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LERISERVE PETROLIFERE DELL'INDUSTRIA BANCARIA
SOLE 24ORE MAGGIO 2008
Sullo sfondo della crisi di credito e di liquidità che interessa l'industria bancaria, esiste un fenomeno meno
appariscente, ma probabilmente ancora più importante: si tratta del funding gap che si è sviluppato durante la
crescita dell'industria negli ultimi 10 anni.
Nell'ultima decade, in tutto il mondo occidentale la crescita degli impieghi bancari è stata molto più rapida
della crescita dei depositi: in Italia, si stima che gli impieghi persino intorno al 110% del Pil a fronte di una
incidenza dei depositi intorno al 70%, con un gap di circa 600 miliardi di Euro; gap analoghi si sono generati in
Francia (circa 600 Miliardi alla fine del 2006), Spagna (più di 300 Miliardi), e in misura minore in Germania
(circa 140 Miliardi), per non parlare dei paesi anglosassoni.
Questi gap sono stati finanziati, per anni, dai mercati dei capitali, tramite obbligazioni di varia natura e tramite
quel castello di prodotti di finanza strutturata, che include tutte le cartolarizzazioni dalle sigle ormai famigerate
(ABS, CDO, CLO, etc.). Un circuito di finanza esterna alla banca che è arrivato ad assumere dimensioni
gigantesche: alcune stime ne collocano la dimensione, soltanto negli Stati Uniti, in circa 5000 Miliardi di
dollari (a confronto di una dimensione dei bilanci bancari di 9000 Miliardi di dollari)
In questo castello avevano luogo due incantesimi: il primo era la moltiplicazione della leva finanziaria, e il
secondo una trasformazione massiccia delle scadenze. Più in concreto: in questo circuito parallelo si riusciva a
finanziare 1 euro di impieghi accantonando anche solo 1 centesimo di capitale (nel sistema ufficiale servono in
media tra 8 e 10 centesimi). Inoltre si riusciva a finanziare impieghi a scadenza molto lunga (per esempio mutui
ipotecari, mutui industriali, prestiti personali a 3 o a 5 anni), con raccolta di breve termine di varia natura,
proveniente da fondi monetari, fondi alternativi e investitori istituzionali (nel sistema ufficiale, naturalmente, la
trasformazione di scadenze esiste comunque, ma in maniera molto più trasparente e sotto la vigilanza delle
autorità di supervisione).
Ora gli incantesimi sono finiti di colpo e questi mercati non funzionano più. Un paio di grandi istituzioni
finanziarie hanno pagato un conto salatissimo, diventando insolventi nell'arco di poche ore. Nel frattempo, sono
intervenute le banche centrali, sostenendo i mercati con iniezioni continue di liquidità (tra Europa e Stati Uniti,
più di 500 Miliardi di euro dall'inizio della crisi, considerando soltanto le iniezioni annunciate pubblicamente).
Ma questo sostegno non potrà durare all'infinito e prima o poi i mercati dovranno trovare un loro nuovo
equilibrio, che a sua volta può derivare: o da un nuovo modo di finanziare la crescita degli impieghi richiesta
dalle banche (e dall'economia); oppure da un differente (e più lento) ritmo di crescita degli impieghi.
Le previsioni in questa materia sono difficili e rischiose, ma qualcuna può essere azzardata. La prima è che i
mercati dei capitali si riprenderanno, e ritorneranno a finanziare almeno parte del gap. A dispetto dei
catastrofismi, non sarà questa crisi, come non ci sono riuscite quelle dei precedenti 600 anni, a cancellare la
funzione essenziale di questi mercati, che è quella di fare arrivare il risparmio laddove è richiesto. La seconda è
che i mercati dei capitali saranno però, per molti anni, meno generosi. Imbrigliati da (opportuni) vincoli di
capitale e di regolazione più stringenti, daranno di meno, più selettivamente, a prezzi più alti e a scadenze più
brevi. La terza è che di conseguenza le banche avranno bisogno, strutturalmente e per molti anni, di una
maggior quantità di raccolta diretta dai clienti, soprattutto di quella a medio e lungo termine; quelle più efficaci
nel procurarsi questa raccolta, potranno crescere di più anche dal lato dell'attivo, degli utili e della creazione di
valore.
In sostanza, prendendo a prestito l'espressione che ha usato con noi un banchiere, "i flussi di raccolta saranno
nei prossimi anni le riserve petrolifere dell'industria bancaria".
In verità, i flussi di risparmio e di depositi delle famiglie non sono complessivamente diminuiti per effetto della
crisi del credito. Anzi, la crisi avrà (sta già avendo) addirittura l'effetto di favorire la re-intermediazione, cioè il
ritorno alle banche di flussi che erano prima allocati su intermediari a torto o a ragione ora percepiti come più
rischiosi/volatili o meno remunerativi (v. il crollo del risparmio gestito in Italia). Ci sono però due problemi in
questa migrazione di flussi verso le banche. Il primo è che il sistema ha complessivamente aumentato le proprie
"scorte " di liquidità, aumentando stock precauzionali che prima avevano dimensioni più ridotte. E il secondo è
che i flussi che rientrano nel sistema vogliono restare appunto liquidi, cioè su scadenze brevi, mentre la
domanda del sistema, guidata dalla crescita degli attivi, è per scadenze lunghe. Il fenomeno delle scorte è
significativo, ma almeno destinato a migliorare gradualmente col tempo; mentre il problema della differenza di
scadenze è probabilmente strutturale. Da tutto ciò, l'aumento della competizione per assicurarsi raccolta stabile
e permanente: le riserve petrolifere.
Come tutti i cambiamenti di scenario, anche questo potrebbe avere un impatto non trascurabile sulla dinamica
competitiva delle diverse istituzioni finanziarie. Sulla base dell'esperienza e della ricerca di BCG, riteniamo che
ci saranno tre aree di competizione particolarmente importanti.
La prima riguarda l'innovazione negli strumenti di raccolta diretta, che aumenterà in modo sostanziale. A lungo
considerati come prodotto "relazionale" e generatore di perdite, i prodotti di raccolta diretta sono
improvvisamente diventati più importanti e più competitivi, e sempre più lo saranno in futuro; la competizione
sui prezzi sarà sempre più articolata, in funzione delle scadenze e delle diverse formule di flessibilità, e la
capacità di comprendere e gestire l'elasticità della domanda rispetto alle varie formule di prezzo diventerà
un'arma competitiva; lo sviluppo massiccio delle obbligazioni bancarie, fortemente guidato dall'offerta, è
soltanto la prima fase, ma le banche più avanzate ne comprenderanno in fretta le rigidità e i limiti sia dal lato
dei clienti che dal lato della propria tesoreria, e sposteranno l'attenzione verso nuove formule di depositi
vincolati a scadenze più brevi ma più flessibili e più vicine ai bisogni dei clienti (i depositi vincolati sono un
prodotto che sta già conoscendo una nuova vita, anche in funzione delle offerte di diverse banche dirette, ed è
arrivato a rappresentare 61 Miliardi di masse con una crescita del 28% all'anno); i consumatori si "abitueranno"
a ottenere rendimenti simili ai titoli di stato anche per prodotti percepiti come simili al conto corrente, e questo
finirà probabilmente per avere un impatto sulla stessa struttura dei conti correnti che diventeranno più
comunicanti e interconnessi con altre forme di raccolta
La seconda riguarda la gestione del rapporto con le imprese, che cambierà profondamente. Le imprese
custodiscono un giacimento di raccolta pari a circa 180 Miliardi di euro, di cui circa 100 appartenenti al
segmento delle piccole imprese. Le banche più avanzate rivedranno il proprio approccio a questi clienti,
tradizionalmente sbilanciato verso i prodotti di impiego, con un'attenzione molto maggiore al ciclo finanziario
complessivo dell'impresa e a tutti i servizi adatti a catturare flussi di liquidità. La gestione dei prezzi punterà da
un lato a facilitare la cattura di questi flussi di liquidità, e dall'altro a selezionare sempre di più gli impieghi,
non soltanto in funzione dei rischi di credito e dell'assorbimento di capitale, ma anche dei rischi di funding e
liquidità, e del potenziale complessivo della relazione. Inoltre, un numero sempre maggiore di banche
aumenterà l'attenzione verso l'ulteriore giacimento di liquidità costituito dal rapporto con l'imprenditore in
quanto cliente privato (e possessore di ulteriore liquidità rispetto a quella dell'impresa); nel cercare di gettare un
ponte tra i due rapporti, con l'impresa e con l'imprenditore, oggi separati nel 60% dei casi, il fattore
determinante che le banche dovranno mettere in campo non sarà il semplice radicamento territoriale, ma
piuttosto la capacità di coordinare competenze e informazioni oggi non connesse tra loro, sorretta da un' offerta
di alta qualità e senza sorprese verso il cliente imprenditore
La terza area di competizione riguarderà un cambiamento di paradigma nella gestione dei prezzi esterni e
interni. L'apparato concettuale e operativo, su cui la "fabbrica" finanziaria delle banche costruisce i propri
prezzi, è oggi ancora fondato sull'assioma di un mercato interbancario fortemente liquido e con offerta infinita;
i prezzi costruiti in questo modo incorporano l'ipotesi che si produce margine ogni volta che si impiega sopra
l'interbancario (prescindendo da se e come questi impieghi saranno finanziati), e si aggiunge ulteriore margine
ogni volta che si raccoglie sotto l'interbancario (prescindendo da se e come questi fondi saranno impiegati);
molte banche stanno rendendosi conto che questo assioma non rispecchia più la realtà dei mercati, e soprattutto
che induce comportamenti sbagliati. Questo porterà alcune istituzioni ad adottare una gestione dei prezzi
differente, fondata su curve dei tassi che incorporano maggiori informazioni, e anche più flessibile e
interfunzionale, con impatti significativi sugli equilibri di mercato.
La competizione per le "riserve petrolifere" costituirà, per diverse istituzioni bancarie, un test importante della
propria flessibilità strategica e operativa. Si tratta di un cambiamento che richiederà una forte collaborazione
interfunzionale, e in quanto tale offrirà alle organizzazioni più lucide e più agili una opportunità significativa
per migliorare la propria posizione di mercato in modo duraturo.
Ignazio Rocco di Torrepadula
Massimo Busetti

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  • 1. LERISERVE PETROLIFERE DELL'INDUSTRIA BANCARIA SOLE 24ORE MAGGIO 2008 Sullo sfondo della crisi di credito e di liquidità che interessa l'industria bancaria, esiste un fenomeno meno appariscente, ma probabilmente ancora più importante: si tratta del funding gap che si è sviluppato durante la crescita dell'industria negli ultimi 10 anni. Nell'ultima decade, in tutto il mondo occidentale la crescita degli impieghi bancari è stata molto più rapida della crescita dei depositi: in Italia, si stima che gli impieghi persino intorno al 110% del Pil a fronte di una incidenza dei depositi intorno al 70%, con un gap di circa 600 miliardi di Euro; gap analoghi si sono generati in Francia (circa 600 Miliardi alla fine del 2006), Spagna (più di 300 Miliardi), e in misura minore in Germania (circa 140 Miliardi), per non parlare dei paesi anglosassoni. Questi gap sono stati finanziati, per anni, dai mercati dei capitali, tramite obbligazioni di varia natura e tramite quel castello di prodotti di finanza strutturata, che include tutte le cartolarizzazioni dalle sigle ormai famigerate (ABS, CDO, CLO, etc.). Un circuito di finanza esterna alla banca che è arrivato ad assumere dimensioni gigantesche: alcune stime ne collocano la dimensione, soltanto negli Stati Uniti, in circa 5000 Miliardi di dollari (a confronto di una dimensione dei bilanci bancari di 9000 Miliardi di dollari) In questo castello avevano luogo due incantesimi: il primo era la moltiplicazione della leva finanziaria, e il secondo una trasformazione massiccia delle scadenze. Più in concreto: in questo circuito parallelo si riusciva a finanziare 1 euro di impieghi accantonando anche solo 1 centesimo di capitale (nel sistema ufficiale servono in media tra 8 e 10 centesimi). Inoltre si riusciva a finanziare impieghi a scadenza molto lunga (per esempio mutui ipotecari, mutui industriali, prestiti personali a 3 o a 5 anni), con raccolta di breve termine di varia natura, proveniente da fondi monetari, fondi alternativi e investitori istituzionali (nel sistema ufficiale, naturalmente, la trasformazione di scadenze esiste comunque, ma in maniera molto più trasparente e sotto la vigilanza delle autorità di supervisione). Ora gli incantesimi sono finiti di colpo e questi mercati non funzionano più. Un paio di grandi istituzioni finanziarie hanno pagato un conto salatissimo, diventando insolventi nell'arco di poche ore. Nel frattempo, sono intervenute le banche centrali, sostenendo i mercati con iniezioni continue di liquidità (tra Europa e Stati Uniti, più di 500 Miliardi di euro dall'inizio della crisi, considerando soltanto le iniezioni annunciate pubblicamente). Ma questo sostegno non potrà durare all'infinito e prima o poi i mercati dovranno trovare un loro nuovo equilibrio, che a sua volta può derivare: o da un nuovo modo di finanziare la crescita degli impieghi richiesta dalle banche (e dall'economia); oppure da un differente (e più lento) ritmo di crescita degli impieghi. Le previsioni in questa materia sono difficili e rischiose, ma qualcuna può essere azzardata. La prima è che i mercati dei capitali si riprenderanno, e ritorneranno a finanziare almeno parte del gap. A dispetto dei catastrofismi, non sarà questa crisi, come non ci sono riuscite quelle dei precedenti 600 anni, a cancellare la funzione essenziale di questi mercati, che è quella di fare arrivare il risparmio laddove è richiesto. La seconda è che i mercati dei capitali saranno però, per molti anni, meno generosi. Imbrigliati da (opportuni) vincoli di
  • 2. capitale e di regolazione più stringenti, daranno di meno, più selettivamente, a prezzi più alti e a scadenze più brevi. La terza è che di conseguenza le banche avranno bisogno, strutturalmente e per molti anni, di una maggior quantità di raccolta diretta dai clienti, soprattutto di quella a medio e lungo termine; quelle più efficaci nel procurarsi questa raccolta, potranno crescere di più anche dal lato dell'attivo, degli utili e della creazione di valore. In sostanza, prendendo a prestito l'espressione che ha usato con noi un banchiere, "i flussi di raccolta saranno nei prossimi anni le riserve petrolifere dell'industria bancaria". In verità, i flussi di risparmio e di depositi delle famiglie non sono complessivamente diminuiti per effetto della crisi del credito. Anzi, la crisi avrà (sta già avendo) addirittura l'effetto di favorire la re-intermediazione, cioè il ritorno alle banche di flussi che erano prima allocati su intermediari a torto o a ragione ora percepiti come più rischiosi/volatili o meno remunerativi (v. il crollo del risparmio gestito in Italia). Ci sono però due problemi in questa migrazione di flussi verso le banche. Il primo è che il sistema ha complessivamente aumentato le proprie "scorte " di liquidità, aumentando stock precauzionali che prima avevano dimensioni più ridotte. E il secondo è che i flussi che rientrano nel sistema vogliono restare appunto liquidi, cioè su scadenze brevi, mentre la domanda del sistema, guidata dalla crescita degli attivi, è per scadenze lunghe. Il fenomeno delle scorte è significativo, ma almeno destinato a migliorare gradualmente col tempo; mentre il problema della differenza di scadenze è probabilmente strutturale. Da tutto ciò, l'aumento della competizione per assicurarsi raccolta stabile e permanente: le riserve petrolifere. Come tutti i cambiamenti di scenario, anche questo potrebbe avere un impatto non trascurabile sulla dinamica competitiva delle diverse istituzioni finanziarie. Sulla base dell'esperienza e della ricerca di BCG, riteniamo che ci saranno tre aree di competizione particolarmente importanti. La prima riguarda l'innovazione negli strumenti di raccolta diretta, che aumenterà in modo sostanziale. A lungo considerati come prodotto "relazionale" e generatore di perdite, i prodotti di raccolta diretta sono improvvisamente diventati più importanti e più competitivi, e sempre più lo saranno in futuro; la competizione sui prezzi sarà sempre più articolata, in funzione delle scadenze e delle diverse formule di flessibilità, e la capacità di comprendere e gestire l'elasticità della domanda rispetto alle varie formule di prezzo diventerà un'arma competitiva; lo sviluppo massiccio delle obbligazioni bancarie, fortemente guidato dall'offerta, è soltanto la prima fase, ma le banche più avanzate ne comprenderanno in fretta le rigidità e i limiti sia dal lato dei clienti che dal lato della propria tesoreria, e sposteranno l'attenzione verso nuove formule di depositi vincolati a scadenze più brevi ma più flessibili e più vicine ai bisogni dei clienti (i depositi vincolati sono un prodotto che sta già conoscendo una nuova vita, anche in funzione delle offerte di diverse banche dirette, ed è arrivato a rappresentare 61 Miliardi di masse con una crescita del 28% all'anno); i consumatori si "abitueranno" a ottenere rendimenti simili ai titoli di stato anche per prodotti percepiti come simili al conto corrente, e questo finirà probabilmente per avere un impatto sulla stessa struttura dei conti correnti che diventeranno più comunicanti e interconnessi con altre forme di raccolta La seconda riguarda la gestione del rapporto con le imprese, che cambierà profondamente. Le imprese custodiscono un giacimento di raccolta pari a circa 180 Miliardi di euro, di cui circa 100 appartenenti al segmento delle piccole imprese. Le banche più avanzate rivedranno il proprio approccio a questi clienti,
  • 3. tradizionalmente sbilanciato verso i prodotti di impiego, con un'attenzione molto maggiore al ciclo finanziario complessivo dell'impresa e a tutti i servizi adatti a catturare flussi di liquidità. La gestione dei prezzi punterà da un lato a facilitare la cattura di questi flussi di liquidità, e dall'altro a selezionare sempre di più gli impieghi, non soltanto in funzione dei rischi di credito e dell'assorbimento di capitale, ma anche dei rischi di funding e liquidità, e del potenziale complessivo della relazione. Inoltre, un numero sempre maggiore di banche aumenterà l'attenzione verso l'ulteriore giacimento di liquidità costituito dal rapporto con l'imprenditore in quanto cliente privato (e possessore di ulteriore liquidità rispetto a quella dell'impresa); nel cercare di gettare un ponte tra i due rapporti, con l'impresa e con l'imprenditore, oggi separati nel 60% dei casi, il fattore determinante che le banche dovranno mettere in campo non sarà il semplice radicamento territoriale, ma piuttosto la capacità di coordinare competenze e informazioni oggi non connesse tra loro, sorretta da un' offerta di alta qualità e senza sorprese verso il cliente imprenditore La terza area di competizione riguarderà un cambiamento di paradigma nella gestione dei prezzi esterni e interni. L'apparato concettuale e operativo, su cui la "fabbrica" finanziaria delle banche costruisce i propri prezzi, è oggi ancora fondato sull'assioma di un mercato interbancario fortemente liquido e con offerta infinita; i prezzi costruiti in questo modo incorporano l'ipotesi che si produce margine ogni volta che si impiega sopra l'interbancario (prescindendo da se e come questi impieghi saranno finanziati), e si aggiunge ulteriore margine ogni volta che si raccoglie sotto l'interbancario (prescindendo da se e come questi fondi saranno impiegati); molte banche stanno rendendosi conto che questo assioma non rispecchia più la realtà dei mercati, e soprattutto che induce comportamenti sbagliati. Questo porterà alcune istituzioni ad adottare una gestione dei prezzi differente, fondata su curve dei tassi che incorporano maggiori informazioni, e anche più flessibile e interfunzionale, con impatti significativi sugli equilibri di mercato. La competizione per le "riserve petrolifere" costituirà, per diverse istituzioni bancarie, un test importante della propria flessibilità strategica e operativa. Si tratta di un cambiamento che richiederà una forte collaborazione interfunzionale, e in quanto tale offrirà alle organizzazioni più lucide e più agili una opportunità significativa per migliorare la propria posizione di mercato in modo duraturo. Ignazio Rocco di Torrepadula Massimo Busetti