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CITTADINO GLOBALE
Sono 73 i Paesi dove ha
lavorato Paolo Gallo tra
Citigroup, Banca europea
per la ricostruzione e lo
sviluppo, Banca Mondiale
e World Economic Forum
PAOLO GALLO
«MA UN’AZIENDA CHE CONDIVIDA
I VOSTRI VALORI E PRINCIPI: SOLO COSÌ
NON RISCHIERETE DI FALLIRE». A DIRLO
È IL CAPO DELLE RISORSE UMANE DEL
WORLD ECONOMIC FORUM,
DOPO 25 ANNI IN GIRO PER IL MONDO
E 9 MILA COLLOQUI. «IL SEGRETO DEL
SUCCESSO? INVESTIRE SUL PROPRIO
TALENTO, NON SULLA PASSIONE»
DI FRANCESCO PERUGINI
«U
na grande banca italiana mi aveva contattato per
un incarico, ma poi mi ha scartato perché non ave-
vo abbastanza esperienza in Italia. E, secondo me,
ha fatto bene». D’altronde, Paolo Gallo ha lasciato il nostro Paese
nel 1992, fresco di laurea alla Bocconi. Dopo gli inizi in Citigroup
a Milano, la banca inglese lo chiama a Londra: da lì comincia un
viaggio che tocca 73 nazioni con l’International Finance Corpora-
tion di Washington, la Banca europea per la ricostruzione e lo svi-
luppo e la Banca Mondiale fino al World Economic Forum (Wef),
dove è capo delle risorse umane da due anni e mezzo (e collabora
con l’Università Bocconi e la Ashridge Business School, oltre a scri-
vere per l’Harvard Business School Review e Forbes). «Si nota un
filo rosso nelle mie esperienze lavorative: la mission del Wef, d’al-
tronde, è “improving the state of the world”. Non avrei potuto fare
altrimenti: bisogna lavorare in aziende che rispecchiano i propri va-
lori», dice dal suo ufficio con vista sul lago di Ginevra.
Ha scritto per Rizzoli La bussola del successo, già un best seller
soprattutto su Amazon. Qual è, dunque, il segreto per essere feli-
ci sul lavoro?
Un rapporto lavorativo nasce come un matrimonio. Per durare, alla
base di una coppia deve esserci una condivisione di visioni e obiet-
tivi. Quando inizi a conoscere la persona che ami, l’obiettivo non
NON CERCATE
il LAVORO
dei VOSTRI SOGNI
DICEMBRE 201664 WWW.BUSINESSPEOPLE.IT
Punti di vista
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LA MATRICE DEGLI STILI DI COMPORTAMENTO
ORIENTAMENTO
INTELLIGENZAPOLITICA
Individuale/egoista Organizzativo/altruista
SuperficialeProfonda
3
FURBO-PERICOLOSO
volpi
pavoni
serpenti
4
SAGGIO
gufi
elefanti
leoni
1
INETTO-STOLTO
asini
pappagalli
polli
2
FEDELE-INGENUO
cani
orsi
agnelli
quio ci si dovrebbe preoccupare di più di
capire se il posto al quale si ambisce pos-
sa essere adatto ai propri principi. Altri-
menti si sta solo perdendo tempo.
Nel suo libro ci sono anche alcuni con-
sigli su come scrivere un curriculum ef-
ficace o presentarsi a un colloquio di la-
voro. Di questi decaloghi ne esistono in-
finite versioni, ma qual è la sua rego-
la aurea?
A parte le ovvietà, come la correttez-
za grammaticale del cv o la puntualità,
consiglio sempre di essere autentici per
non essere poi costretti a fingere in se-
guito. Sono contro, poi, quelli che dico-
no che il cv deve essere “perfetto”, pieno
solo di esperienze importanti e nomi al-
C
ome si fa a capire
se un’azienda è
adatta a noi? Paolo
Gallo ne La bussola del
successo (Rizzoli Etas, 294
pagine, 20 euro) propone
una strategia precisa da
attuare già nelle prime
settimane di impiego.
Innanzitutto, bisogna
capire l’organizzazione e
la cultura aziendale. Poi è
fondamentale comprendere
come costruire la fiducia,
cioè come far sì che le
persone si fidino di te e
intuire su quali colleghi
si può fare affidamento.
Indipendentemente dal
numero di lavoratori,
bastano poche settimane
per “annusare” i
colleghi dividendoli in
branchi. «Bisogna ragionare come in una matrice a due variabili: una è l’orientamento organizzativo e l’altra la
comprensione dei meccanismi aziendali», racconta il capo delle risorse umane del World Economic Forum di
Davos, «da qui si possono identificare facilmente quattro profili». Il primo sono i polli, sprovveduti ma anche un po’
sciocchi nei loro comportamenti perché egoisti. La seconda categoria sono gli ingenui che lavorano per il bene
comune: «Sono dei cani, molto fedeli, ma che tendono a isolarsi come gli orsi. E diventano agnelli sacrificali in caso
di ristrutturazione aziendale», avvisa Gallo.Tra i profili dotati di una grossa intelligenza politica e spesso di potere,
da una parte ci sono i serpenti: egoisti, con il proprio tornaconto sempre al primo posto, pericolosi e da evitare.
Dall’altra parte, i saggi che però si mettono al servizio dell’organizzazione, potrebbero essere definiti elefanti o gufi:
«Sono i saggi, gli opinion leader», conclude l’autore. «Benché i tratti comportamentali cambino profondamente nelle
diverse culture, ti potrai sempre fidare di loro».
LE TRIBÙ D’IMPRESALE TRIBÙ D’IMPRESA
è di sposarla, ma piuttosto cercare di ca-
pire se ci sono principi e valori condivi-
si per un progetto di lungo termine. Allo
stesso modo in un colloquio, l’obiettivo
non è ottenere un posto di lavoro, ma ca-
pire se quel ruolo è allineato con il tuo
progetto di vita. Il 62% delle persone si
pente del posto di lavoro entro sei mesi
dall’assunzione: e se sbagli scelta, è diffi-
cile rimettersi subito alla ricerca di un al-
tro posto. O perlomeno si viene guarda-
ti con sospetto.
Come i matrimoni, però, anche i rappor-
ti lavorativi falliscono. Come mai?
Ci sono i lavoratori che vanno alla gran-
de, quelli che vivacchiano e quelli che
precipitano nella delusione. Io ritengo
che a determinare la disillusione di un la-
voratore sia la mancata coincidenza tra i
suoi valori e quelli dell’azienda. L’ho spe-
rimentato anche io sulla mia pelle: andai
a lavorare in un Paese del Medio Oriente
dove in un cortile degli uffici c’era una ti-
gre. Ogni giorno le mettevano nella gab-
bia un animale per nutrirla. Me ne andai
il secondo giorno, ma la colpa era stata
solo mia nell’accettare quella posizione.
Così spesso l’ambizione di uno stipendio,
di una posizione, di uno job title fa per-
dere di vista l’essenza di quello che sia-
mo. Solo scegliendo una carriera in linea
con le nostri motivazioni profonde riusci-
remo a fare un buon lavoro e a goderci
appieno successi e gratificazioni».
Tornando alla metafora dei rapporti
amorosi. Se prima di un matrimonio c’è
un fidanzamento, dietro un’assunzione
c’è un lungo processo di recruiting. Ogni
divorzio lavorativo è un fallimento dei
suoi colleghi?
Le Hr andrebbero profondamente rivisita-
te, in tutti i sensi, anche se la decisione fi-
nale sulle assunzioni viene presa sempre
dal management: le risorse umane sono
responsabili di portare a termine un pro-
cesso corretto su metodologie serie e re-
gole chiare. L’impostazione classica im-
pone ai candidati di mettere in mostra la
migliore versione di se stessi, anche a co-
sto di esagerare alcune capacità o com-
petenze. Secondo me, durante un collo-
DURANTE UN COLLOQUIO L’OBIETTIVO PRINCIPALE
DOVREBBE ESSERE QUELLO DI CAPIRE SE IL POSTO
A CUI SI AMBISCE È ADATTO AI PROPRI PRINCIPI
tisonanti di università o istituzioni forma-
tive. Fate vedere che vi siete sporcati le
mani, che avete fatto il fattorino o la baby
sitter, la fatica non può mai essere un mi-
nus. Sono quelle le cose che vi rendo-
no differenti dagli altri e che spingeranno
un responsabile Hr a prendervi in con-
siderazione per quel posto, mentre ma-
gari ci sarà sempre qualcuno con dei ti-
toli migliori dei vostri. Non mi sono lau-
reato a pieni voti, non sono il miglior di-
rigente del mondo, ma ho fatto molti la-
voretti prima di finire l’università, tra cui
per esempio l’accompagnatore di turisti
a Londra e così ho imparato l’inglese. Ho
anche lavorato in 73 Paesi diversi e que-
sto profilo internazionale mi ha permesso
di essere assunto alla Banca Mondiale e
al World Economic Forum.
A proposito di capacità, come si fa a
emergere in un dato posto di lavoro?
Conta solo – come dicono i guru – la
passione?
DICEMBRE 201665 WWW.BUSINESSPEOPLE.IT
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I GIOVANI ITALIANI NON HANNO PIÙ
LA CERTEZZA CHE I LORO SFORZI SARANNO
RIPAGATI NEL MONDO DEL LAVORO
Ho una grande passione per il tennis, ma
mi riderebbero dietro anche al torneo del
villaggio vacanze: ho quindi capito velo-
cemente che la mia passione non corri-
spondeva al talento e non sarei mai potu-
to diventare un giocatore professionista.
A 12 anni avevo già realizzato che non
“c’era trippa per gatti”. Mia moglie inve-
ce, quando emigrò dal Marocco a quat-
tro anni insieme ai suoi sei fratelli, fu la
prima a imparare il francese: le lingue
erano il suo talento, oggi ne parla sei.
Che vuol dire? Che ha compreso presto
la sua strada e ci ha investito con tanta
fatica. La passione è soggettiva, il talento
è oggettivo: basta guardare un qualunque
programma tv come X Factor: ci sono
tanti che si credono bravi cantanti, ma
chi sa farlo davvero lo decidono i giudici.
È il riconoscimento esterno che fa la dif-
ferenza. La passione non basta, devi ca-
pire se quello che ti piace è anche il tuo
talento. Se così non fosse, allora biso-
gna cercare altrove: tutti hanno un teso-
ro nascosto dentro di loro, ne sono sicuro
dopo 9 mila job interview effettuate. Ma-
gari servono anni per scoprire qual è, ma
poi bisogna assecondarlo. Faccio l’esem-
pio di una mia conoscente: ha iniziato a
fare l’artista a 65 anni dopo la pensione,
ma ha sprecato le sue doti per 40 anni fa-
cendo la cassiera al supermercato perché
aveva paura di perdere il posto di lavoro
inseguendo la sua ispirazione.
E se qualcuno si scoprisse bravo in qual-
cosa che proprio non gli piace?
Molti talenti restano soffocati, dalla pi-
grizia, dalla famiglia o da tanti altri fatto-
ri. Da amante del tennis, ho pianto quan-
do Flavia Pennetta ha vinto gli Us Open
a 35 anni. Nel dopo gara, un giornalista
le ha detto che aveva avuto un bel po’ di
fortuna nel mettere a segno l’ultimo pun-
to con uno stupendo lungolinea. Lei si è
arrabbiata: altro che fortuna, gli ha rispo-
sto che erano vent’anni che provava quel
colpo in allenamento.
Come capisco se un lavoro non è adatto
a me? Insomma, cosa mi deve dare il co-
raggio di licenziarmi?
Ci sono tre fattori che determinano un
rapporto felice con il proprio posto di la-
voro: se ti fa crescere, se stai imparan-
do ancora. Poi conta se stai contribuen-
do all’obiettivo comunque: puoi anche
divertirti, ma devi dare qualcosa indietro.
E, terzo, il rispetto: quello che tu hai per
l’organizzazione e quello che essa ha per
te. Non si tratta di buona o cattiva educa-
zione, ma di sentirsi valorizzati, di capire
se la propria opinione conta o meno. Se
mancano questi elementi, allora non vale
la pena rimanere. Se ci sono, si può an-
dare anche oltre i fatidici tre-cinque anni,
che sono considerati convenzionalmente
il momento giusto per cercare un nuovo
lavoro. Di solito se si cambia dopo meno
di tre anni qualcuno storce il naso, se lo
si fa dopo sei anni si pensa ci sia qualco-
sa che non va. Questo elemento tempo-
rale ha una valenza, ma da solo non è si-
gnificativo: puoi stare trent’anni in un’or-
ganizzazione e occuparti di tanti incari-
chi diversi pur senza cambiare azienda.
Restare al proprio posto andando avan-
ti col “pilota automatico”, invece, è svi-
lente e alla lunga insostenibile. Il mio li-
bro, infatti, è per le persone, non mi ri-
tengo adatto a dire alle corporazioni
come gestire le persone, ma alla luce del-
la mia esperienza posso dare dei consi-
gli ai singoli.
Anche i giovani italiani farebbero bene
ad andarsene? Negli anni si sono presi
dei “choosy”, dei “bamboccioni” ecc.
Un’esperienza all’estero per me dovreb-
be essere obbligatoria, perché giocare in
trasferta fa bene, apre la mente, impo-
ne di riflettere sulla propria visione del-
le cose. Ma non è tutta colpa dei giova-
ni italiani: a loro è stata tolta la fiducia
più che la speranza. La fiducia che i loro
sforzi verranno ripagati, la certezza che
andranno avanti i migliori, la convinzio-
ne che ci sarà un posto anche per loro
nella società italiana. E allora magari mi
trovo dei laureati che mi servono la cena
a Londra e per me è avvilente.
È colpa del nostro sistema scolastico?
Del Jobs Act di cui si parla a ogni aggior-
namento dei dati?
Tra un laureato italiano e uno, per esem-
pio, inglese, io scelgo sempre un italia-
no. Perché ha fatto un liceo duro, un’uni-
versità pesante, ha gli strumenti per fare
bene. Dall’altra parte, però, mia figlia ha
otto possibilità su dieci di fare da gran-
de un lavoro che oggi non c’è. La scuola
dovrebbe dare gli strumenti per preparar-
si anche a questo futuro, e quella italiana
è ingessata su vecchi schemi. Per quan-
to riguarda la politica tricolore, se prima
si parlava solo di Berlusconi oggi l’uni-
co argomento è il referendum. È inaccet-
tabile: i governanti dovrebbero ragiona-
re in un quadro più ampio, di medio-lun-
ga prospettiva, non cercare di gestire solo
le contingenze.
Il sottotitolo del suo libro è “Regole per
essere vincenti restando liberi”. Che
cosa è rimasto del concetto di libertà
nelle organizzazioni di oggi?
Si resta liberi non scendendo mai a com-
promessi. Se vengo assunto in un repar-
to risorse umane su segnalazione di qual-
cuno, a mia volta prima o poi dovrò as-
sumere un altro raccomandato. Oggi si
confonde spesso il concetto di libertà con
quello di anarchia, cioè l’assenza di re-
gole. La libertà è, invece, la possibilità di
muoversi – e lavorare – senza costrizioni
e influenze. E anche questo, a suo modo,
è un successo.
GUIDA PER UTENTI
Non un manuale per
i responsabili delle risorse
umane, ma una guida
per i singoli lavoratori per
districarsi tra colloqui
e offerte di lavoro nella
ricerca della strada giusta
per la propria realizzazione
DICEMBRE 201666 WWW.BUSINESSPEOPLE.IT
Punti di vista
BP
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  • 1. CITTADINO GLOBALE Sono 73 i Paesi dove ha lavorato Paolo Gallo tra Citigroup, Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, Banca Mondiale e World Economic Forum PAOLO GALLO «MA UN’AZIENDA CHE CONDIVIDA I VOSTRI VALORI E PRINCIPI: SOLO COSÌ NON RISCHIERETE DI FALLIRE». A DIRLO È IL CAPO DELLE RISORSE UMANE DEL WORLD ECONOMIC FORUM, DOPO 25 ANNI IN GIRO PER IL MONDO E 9 MILA COLLOQUI. «IL SEGRETO DEL SUCCESSO? INVESTIRE SUL PROPRIO TALENTO, NON SULLA PASSIONE» DI FRANCESCO PERUGINI «U na grande banca italiana mi aveva contattato per un incarico, ma poi mi ha scartato perché non ave- vo abbastanza esperienza in Italia. E, secondo me, ha fatto bene». D’altronde, Paolo Gallo ha lasciato il nostro Paese nel 1992, fresco di laurea alla Bocconi. Dopo gli inizi in Citigroup a Milano, la banca inglese lo chiama a Londra: da lì comincia un viaggio che tocca 73 nazioni con l’International Finance Corpora- tion di Washington, la Banca europea per la ricostruzione e lo svi- luppo e la Banca Mondiale fino al World Economic Forum (Wef), dove è capo delle risorse umane da due anni e mezzo (e collabora con l’Università Bocconi e la Ashridge Business School, oltre a scri- vere per l’Harvard Business School Review e Forbes). «Si nota un filo rosso nelle mie esperienze lavorative: la mission del Wef, d’al- tronde, è “improving the state of the world”. Non avrei potuto fare altrimenti: bisogna lavorare in aziende che rispecchiano i propri va- lori», dice dal suo ufficio con vista sul lago di Ginevra. Ha scritto per Rizzoli La bussola del successo, già un best seller soprattutto su Amazon. Qual è, dunque, il segreto per essere feli- ci sul lavoro? Un rapporto lavorativo nasce come un matrimonio. Per durare, alla base di una coppia deve esserci una condivisione di visioni e obiet- tivi. Quando inizi a conoscere la persona che ami, l’obiettivo non NON CERCATE il LAVORO dei VOSTRI SOGNI DICEMBRE 201664 WWW.BUSINESSPEOPLE.IT Punti di vista Punti di vista.indd 64Punti di vista.indd 64 23-11-2016 8:47:5523-11-2016 8:47:55
  • 2. LA MATRICE DEGLI STILI DI COMPORTAMENTO ORIENTAMENTO INTELLIGENZAPOLITICA Individuale/egoista Organizzativo/altruista SuperficialeProfonda 3 FURBO-PERICOLOSO volpi pavoni serpenti 4 SAGGIO gufi elefanti leoni 1 INETTO-STOLTO asini pappagalli polli 2 FEDELE-INGENUO cani orsi agnelli quio ci si dovrebbe preoccupare di più di capire se il posto al quale si ambisce pos- sa essere adatto ai propri principi. Altri- menti si sta solo perdendo tempo. Nel suo libro ci sono anche alcuni con- sigli su come scrivere un curriculum ef- ficace o presentarsi a un colloquio di la- voro. Di questi decaloghi ne esistono in- finite versioni, ma qual è la sua rego- la aurea? A parte le ovvietà, come la correttez- za grammaticale del cv o la puntualità, consiglio sempre di essere autentici per non essere poi costretti a fingere in se- guito. Sono contro, poi, quelli che dico- no che il cv deve essere “perfetto”, pieno solo di esperienze importanti e nomi al- C ome si fa a capire se un’azienda è adatta a noi? Paolo Gallo ne La bussola del successo (Rizzoli Etas, 294 pagine, 20 euro) propone una strategia precisa da attuare già nelle prime settimane di impiego. Innanzitutto, bisogna capire l’organizzazione e la cultura aziendale. Poi è fondamentale comprendere come costruire la fiducia, cioè come far sì che le persone si fidino di te e intuire su quali colleghi si può fare affidamento. Indipendentemente dal numero di lavoratori, bastano poche settimane per “annusare” i colleghi dividendoli in branchi. «Bisogna ragionare come in una matrice a due variabili: una è l’orientamento organizzativo e l’altra la comprensione dei meccanismi aziendali», racconta il capo delle risorse umane del World Economic Forum di Davos, «da qui si possono identificare facilmente quattro profili». Il primo sono i polli, sprovveduti ma anche un po’ sciocchi nei loro comportamenti perché egoisti. La seconda categoria sono gli ingenui che lavorano per il bene comune: «Sono dei cani, molto fedeli, ma che tendono a isolarsi come gli orsi. E diventano agnelli sacrificali in caso di ristrutturazione aziendale», avvisa Gallo.Tra i profili dotati di una grossa intelligenza politica e spesso di potere, da una parte ci sono i serpenti: egoisti, con il proprio tornaconto sempre al primo posto, pericolosi e da evitare. Dall’altra parte, i saggi che però si mettono al servizio dell’organizzazione, potrebbero essere definiti elefanti o gufi: «Sono i saggi, gli opinion leader», conclude l’autore. «Benché i tratti comportamentali cambino profondamente nelle diverse culture, ti potrai sempre fidare di loro». LE TRIBÙ D’IMPRESALE TRIBÙ D’IMPRESA è di sposarla, ma piuttosto cercare di ca- pire se ci sono principi e valori condivi- si per un progetto di lungo termine. Allo stesso modo in un colloquio, l’obiettivo non è ottenere un posto di lavoro, ma ca- pire se quel ruolo è allineato con il tuo progetto di vita. Il 62% delle persone si pente del posto di lavoro entro sei mesi dall’assunzione: e se sbagli scelta, è diffi- cile rimettersi subito alla ricerca di un al- tro posto. O perlomeno si viene guarda- ti con sospetto. Come i matrimoni, però, anche i rappor- ti lavorativi falliscono. Come mai? Ci sono i lavoratori che vanno alla gran- de, quelli che vivacchiano e quelli che precipitano nella delusione. Io ritengo che a determinare la disillusione di un la- voratore sia la mancata coincidenza tra i suoi valori e quelli dell’azienda. L’ho spe- rimentato anche io sulla mia pelle: andai a lavorare in un Paese del Medio Oriente dove in un cortile degli uffici c’era una ti- gre. Ogni giorno le mettevano nella gab- bia un animale per nutrirla. Me ne andai il secondo giorno, ma la colpa era stata solo mia nell’accettare quella posizione. Così spesso l’ambizione di uno stipendio, di una posizione, di uno job title fa per- dere di vista l’essenza di quello che sia- mo. Solo scegliendo una carriera in linea con le nostri motivazioni profonde riusci- remo a fare un buon lavoro e a goderci appieno successi e gratificazioni». Tornando alla metafora dei rapporti amorosi. Se prima di un matrimonio c’è un fidanzamento, dietro un’assunzione c’è un lungo processo di recruiting. Ogni divorzio lavorativo è un fallimento dei suoi colleghi? Le Hr andrebbero profondamente rivisita- te, in tutti i sensi, anche se la decisione fi- nale sulle assunzioni viene presa sempre dal management: le risorse umane sono responsabili di portare a termine un pro- cesso corretto su metodologie serie e re- gole chiare. L’impostazione classica im- pone ai candidati di mettere in mostra la migliore versione di se stessi, anche a co- sto di esagerare alcune capacità o com- petenze. Secondo me, durante un collo- DURANTE UN COLLOQUIO L’OBIETTIVO PRINCIPALE DOVREBBE ESSERE QUELLO DI CAPIRE SE IL POSTO A CUI SI AMBISCE È ADATTO AI PROPRI PRINCIPI tisonanti di università o istituzioni forma- tive. Fate vedere che vi siete sporcati le mani, che avete fatto il fattorino o la baby sitter, la fatica non può mai essere un mi- nus. Sono quelle le cose che vi rendo- no differenti dagli altri e che spingeranno un responsabile Hr a prendervi in con- siderazione per quel posto, mentre ma- gari ci sarà sempre qualcuno con dei ti- toli migliori dei vostri. Non mi sono lau- reato a pieni voti, non sono il miglior di- rigente del mondo, ma ho fatto molti la- voretti prima di finire l’università, tra cui per esempio l’accompagnatore di turisti a Londra e così ho imparato l’inglese. Ho anche lavorato in 73 Paesi diversi e que- sto profilo internazionale mi ha permesso di essere assunto alla Banca Mondiale e al World Economic Forum. A proposito di capacità, come si fa a emergere in un dato posto di lavoro? Conta solo – come dicono i guru – la passione? DICEMBRE 201665 WWW.BUSINESSPEOPLE.IT Punti di vista.indd 65Punti di vista.indd 65 23-11-2016 8:48:1323-11-2016 8:48:13
  • 3. I GIOVANI ITALIANI NON HANNO PIÙ LA CERTEZZA CHE I LORO SFORZI SARANNO RIPAGATI NEL MONDO DEL LAVORO Ho una grande passione per il tennis, ma mi riderebbero dietro anche al torneo del villaggio vacanze: ho quindi capito velo- cemente che la mia passione non corri- spondeva al talento e non sarei mai potu- to diventare un giocatore professionista. A 12 anni avevo già realizzato che non “c’era trippa per gatti”. Mia moglie inve- ce, quando emigrò dal Marocco a quat- tro anni insieme ai suoi sei fratelli, fu la prima a imparare il francese: le lingue erano il suo talento, oggi ne parla sei. Che vuol dire? Che ha compreso presto la sua strada e ci ha investito con tanta fatica. La passione è soggettiva, il talento è oggettivo: basta guardare un qualunque programma tv come X Factor: ci sono tanti che si credono bravi cantanti, ma chi sa farlo davvero lo decidono i giudici. È il riconoscimento esterno che fa la dif- ferenza. La passione non basta, devi ca- pire se quello che ti piace è anche il tuo talento. Se così non fosse, allora biso- gna cercare altrove: tutti hanno un teso- ro nascosto dentro di loro, ne sono sicuro dopo 9 mila job interview effettuate. Ma- gari servono anni per scoprire qual è, ma poi bisogna assecondarlo. Faccio l’esem- pio di una mia conoscente: ha iniziato a fare l’artista a 65 anni dopo la pensione, ma ha sprecato le sue doti per 40 anni fa- cendo la cassiera al supermercato perché aveva paura di perdere il posto di lavoro inseguendo la sua ispirazione. E se qualcuno si scoprisse bravo in qual- cosa che proprio non gli piace? Molti talenti restano soffocati, dalla pi- grizia, dalla famiglia o da tanti altri fatto- ri. Da amante del tennis, ho pianto quan- do Flavia Pennetta ha vinto gli Us Open a 35 anni. Nel dopo gara, un giornalista le ha detto che aveva avuto un bel po’ di fortuna nel mettere a segno l’ultimo pun- to con uno stupendo lungolinea. Lei si è arrabbiata: altro che fortuna, gli ha rispo- sto che erano vent’anni che provava quel colpo in allenamento. Come capisco se un lavoro non è adatto a me? Insomma, cosa mi deve dare il co- raggio di licenziarmi? Ci sono tre fattori che determinano un rapporto felice con il proprio posto di la- voro: se ti fa crescere, se stai imparan- do ancora. Poi conta se stai contribuen- do all’obiettivo comunque: puoi anche divertirti, ma devi dare qualcosa indietro. E, terzo, il rispetto: quello che tu hai per l’organizzazione e quello che essa ha per te. Non si tratta di buona o cattiva educa- zione, ma di sentirsi valorizzati, di capire se la propria opinione conta o meno. Se mancano questi elementi, allora non vale la pena rimanere. Se ci sono, si può an- dare anche oltre i fatidici tre-cinque anni, che sono considerati convenzionalmente il momento giusto per cercare un nuovo lavoro. Di solito se si cambia dopo meno di tre anni qualcuno storce il naso, se lo si fa dopo sei anni si pensa ci sia qualco- sa che non va. Questo elemento tempo- rale ha una valenza, ma da solo non è si- gnificativo: puoi stare trent’anni in un’or- ganizzazione e occuparti di tanti incari- chi diversi pur senza cambiare azienda. Restare al proprio posto andando avan- ti col “pilota automatico”, invece, è svi- lente e alla lunga insostenibile. Il mio li- bro, infatti, è per le persone, non mi ri- tengo adatto a dire alle corporazioni come gestire le persone, ma alla luce del- la mia esperienza posso dare dei consi- gli ai singoli. Anche i giovani italiani farebbero bene ad andarsene? Negli anni si sono presi dei “choosy”, dei “bamboccioni” ecc. Un’esperienza all’estero per me dovreb- be essere obbligatoria, perché giocare in trasferta fa bene, apre la mente, impo- ne di riflettere sulla propria visione del- le cose. Ma non è tutta colpa dei giova- ni italiani: a loro è stata tolta la fiducia più che la speranza. La fiducia che i loro sforzi verranno ripagati, la certezza che andranno avanti i migliori, la convinzio- ne che ci sarà un posto anche per loro nella società italiana. E allora magari mi trovo dei laureati che mi servono la cena a Londra e per me è avvilente. È colpa del nostro sistema scolastico? Del Jobs Act di cui si parla a ogni aggior- namento dei dati? Tra un laureato italiano e uno, per esem- pio, inglese, io scelgo sempre un italia- no. Perché ha fatto un liceo duro, un’uni- versità pesante, ha gli strumenti per fare bene. Dall’altra parte, però, mia figlia ha otto possibilità su dieci di fare da gran- de un lavoro che oggi non c’è. La scuola dovrebbe dare gli strumenti per preparar- si anche a questo futuro, e quella italiana è ingessata su vecchi schemi. Per quan- to riguarda la politica tricolore, se prima si parlava solo di Berlusconi oggi l’uni- co argomento è il referendum. È inaccet- tabile: i governanti dovrebbero ragiona- re in un quadro più ampio, di medio-lun- ga prospettiva, non cercare di gestire solo le contingenze. Il sottotitolo del suo libro è “Regole per essere vincenti restando liberi”. Che cosa è rimasto del concetto di libertà nelle organizzazioni di oggi? Si resta liberi non scendendo mai a com- promessi. Se vengo assunto in un repar- to risorse umane su segnalazione di qual- cuno, a mia volta prima o poi dovrò as- sumere un altro raccomandato. Oggi si confonde spesso il concetto di libertà con quello di anarchia, cioè l’assenza di re- gole. La libertà è, invece, la possibilità di muoversi – e lavorare – senza costrizioni e influenze. E anche questo, a suo modo, è un successo. GUIDA PER UTENTI Non un manuale per i responsabili delle risorse umane, ma una guida per i singoli lavoratori per districarsi tra colloqui e offerte di lavoro nella ricerca della strada giusta per la propria realizzazione DICEMBRE 201666 WWW.BUSINESSPEOPLE.IT Punti di vista BP Punti di vista.indd 66Punti di vista.indd 66 23-11-2016 8:48:3523-11-2016 8:48:35