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Il funding bancario nel post crisi, una leva strategica *
La Crisi degli ultimi due anni ha profondamente scosso i sonni tranquilli di banche e tesorieri, che per molto
tempo raccolto funding facilmente e a basso costo. Lo scenario è strutturalmente cambiato e, anche se il
mercato interbancario e in generale quello del funding wholesale non sono più “asciutti” come nei giorni
della crisi, le Banche Centrali sono tuttavia ancora costrette ad una massiccia iniezione di liquidità per
permettere il funzionamento del sistema. Oggi, con una liquidità “artificiosamente” abbondante, lo scenario
del funding nel settore bancario appare quanto mai difficile da decifrare, ma una cosa a nostro avviso è certa:
ancorché il funding possa sembrare abbondante nell’immediato futuro (soprattutto quello a breve termine), in
realtà i tempi del funding “illimitato” sono finiti; il supporto incondizionato da parte delle banche centrali
non durerà per sempre e la disponibilità di raccolta stabile, di durata lunga e a costi competitivi, resterà una
risorsa scarsa e importante per tutte le banche.
Con la Crisi, per molte banche europee il funding era diventato soprattutto un problema di “sopravvivenza”,
e poi anche di compliance, soprattutto in vista dell’introduzione delle regole previste dagli accordi di Basilea
III. Ma noi crediamo che la chiave di volta, soprattutto per il prossimo futuro, sia la gestione del funding
come leva competitiva, o addirittura come abilitatore della propria strategia. Ad oggi, se confrontiamo i CDS
di alcune grandi aziende europee (per esempio Siemens, Volkswagen, Shell o Vodafone) con quelli di alcune
grandi banche multinazionali (per esempio Santander, Barclays, Deutsche Bank, Intesa Sanpaolo oppure
UniCredit), troviamo in diversi casi nei corporate una capacità di raccogliere funding a condizioni simili o
migliori di quelli delle banche. Prima della crisi, al contrario, i corporate raccoglievano con spread pari a 2-3
volte quello delle grandi banche. E’ possibile che questa situazione sia temporanea ed eccezionale, generata
magari dall’afflusso di liquidità sui corporate bond e da una percezione dei rischi ancora falsata dalla crisi.
Ma è comunque rilevante, per le banche, porsi domande come le seguenti : 1) nell’ipotesi di voler tornare,
prima o dopo, a uno scenario di crescita dei propri bilanci, quanto funding sarà necessario a sostenere questa
crescita e che struttura dovrà avere questo funding? 2) nel medio termine, dato il costo di questo funding
addizionale, quali sono gli impieghi e i prezzi tali da generare una forbice e una redditività accettabile dopo i
rischi? 3) in che misura questi impieghi e questi prezzi sono differenti da quelli nei quali si è presenti oggi?
4) conseguentemente, come occorre fare evolvere la propria strategia di funding?
Per le banche che decideranno di dotarsi di una strategia di funding esplicita ed attiva, le aree di intervento
saranno almeno tre: un migliore allineamento degli obiettivi e della struttura di funding alla propria strategia
di business, un’attenta ottimizzazione della struttura del debito, una più ampia diversificazione delle fonti e
la predisposizione di processi strutturati di governance e allocazione.
Allungare l’orizzonte temporale della strategia di funding e allinearla alla strategia di business è senz’altro
un primo passo da compiere. In Europa non sono mancati, negli ultimi due anni, esempi di operatori bancari
che hanno innescato una competizione senza precedenti sui depositi, arrivando nel caso di alcune grandi
banche a generare più di 50 Miliardi di euro di raccolta addizionale in un paio di trimestri, e ottenendo nel
caso di alcune banche specialistiche (per esempio le banche emanazione di case automobilistiche in
Germania), un riequilibrio quasi completo del loan-to-deposit ratio. Questa competizione è stata in parte
criticata come insostenibile, soprattutto nei casi in cui è stata utilizzata aggressivamente la leva prezzo (con
remunerazioni molto elevate dei depositi); eppure alcune delle banche che ne sono state protagoniste hanno
mantenuto una redditività eccellente e una ottima qualità dei rischi, perché focalizzate su impieghi la cui
redditività era elevata o comunque coerente con il proprio costo di funding.
Un'altra leva sui cui è possibile intervenire è una revisione dettagliata e strutturata delle fonti di
finanziamento al fine di individuare nuove opportunità legate ad una maggiore diversificazione delle fonti,
sia da un punto di vista temporale che geografico, con il conseguente beneficio di ridurne il costo e il rischio.
Esplorando le opportunità offerte dai mercati globali, insieme con le banche di investimento, è possibile
procedere ad una sistematica ed efficiente differenziazione degli strumenti, agendo sulle loro scadenze,
operando con valute e tipi di investitori differenti e aumentando il numero delle emissioni. Per esempio,
alcune grandi banche europee negli ultimi due anni sono arrivate a collocare oltre 500 emissioni
obbligazionarie in 15 valute differenti. Gli investitori in strumenti di debito sono una platea ampia e
diversificata, tradizionalmente meno conosciuta e “coccolata” degli investitori azionari, ma in realtà oggi
altrettanto importante.
Infine, intervenendo sulle proprie procedure interne di allocazione e governance del funding, modificando in
modo dinamico il transfer pricing interno e la prezzatura ai clienti, le banche potranno gestire in modo
consapevole e ottimale l’utilizzo dei diversi prodotti nell’attivo e nel passivo. Da questo punto di vista, deve
far riflettere il fatto che mentre, ad esempio, in Inghilterra stiamo assistendo ad un repricing verso l’alto degli
spread sul lato impieghi, Italia e Spagna sono gli unici due paesi europei dove questi, al contrario, si stanno
riducendo. Se è vero che l’Italia presenta una scarsità di risparmio e un eccesso di debito infinitamente
inferiori dell’Inghilterra, è anche vero che – nel medio/lungo termine – non esiste un eccesso di risparmio e
di funding tale da giustificare una strutturale riduzione degli spread.
Diventerà sempre più importante passare dalle “vecchie abitudini” di considerare il funding come un
problema di breve termine ad adottare con una prospettiva strategica di lungo periodo e per questo è
importante iniziare a prepararsi fin da ora. Nel prossimo futuro chi si sarà mosso per tempo otterrà un reale
vantaggio competitivo: potrà operare con una forbice strutturalmente migliore; cogliere maggiori opportunità
su segmenti, prodotti e mercati che per altri risulteranno economicamente non sostenibili; godere di conti
economici più stabili ed essere percepito dal mercato come un interlocutore meno rischioso e più solido.
* Ignazio Rocco di Torrepadula, Senior Partner & Managing Director, The Boston Consulting Group
Andrea Airoldi, Partner & Managing Director, The Boston Consulting Group
MF settembre 2010

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  • 1. Il funding bancario nel post crisi, una leva strategica * La Crisi degli ultimi due anni ha profondamente scosso i sonni tranquilli di banche e tesorieri, che per molto tempo raccolto funding facilmente e a basso costo. Lo scenario è strutturalmente cambiato e, anche se il mercato interbancario e in generale quello del funding wholesale non sono più “asciutti” come nei giorni della crisi, le Banche Centrali sono tuttavia ancora costrette ad una massiccia iniezione di liquidità per permettere il funzionamento del sistema. Oggi, con una liquidità “artificiosamente” abbondante, lo scenario del funding nel settore bancario appare quanto mai difficile da decifrare, ma una cosa a nostro avviso è certa: ancorché il funding possa sembrare abbondante nell’immediato futuro (soprattutto quello a breve termine), in realtà i tempi del funding “illimitato” sono finiti; il supporto incondizionato da parte delle banche centrali non durerà per sempre e la disponibilità di raccolta stabile, di durata lunga e a costi competitivi, resterà una risorsa scarsa e importante per tutte le banche. Con la Crisi, per molte banche europee il funding era diventato soprattutto un problema di “sopravvivenza”, e poi anche di compliance, soprattutto in vista dell’introduzione delle regole previste dagli accordi di Basilea III. Ma noi crediamo che la chiave di volta, soprattutto per il prossimo futuro, sia la gestione del funding come leva competitiva, o addirittura come abilitatore della propria strategia. Ad oggi, se confrontiamo i CDS di alcune grandi aziende europee (per esempio Siemens, Volkswagen, Shell o Vodafone) con quelli di alcune grandi banche multinazionali (per esempio Santander, Barclays, Deutsche Bank, Intesa Sanpaolo oppure UniCredit), troviamo in diversi casi nei corporate una capacità di raccogliere funding a condizioni simili o migliori di quelli delle banche. Prima della crisi, al contrario, i corporate raccoglievano con spread pari a 2-3 volte quello delle grandi banche. E’ possibile che questa situazione sia temporanea ed eccezionale, generata magari dall’afflusso di liquidità sui corporate bond e da una percezione dei rischi ancora falsata dalla crisi. Ma è comunque rilevante, per le banche, porsi domande come le seguenti : 1) nell’ipotesi di voler tornare, prima o dopo, a uno scenario di crescita dei propri bilanci, quanto funding sarà necessario a sostenere questa crescita e che struttura dovrà avere questo funding? 2) nel medio termine, dato il costo di questo funding addizionale, quali sono gli impieghi e i prezzi tali da generare una forbice e una redditività accettabile dopo i rischi? 3) in che misura questi impieghi e questi prezzi sono differenti da quelli nei quali si è presenti oggi? 4) conseguentemente, come occorre fare evolvere la propria strategia di funding? Per le banche che decideranno di dotarsi di una strategia di funding esplicita ed attiva, le aree di intervento saranno almeno tre: un migliore allineamento degli obiettivi e della struttura di funding alla propria strategia di business, un’attenta ottimizzazione della struttura del debito, una più ampia diversificazione delle fonti e la predisposizione di processi strutturati di governance e allocazione. Allungare l’orizzonte temporale della strategia di funding e allinearla alla strategia di business è senz’altro un primo passo da compiere. In Europa non sono mancati, negli ultimi due anni, esempi di operatori bancari che hanno innescato una competizione senza precedenti sui depositi, arrivando nel caso di alcune grandi banche a generare più di 50 Miliardi di euro di raccolta addizionale in un paio di trimestri, e ottenendo nel caso di alcune banche specialistiche (per esempio le banche emanazione di case automobilistiche in Germania), un riequilibrio quasi completo del loan-to-deposit ratio. Questa competizione è stata in parte criticata come insostenibile, soprattutto nei casi in cui è stata utilizzata aggressivamente la leva prezzo (con remunerazioni molto elevate dei depositi); eppure alcune delle banche che ne sono state protagoniste hanno mantenuto una redditività eccellente e una ottima qualità dei rischi, perché focalizzate su impieghi la cui redditività era elevata o comunque coerente con il proprio costo di funding. Un'altra leva sui cui è possibile intervenire è una revisione dettagliata e strutturata delle fonti di finanziamento al fine di individuare nuove opportunità legate ad una maggiore diversificazione delle fonti, sia da un punto di vista temporale che geografico, con il conseguente beneficio di ridurne il costo e il rischio. Esplorando le opportunità offerte dai mercati globali, insieme con le banche di investimento, è possibile procedere ad una sistematica ed efficiente differenziazione degli strumenti, agendo sulle loro scadenze, operando con valute e tipi di investitori differenti e aumentando il numero delle emissioni. Per esempio, alcune grandi banche europee negli ultimi due anni sono arrivate a collocare oltre 500 emissioni obbligazionarie in 15 valute differenti. Gli investitori in strumenti di debito sono una platea ampia e diversificata, tradizionalmente meno conosciuta e “coccolata” degli investitori azionari, ma in realtà oggi altrettanto importante.
  • 2. Infine, intervenendo sulle proprie procedure interne di allocazione e governance del funding, modificando in modo dinamico il transfer pricing interno e la prezzatura ai clienti, le banche potranno gestire in modo consapevole e ottimale l’utilizzo dei diversi prodotti nell’attivo e nel passivo. Da questo punto di vista, deve far riflettere il fatto che mentre, ad esempio, in Inghilterra stiamo assistendo ad un repricing verso l’alto degli spread sul lato impieghi, Italia e Spagna sono gli unici due paesi europei dove questi, al contrario, si stanno riducendo. Se è vero che l’Italia presenta una scarsità di risparmio e un eccesso di debito infinitamente inferiori dell’Inghilterra, è anche vero che – nel medio/lungo termine – non esiste un eccesso di risparmio e di funding tale da giustificare una strutturale riduzione degli spread. Diventerà sempre più importante passare dalle “vecchie abitudini” di considerare il funding come un problema di breve termine ad adottare con una prospettiva strategica di lungo periodo e per questo è importante iniziare a prepararsi fin da ora. Nel prossimo futuro chi si sarà mosso per tempo otterrà un reale vantaggio competitivo: potrà operare con una forbice strutturalmente migliore; cogliere maggiori opportunità su segmenti, prodotti e mercati che per altri risulteranno economicamente non sostenibili; godere di conti economici più stabili ed essere percepito dal mercato come un interlocutore meno rischioso e più solido. * Ignazio Rocco di Torrepadula, Senior Partner & Managing Director, The Boston Consulting Group Andrea Airoldi, Partner & Managing Director, The Boston Consulting Group MF settembre 2010