruggendo la domanda interna"4
,
aggravando la crisi.
Ma l’Italia non è stata soltanto parsimoniosa : in quegli anni è riuscita ad attuare una
liberalizzazione precoce del suo mercato del lavoro. La percentuale di lavoratori a tempo parziale
nella forza lavoro italiana passa dal
10% nel 1993 al 18% nel 2018,
contro il 22% in Germania quello
stesso anno5
. Se alla metà degli anni
1990 il mercato del lavoro italiano
garantiva maggiori protezioni
rispetto alla Francia, il suo livello
normativo oggi è più vicino al
regime tedesco, secondo l’OCSE6
.
Insomma, contrariamente a quello
che si dice spesso, l’Italia ha fatto
bene i suoi compiti.
E gli altri ?
L’indicatore principale è il rapporto tra debito pubblico e PIL. Lo sappiamo, questo valore è molto
più basso nei Paesi cosiddetti rigoristi (49% del PIL in Olanda, 33% in Danimarca nel 2019), rispetto
ai Paesi cosiddetti lassisti (133% in Italia, 96% in Spagna)7
.
Su questa base, i Paesi del sud dell’Europa (come pure i francesi e i belgi) vengono trattati da
irresponsabili. Ma il debito pubblico non basta a caratterizzare il comportamento più o meno
prodigo di un popolo, in quanto non si può non tener conto del debito delle famiglie, vale a dire
dei debiti contratti privatamente.
Il grafico ci mostra chiaramente che i debiti delle famiglie sono proporzionalmente molto più
elevati nei Paesi che si vogliono parsimoniosi rispetto ai Paesi accusati di lassismo. L’importante, a
questo punto, non è il carattere privato o pubblico della spesa, perché si tratta di una scelta politica
che ciascun popolo ha il diritto di fare sovranamente. Ciò che conta è sapere a quanto ammontano
i debiti che si contraggono (privatamente o tramite lo Stato) per poter spendere più di quanto si
produce.
In base a queste premesse, non si troveranno le cicale e le formiche là dove ci si aspettava. Le
famiglie dei Paesi "anseatici" (colonna nera) hanno tendenza a spendere ben oltre i loro introiti se
paragonati ai Paesi del sud (colonna bianca). E ancora, in ciascuno dei Paesi anseatici (colonna
Households debt in % of disposable income
« frugal » countries « lax » countries
Netherlands average f Sweden Finland Spain Greece average l ItalyDenmark
Verschuldung der Privathaushalte in % des verfügbaren Einkommens
« Sparsame » Länder « Leichtsinnige » Länder
Dänemark
Households debt in % of disposable income
Denmark
   « frugal » countries « lax » countries
Source : OECD
Danimarca Olanda Svezia Finlandia Portogallo Spagna Grecia ItaliaMedia r Media l
« rigoristi » paesi    « lassisti » paesi    
Debito delle famiglie in % del reddito disponibile
Fonte : OCSE
Paesi « parsimoniosi » Paesi « lassisti »
3
grigio scuro), le famiglie risparmiano di meno rispetto alle famiglie italiane così spesso utilizzate
come esempio di intemperanza.
Ma le cose non finiscono qui. La somma dei rapporti tra i debiti delle famiglie e il debito pubblico
per la media dei quattro Paesi anseatici si assesta al di sotto del 260%, rispetto al 220% degli altri
quattro Paesi analizzati (315 per la Danimarca, 290 per l’Olanda e 22o per l’Italia).
Non vogliamo fare in questa sede la contabilità dettagliata dei debiti di ciascun Paese per
analizzare la sua vulnerabilità: si tratta di confrontare i comportamenti. Da Aristotele a
Montesquieu, in tanti hanno screditato la presunta irresponsabilità dei Paesi del sud per esaltare
le virtù dei popoli nordici. Ripetuta all’infinito, quest’antifona si è tramutata in dogma
incontrastato e continua a condizionare negativamente la nostra vita in seno all’Unione.
Ma i numeri parlano chiaro : sulla scorta dei comportamenti non ci sono dubbi, i Paesi più virtuosi
non sono affatto quelli che vengono ritualmente sbandierati come tali. Lo stesso discorso vale per
il rischio di un indebitamento eccessivo, pericolo evidenziato dalla crisi dei mutui subprime. Anche
in questo caso, se vi sono rischi, non sono da ricercare esclusivamente nei Paesi che si è soliti
fustigare.
Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.
Se non ha molto senso mettere a confronto lassisti e parsimoniosi, questo esercizio tuttavia non è
scevro di conseguenze. Tale atteggiamento difatti consente di mascherare le cause profonde della
crisi che stiamo attraversando, facendo passare in secondo piano lo scopo principale del progetto
della moneta unica, che era appunto quello di favorire la convergenza economica.
La storia della zona euro nasce da un retaggio industriale difficile8
, le cui radici affondano nella
seconda guerra mondiale. Al momento dell’integrazione, alcuni Paesi, e in particolar modo la
Germania, disponevano di grandi aziende esportatrici e una forte specializzazione in prodotti ad
alto valore aggiunto. L’Atlante della complessità economica, pubblicato da Harvard, classifica i
Paesi in base all’eccellenza delle loro esportazioni e consente in questo modo di misurare le
differenze tra il centro e la periferia nel momento della creazione della zona euro. Nel 1995, la
Germania era al secondo posto tra le economie più complesse al mondo, la Finlandia al 5°, mentre
l’Italia era al 10° posto, la Francia al 16° e la Spagna al 19°9
.
I primi, pertanto, possono sottrarsi alla concorrenza spietata sui prezzi lanciata dalla Cina dopo il
suo ingresso nell’Organizzazione mondiale del commercio. Non così per i Paesi la cui industria è
votata a produzioni meno complesse. Per di più, l’apprezzamento dell’euro negli anni 2000 ha
aggravato la situazione. Ma soprattutto, come misurarsi nella concorrenza sui prezzi senza
distruggere il proprio tessuto sociale ? In Spagna, il costo orario della manodopera nell’industria e
nei servizi era di 14 euro nel 2000, contro i 5 in Polonia e l’1,5 in Romania10
.
L’eredità storica e tecnologica pertanto spiega molti degli squilibri della zona euro. Questo
svantaggio strutturale si accompagna a una deflazione competitiva in Germania e a una riduzione
volontaria delle importazioni, privando così gli vecchi partner commerciali di sbocchi per le loro
4
esportazioni. In realtà, la liberalizzazione del mercato del lavoro dopo le leggi Hartz è andata a
intaccare i consumi delle famiglie. Tra il 2000 e il 2007, il costo orario della manodopera in
Germania non è più cresciuto in termini reali11
, e la pressione sui salari ha fatto calare la
percentuale dei consumi delle famiglie nel PIL tedesco12
.
Allo stesso tempo, sono crollati gli investimenti industriali. Le entrate delle esportazioni non sono
andate se non in minima percentuale ai lavoratori e agli investimenti, e di conseguenza è
aumentato il risparmio13
. La pressione sulla domanda interna ha contribuito a innescare un serio
squilibrio nell’economia tedesca, che ha accumulato un surplus importante nella bilancia dei
pagamenti correnti. Da un deficit del 2% nel 2000, la Germania è passata a un’eccedenza del 7%
nel 200714
.
Questa situazione patologica è stata regolarmente condannata sia dalla Commissione europea che
dal FMI, il quale avvertiva, nel luglio del 2019, in termini diplomatici, che "il surplus della bilancia
dei pagamenti correnti in Germania riflette in parte il risparmio elevato delle imprese, l’aumento
delle disuguaglianze provocato dai redditi più alti, e l’affossamento dei consumi delle famiglie."15
Molti Paesi europei si ritrovano così stritolati in una morsa. Le loro esportazioni sono in calo per il
crollo delle importazioni tedesche, il loro sviluppo industriale non consente di ottenere una
produzione ad alto valore aggiunto e la competitività sui prezzi viene ridotta dalla concorrenza dei
Paesi dell’Europa orientale e della Cina, in particolar modo. La crescita grazie alle esportazioni non
è più una strada percorribile, e i Paesi del sud si sono rivolti, negli anni 2000, verso un’economia
spinta dal debito16
.
Questa scelta è stata facilitata dall’accumulo del risparmio in Germania, ma anche grazie ai tassi
di interesse molto bassi stabiliti dalla BCE. Nel 2005, il tasso di interesse della BCE era del 3,25%,
mentre l’inflazione in Spagna toccava il 3,4%17
, e l’1,6% in Germania18
.
Di conseguenza, il tasso d’interesse reale era negativo in alcuni Paesi della periferia, incoraggiando
l’indebitamento privato e la formazione delle bolle speculative. I prezzi dell’immobiliare in Spagna
sono raddoppiati tra il primo trimestre del 2000 e l’autunno del 200719
.
A causa dell’eccesso di indebitamento privato, dopo il 2008 alcuni Paesi si sono visti costretti a
salvare le loro banche, innescando di riflesso la crisi del debito sovrano, anche se tra il 2005 e il
2007 la Spagna, per esempio, aveva un surplus di bilancio20
considerevole e un debito pubblico di
molto inferiore a quello tedesco21
.
Ma torniamo all’Italia.
L’austerità introdotta sin dal 1995 si è accompagnata all’apprezzamento dell’euro, alla deflazione
competitiva in Germania e all’ascesa della Cina : una serie di circostanze che hanno ostacolato
l’Italia, intrappolandola in un circolo vizioso. In questo modo, la mancanza di domanda aggregata,
provocata dalla pressione salariale, ha portato a un indebolimento nell’utilizzo dello strumento
industriale, e di qui a uno sbriciolamento del margine delle imprese, che di riflesso hanno ridotto
gli investimenti. Questa scarsità di investimenti ha impedito all’Italia di rivalutare le sue produzioni
e sottrarsi così alla guerra dei prezzi22
.
5
Di conseguenza, malgrado tutti i suoi sforzi fiscali, in Italia il peso del debito non si è ridotto se non
modestamente, passando dal 105% nel 2000 al 100% nel 200723
, e questo ha incoraggiato il
governo a proseguire sulla strada dell’austerità, perpetuando così il circolo vizioso.
Dopo la crisi della zona euro nel 2010, le divergenze si sono accentuate a motivo delle politiche di
austerità, in parte sostenute dalla Germania. Nel settembre del 2011, Wolfgang Schäuble
pubblicava un editoriale nel Financial Times per spiegare che "i governi della zona euro e altrove
devono impegnarsi a ridurre il loro disavanzo e a migliorare la competitività – da questo stesso
istante."24
Nel frattempo, la situazione economica in Italia si è aggravata considerevolmente. La
disoccupazione giovanile è passata dal 25% negli anni 2008-2010 al 43% nel 2014. Tra il 2012 e il
2014, il numero dei poveri in Italia è cresciuto di 3,4 milioni. Allo stesso tempo, la Germania ha
approfittato della ripresa trainata dall’economia cinese : da 41 miliardi di dollari del 2007, le
esportazioni tedesche verso la Cina sono passate a 91 miliardi nel 2011. Sotto queste condizioni,
il circolo vizioso descritto sopra si è rinsaldato ancora di più25
.
Ed eccoci a fare i conti con il Covid-19. Le previsioni della Commissione europea per il 2020
suggeriscono che il coronavirus minaccia di aggravare questo sgretolamento macroeconomico e
annunciano il rischio di una recessione molto più pesante nei Paesi della periferia26
.
Se l’inerzia avrà la meglio, la zona euro, già profondamente squilibrata, rischia di superare il punto
di non ritorno. Questo è il senso del commento di Paolo Gentiloni, commissario europeo agli affari
economici e monetari, quando nel mese di maggio, in un’intervista con Bloomberg, dichiarava che
"tali divergenze sono un rischio per il mercato unico e per la zona euro."27
Alla fin fine, non restano
che due opzioni per la zona euro : o si ricompatta, oppure si scioglie.
La fenice può rinascere dalle sue ceneri.
Qui è in gioco la sopravvivenza della zona euro. Dopo un primo passo falso, la BCE si è lanciata
decisamente nella mischia. Il 18 marzo, ha varato un nuovo programma di sostegno ai mercati
finanziari, il PEPP28
. Abbinato ai vecchi strumenti del quantitative easing, questa misura evita la
dissoluzione dei mercati del debito sovrano. Il 5 giugno, il PEPP aveva acquisito oltre 230 miliardi
di euro di obbligazioni pubbliche e private, per un pacchetto totale disponibile di 750 miliardi29
.
La banca centrale ha inoltre eliminato parecchie limitazioni che ne intralciavano l’azione,
autorizzando per esempio l’acquisto di obbligazioni greche, benché segnalate come speculative
dalle agenzie di rating30
.
Questo sostegno è prezioso per l’Italia. Le agenzie di rating Fitch e S&P hanno entrambe approvato
l’appoggio della banca centrale come pilastro della sostenibilità del debito del Paese31
. Anche se
necessario, però, il sostegno della BCE non sarà sufficiente. Innanzitutto perché la BCE non ha
alcun mandato per sostenere direttamente l’economia dei Paesi della periferia e correggere le
6
divergenze macroeconomiche dell’Unione. Il suo compito è quello di intervenire per far fronte ai
rischi sui prezzi32
.
Nuove complicazioni provengono dalla sentenza emanata dalla corte costituzionale di Karlsruhe il
5 maggio 2020. Contro il parere della corte di giustizia europea (CGUE), il tribunale tedesco, per la
prima volta, ha invitato la BCE a fornire chiarimenti sui suoi programmi di sostegno monetario,
minacciando, in mancanza di spiegazioni soddisfacenti, di vietare alla Bundesbank di partecipare
a tali programmi. Senza addentrarsi nei particolari tecnici, occorre a questo punto tenere a mente
due cose.
Innanzitutto, per la prima volta, una giurisdizione nazionale non si piega a una decisione della
CGUE, e minaccia di rimettere in questione tutto l’ordinamento giuridico europeo. Si capisce
facilmente come certi regimi populisti dell’Europa centrale potrebbero avvalersi di questo
precedente per tentare di sottrarsi alle regole stabilite dall’Unione europea, soprattutto nel campo
dei diritti umani. Occorre urgentemente che la Commissione prenda in mano la situazione e non
lasci passare sotto silenzio l’iniziativa del tribunale di Karlsruhe.
Inoltre, per la prima volta, viene contestata l’indipendenza della BCE e, ironia del caso, questo
accade di nuovo in Germania. La BCE non dà segno peraltro di lasciarsi intimidire, ma è essenziale
che tenga duro33
.
Ad ogni modo, è probabile che la decisione di Karlsruhe non avrà conseguenze concrete. La BCE
potrà facilmente dimostrare che le sue misure sono state dettate dalle necessità del momento, il
che rientra pienamente nelle sue competenze.
Qualunque cosa accada, la politica monetaria non può arrivare dappertutto. Occorre una risposta
di bilancio. L’Unione europea ha già fatto molti passi in questo senso. Ha iniziato col sospendere
le regole di bilancio e schierato in campo i diversi meccanismi di cui dispone, in particolare il MES34
.
Si tratta di una risposta di prima linea, ma sotto il profilo economico il MESsi rivela insufficiente : i
suoi prestiti sono politicamente difficili da utilizzare da parte di quei Paesi che non vogliono essere
bollati come fallimentari.
L’aspetto positivo della sentenza di Karlsruhe sta nel fatto che, rinviando la palla ai singoli stati, il
tribunale ha costretto il governo tedesco a guardare le cose in faccia e questo chiama in causa
l’accordo franco-tedesco. Questo accordo segna una svolta nella politica della Germania. Per la
prima volta, l’idea di un prestito europeo e di una forma di mutualizzazione dei debiti acquista il
diritto di cittadinanza. E Angela Merkel, che nel 2012 aveva dichiarato la sua totale opposizione
alla mutualizzazione dei debiti europei35
, oggi sembra favorevole a questa soluzione.
Sull’onda degli eventi, il 27 maggio la Commissione ha proposto un pacchetto da 750 miliardi36
. Al
di là della cifra stessa, questa è una mossa molto importante perché ribadisce l’impegno alla
solidarietà europea. Meglio ancora, spalanca la porta alla raccolta, da parte dell’Unione, di risorse
fiscali proprie, un passo notevole verso l’integrazione. Benché siano ancora numerosi gli ostacoli
da superare prima che i finanziamenti vengano distribuiti, si scorge finalmente una luce in fondo
a un lungo tunnel.
7
La seconda mossa viene dal piano tedesco, anch’esso fortemente influenzato dal ministro delle
finanze Olaf Scholz e l’SPD. Questo piano rompe con il passato e punta a rilanciare consumi e
investimenti. Il Covid aveva già eliminato lo Schwarze Null (zero debito), simbolo dell’equilibrio di
bilancio, e adesso elimina lo Schuldenbremse (il freno all’indebitamento), in un Paese dove la sola
parola Schuld si traduce sia con debito che con colpa. Impossibile afferrare la psicologia tedesca
senza questa chiave di lettura.
Ma questi progetti, per quanto importanti, non bastano. Bisognerà rendere disponibili almeno due
trilioni di euro se vogliamo affrontare davvero la recessione e impegnarci realisticamente nella
transizione ecologica. A questo scopo, occorre trovare soluzioni più ambiziose. La migliore è quella
dei bond perpetui, o Consol bond, come suggerisce George Soros, riferendosi ai primi bond di
questo tipo apparsi nel Regno Unito nel 1752. Con la garanzia di una rendita perpetua a un
interesse dello 0,5%, i Consol oggi potrebbero fornire, in una o più emissioni, i 2000 miliardi
necessari, a un costo annuale di 10 miliardi. E non vanno ad aggravare l’indebitamento, poiché i
Consol non si rimborsano, ma assicurano le risorse necessarie ad affrontare il periodo eccezionale
che stiamo vivendo oggi. I Consol sono tenuti a corrispondere gli interessi, e nient’altro. Non si
mutualizza nessun debito ; si mutualizza invece l’obbligo di versare 10 miliardi all’anno in base alle
risorse proprie, un onere paragonabile a un bilancio europeo dell’ordine di 150 miliardi.
In questi tempi nuovi, l’Europa deve incamminarsi verso un nuovo pensiero economico, in
particolare verso la ristrutturazione della zona euro. I punti deboli del trattato di Maastricht, che
la Francia aveva contribuito a identificare sul finire del 1997, costringendo i suoi partner a
preoccuparsi sia della crescita che della stabilità, si rivelano oggi troppo costosi per essere ancora
ignorati. L’interesse suscitato dalla sentenza di Karlsruhe costringerà la Germania ad andare fino
in fondo al dibattito politico.
Ma il tempo stringe. La crisi sanitaria ha mostrato la necessità imprescindibile di una qualche forma
di mutualizzazione e monetizzazione del debito. Forse siamo agli albori di cambiamenti profondi.
Ma se non osiamo affrontare i nostri antichi demoni, il rischio di sgretolamento continuerà a
incombere sulla zona euro e, successivamente, sull’Unione stessa.
Noi, gli europei…
Paradossalmente, questo stesso periodo di crisi, che mette a dura prova l’Unione, potrebbe
rivelarsi assai sensibile ai fermenti del rinnovamento.
La crisi ci mostra come la solidarietà europea, scossa dalla crisi, rinasce nelle proposte economiche
che solo ieri molti ritenevano inattuabili. L’onda d’urto, tuttavia, si propaga ben oltre l’ambito
economico.
Sono i modelli stessi di società che oggi vengono messi in discussione. Se il modello europeo
vacilla, tutti gli altri sono in condizioni assai peggiori, in particolare il modello finora dominante di
stampo anglosassone in generale e statunitense in particolare. Ne è testimone l’incapacità del
8
sistema sanitario americano di rispondere alle esigenze dei più bisognosi, come conferma
l’esplosione di violenza razziale alla quale stiamo assistendo. Il populismo, l’unilateralismo,
l’isolazionismo sono tutti segnali opposti ai valori un tempo esaltati dalle nazioni anglosassoni. Al
dilagare delle disuguaglianze e all’indebolimento delle classi medie si accompagna la crescente
polarizzazione della società. Dall’altro capo del mondo, le critiche sistematiche rivolte agli Stati
Uniti servono da pretesto alle derive antidemocratiche e agli atteggiamenti ostili. Non stupisce
pertanto che la situazione attuale abbia scosso profondamente la fiducia che molti nutrivano nel
rivolgere lo sguardo al di là dell’Atlantico.
Domani, l’Europa potrebbe essere la sola a proporre al mondo un modello politico percorribile.
Questo modello di società europea esiste già : affonda le radici nella storia del continente europeo,
che ha conosciuto periodi di unità imperiale (la civiltà greca, l’impero romano, Carlo Magno, Carlo
V, Napoleone) e culturale (il cristianesimo medievale, la repubblica delle lettere); scaturisce dalle
violente spaccature che hanno dilaniato l’Europa in passato, soprattutto dagli orrori della seconda
guerra mondiale, quando la civiltà europea ha rischiato l’annientamento. Dal rifiuto di nuove
lacerazioni è nata la ricerca instancabile di unità.
Qual è in sostanza questo modello europeo di società ? Il modello europeo incarna la volontà di
fondare il mondo sulla giustizia e sull’inalienabilità della dignità umana.
Come tale, si compone di quattro elementi. L’inviolabilità dei diritti umani, innanzitutto. Se i diritti
umani sono comuni a molte società, la loro inviolabilità è segno distintivo dell’Europa : ne è la
prova l’abolizione della pena di morte, la soppressione dei tribunali speciali, il divieto di
commercializzazione del corpo umano e l’estensione delle libertà pubbliche costituzionali.
Subito dopo, la cultura come mezzo di emancipazione. Fondata sul modello umanista del
galantuomo, la cultura europea è concepita innanzitutto come strumento di sviluppo della
persona umana, non come sostegno a un’attività commerciale.
Non dimentichiamo poi il modello di sviluppo sostenibile. L’Europa si distingue per un equilibrio
particolare tra ricchezza economica, giustizia sociale e protezione dell’ambiente, anche se in
quest’ultimo settore non bisogna limitarsi a fare un po’ meglio degli altri. L’importanza che riveste
la giustizia sociale ("i diritti del povero") è tipicamente europea : previdenza sociale e
ridistribuzione fiscale sono specificità europee.
Da ultimo, ciò che distingue l’Europa è una visione dell’ordinamento internazionale fondato sul
multilateralismo. Il modello europeo difende la dignità di tutti gli esseri umani, e non solo quella
degli europei. Attraverso la promozione del multilateralismo l’Europa propone sulla scena globale
il modello di giustizia che ha sviluppato al suo interno : il concetto di ordinamento internazionale
che ne scaturisce si distingue per il rifiuto dei rapporti di potere a scapito del diritto, per la priorità
accordata al componimento pacifico delle differenze tramite negoziati e arbitrato, e per la
solidarietà verso i Paesi poveri.
Questa crisi potrebbe essere l’occasione propizia per rilanciare l’Europa politica contro l’ipocrisia
del modello liberale, e contro tutte le tentazioni autocratiche. Le cosiddette democrature, tanto a
9
est come a ovest, incarnano un modello di governance il cui approccio si è rivelato così poco
umanistico quanto scarsamente efficace.
Per noi, europei, la nostra azione è legittima. Legittima, perché il nostro modello è specificamente
europeo. Sarebbe certamente ridicolo pensare che il concetto di dignità umana, e i valori che ne
conseguono, siano esclusivamente europei. Ma la sua formulazione – il suo carattere irriducibile
– non trova equivalenti altrove. Legittima, inoltre, perché gli europei sono fieri del loro modello. E
legittima, infine, perché il modello europeo è portatore di avvenire, non il simbolo di una "vecchia
Europa" ormai superata, come vogliono farci credere, dai successi degli Stati Uniti, dal dinamismo
della Cina o dai progressi dell’India. La crisi ha azzerato tutti questi preconcetti.
Il mondo europeo della giustizia incarna un universalismo che vuol essere prefiguratore del mondo
di domani, la promessa di un nuovo "nuovo mondo": un mondo che ha abbandonato la ragione di
Stato per abbracciare il primato dei diritti umani, un mondo che respinge la crescita produttivista
per cercare la strada verso uno sviluppo sostenibile e durevole, un mondo che rinuncia ai giochi di
potere in nome della pace e del diritto.
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https://www.independent.co.uk/voices/coronavirus-crisis-eu-italy-germany-greece-far-right-eurosceptics-
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2 Servaas Storm (April 2019), Lost in Deflation, Institute for New Economic Thinking,
https://www.ineteconomics.org/research/research-papers/lost-in-deflation
3 International Monetary Fund (October 2019), World Economic Outlook Database,
https://www.imf.org/external/pubs/ft/weo/2019/02/weodata/weorept.aspx?pr.x=37&pr.y=11&sy=1990&ey=201
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5 OECD, Part-time employment rate, https://data.oecd.org/chart/5ZQI
6 OECD, Indicators of Employment Protection,
http://www.oecd.org/employment/emp/oecdindicatorsofemploymentprotection.htm
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disintegrating? Macroeconomic divergence, structural polarisation, trade and fragility, Cambridge Journal of
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9 Harvard University, Atlas of Economic Complexity, https://atlas.cid.harvard.edu/rankings
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https://appsso.eurostat.ec.europa.eu/nui/show.do?dataset=lc_an_costh&lang=en
11 OECD, Average wages, https://data.oecd.org/chart/5ZQM
12 World Bank, Households and NPISHs final consumption expenditure (% of GDP) – Germany,
https://data.worldbank.org/indicator/NE.CON.PRVT.ZS?locations=DE
13 Guntram Wolff (May 2018), Germany’s current account surplus and corporate investment, Bruegel,
https://www.bruegel.org/2018/05/germanys-current-account-surplus-and-corporate-investment/
14 World Bank, Current account balance (% of GDP) – Germany,
https://data.worldbank.org/indicator/BN.CAB.XOKA.GD.ZS?locations=DE
10
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Statement by the Executive Director for Germany,
https://www.imf.org/en/Publications/CR/Issues/2019/07/09/Germany-2019-Article-IV-Consultation-Press-
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16 Claudius Gräbner, Philipp Heimberger, Jakob Kapeller and Bernhard Schütz (January 2020), Is the Eurozone
disintegrating? Macroeconomic divergence, structural polarisation, trade and fragility, op.cit.
17 Federal Reserve Economic Data, Inflation, consumer prices for Spain,
https://fred.stlouisfed.org/series/FPCPITOTLZGESP
18 Federal Reserve Economic Data, Inflation, consumer prices for Germany,
https://fred.stlouisfed.org/series/FPCPITOTLZGDEU
19 Federal Reserve Economic Data, Real Residential Property Prices for Spain,
https://fred.stlouisfed.org/series/QESR628BIS
20 Federal Reserve Economic Data, General government net lending/borrowing for Spain,
https://fred.stlouisfed.org/series/GGNLBAESA188N
21 Federal Reserve Economic Data, https:// fred.stlouisfed.org/series
22 Servaas Storm (April 2019), Lost in Deflation, Institute for New Economic Thinking, op.cit.
23 Federal Reserve Economic Data, General government gross debt for Italy,
https://fred.stlouisfed.org/series/GGGDTAITA188N
24 Financial Times, Why austerity is only cure for the eurozone, https://www.ft.com/content/97b826e2-d7ab-11e0-
a06b-00144feabdc0
25 ITC, Bilateral trade between Germany and China Product: TOTAL All products,
https://www.trademap.org/Bilateral_TS.aspx?nvpm=1%7c276%7c%7c156%7c%7cTOTAL%7c%7c%7c2%7c1%7c1%
7c2%7c2%7c1%7c1%7c1%7c1%7c1
26 European Commission (May 2020), European Economic Forecast,
https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/economy-finance/ip125_en.pdf
27 Bloomberg (May 2020), Euro Area Under Threat From Uneven Virus Shock, EU Warns,
https://www.bloomberg.com/news/articles/2020-05-06/euro-area-survival-put-at-risk-from-uneven-virus-shock-
eu-warns?sref=lSuy1ocu
28 European Central Bank (March 2020), ECB announces €750 billion Pandemic Emergency Purchase Programme
(PEPP), https://www.ecb.europa.eu/press/pr/date/2020/html/ecb.pr200318_1~3949d6f266.en.html
29 European Central Bank (June 2020), Pandemic emergency purchase programme (PEPP),
https://www.ecb.europa.eu/mopo/implement/pepp/html/index.en.html
30 European Central Bank (April 2020), Interview with To Vima,
https://www.ecb.europa.eu/press/inter/date/2020/html/ecb.in200404~5233e69a1f.en.html
31 Fitch Ratings (April 2020), Ftich Downgrades Italy to ‘BBB-‘; Outlook Stable,
https://www.fitchratings.com/research/sovereigns/fitch-downgrades-italy-to-bbb-outlook-stable-28-04-2020
32 European Central Bank, Monetary Policy,
https://www.ecb.europa.eu/mopo/intro/html/index.en.html#:~:text=The%20ECB's%20monetary%20policy%20str
ategy&text=The%20ECB%20has%20defined%20price,2%25%20over%20the%20medium%20term.
33 European Central Bank (May 2020), ECB takes note of German Federal Constitutional Court ruling and remains
fully committed to its mandate,
https://www.ecb.europa.eu/press/pr/date/2020/html/ecb.pr200505~00a09107a9.en.html
34 European Council (April 2020), Report on the comprehensive economic policy response to the COVID-19
pandemic, https://www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2020/04/09/report-on-the-comprehensive-
economic-policy-response-to-the-covid-19-pandemic/
35 The Telegraph (June 2012), Debt crisis: as it happened - June 27, 2012,
https://www.telegraph.co.uk/finance/debt-crisis-live/9358201/Debt-crisis-as-it-happened-June-27-2012.html
36 European Commission (May 2020), Europe's moment: Repair and prepare for the next generation,
https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_20_940

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  • 1. L’euro rischia di scomparire ? Nel contrapporre “parsimoniosi” e “lassisti", l’Europa si è rinchiusa in una narrativa sterile, al contempo falsa, sotto il profilo storico, e distruttiva, sotto quello politico. Per uscirne, occorre tornare ai valori comuni del progetto europeo. La gravità della crisi attuale impone una visione rinnovata che, paradossalmente, potrebbe spianare la strada verso l’Europa politica. L’Europa delle cicale e l’Europa delle formiche. Lo scorso marzo, alle prime avvisaglie della crisi sanitaria in Europa, il ministro delle finanze olandese Wopke Hoekstra suggeriva di "indagare su Paesi come la Spagna, che sostengono di non disporre di spazi di bilancio per far fronte alla crisi del coronavirus, contrariamente a quanto la zona euro aveva creduto da sette anni a questa parte."1 Questo discorso assai deludente pone la domanda sbagliata sul futuro della zona euro. Il dibattito sulla mutualizzazione del debito all’interno della zona non è affatto nuovo, e continua ad avvelenare una buona parte dei rapporti tra i Paesi dell’Unione da molti anni. Con la necessità di nuovi finanziamenti per l’emergenza sanitaria, il dibattito ha ripreso slancio nelle ultime settimane. Gli attori sono ben noti. Da un lato, gli Stati favorevoli all’indebitamento dell’Unione per finanziare il suo sviluppo, e ai trasferimenti necessari alla sua stabilità. Tra questi troviamo soprattutto i Paesi del sud dell’Europa, ma anche Irlanda, Lussemburgo e Belgio. Dall’altro, i Paesi cosiddetti "anseatici" (Olanda, Svezia, Danimarca, Finlandia). Nel bel mezzo, Francia e Germania: la Francia, più vicina al primo gruppo, e la Germania al secondo. Gli uni invocano la solidarietà in seno all’Unione, gli altri dichiarano di non voler pagare i debiti dei Paesi considerati poco rigorosi. Tuttavia, non di rado le critiche mosse ai Paesi lassisti risultano in realtà ingiustificate. Prendiamo l’Italia. Troppo spesso si dimenticano gli sforzi considerevoli messi in campo dai successivi governi italiani dagli anni 90 in poi per ridurre il debito pubblico ereditato dal decennio precedente2 . Tra il 1995 e il 2019, l’Italia ha fatto registrare ogni anno un surplus primario, a
  • 2. 2 eccezione del 2009. In altre parole, anno dopo anno, le entrate pubbliche sono state superiori alle spese, escluso il pagamento degli interessi sul debito. Nel medesimo arco temporale, la Germania ha registrato un deficit primario nel 1995-1996, 2004-2005 e 2009-20103 . Persino nel 2012-13, in piena crisi dell’euro, il governo di Mario Monti ha raggiunto un’eccedenza primaria del 2% del PIL nel momento stesso in cui, nelle sue parole, l’austerità "stava distruggendo la domanda interna"4 , aggravando la crisi. Ma l’Italia non è stata soltanto parsimoniosa : in quegli anni è riuscita ad attuare una liberalizzazione precoce del suo mercato del lavoro. La percentuale di lavoratori a tempo parziale nella forza lavoro italiana passa dal 10% nel 1993 al 18% nel 2018, contro il 22% in Germania quello stesso anno5 . Se alla metà degli anni 1990 il mercato del lavoro italiano garantiva maggiori protezioni rispetto alla Francia, il suo livello normativo oggi è più vicino al regime tedesco, secondo l’OCSE6 . Insomma, contrariamente a quello che si dice spesso, l’Italia ha fatto bene i suoi compiti. E gli altri ? L’indicatore principale è il rapporto tra debito pubblico e PIL. Lo sappiamo, questo valore è molto più basso nei Paesi cosiddetti rigoristi (49% del PIL in Olanda, 33% in Danimarca nel 2019), rispetto ai Paesi cosiddetti lassisti (133% in Italia, 96% in Spagna)7 . Su questa base, i Paesi del sud dell’Europa (come pure i francesi e i belgi) vengono trattati da irresponsabili. Ma il debito pubblico non basta a caratterizzare il comportamento più o meno prodigo di un popolo, in quanto non si può non tener conto del debito delle famiglie, vale a dire dei debiti contratti privatamente. Il grafico ci mostra chiaramente che i debiti delle famiglie sono proporzionalmente molto più elevati nei Paesi che si vogliono parsimoniosi rispetto ai Paesi accusati di lassismo. L’importante, a questo punto, non è il carattere privato o pubblico della spesa, perché si tratta di una scelta politica che ciascun popolo ha il diritto di fare sovranamente. Ciò che conta è sapere a quanto ammontano i debiti che si contraggono (privatamente o tramite lo Stato) per poter spendere più di quanto si produce. In base a queste premesse, non si troveranno le cicale e le formiche là dove ci si aspettava. Le famiglie dei Paesi "anseatici" (colonna nera) hanno tendenza a spendere ben oltre i loro introiti se paragonati ai Paesi del sud (colonna bianca). E ancora, in ciascuno dei Paesi anseatici (colonna Households debt in % of disposable income « frugal » countries « lax » countries Netherlands average f Sweden Finland Spain Greece average l ItalyDenmark Verschuldung der Privathaushalte in % des verfügbaren Einkommens « Sparsame » Länder « Leichtsinnige » Länder Dänemark Households debt in % of disposable income Denmark    « frugal » countries « lax » countries Source : OECD Danimarca Olanda Svezia Finlandia Portogallo Spagna Grecia ItaliaMedia r Media l « rigoristi » paesi    « lassisti » paesi     Debito delle famiglie in % del reddito disponibile Fonte : OCSE Paesi « parsimoniosi » Paesi « lassisti »
  • 3. 3 grigio scuro), le famiglie risparmiano di meno rispetto alle famiglie italiane così spesso utilizzate come esempio di intemperanza. Ma le cose non finiscono qui. La somma dei rapporti tra i debiti delle famiglie e il debito pubblico per la media dei quattro Paesi anseatici si assesta al di sotto del 260%, rispetto al 220% degli altri quattro Paesi analizzati (315 per la Danimarca, 290 per l’Olanda e 22o per l’Italia). Non vogliamo fare in questa sede la contabilità dettagliata dei debiti di ciascun Paese per analizzare la sua vulnerabilità: si tratta di confrontare i comportamenti. Da Aristotele a Montesquieu, in tanti hanno screditato la presunta irresponsabilità dei Paesi del sud per esaltare le virtù dei popoli nordici. Ripetuta all’infinito, quest’antifona si è tramutata in dogma incontrastato e continua a condizionare negativamente la nostra vita in seno all’Unione. Ma i numeri parlano chiaro : sulla scorta dei comportamenti non ci sono dubbi, i Paesi più virtuosi non sono affatto quelli che vengono ritualmente sbandierati come tali. Lo stesso discorso vale per il rischio di un indebitamento eccessivo, pericolo evidenziato dalla crisi dei mutui subprime. Anche in questo caso, se vi sono rischi, non sono da ricercare esclusivamente nei Paesi che si è soliti fustigare. Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Se non ha molto senso mettere a confronto lassisti e parsimoniosi, questo esercizio tuttavia non è scevro di conseguenze. Tale atteggiamento difatti consente di mascherare le cause profonde della crisi che stiamo attraversando, facendo passare in secondo piano lo scopo principale del progetto della moneta unica, che era appunto quello di favorire la convergenza economica. La storia della zona euro nasce da un retaggio industriale difficile8 , le cui radici affondano nella seconda guerra mondiale. Al momento dell’integrazione, alcuni Paesi, e in particolar modo la Germania, disponevano di grandi aziende esportatrici e una forte specializzazione in prodotti ad alto valore aggiunto. L’Atlante della complessità economica, pubblicato da Harvard, classifica i Paesi in base all’eccellenza delle loro esportazioni e consente in questo modo di misurare le differenze tra il centro e la periferia nel momento della creazione della zona euro. Nel 1995, la Germania era al secondo posto tra le economie più complesse al mondo, la Finlandia al 5°, mentre l’Italia era al 10° posto, la Francia al 16° e la Spagna al 19°9 . I primi, pertanto, possono sottrarsi alla concorrenza spietata sui prezzi lanciata dalla Cina dopo il suo ingresso nell’Organizzazione mondiale del commercio. Non così per i Paesi la cui industria è votata a produzioni meno complesse. Per di più, l’apprezzamento dell’euro negli anni 2000 ha aggravato la situazione. Ma soprattutto, come misurarsi nella concorrenza sui prezzi senza distruggere il proprio tessuto sociale ? In Spagna, il costo orario della manodopera nell’industria e nei servizi era di 14 euro nel 2000, contro i 5 in Polonia e l’1,5 in Romania10 . L’eredità storica e tecnologica pertanto spiega molti degli squilibri della zona euro. Questo svantaggio strutturale si accompagna a una deflazione competitiva in Germania e a una riduzione volontaria delle importazioni, privando così gli vecchi partner commerciali di sbocchi per le loro
  • 4. 4 esportazioni. In realtà, la liberalizzazione del mercato del lavoro dopo le leggi Hartz è andata a intaccare i consumi delle famiglie. Tra il 2000 e il 2007, il costo orario della manodopera in Germania non è più cresciuto in termini reali11 , e la pressione sui salari ha fatto calare la percentuale dei consumi delle famiglie nel PIL tedesco12 . Allo stesso tempo, sono crollati gli investimenti industriali. Le entrate delle esportazioni non sono andate se non in minima percentuale ai lavoratori e agli investimenti, e di conseguenza è aumentato il risparmio13 . La pressione sulla domanda interna ha contribuito a innescare un serio squilibrio nell’economia tedesca, che ha accumulato un surplus importante nella bilancia dei pagamenti correnti. Da un deficit del 2% nel 2000, la Germania è passata a un’eccedenza del 7% nel 200714 . Questa situazione patologica è stata regolarmente condannata sia dalla Commissione europea che dal FMI, il quale avvertiva, nel luglio del 2019, in termini diplomatici, che "il surplus della bilancia dei pagamenti correnti in Germania riflette in parte il risparmio elevato delle imprese, l’aumento delle disuguaglianze provocato dai redditi più alti, e l’affossamento dei consumi delle famiglie."15 Molti Paesi europei si ritrovano così stritolati in una morsa. Le loro esportazioni sono in calo per il crollo delle importazioni tedesche, il loro sviluppo industriale non consente di ottenere una produzione ad alto valore aggiunto e la competitività sui prezzi viene ridotta dalla concorrenza dei Paesi dell’Europa orientale e della Cina, in particolar modo. La crescita grazie alle esportazioni non è più una strada percorribile, e i Paesi del sud si sono rivolti, negli anni 2000, verso un’economia spinta dal debito16 . Questa scelta è stata facilitata dall’accumulo del risparmio in Germania, ma anche grazie ai tassi di interesse molto bassi stabiliti dalla BCE. Nel 2005, il tasso di interesse della BCE era del 3,25%, mentre l’inflazione in Spagna toccava il 3,4%17 , e l’1,6% in Germania18 . Di conseguenza, il tasso d’interesse reale era negativo in alcuni Paesi della periferia, incoraggiando l’indebitamento privato e la formazione delle bolle speculative. I prezzi dell’immobiliare in Spagna sono raddoppiati tra il primo trimestre del 2000 e l’autunno del 200719 . A causa dell’eccesso di indebitamento privato, dopo il 2008 alcuni Paesi si sono visti costretti a salvare le loro banche, innescando di riflesso la crisi del debito sovrano, anche se tra il 2005 e il 2007 la Spagna, per esempio, aveva un surplus di bilancio20 considerevole e un debito pubblico di molto inferiore a quello tedesco21 . Ma torniamo all’Italia. L’austerità introdotta sin dal 1995 si è accompagnata all’apprezzamento dell’euro, alla deflazione competitiva in Germania e all’ascesa della Cina : una serie di circostanze che hanno ostacolato l’Italia, intrappolandola in un circolo vizioso. In questo modo, la mancanza di domanda aggregata, provocata dalla pressione salariale, ha portato a un indebolimento nell’utilizzo dello strumento industriale, e di qui a uno sbriciolamento del margine delle imprese, che di riflesso hanno ridotto gli investimenti. Questa scarsità di investimenti ha impedito all’Italia di rivalutare le sue produzioni e sottrarsi così alla guerra dei prezzi22 .
  • 5. 5 Di conseguenza, malgrado tutti i suoi sforzi fiscali, in Italia il peso del debito non si è ridotto se non modestamente, passando dal 105% nel 2000 al 100% nel 200723 , e questo ha incoraggiato il governo a proseguire sulla strada dell’austerità, perpetuando così il circolo vizioso. Dopo la crisi della zona euro nel 2010, le divergenze si sono accentuate a motivo delle politiche di austerità, in parte sostenute dalla Germania. Nel settembre del 2011, Wolfgang Schäuble pubblicava un editoriale nel Financial Times per spiegare che "i governi della zona euro e altrove devono impegnarsi a ridurre il loro disavanzo e a migliorare la competitività – da questo stesso istante."24 Nel frattempo, la situazione economica in Italia si è aggravata considerevolmente. La disoccupazione giovanile è passata dal 25% negli anni 2008-2010 al 43% nel 2014. Tra il 2012 e il 2014, il numero dei poveri in Italia è cresciuto di 3,4 milioni. Allo stesso tempo, la Germania ha approfittato della ripresa trainata dall’economia cinese : da 41 miliardi di dollari del 2007, le esportazioni tedesche verso la Cina sono passate a 91 miliardi nel 2011. Sotto queste condizioni, il circolo vizioso descritto sopra si è rinsaldato ancora di più25 . Ed eccoci a fare i conti con il Covid-19. Le previsioni della Commissione europea per il 2020 suggeriscono che il coronavirus minaccia di aggravare questo sgretolamento macroeconomico e annunciano il rischio di una recessione molto più pesante nei Paesi della periferia26 . Se l’inerzia avrà la meglio, la zona euro, già profondamente squilibrata, rischia di superare il punto di non ritorno. Questo è il senso del commento di Paolo Gentiloni, commissario europeo agli affari economici e monetari, quando nel mese di maggio, in un’intervista con Bloomberg, dichiarava che "tali divergenze sono un rischio per il mercato unico e per la zona euro."27 Alla fin fine, non restano che due opzioni per la zona euro : o si ricompatta, oppure si scioglie. La fenice può rinascere dalle sue ceneri. Qui è in gioco la sopravvivenza della zona euro. Dopo un primo passo falso, la BCE si è lanciata decisamente nella mischia. Il 18 marzo, ha varato un nuovo programma di sostegno ai mercati finanziari, il PEPP28 . Abbinato ai vecchi strumenti del quantitative easing, questa misura evita la dissoluzione dei mercati del debito sovrano. Il 5 giugno, il PEPP aveva acquisito oltre 230 miliardi di euro di obbligazioni pubbliche e private, per un pacchetto totale disponibile di 750 miliardi29 . La banca centrale ha inoltre eliminato parecchie limitazioni che ne intralciavano l’azione, autorizzando per esempio l’acquisto di obbligazioni greche, benché segnalate come speculative dalle agenzie di rating30 . Questo sostegno è prezioso per l’Italia. Le agenzie di rating Fitch e S&P hanno entrambe approvato l’appoggio della banca centrale come pilastro della sostenibilità del debito del Paese31 . Anche se necessario, però, il sostegno della BCE non sarà sufficiente. Innanzitutto perché la BCE non ha alcun mandato per sostenere direttamente l’economia dei Paesi della periferia e correggere le
  • 6. 6 divergenze macroeconomiche dell’Unione. Il suo compito è quello di intervenire per far fronte ai rischi sui prezzi32 . Nuove complicazioni provengono dalla sentenza emanata dalla corte costituzionale di Karlsruhe il 5 maggio 2020. Contro il parere della corte di giustizia europea (CGUE), il tribunale tedesco, per la prima volta, ha invitato la BCE a fornire chiarimenti sui suoi programmi di sostegno monetario, minacciando, in mancanza di spiegazioni soddisfacenti, di vietare alla Bundesbank di partecipare a tali programmi. Senza addentrarsi nei particolari tecnici, occorre a questo punto tenere a mente due cose. Innanzitutto, per la prima volta, una giurisdizione nazionale non si piega a una decisione della CGUE, e minaccia di rimettere in questione tutto l’ordinamento giuridico europeo. Si capisce facilmente come certi regimi populisti dell’Europa centrale potrebbero avvalersi di questo precedente per tentare di sottrarsi alle regole stabilite dall’Unione europea, soprattutto nel campo dei diritti umani. Occorre urgentemente che la Commissione prenda in mano la situazione e non lasci passare sotto silenzio l’iniziativa del tribunale di Karlsruhe. Inoltre, per la prima volta, viene contestata l’indipendenza della BCE e, ironia del caso, questo accade di nuovo in Germania. La BCE non dà segno peraltro di lasciarsi intimidire, ma è essenziale che tenga duro33 . Ad ogni modo, è probabile che la decisione di Karlsruhe non avrà conseguenze concrete. La BCE potrà facilmente dimostrare che le sue misure sono state dettate dalle necessità del momento, il che rientra pienamente nelle sue competenze. Qualunque cosa accada, la politica monetaria non può arrivare dappertutto. Occorre una risposta di bilancio. L’Unione europea ha già fatto molti passi in questo senso. Ha iniziato col sospendere le regole di bilancio e schierato in campo i diversi meccanismi di cui dispone, in particolare il MES34 . Si tratta di una risposta di prima linea, ma sotto il profilo economico il MESsi rivela insufficiente : i suoi prestiti sono politicamente difficili da utilizzare da parte di quei Paesi che non vogliono essere bollati come fallimentari. L’aspetto positivo della sentenza di Karlsruhe sta nel fatto che, rinviando la palla ai singoli stati, il tribunale ha costretto il governo tedesco a guardare le cose in faccia e questo chiama in causa l’accordo franco-tedesco. Questo accordo segna una svolta nella politica della Germania. Per la prima volta, l’idea di un prestito europeo e di una forma di mutualizzazione dei debiti acquista il diritto di cittadinanza. E Angela Merkel, che nel 2012 aveva dichiarato la sua totale opposizione alla mutualizzazione dei debiti europei35 , oggi sembra favorevole a questa soluzione. Sull’onda degli eventi, il 27 maggio la Commissione ha proposto un pacchetto da 750 miliardi36 . Al di là della cifra stessa, questa è una mossa molto importante perché ribadisce l’impegno alla solidarietà europea. Meglio ancora, spalanca la porta alla raccolta, da parte dell’Unione, di risorse fiscali proprie, un passo notevole verso l’integrazione. Benché siano ancora numerosi gli ostacoli da superare prima che i finanziamenti vengano distribuiti, si scorge finalmente una luce in fondo a un lungo tunnel.
  • 7. 7 La seconda mossa viene dal piano tedesco, anch’esso fortemente influenzato dal ministro delle finanze Olaf Scholz e l’SPD. Questo piano rompe con il passato e punta a rilanciare consumi e investimenti. Il Covid aveva già eliminato lo Schwarze Null (zero debito), simbolo dell’equilibrio di bilancio, e adesso elimina lo Schuldenbremse (il freno all’indebitamento), in un Paese dove la sola parola Schuld si traduce sia con debito che con colpa. Impossibile afferrare la psicologia tedesca senza questa chiave di lettura. Ma questi progetti, per quanto importanti, non bastano. Bisognerà rendere disponibili almeno due trilioni di euro se vogliamo affrontare davvero la recessione e impegnarci realisticamente nella transizione ecologica. A questo scopo, occorre trovare soluzioni più ambiziose. La migliore è quella dei bond perpetui, o Consol bond, come suggerisce George Soros, riferendosi ai primi bond di questo tipo apparsi nel Regno Unito nel 1752. Con la garanzia di una rendita perpetua a un interesse dello 0,5%, i Consol oggi potrebbero fornire, in una o più emissioni, i 2000 miliardi necessari, a un costo annuale di 10 miliardi. E non vanno ad aggravare l’indebitamento, poiché i Consol non si rimborsano, ma assicurano le risorse necessarie ad affrontare il periodo eccezionale che stiamo vivendo oggi. I Consol sono tenuti a corrispondere gli interessi, e nient’altro. Non si mutualizza nessun debito ; si mutualizza invece l’obbligo di versare 10 miliardi all’anno in base alle risorse proprie, un onere paragonabile a un bilancio europeo dell’ordine di 150 miliardi. In questi tempi nuovi, l’Europa deve incamminarsi verso un nuovo pensiero economico, in particolare verso la ristrutturazione della zona euro. I punti deboli del trattato di Maastricht, che la Francia aveva contribuito a identificare sul finire del 1997, costringendo i suoi partner a preoccuparsi sia della crescita che della stabilità, si rivelano oggi troppo costosi per essere ancora ignorati. L’interesse suscitato dalla sentenza di Karlsruhe costringerà la Germania ad andare fino in fondo al dibattito politico. Ma il tempo stringe. La crisi sanitaria ha mostrato la necessità imprescindibile di una qualche forma di mutualizzazione e monetizzazione del debito. Forse siamo agli albori di cambiamenti profondi. Ma se non osiamo affrontare i nostri antichi demoni, il rischio di sgretolamento continuerà a incombere sulla zona euro e, successivamente, sull’Unione stessa. Noi, gli europei… Paradossalmente, questo stesso periodo di crisi, che mette a dura prova l’Unione, potrebbe rivelarsi assai sensibile ai fermenti del rinnovamento. La crisi ci mostra come la solidarietà europea, scossa dalla crisi, rinasce nelle proposte economiche che solo ieri molti ritenevano inattuabili. L’onda d’urto, tuttavia, si propaga ben oltre l’ambito economico. Sono i modelli stessi di società che oggi vengono messi in discussione. Se il modello europeo vacilla, tutti gli altri sono in condizioni assai peggiori, in particolare il modello finora dominante di stampo anglosassone in generale e statunitense in particolare. Ne è testimone l’incapacità del
  • 8. 8 sistema sanitario americano di rispondere alle esigenze dei più bisognosi, come conferma l’esplosione di violenza razziale alla quale stiamo assistendo. Il populismo, l’unilateralismo, l’isolazionismo sono tutti segnali opposti ai valori un tempo esaltati dalle nazioni anglosassoni. Al dilagare delle disuguaglianze e all’indebolimento delle classi medie si accompagna la crescente polarizzazione della società. Dall’altro capo del mondo, le critiche sistematiche rivolte agli Stati Uniti servono da pretesto alle derive antidemocratiche e agli atteggiamenti ostili. Non stupisce pertanto che la situazione attuale abbia scosso profondamente la fiducia che molti nutrivano nel rivolgere lo sguardo al di là dell’Atlantico. Domani, l’Europa potrebbe essere la sola a proporre al mondo un modello politico percorribile. Questo modello di società europea esiste già : affonda le radici nella storia del continente europeo, che ha conosciuto periodi di unità imperiale (la civiltà greca, l’impero romano, Carlo Magno, Carlo V, Napoleone) e culturale (il cristianesimo medievale, la repubblica delle lettere); scaturisce dalle violente spaccature che hanno dilaniato l’Europa in passato, soprattutto dagli orrori della seconda guerra mondiale, quando la civiltà europea ha rischiato l’annientamento. Dal rifiuto di nuove lacerazioni è nata la ricerca instancabile di unità. Qual è in sostanza questo modello europeo di società ? Il modello europeo incarna la volontà di fondare il mondo sulla giustizia e sull’inalienabilità della dignità umana. Come tale, si compone di quattro elementi. L’inviolabilità dei diritti umani, innanzitutto. Se i diritti umani sono comuni a molte società, la loro inviolabilità è segno distintivo dell’Europa : ne è la prova l’abolizione della pena di morte, la soppressione dei tribunali speciali, il divieto di commercializzazione del corpo umano e l’estensione delle libertà pubbliche costituzionali. Subito dopo, la cultura come mezzo di emancipazione. Fondata sul modello umanista del galantuomo, la cultura europea è concepita innanzitutto come strumento di sviluppo della persona umana, non come sostegno a un’attività commerciale. Non dimentichiamo poi il modello di sviluppo sostenibile. L’Europa si distingue per un equilibrio particolare tra ricchezza economica, giustizia sociale e protezione dell’ambiente, anche se in quest’ultimo settore non bisogna limitarsi a fare un po’ meglio degli altri. L’importanza che riveste la giustizia sociale ("i diritti del povero") è tipicamente europea : previdenza sociale e ridistribuzione fiscale sono specificità europee. Da ultimo, ciò che distingue l’Europa è una visione dell’ordinamento internazionale fondato sul multilateralismo. Il modello europeo difende la dignità di tutti gli esseri umani, e non solo quella degli europei. Attraverso la promozione del multilateralismo l’Europa propone sulla scena globale il modello di giustizia che ha sviluppato al suo interno : il concetto di ordinamento internazionale che ne scaturisce si distingue per il rifiuto dei rapporti di potere a scapito del diritto, per la priorità accordata al componimento pacifico delle differenze tramite negoziati e arbitrato, e per la solidarietà verso i Paesi poveri. Questa crisi potrebbe essere l’occasione propizia per rilanciare l’Europa politica contro l’ipocrisia del modello liberale, e contro tutte le tentazioni autocratiche. Le cosiddette democrature, tanto a
  • 9. 9 est come a ovest, incarnano un modello di governance il cui approccio si è rivelato così poco umanistico quanto scarsamente efficace. Per noi, europei, la nostra azione è legittima. Legittima, perché il nostro modello è specificamente europeo. Sarebbe certamente ridicolo pensare che il concetto di dignità umana, e i valori che ne conseguono, siano esclusivamente europei. Ma la sua formulazione – il suo carattere irriducibile – non trova equivalenti altrove. Legittima, inoltre, perché gli europei sono fieri del loro modello. E legittima, infine, perché il modello europeo è portatore di avvenire, non il simbolo di una "vecchia Europa" ormai superata, come vogliono farci credere, dai successi degli Stati Uniti, dal dinamismo della Cina o dai progressi dell’India. La crisi ha azzerato tutti questi preconcetti. Il mondo europeo della giustizia incarna un universalismo che vuol essere prefiguratore del mondo di domani, la promessa di un nuovo "nuovo mondo": un mondo che ha abbandonato la ragione di Stato per abbracciare il primato dei diritti umani, un mondo che respinge la crescita produttivista per cercare la strada verso uno sviluppo sostenibile e durevole, un mondo che rinuncia ai giochi di potere in nome della pace e del diritto. 1 Independent (April 2020), The European Union will be destroyed by its immoral handling of the coronavirus crisis, https://www.independent.co.uk/voices/coronavirus-crisis-eu-italy-germany-greece-far-right-eurosceptics- a9440066.html 2 Servaas Storm (April 2019), Lost in Deflation, Institute for New Economic Thinking, https://www.ineteconomics.org/research/research-papers/lost-in-deflation 3 International Monetary Fund (October 2019), World Economic Outlook Database, https://www.imf.org/external/pubs/ft/weo/2019/02/weodata/weorept.aspx?pr.x=37&pr.y=11&sy=1990&ey=201 9&scsm=1&ssd=1&sort=country&ds=.&br=1&c=134%2C136&s=GGXONLB_NGDP&grp=0&a= 4 CNN (May 2012), Interview with Italian Prime Minister Mario Monti, http://transcripts.cnn.com/TRANSCRIPTS/1205/20/fzgps.01.html 5 OECD, Part-time employment rate, https://data.oecd.org/chart/5ZQI 6 OECD, Indicators of Employment Protection, http://www.oecd.org/employment/emp/oecdindicatorsofemploymentprotection.htm 7 International Monetary Fund (October 2019), World Economic Outlook Database, https://www.imf.org/external/pubs/ft/weo/2019/02/weodata/weorept.aspx?pr.x=45&pr.y=15&sy=2000&ey=201 9&scsm=1&ssd=1&sort=country&ds=.&br=1&c=138%2C128&s=GGXWDG_NGDP&grp=0&a= 8 Claudius Gräbner, Philipp Heimberger, Jakob Kapeller and Bernhard Schütz (January 2020), Is the Eurozone disintegrating? Macroeconomic divergence, structural polarisation, trade and fragility, Cambridge Journal of Economics, https://academic.oup.com/cje/article/44/3/647/5706035 9 Harvard University, Atlas of Economic Complexity, https://atlas.cid.harvard.edu/rankings 10 Eurostat, Hourly labour costs by NACE Rev. 1.1 activity, https://appsso.eurostat.ec.europa.eu/nui/show.do?dataset=lc_an_costh&lang=en 11 OECD, Average wages, https://data.oecd.org/chart/5ZQM 12 World Bank, Households and NPISHs final consumption expenditure (% of GDP) – Germany, https://data.worldbank.org/indicator/NE.CON.PRVT.ZS?locations=DE 13 Guntram Wolff (May 2018), Germany’s current account surplus and corporate investment, Bruegel, https://www.bruegel.org/2018/05/germanys-current-account-surplus-and-corporate-investment/ 14 World Bank, Current account balance (% of GDP) – Germany, https://data.worldbank.org/indicator/BN.CAB.XOKA.GD.ZS?locations=DE
  • 10. 10 15 International Monetary Fund (July 2019), Germany : 2019 Article IV Consultation-Press Release; Staff Report; and Statement by the Executive Director for Germany, https://www.imf.org/en/Publications/CR/Issues/2019/07/09/Germany-2019-Article-IV-Consultation-Press- Release-Staff-Report-and-Statement-by-the-47093 16 Claudius Gräbner, Philipp Heimberger, Jakob Kapeller and Bernhard Schütz (January 2020), Is the Eurozone disintegrating? Macroeconomic divergence, structural polarisation, trade and fragility, op.cit. 17 Federal Reserve Economic Data, Inflation, consumer prices for Spain, https://fred.stlouisfed.org/series/FPCPITOTLZGESP 18 Federal Reserve Economic Data, Inflation, consumer prices for Germany, https://fred.stlouisfed.org/series/FPCPITOTLZGDEU 19 Federal Reserve Economic Data, Real Residential Property Prices for Spain, https://fred.stlouisfed.org/series/QESR628BIS 20 Federal Reserve Economic Data, General government net lending/borrowing for Spain, https://fred.stlouisfed.org/series/GGNLBAESA188N 21 Federal Reserve Economic Data, https:// fred.stlouisfed.org/series 22 Servaas Storm (April 2019), Lost in Deflation, Institute for New Economic Thinking, op.cit. 23 Federal Reserve Economic Data, General government gross debt for Italy, https://fred.stlouisfed.org/series/GGGDTAITA188N 24 Financial Times, Why austerity is only cure for the eurozone, https://www.ft.com/content/97b826e2-d7ab-11e0- a06b-00144feabdc0 25 ITC, Bilateral trade between Germany and China Product: TOTAL All products, https://www.trademap.org/Bilateral_TS.aspx?nvpm=1%7c276%7c%7c156%7c%7cTOTAL%7c%7c%7c2%7c1%7c1% 7c2%7c2%7c1%7c1%7c1%7c1%7c1 26 European Commission (May 2020), European Economic Forecast, https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/economy-finance/ip125_en.pdf 27 Bloomberg (May 2020), Euro Area Under Threat From Uneven Virus Shock, EU Warns, https://www.bloomberg.com/news/articles/2020-05-06/euro-area-survival-put-at-risk-from-uneven-virus-shock- eu-warns?sref=lSuy1ocu 28 European Central Bank (March 2020), ECB announces €750 billion Pandemic Emergency Purchase Programme (PEPP), https://www.ecb.europa.eu/press/pr/date/2020/html/ecb.pr200318_1~3949d6f266.en.html 29 European Central Bank (June 2020), Pandemic emergency purchase programme (PEPP), https://www.ecb.europa.eu/mopo/implement/pepp/html/index.en.html 30 European Central Bank (April 2020), Interview with To Vima, https://www.ecb.europa.eu/press/inter/date/2020/html/ecb.in200404~5233e69a1f.en.html 31 Fitch Ratings (April 2020), Ftich Downgrades Italy to ‘BBB-‘; Outlook Stable, https://www.fitchratings.com/research/sovereigns/fitch-downgrades-italy-to-bbb-outlook-stable-28-04-2020 32 European Central Bank, Monetary Policy, https://www.ecb.europa.eu/mopo/intro/html/index.en.html#:~:text=The%20ECB's%20monetary%20policy%20str ategy&text=The%20ECB%20has%20defined%20price,2%25%20over%20the%20medium%20term. 33 European Central Bank (May 2020), ECB takes note of German Federal Constitutional Court ruling and remains fully committed to its mandate, https://www.ecb.europa.eu/press/pr/date/2020/html/ecb.pr200505~00a09107a9.en.html 34 European Council (April 2020), Report on the comprehensive economic policy response to the COVID-19 pandemic, https://www.consilium.europa.eu/en/press/press-releases/2020/04/09/report-on-the-comprehensive- economic-policy-response-to-the-covid-19-pandemic/ 35 The Telegraph (June 2012), Debt crisis: as it happened - June 27, 2012, https://www.telegraph.co.uk/finance/debt-crisis-live/9358201/Debt-crisis-as-it-happened-June-27-2012.html 36 European Commission (May 2020), Europe's moment: Repair and prepare for the next generation, https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_20_940