3. PRESENTAZIONE Il Progetto risponde all'esigenza di far comprendere alle giovani generazioni che la nostra Carta Costituzionale è il frutto di un lungo, complesso e faticoso lavoro di uomini che, pur provenienti da esperienze a volte assai diverse, hanno creduto nella necessità di darsi regole condivise che garantissero le nuove generazioni e in particolar modo i più deboli. E’ il Lavoro l'obiettivo e la preoccupazione di molti ragazzi del Sud alle soglie del diploma. I giovani hanno bisogno di credere in un futuro di libertà e giustizia sociale; gli adulti hanno l'obbligo di indicare loro il percorso da seguire, un percorso che la nostra Costituzione traccia e che noi abbiamo voluto individuare, in particolare, in quattro articoli legati al tema, appunto, del lavoro: l'articolo 4, per ciò che attiene ai Principi fondamentali, e gli articoli 35, 36 e 37. L'ipertesto realizzato, indipendentemente dall'esito del concorso, rimane un prodotto didattico che altre classi dell'Istituto potranno utilizzare per trattare la tematica prescelta, mettendo in evidenza lo sforzo di passare dall’enunciazione di Principi alla declinazione di essi. Il progetto, oltre a sottolineare l’importanza dei principi sanciti sollecita ad uno sforzo politico che partendo dalla “morale delle buone intenzioni” li traduca in atti concreti, stimoli nei ragazzi la voglia di esercitare i diritti politici che sono propri dell’essere cittadino in uno stato democratico.
4. LA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA “ La data del 1 gennaio 1948 ha segnato la nascita di qualcosa che continua a vivere, è vivo e ha un futuro : una tavola di principi e di valori, di diritti e di doveri, di regole e di equilibri, che costituisce la base del nostro stare insieme…..” Giorgio Napolitano ( discorso per il 60° anniversario della Costituzione .)
5. La Costituzione della Repubblica è il risultato di un confronto eccezionalmente ricco tra le diverse correnti storico - culturali e politiche rappresentate dall’Assemblea Costituente, un’assemblea eletta dal popolo sovrano, in seguito al crollo del regime preesistente. Essa è dunque l’elemento fondante dello Stato stesso, garanzia di diritti e prescrittrice di doveri, necessari per raggiungere obiettivi condivisi di vita organizzata. La Costituzione contiene perciò regole destinate a valere e ad essere rispettate da tutte le forze politiche presenti nel Paese. Essa si apre con 12 articoli in cui sono sanciti i principi fondamentali ai quali seguono altre 3 parti: “Diritti e doveri dei cittadini”; “Ordinamento della Repubblica”; “Disposizioni transitorie e finali”. La convergenza di differenti orientamenti ideali: quello democratico (della sovranità popolare), quello liberale (legato al vincolo legislativo) e quello socialista (che garantisce la cittadinanza attraverso l’attività lavorativa) porta i costituenti a porre il Lavoro come fondamento essenziale della Repubblica.
6. Art. 1 L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti sanciti dalla Costituzione.
7. L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro.
8. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti sanciti dalla Costituzione.
9. Art. 4 IL LAVORO DIRITTO/DOVERE La Repubblica riconosce e garantisce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere secondo le proprie possibilità e a propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
10. L’art.4 riafferma dunque il valore fondamentale del lavoro, diritto prima ancora che dovere del cittadino. La Repubblica perciò, da un lato riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e dall’altro si impegna ad assicurane l’effettività. Lo Stato si impegna a far sì che ogni cittadino, uomo o donna, trovi una occupazione da cui trarre i mezzi di sostentamento e l’indipendenza economica che è la condizione essenziale per la libertà. Questa affermazione però non può essere intesa come una pretesa incondizionata rivolta ai pubblici poteri al fine di ottenere un lavoro retribuito; al contrario, il precetto costituzionale sollecita la Repubblica a porre in essere tutte le misure legislative che assicurino che il diritto di ciascuno diventi effettivo. Il lavoro però non è solo un diritto, è anche un dovere di solidarietà, perché attraverso l’attività lavorativa ogni individuo contribuisce al progresso economico e sociale della collettività.
11. Art. 35 LA TUTELA DEL LAVORO La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale, e tutela il lavoro italiano all’estero.
12. Il primo comma dell’ art. 35 afferma l’impegno della Repubblica a tutelare il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni, collegandosi al principio espresso dall’ art. 1 e all’ art. 4 . Essa prescrive l’ adozione da parte del legislatore di provvedimenti a tutela del lavoro. Il secondo comma stabilisce invece che la Repubblica provvede alla formazione professionale dei lavoratori, intesa come crescita, di abilità intellettuali e materiali del singolo, che gli consentono anche, se possibile, di migliorare la propria posizione lavorativa. Infine l’ultimo comma riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale, e invoca la tutela del lavoro italiano all’estero. A tal riguardo, nei Paesi dell’Unione Europea, per esempio, il trattamento previdenziale del lavoratore migrante è, salvo eccezioni, quello assicurato dalla legislazione del luogo effettivo di lavoro.
13. ART. 36 IL PRINCIPIO RETRIBUTIVO Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.
14. Quest’articolo introduce un importante principio in materia di retribuzione del lavoratore: secondo l’art.36 essa deve rispettare due parametri risultare da un lato proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto, dall’altro sufficiente ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa. E importante sottolineare e definire questi due termini: proporzionalità e sufficienza, che diventano le parole chiave di questo principio. Con il termine “proporzionalità” si intende la quantità dell’ammontare della retribuzione non è relazionata soltanto al tempo di lavoro svolto, ma anche dalla qualità della prestazione in termini di difficoltà,importanza e complessità, nonché di responsabilità. Con il termine “sufficienza” si sottolinea che al lavoratore deve essere garantita una retribuzione proporzionata anche alle concrete esigenze del singolo lavoratore e della propria famiglia. Il secondo dei due requisiti configura dunque uno standard minimo inderogabile, al di sotto del quale cioè non è possibile scendere; il primo dà al lavoratore il diritto di vedersi riconosciuta una giusta proporzione tra la qualità/quantità di lavoro resa e la retribuzione effettivamente erogata.
15. Il secondo comma dell’articolo prevede una durata massima della giornata lavorativa,il diritto al riposo settimanale e alle ferie annuali retribuite e contribuiscono così a integrare il quadro delle garanzie costituzionali in favore del lavoratore: si tratta di disposizioni che mirano a tutelare non solo la dignità del singolo,che non può venire sfruttato dal suo datore,ma anche la sua integrità psicofisica e le ripercussioni che ciò comporta nella sua vita privata, affettiva e familiare. Spetta, comunque alla legge stabilire il numero massimo di ore giornaliere di lavoro:attualmente,sono otto ore al giorno e quarantotto settimanali. Ciò non esclude - e anzi è la regola – che i singoli contratti collettivi e individuali prevedevano un orario minore. Per quanto riguarda il riposo settimanale, la legislazione può ragionevolmente prevedere eccezioni e deroghe, purché siano giustificate da reali necessità
16. ART. 37 LA TUTELA DELLE DONNE E DEI MINORI La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.
17. L’art.37 è rivolto a tutelare la condizione lavorativa della donna e del minore , visti dal Costituente come soggetti meritevoli di particolare protezione. La disposizione, peraltro, si compone di alcune parti immediatamente applicabili, come i precetti relativi alla parità di trattamento retributivo - a parità di lavoro - per entrambe le categorie rispetto ai lavoratori di sesso maschile e maggiorenni; e di altre parti programmatiche, laddove impegnano il legislatore a fissare il limite d’età minimo per il lavoro salariato o la creazione di condizioni di lavoro che consentano alla donna di conciliarlo con la cura della famiglia.
18. Entrando più in dettaglio, la norma intende innanzitutto vietare discriminazioni relative al lavoro e basate sul sesso , specificando dunque la portata generale del divieto di discriminazione sancito dall’art.3 della Costituzione: e così, non potranno aversi discriminazioni nell’assunzione, nello svolgimento e nella risoluzione del rapporto, salvo che sussistano obiettive e ragionevoli esigenze di differenziare il lavoratore maschile da quello femminile.
19. La seconda parte del primo comma si preoccupa invece della condizione della donna lavoratrice e madre , chiamata a un duplice e impegnativo ruolo. Va peraltro sottolineato come la legislazione si sia evoluta nel senso di estendere la tutela a entrambi i genitori, parificando tendenzialmente la posizione del padre e della madre: così, ad esempio, la disciplina dei congedi consente alla madre di astenersi dal lavoro nei due mesi antecedenti al parto e nei tre successivi, ma quest’ultimo diritto spetta – in alternativa – anche al padre; e così vale per gli ulteriori congedi per malattia del bambino. Nel periodo di congedo il lavoratore ha diritto a una retribuzione, al mantenimento del posto di lavoro e delle mansioni in precedenza ricoperte. E ancora, padre e madre hanno diritto a riposi giornalieri nel primo anno di vita del bambino (la donna ai fini dell’allattamento, l’uomo qualora ricorrano peculiari condizioni che comportino l’assenza effettiva del neonato) e per lo stesso periodo non possono essere comunque licenziati. Questo insieme di garanzie vale per le lavoratrici(e i padri lavoratori) dipendenti, imponendo dunque degli oneri a carico del datore di lavoro; per le donne che svolgono lavoro autonomo sono previste misure similari,accordate in larga parte dagli enti previdenziali di riferimento della categoria.
20. Venendo ai minori d’età , la Costituzione si preoccupa di favorirne la formazione e l’istruzione scolastica, limitando per quanto possibile il lavoro e circondandolo comunque di ampie garanzie , tradotte in concreto da numerosi interventi legislativi.
23. Definizione Dal punto di vista giuridico è L’articolo 2121 del codice civile che definisce la retribuzione come “le provvigioni, i premi di produzione, le partecipazioni agli utili e ai prodotti ed a ogni altro compenso di carattere continuativo, con l’esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese”. La legge 279/1982 definisce poi la retribuzione come “tutti gli emolumenti corrisposti a titolo non occasionale”.
24. Retribuzione minima Nell’ordinamento italiano, come abbiamo visto, la retribuzione minima è fissata dall’autonomia collettiva. È pertanto funzione e compito del contratto collettivo di lavoro, determinare, con l’aggiornamento di ogni accordo di rinnovo, l’oggetto della retribuzione. Quando questa manca, in determinati ambiti, il lavoratore è comunque tutelato in caso di retribuzione inadeguata.
25. Forme e tipi di retribuzione L’art. 2099 del c.c. poi stabilisce che la retribuzione deve essere effettuata “con le modalità e nei termini in uso nel luogo in cui il lavoro viene eseguito”, possibilmente quindi sul posto di lavoro, in denaro e periodicamente (solitamente mensilmente). È prevista tuttavia anche, del tutto o in parte, la retribuzione in natura .
26. Modalità di percepimento La modalità di percepimento rende possibile individuare quattro tipi di retribuzione: a tempo, a cottimo, a premio, e con partecipazione agli utili. La retribuzione a tempo prevede che l’ammontare del pagamento retributivo sia proporzionato alla durata dell’attività lavorativa. La retribuzione a cottimo invece è relazionata al risultato conseguito da un singolo lavoratore (cottimo individuale) o da un gruppo di lavoratori (cottimo collettivo) in termini di prodotto realizzato; il compenso unitario che spetta al lavoratore può essere riferito al numero di unità prodotte (cottimo puro) o alla quantità di lavoro realizzato e al tempo impiegato (cottimo a tempo). Solitamente i contratti collettivi preferiscono disciplinare una retribuzione che non sia interamente a cottimo, ma che preveda una maggiorazione su una base comunque certa stabilita in ragione del tempo (cottimo misto).
27. Il cottimo è vietato durante il tirocinio, in quanto l’apprendista non ha solitamente le capacità per rendere in modo sufficiente. È obbligatorio invece in quegli ambiti lavorativi dove va mantenuto un certo ritmo di produzione e per i lavoratori a domicilio. Spetta alla contrattazione collettiva stabilire retribuzioni e i rami del lavoro dove è obbligatorio questo tipo di retribuzione. La retribuzione a premio è commisurata a determinati risultati raggiunti (ad es. il volume di vendite raggiunto), può essere rappresentato dalle provvigioni. La partecipazione agli utili è corrisposta sulla base del risultato economico conseguito dall’azienda, ed è una forma aggiuntiva di retribuzione in quanto è legata al rischio di impresa. Il lavoratore può essere retribuito anche con retribuzione variabile , ovvero con la partecipazione, in tutto o in parte, agli utili o ai prodotti dell’impresa in cui lavora. Essendo simile alla retribuzione in natura, questo tipo di retribuzione, trova ambito anch’essa in alcuni settori ben individuati e limitati dalla contrattazione collettiva.
29. I DIRITTI E I DOVERI DEI LAVORATORI STATUTO DEI LAVORATORI - LEGGE n.300 del 20 Maggio 1970 Nel quadro dei principi costituzionali si muovono le leggi ordinarie che disciplinano la materia del lavoro,di cui lo Statuto dei lavoratori, emanato con la legge n. 300 del 20 maggio 1970, costituisce certo la normativa principale e di riferimento. La sua introduzione fu all’origine di importanti e notevoli modifiche che si lasciarono apprezzare sia sul piano delle condizioni di lavoro che su quello dei rapporti fra datori di lavoro, lavoratori e rappresentanze sindacali. Lo statuto dei lavoratori costituisce tuttora, pur corredato di integrazioni e modifiche,la base delle più rilevanti previsioni in materia di diritto del lavoro. Il testo dello statuto si divide in un titolo dedicato al rispetto della dignità del lavoratore, due titoli dedicati alla libertà e all’attività sindacali, un titolo sul collocamento e uno sulle disposizioni transitorie.
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31. Inoltre, al fine al fine di limitare impropri eccessi del datore di lavoro, ed indebite pressioni, sono vietati accertamenti diretti da parte del datore di lavoro sull’idoneità e sull’infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente, delegando agli enti pubblici competenti tali accertamenti (ex art.5 in tema di visita fiscale). Importante, oltre agli articoli del primo titolo (artt.1-13) è il regime applicativo dello Statuto. L’art.35 dello Statuto prevede infatti che gli articoli dal 19 al 27 si applichino ad aziende con “[…] sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo che occupa più di quindici dipendenti […]” (ridotti a cinque per le imprese agricole). Questa serie di articoli dello Statuto dei lavoratori riguarda innanzitutto l’attività sindacale e contiene, all’art.18, il problema particolarmente delicato del reintegro nel posto di lavoro.
32. La disposizione dell’art.36 e quella dell’art.37 (che limita fortemente l’applicazione dell’intero Statuto nel campo dell’impiego pubblico) riducono in maniera considerevole il numero dei lavoratori che possono usufruire in maniera completa della protezione offerta dello Statuto. L’Italia non è, storicamente,sede di aziende con un elevato numero di dipendenti; la maggior parte delle aziende italiane rientrano nelle categorie delle piccole e medie imprese,cui buona parte dello Statuto non si applica. Proprio per queste motivazioni si è sentita l’esigenza negli ultimi anni di un adeguamento del testo della legge o comunque l’esigenza di una tutela differenziata e approfondita di quelle categorie di lavoratori non rientranti nelle casistiche previste dall’attuale norma dello Statuto dei lavoratori.
34. Nessun intervento di politica del lavoro, oggi, può prescindere da un’indagine conoscitiva improntata alle differenze di genere. La “sottorappresentanza di genere”, sia in ambito economico che in ambito politico, è infatti ancora uno dei punti critici della nostra Democrazia e ne ostacola la declinazione concreta dei principi. In Italia, se è vero che le donne investono di più in cultura rispetto agli uomini, riescono meglio negli studi, dando maggiore rilievo al lavoro, sperimentano forme nuove del produrre e riprodurre, rivestono una molteplicità di ruoli nelle diverse fasi di vita, tuttavia, nel mondo del lavoro, soprattutto nelle nostre realtà meridionali, incontrano numerose criticità: la disoccupazione femminile è a livelli altissimi. La bassa occupazione delle donne meridionali deriva da due elementi: una domanda scarsa ed una offerta limitata. L’Italia infatti ha accumulato ritardi normativi nella parità lavorativa per genere, in particolare nelle politiche di conciliazione fra lavoro e famiglia e nella condivisione dei ruoli all’interno della famiglia.
35. LA TUTELA DELLA DONNA LAVORATRICE L' art. 1 della legge n. 903 del 9/12/1977 vieta qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l'accesso al lavoro in qualunque settore o ramo di attività. L'imprenditore non potrà in alcun modo fare riferimento al sesso sia direttamente che indirettamente a mezzo stampa o con altra forma pubblicitaria che indichi come requisito professionale l'appartenenza all'uno o all'altro sesso. In applicazione di questa legge, un datore di lavoro non potrà più richiedere di assumere un uomo invece di una donna o viceversa, a eccezione dei settori moda, arte e spettacolo, quando cioè l'appartenenza a un determinato sesso sia essenziale alla natura del lavoro. Quindi tutti i lavori sono aperti alle donne. Se, tuttavia, sono particolarmente pesanti, sono consentite, dalla stessa legge, delle eventuali deroghe, cioè delle eccezioni, a mezzo dei contratti collettivi (onde evitare abusi)
36. L' art. 2 afferma: <La lavoratrice ha diritto alla stessa retribuzione del lavoratore quando le prestazioni richieste sono uguali o di pari valore>. In questo modo viene ribadito il principio della 'parità salariale' sancito dalla Costituzione. Occorre sottolineare che, qualora questo principio venga violato, la lavoratrice potrà ricorrere al pretore del lavoro (art.15). E' pure vietata qualsiasi discriminazione fra uomini e donne per quanto riguarda l'attribuzione delle qualifiche, delle mansioni, e la progressione nella carriera. Pertanto alla donna non devono più essere attribuite qualifiche o mansioni che fino a ieri erano riservate a lei sola, e per tutto l'arco della sua attività lavorativa non le devono essere riservati piani di carriera o possibilità di avanzamento professionale diversi - e più limitati - di quelli riservati fino ad oggi agli uomini. In particolare per evitare che la funzione materna punisca la sua carriera di lavoratrice, la legge stabilisce che le assenze obbligatorie per la maternità vengono considerate come attività lavorativa ai fini della carriera (oltre che ai fini dell'attività di servizio).
37. LA TUTELA DELLA LAVORATRICE CHE CONTRAE MATRIMONIO La legge 9 gennaio 1963, n. 7 ha introdotto il principio del << divieto di licenziamento a causa di matrimonio>> per tutte le imprese private, con esclusione, di quelle addette ai servizi familiari e domestici. Sono quindi nulli i licenziamenti intimati a causa del matrimonio, se attuati nel periodo intercorrente dalla richiesta di pubblicazione matrimoniale sino ad un anno dopo la celebrazione delle nozze, a meno che il licenziamento non avvenga per giusta causa, per cessazione dell'attività dell'azienda, per scadenza del termine del contratto a tempo determinato o durante il periodo di prova.
38. TUTELA DELLA LAVORATRICE MADRE L'art.2110 c.c., le leggi 26 agosto 1950, n. 860, 9 gennaio 1963, n.7, la l. 30 dicembre 1971, n. 1204 (che hanno modificato e completato le leggi precedenti del 1929 e del 1934) e la l. 9 dicembre 1977, n. 903, hanno cercato di conciliare le esigenze della donna madre con quelle della donna lavoratrice (art. 37 Cost.). La legge, pertanto detta norme a tutela della donna durante il particolare periodo della gravidanza, del puerperio e considera pure l'ipotesi dell'aborto.
47. LE LEGGI A TUTELA DEL LAVORO MINORILE I principi previsti dall’ art.37 sono strettamente connessi ad altri sanciti dalla Costituzione, come la protezione dell’infanzia e della gioventù (art. 31, comma 2); la tutela della salute (art. 32); l’istruzione scolastica (art. 34) e quella professionale (art. 35, comma 2). La Legge 17 ottobre 1967, n. 977 è stata per molto tempo la principale fonte normativa sul lavoro minorile (poi integrata dai Dpr 4 gennaio 1971, n. 36 e 20 gennaio 1976, n. 432 contenenti rispettivamente la definizione dei lavori leggeri nelle attività non industriali e quella dei lavori faticosi, pericolosi e insalubri). Il Decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 345 (G.U. n. 237 dell’8 ottobre 1999), innova la legge n. 977/1967 ed abroga i precedenti Dpr n. 36/1971 e n. 432/1976: in particolare unifica tutte le disposizioni in materia di lavoro dei minori, estendendone l’applicazione a tutti i rapporti di lavoro, sia ordinari che speciali, e disciplina (nell’Allegato I dello stesso decreto) le lavorazioni, i processi e le lavorazioni inibiti al minore.
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49. Ambito di applicazione della disciplina sul lavoro minorile ed esclusioni La normativa sul lavoro minorile è applicabile a tutti i lavoratori di età inferiore ai 18 anni che abbiano un contratto o un rapporto di lavoro disciplinato dalle norme vigenti, anche se di natura ”speciale” (art. 3, legge n. 977/1967, come modificato dal Dlgs n. 345/1999). Questo significa che le disposizioni sul lavoro dei minori si applicano senza eccezioni anche nel caso in cui il minorenne sia occupato con contratto di apprendistato, di formazione e lavoro e con lavoro a domicilio. Ipotesi escluse dalla disciplina del lavoro minorile Sono esclusi dal campo di applicazione della normativa in tema di lavoro minorile i lavori occasionali o di breve durata svolti da adolescenti nei servizi domestici prestati in ambito familiare nonché nelle imprese a conduzione familiare, sempre che queste si concretizzino in prestazioni non nocive, né pregiudizievoli, né pericolose (in questo senso art. 2, legge n. 977/1967, comma 1, come modificato dall’art. 4 del Dlgs n. 345/1999).