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32 ECO DI BIELLA
LUNEDÌ 4 APRILE 2016
Vita&Arti
Il convegno
I D’Azeglio oggi a Torino
In occasione della morte di Massimo d’Azeglio e
nel bicentenario della nascita del nipote Emanuele,
Palazzo Lascaris (via Alfieri 15) ospita oggi, lunedì,
dalle ore 9.30 alle 17, un convegno dal tema: “I
d’Azeglio. Cultura, politica e passione civile”.
L’evento si dipanerà in due giornate: la prima nella
sede del Consiglio regionale del Piemonte, la
seconda (domani) presso la Fondazione Einaudi di
Palazzo Taparelli d’Azeglio. Le passioni di
Massimo d’Azeglio, oltre all’impegno politico,
furono essenzialmente due: la scrittura e la pittura.
Non altrettanto famoso ma non per questo meno
incisivo per la vita diplomatica, il nipote Emanuele,
che ricoprì il ruolo di ambasciatore nelle più
prestigiose sedi europee. Fra gli interventi anche
quello di Silvia Cavicchioli, biellese, docente
all’Università di Torino a fine mattinata sul tema:
“Massimo d’Azeglio, da creatore di miti a mito
celebrato”.
LE CAMPAGNE ARCHEOLOGICHE/ I RISULTATI DELLE INDAGINI DI CA’ FOSCARI 2012-13
IRicetti,borghideldominio
Dagli11censitinelBiellese,oggisisalea18.CandeloeMagnanoimeglioconservati:murapreesistenti
“Candelo e gli altri. Nuo-
ve indagini storiche e ar-
cheologiche sui Ricetti del
Biellese”: è il titolo del re-
cente incontro al Museo del
Territorio Biellese, in cui
l’archeologo Stefano Leardi
ha ripercorso le ricerche
condotte per la sua tesi di
dottorato, appena discussa
all’Università Ca’ Foscari di
Venezia.
Ampiamente diffusi nel
Nord Italia, soprattutto in
Piemonte (dove ne sono sta-
ti censiti quasi 200) e nel
Biellese (che annovera, a
Candelo, l’esemplare meglio
conservato in assoluto), i ri-
cetti rappresentano un feno-
meno variegato, molto citato
e studiato - a partire dalla fi-
ne dell’Ottocento - ma forse
ancora non del tutto com-
preso nella sua complessità.
Gli studi di Leardi sono
partiti dell’esame sistemati-
co delle informazioni esi-
stenti sui ricetti piemontesi:
interventi archeologici (po-
chi), studi, pubblicazioni.
Una ricognizione necessaria
per mettere a fuoco lo “stato
dell’arte”, a partire dalla de-
finizione: il termine “ricet-
to” è stato infatti storica-
mente utilizzato per indicare
tipi di fortificazione assai di-
versi, fino a designare oggi,
in modo relativamente uni-
voco, un nucleo medievale
fortificato, utilizzato dalla
popolazione come rifugio
temporaneo e come “silos
collettivo”, in cui conservare
e proteggere i prodotti agri-
coli.
L’indagine è poi prose-
guita con un censimento e
una classificazione dei nu-
merosi ricetti esistenti nel
territorio biellese: agli 11 ri-
cetti noti da tempo (Cande-
lo, Castelletto Cervo, Cava-
glià, Dorzano, Magnano,
Mottalciata, Ponderano,
Sandigliano, Roppolo, Val-
dengo, Viverone), si possono
aggiungere, secondo gli ulti-
mi studi di Leardi, anche
Benna, Borriana, Gagliani-
co, Donato, Peverano/Mon-
te Orsetto, Lessona e Ver-
gnasco. Siti di cui oggi, nella
maggior parte dei casi, resta-
no solo poche tracce o tal-
volta solo citazioni nei docu-
menti d’archivio.
La ricerca si è poi incen-
trata sui due ricetti di Can-
delo e Magnano, ambedue
di estremo interesse, ma con
caratteristiche e condizioni
di conservazione molto di-
verse. Qui, nel 2012 e 2013,
sono state effettuate due di-
stinte campagne di indagine,
condotte dal corso di Ar-
cheologia Medievale dell’U-
niversità Ca’ Foscari: vi han-
no partecipato 11 giovani ri-
cercatori provenienti da tutta
Italia e anche dall’estero,
coordinati sul campo da
Leardi, sotto la direzione
scientifica del professor Sau-
ro Gelichi, uno dei fondatori
dell’archeologia medievale
in Italia.
Le indagini sui due ricetti
si sono avvalse in primis del-
lo studio archeologico delle
architetture, cioè di un’anali-
si stratigrafica delle opere
murarie, che consente di ri-
costruire la sequenza dei di-
versi interventi costruttivi,
utilizzando tecniche quali la
mensiocronologia, ossia la
datazione basata sulle misu-
re dei mattoni utilizzati.
Nel 2013 sono stati inoltre
effettuati alcuni sondaggi di
scavo, seppure in aree limi-
tate.
Lo studio sul campo ha
evidenziato, in entrambi i si-
ti, la presenza di fasi costrut-
tive diverse, particolarmente
ben visibili nel ricetto di
Candelo; a Magnano, gli
scavi presso la torre-porta
hanno portato alla luce trac-
ce murarie preesistenti, di
difficile datazione; inoltre, a
Candelo, è stato documen-
tato un ampliamento verso
nord della cinta muraria, av-
venuto durante il XVI seco-
lo ed è stata chiarita la fun-
zione di “scarico” svolta
dalle riane, le strette interca-
pedini che separano gli edi-
fici, confermando l’ipotesi
che il ricetto sia servito, seb-
bene temporaneamente, da
rifugio per la popolazioneSopra, le mura del Ricetto di Candelo. In alto a destra la torre d’ingresso del Ricetto di Magnano
LA STORIA
Quei ‘castelli del popolo’
che sfidavano il feudalesimo
I ricetti sono diffusi in tutto il Nord
Italia,masolola“cantinacomunitaria”
diCandeloèarrivata(quasi)intattafino
a noi
Nel Basso Medioevo, la rinascita
dei Comuni. Il tempo dei ricetti coin-
cide con la fase di crescita dell’au-
tonomia dei Comuni, tra il XII e il XIV
secolo. Dopo secoli di invasioni bar-
bariche, carestie, pestilenze, a partire
dal punto di svolta dell’anno 1000, si
assiste ad un progressivo aumento de-
mografico e ad una ripresa della vita
politica, economica e culturale, get-
tando le basi per quello che sarà, nel
1400-1500, il Rinascimento. Motore di
questa lenta rinascita sono i centri ur-
bani, che a poco a poco si ripopolano e
tornano ad essere il centro della vita
pubblica: qui si ricrea lentamente una
classe media fatta di commercianti,
artigiani,personedicultura,artisti….E
soprattutto si ricrea il senso di una
“comunità”, che punta ad auto-go-
vernarsi, a ritagliarsi la sua autonomia
nel sistema feudale.
Marketing territoriale ante litte-
ram. I rinati comuni cercano di con-
solidareilpropriodominiosulterritorio
circostante, creando insediamenti di-
fensivi per provvedere autonomamente
alla propria difesa, senza più contare
sulla protezione della classe feudale:
cinte murarie attorno ai centri esistenti,
nuovi insediamenti in posizioni stra-
tegiche (i “borghi franchi”), nuclei for-
tificati da usare in caso di pericolo (i
“ricetti”). E la strategia pare abbia
avuto successo: secondo gli ultimi studi
infatti questo tipo di fortificazioni ha
rappresentato un fattore di successo per
i comuni che le hanno realizzate. Nel
caso di Magnano, la costruzione del
ricetto ha rappresentato un attrattore
per la popolazione della zona, de-
terminando il progressivo abbandono
di altri insediamenti quali Santa Maria
e San Secondo. E anche Candelo, in
seguito alla costruzione del ricetto, ha
affermato la sua egemonia a danno di
altri insediamenti esistenti, quali il vi-
cino borgo di Ysengarda, di cui si
perdono addirittura le tracce.
I ricetti sono quindi stati, per i
nascenti comuni medievali, un vero e
proprio strumento di “marketing ter-
ritoriale”, con cui competere per at-
trarre popolazione ed affermare il
proprio controllo sul territorio.
I “castelli del popolo”. Dunque, a
differenza della rocca o del castello, il
ricetto - dal latino receptum, che si-
gnifica “ricovero, rifugio” - non ha
caratteristiche feudali ma nasce dalla
iniziativa di una comunità, in par-
ticolare della classe borghese (artigiani,
contadini, commercianti) in via di co-
stituzione. I feudatari in alcuni casi
partecipano (anche mettendo a dispo-
sizione i terreni, a volte adiacenti al
castello)ehanno,comeglialtriabitanti,
il diritto di rifugiarvisi in caso di pe-
ricolo, ma non ne diventano mai i
proprietari: per questo i ricetti sono
simbolo di libertà civica e rappresen-
tanounaconseguenza(einparteanche
una causa) del progressivo superamen-
to del sistema feudale.
Nel Biellese, tanti ricetti e un
unicum.Strutturediquestotiposono
particolarmente diffuse in Piemonte,
terra ai tempi poco popolata, dedita
all’agricoltura,luogodipassaggioper
gli eserciti provenienti da Oltralpe,
dove piccoli borghi e contadini erano
alla mercé di incursioni e saccheggi.
In particolare nel Biellese, terra di
confine tra Novarese, Vercellese, Ca-
navese, circondata da potenti vicini,
quasi sempre in lite tra di loro, i ricetti
sorgono tutti nella parte sud, par-
ticolarmente esposta al pericolo di
attacchi (a nord, le montagne co-
stituivano una efficace barriera na-
turale). Dei ricetti piemontesi restano
oggi, nella maggior parte dei casi,
solo tracce: molti di essi sono stati
trasformati in nuclei abitativi veri e
propri, perdendo così la loro fisio-
nomia originaria. Quello di Candelo
èinvecel’unicogiuntoanoiinottimo
stato di conservazione, grazie al fatto
che non è mai stato abitato sta-
bilmente ma solo in caso di pericolo;
in tempo di pace serviva invece come
deposito, come “silos fortificato” per
conservare e difendere i beni più
preziosi della comunità: i prodotti
della terra, soprattutto il vino, di cui
Candelo è stato per secoli un forte
produttore. Proprio questa origine
contadina ne ha permesso la con-
servazione: molto attaccati al loro
“castel”, i candelesi hanno continuato
ad utilizzarlo per fare il vino fino a
tempi recentissimi (il secondo do-
poguerra) e ancora oggi alcune cellule
continuano ad essere utilizzate come
cantina. Un utilizzo quotidiano che,
se da un lato ha prodotto qualche
guasto, dall’altro ha permesso una
efficace manutenzione, salvaguardan-
do nell’insieme quello che oggi rap-
presenta un unicum a livello europeo,
oggetto di studio e forte attrattore
turistico per il territorio biellese.
l S.P.
Le indagini degli ar-
cheologi di Ca’ Fo-
scari ai ricetti realiz-
zate tra il 2012 e il
2013
33ECO DI BIELLA
LUNEDÌ 4 APRILE 2016
CASTELLETTO CERVO/ UN LIBRO RIPERCORRE STORIA E SCAVI ARCHEOLOGICI 2006-14
IlmonasterodelcavaliereerranteQuanti rilievi ha visto
eseguire, sotto la sua om-
bra, il monastero ritrovato
di Castelletto Cer vo?
Quante persone, tra il 2006
e il 2014, si sono avvicen-
date tra le sue strutture,
presenti o re-immaginate?
E, alla fine, cosa si può rac-
contare di lui, quali infor-
mazioni mettere assieme
che vadano oltre quel che
l’occhio nudo, oggi, può
cogliere del suo antico
eco?
Un volume, nella storia
del monastero cluniacense
di Castelletto Cervo - che
appartiene, sin dalla fine
dell’undicesimo secolo, a
uno degli ordini monastici
più diffusi e potenti del
Medioevo europeo - man-
cava. Ecco perché l’uscita
di una raccolta di studi,
condotta sulla base del la-
voro eseguito da esperti
coordinati dal Dipartimen-
to di Studi Umanistici del-
l’Università del Piemonte
Orientale, segna un nuovo
capitolo della riscoperta e
valorizzazione del sito. Un
capitolo, quello rappresen-
tato da “Il priorato clunia-
cense di Castelletto Cervo.
Scavi e ricerche 2006-2014”
(Firenze, Edizioni all’Inse-
gna del Giglio, 2015), che
porta anche il titolo di “re-
stituzione”; come spiega
Eleonora Destefanis, ricer-
catrice di Archeologia cri-
stiana e medievale di Upo,
nonché la sua curatrice:
«La pubblicazione restitui-
sce al territorio i risultati di
questo lavoro, che si fa
fruibile per la collettività.
Nel volume ci si addentra
nelle operazioni di restauro
e di ricerca archeologica,
alle quali si unisce una pro-
spettiva storica, che con-
templa una descrizione det-
tagliata fino ai giorni no-
stri, o meglio fino al vente-
simo secolo».
E sarà proprio l’oggi, in-
fatti, a diventare momento
di presentazione del volu-
me, già illustrato a Vercelli
e atteso a Biella per sabato,
9 aprile. Appuntamento al-
le ore 10, nell’auditorium
di Palazzo Gromo Losa, e,
a seguire, alle ore 15 diret-
tamente al monastero, per
la visita sul campo.
Tra scavi e analisi. Un
piccolo salto all’indietro ci
riporta al 2006 e, precisa-
mente, al progetto Alfieri
lanciato dalla Fondazione
Cassa di Risparmio di To-
rino. Oggetto: l’edilizia sto-
rica connessa alle vie di
transumanza, localizzabili
tra alta pianura vercellese e
le montagne biellesi, e nel-
la quale il complesso mo-
nastico di Castelletto ben si
inseriva, con uno sguardo
diretto al mondo transalpi-
no, per il suo legame con
Cluny e la Borgogna.
Esemplare unico in Pie-
monte: «Il monastero di
Castelletto ci ha colpito da
subito, era un sito ai margi-
ni, su di esso erano state
fatte pubblicazioni impor-
tanti ma ridotte. Sapevamo
che aveva grandi potenzia-
lità: era un priorato princi-
pale nella nostra regione»,
aggiunge Eleonora Deste-
fanis.
«Abbiamo, quindi, proce-
duto in tre fasi: lo studio
dei documenti scritti d’ar-
chivio, la raccolta dei dati
disponibili e un progetto di
ricerca specifico sulle strut-
ture del sito, ovvero scavo e
analisi delle architetture
ancora esistenti. Operazio-
ni che sono state prepara-
zione alle scelte del succes-
sivo restauro».
Sono 43 gli autori del
volume sul priorato dei
Santi Pietro e Paolo, pub-
blicato con il contributo
della Fondazione Cassa di
Risparmio di Biella. Tra di
loro, geologi, archeologi,
ingegneri, chimici, fisici,
storici e storici dell’arte.
Ma anche grafici e fotogra-
fi, ai quali si deve una gal-
leria di immagini con rico-
struzioni tridimensionali.
Tanti quanti, insomma, i
profili dei professionisti che
hanno lavorato attorno al-
l’avancorpo della chiesa di
Castelletto, che è stata an-
che “cantiere-scuola” per
molti universitari. Sono
stati loro il “braccio” di un
progetto che ha contato sul
supporto di diversi soggetti:
Comune e parrocchia di
Castelletto Cervo, l’Ufficio
beni culturali e architetto-
nici dell’Arcidiocesi di Ver-
celli, le Soprintendenze
competenti, persino il Poli-
tecnico di Torino.
Sul futuro. «L’idea, ora,
è quella di continuare con
la promozione del mona-
stero, che è incluso nella
Federazione europea dei
180 siti cluniacensi - con-
clude Eleonora Destefanis -
Tra le iniziative, c’è la pro-
secuzione delle visite, già
aperte ogni terza domenica
del mese; l’avvicinamento
alle scuole, come accaduto
con il progetto “Muse alla
Lavagna” o, ancora, il po-
tenziamento del sito inter-
net di riferimento. Avvici-
nare i giovani alla pratica
archeologica significa pre-
servare un’eredità».
l Giovanna Boglietti
Sopra, alcune immagini del sito di Eleonora Destefanis, Giorgio Viazzo e Nicola Pozzato
Dallosperonedelsoldatoacavalloallachiesanascosta
CASTELLETTO CERVO
Ma cos’è emerso dai lavori di scavo
e analisi, portati avanti dall’Upo? Si
tratta, parole di Eleonora Destefanis,
di “sorprese importanti”: «Innanzi-
tutto, tracce di una presenza insedia-
tiva antica dell’alto Medioevo, prece-
dente la costituzione del monastero,
che emerge da un piccolo impianto di
lavorazione dei metalli, nell’area del
chiostro - spiega l’esperta -; poi, l’a-
rea funeraria, a nord del monastero,
della quale abbiamo scavato una par-
te e che ha evidenziato la presenza di
uomini, donne e bambini di popola-
zione laica. Quanto al monastero,
nello specifico, è stato messo in luce
lo sviluppo del chiostro medievale, gli
usi e le trasformazioni apportate nel
tempo; nelle gallerie ritrovate, si sono
scoperte anche sepolture: noto il ri-
trovamento di uno sperone di metal-
lo, che doveva appartenere a un uo-
mo di rango elevato, un cavaliere.
Elemento che apre a riflessioni sulle
relazioni del monastero con l’esterno.
Ancora, si è rimessa in luce la secon-
da chiesa del complesso, che riprende
il modello della casa madre di Cluny,
è dedicata a Maria e serviva ai mona-
ci malati o morenti o come luogo di
funzioni funerarie e commemorative
da svolgersi nel cuore del monastero.
In Italia, se ne trovano pochissime di
chiese simili, e nessuna conservata
così bene».
VITA & ARTI
L’EVENTO AL PIAZZO
IL VOLUME
La presentazione
pubblica sabato
del paese.
Per quanto riguarda inve-
ce i reperti rinvenuti durante
gli scavi, si tratta soprattutto
di materiali di epoca moder-
na (dal 1600 in avanti): «Nei
ricetti - spiega Leardi - si ri-
leva in genere una grande
povertà di materiali più anti-
chi perché si tratta di siti uti-
lizzati in modo continuativo
nel corso dei secoli, dove
non si è verificato l’accumu-
lo di quelle tracce (oggetti,
manufatti, resti di attività, ri-
fiuti) che, nelle strutture che
subiscono un processo di
“abbandono”, si depositano
permettendo oggi agli ar-
cheologi di ricostruire e da-
tare la loro storia passata».
Oltre a questi due metodi
di indagine, il lavoro di
Leardi ha poi utilizzato l’e-
same e la digitalizzazione
dei documenti dell’Archivio
storico comunale di Cande-
lo - utile per delineare le fasi
costruttive dell’insediamen-
to - e la ricognizione delle
architetture storiche presenti
sul territorio comunale (ad
esempio una ghiacciaia, una
fucina, i resti di due mulini):
analisi che hanno permesso
di confermare l’importante
ruolo dei ricetti come “fatto-
re di successo” dei borghi
medievali, capaci di attrarre
popolazione e quindi di de-
terminare l’egemonia delle
comunità che li erigevano, a
danno di altri nuclei abitati.
Questo approccio multidi-
sciplinare ha così consentito,
incrociando diverse fonti
documentali, di fare il punto
delle conoscenze sul tema e
di aggiungere nuovi tasselli
alla comprensione di un fe-
nomeno che ha fortemente
caratterizzato la storia e la
geografia del nostro territo-
rio.
l Simona Perolo
Dice la curatrice:
«Così restituiamo
quanto fatto tra
il 2006 e il 2014»
“Il priorato cluniacense
di Castelletto Cervo.
Scavi e ricerche
2006-2014” è il titolo
del libro che verrà
presentato sabato, 9
aprile, alle ore 10, a
Palazzo Gromo Losa.

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'I Ricetti, castelli del popolo che sfidavano il feudalesimo', di Simona Perolo

  • 1. 32 ECO DI BIELLA LUNEDÌ 4 APRILE 2016 Vita&Arti Il convegno I D’Azeglio oggi a Torino In occasione della morte di Massimo d’Azeglio e nel bicentenario della nascita del nipote Emanuele, Palazzo Lascaris (via Alfieri 15) ospita oggi, lunedì, dalle ore 9.30 alle 17, un convegno dal tema: “I d’Azeglio. Cultura, politica e passione civile”. L’evento si dipanerà in due giornate: la prima nella sede del Consiglio regionale del Piemonte, la seconda (domani) presso la Fondazione Einaudi di Palazzo Taparelli d’Azeglio. Le passioni di Massimo d’Azeglio, oltre all’impegno politico, furono essenzialmente due: la scrittura e la pittura. Non altrettanto famoso ma non per questo meno incisivo per la vita diplomatica, il nipote Emanuele, che ricoprì il ruolo di ambasciatore nelle più prestigiose sedi europee. Fra gli interventi anche quello di Silvia Cavicchioli, biellese, docente all’Università di Torino a fine mattinata sul tema: “Massimo d’Azeglio, da creatore di miti a mito celebrato”. LE CAMPAGNE ARCHEOLOGICHE/ I RISULTATI DELLE INDAGINI DI CA’ FOSCARI 2012-13 IRicetti,borghideldominio Dagli11censitinelBiellese,oggisisalea18.CandeloeMagnanoimeglioconservati:murapreesistenti “Candelo e gli altri. Nuo- ve indagini storiche e ar- cheologiche sui Ricetti del Biellese”: è il titolo del re- cente incontro al Museo del Territorio Biellese, in cui l’archeologo Stefano Leardi ha ripercorso le ricerche condotte per la sua tesi di dottorato, appena discussa all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Ampiamente diffusi nel Nord Italia, soprattutto in Piemonte (dove ne sono sta- ti censiti quasi 200) e nel Biellese (che annovera, a Candelo, l’esemplare meglio conservato in assoluto), i ri- cetti rappresentano un feno- meno variegato, molto citato e studiato - a partire dalla fi- ne dell’Ottocento - ma forse ancora non del tutto com- preso nella sua complessità. Gli studi di Leardi sono partiti dell’esame sistemati- co delle informazioni esi- stenti sui ricetti piemontesi: interventi archeologici (po- chi), studi, pubblicazioni. Una ricognizione necessaria per mettere a fuoco lo “stato dell’arte”, a partire dalla de- finizione: il termine “ricet- to” è stato infatti storica- mente utilizzato per indicare tipi di fortificazione assai di- versi, fino a designare oggi, in modo relativamente uni- voco, un nucleo medievale fortificato, utilizzato dalla popolazione come rifugio temporaneo e come “silos collettivo”, in cui conservare e proteggere i prodotti agri- coli. L’indagine è poi prose- guita con un censimento e una classificazione dei nu- merosi ricetti esistenti nel territorio biellese: agli 11 ri- cetti noti da tempo (Cande- lo, Castelletto Cervo, Cava- glià, Dorzano, Magnano, Mottalciata, Ponderano, Sandigliano, Roppolo, Val- dengo, Viverone), si possono aggiungere, secondo gli ulti- mi studi di Leardi, anche Benna, Borriana, Gagliani- co, Donato, Peverano/Mon- te Orsetto, Lessona e Ver- gnasco. Siti di cui oggi, nella maggior parte dei casi, resta- no solo poche tracce o tal- volta solo citazioni nei docu- menti d’archivio. La ricerca si è poi incen- trata sui due ricetti di Can- delo e Magnano, ambedue di estremo interesse, ma con caratteristiche e condizioni di conservazione molto di- verse. Qui, nel 2012 e 2013, sono state effettuate due di- stinte campagne di indagine, condotte dal corso di Ar- cheologia Medievale dell’U- niversità Ca’ Foscari: vi han- no partecipato 11 giovani ri- cercatori provenienti da tutta Italia e anche dall’estero, coordinati sul campo da Leardi, sotto la direzione scientifica del professor Sau- ro Gelichi, uno dei fondatori dell’archeologia medievale in Italia. Le indagini sui due ricetti si sono avvalse in primis del- lo studio archeologico delle architetture, cioè di un’anali- si stratigrafica delle opere murarie, che consente di ri- costruire la sequenza dei di- versi interventi costruttivi, utilizzando tecniche quali la mensiocronologia, ossia la datazione basata sulle misu- re dei mattoni utilizzati. Nel 2013 sono stati inoltre effettuati alcuni sondaggi di scavo, seppure in aree limi- tate. Lo studio sul campo ha evidenziato, in entrambi i si- ti, la presenza di fasi costrut- tive diverse, particolarmente ben visibili nel ricetto di Candelo; a Magnano, gli scavi presso la torre-porta hanno portato alla luce trac- ce murarie preesistenti, di difficile datazione; inoltre, a Candelo, è stato documen- tato un ampliamento verso nord della cinta muraria, av- venuto durante il XVI seco- lo ed è stata chiarita la fun- zione di “scarico” svolta dalle riane, le strette interca- pedini che separano gli edi- fici, confermando l’ipotesi che il ricetto sia servito, seb- bene temporaneamente, da rifugio per la popolazioneSopra, le mura del Ricetto di Candelo. In alto a destra la torre d’ingresso del Ricetto di Magnano LA STORIA Quei ‘castelli del popolo’ che sfidavano il feudalesimo I ricetti sono diffusi in tutto il Nord Italia,masolola“cantinacomunitaria” diCandeloèarrivata(quasi)intattafino a noi Nel Basso Medioevo, la rinascita dei Comuni. Il tempo dei ricetti coin- cide con la fase di crescita dell’au- tonomia dei Comuni, tra il XII e il XIV secolo. Dopo secoli di invasioni bar- bariche, carestie, pestilenze, a partire dal punto di svolta dell’anno 1000, si assiste ad un progressivo aumento de- mografico e ad una ripresa della vita politica, economica e culturale, get- tando le basi per quello che sarà, nel 1400-1500, il Rinascimento. Motore di questa lenta rinascita sono i centri ur- bani, che a poco a poco si ripopolano e tornano ad essere il centro della vita pubblica: qui si ricrea lentamente una classe media fatta di commercianti, artigiani,personedicultura,artisti….E soprattutto si ricrea il senso di una “comunità”, che punta ad auto-go- vernarsi, a ritagliarsi la sua autonomia nel sistema feudale. Marketing territoriale ante litte- ram. I rinati comuni cercano di con- solidareilpropriodominiosulterritorio circostante, creando insediamenti di- fensivi per provvedere autonomamente alla propria difesa, senza più contare sulla protezione della classe feudale: cinte murarie attorno ai centri esistenti, nuovi insediamenti in posizioni stra- tegiche (i “borghi franchi”), nuclei for- tificati da usare in caso di pericolo (i “ricetti”). E la strategia pare abbia avuto successo: secondo gli ultimi studi infatti questo tipo di fortificazioni ha rappresentato un fattore di successo per i comuni che le hanno realizzate. Nel caso di Magnano, la costruzione del ricetto ha rappresentato un attrattore per la popolazione della zona, de- terminando il progressivo abbandono di altri insediamenti quali Santa Maria e San Secondo. E anche Candelo, in seguito alla costruzione del ricetto, ha affermato la sua egemonia a danno di altri insediamenti esistenti, quali il vi- cino borgo di Ysengarda, di cui si perdono addirittura le tracce. I ricetti sono quindi stati, per i nascenti comuni medievali, un vero e proprio strumento di “marketing ter- ritoriale”, con cui competere per at- trarre popolazione ed affermare il proprio controllo sul territorio. I “castelli del popolo”. Dunque, a differenza della rocca o del castello, il ricetto - dal latino receptum, che si- gnifica “ricovero, rifugio” - non ha caratteristiche feudali ma nasce dalla iniziativa di una comunità, in par- ticolare della classe borghese (artigiani, contadini, commercianti) in via di co- stituzione. I feudatari in alcuni casi partecipano (anche mettendo a dispo- sizione i terreni, a volte adiacenti al castello)ehanno,comeglialtriabitanti, il diritto di rifugiarvisi in caso di pe- ricolo, ma non ne diventano mai i proprietari: per questo i ricetti sono simbolo di libertà civica e rappresen- tanounaconseguenza(einparteanche una causa) del progressivo superamen- to del sistema feudale. Nel Biellese, tanti ricetti e un unicum.Strutturediquestotiposono particolarmente diffuse in Piemonte, terra ai tempi poco popolata, dedita all’agricoltura,luogodipassaggioper gli eserciti provenienti da Oltralpe, dove piccoli borghi e contadini erano alla mercé di incursioni e saccheggi. In particolare nel Biellese, terra di confine tra Novarese, Vercellese, Ca- navese, circondata da potenti vicini, quasi sempre in lite tra di loro, i ricetti sorgono tutti nella parte sud, par- ticolarmente esposta al pericolo di attacchi (a nord, le montagne co- stituivano una efficace barriera na- turale). Dei ricetti piemontesi restano oggi, nella maggior parte dei casi, solo tracce: molti di essi sono stati trasformati in nuclei abitativi veri e propri, perdendo così la loro fisio- nomia originaria. Quello di Candelo èinvecel’unicogiuntoanoiinottimo stato di conservazione, grazie al fatto che non è mai stato abitato sta- bilmente ma solo in caso di pericolo; in tempo di pace serviva invece come deposito, come “silos fortificato” per conservare e difendere i beni più preziosi della comunità: i prodotti della terra, soprattutto il vino, di cui Candelo è stato per secoli un forte produttore. Proprio questa origine contadina ne ha permesso la con- servazione: molto attaccati al loro “castel”, i candelesi hanno continuato ad utilizzarlo per fare il vino fino a tempi recentissimi (il secondo do- poguerra) e ancora oggi alcune cellule continuano ad essere utilizzate come cantina. Un utilizzo quotidiano che, se da un lato ha prodotto qualche guasto, dall’altro ha permesso una efficace manutenzione, salvaguardan- do nell’insieme quello che oggi rap- presenta un unicum a livello europeo, oggetto di studio e forte attrattore turistico per il territorio biellese. l S.P. Le indagini degli ar- cheologi di Ca’ Fo- scari ai ricetti realiz- zate tra il 2012 e il 2013
  • 2. 33ECO DI BIELLA LUNEDÌ 4 APRILE 2016 CASTELLETTO CERVO/ UN LIBRO RIPERCORRE STORIA E SCAVI ARCHEOLOGICI 2006-14 IlmonasterodelcavaliereerranteQuanti rilievi ha visto eseguire, sotto la sua om- bra, il monastero ritrovato di Castelletto Cer vo? Quante persone, tra il 2006 e il 2014, si sono avvicen- date tra le sue strutture, presenti o re-immaginate? E, alla fine, cosa si può rac- contare di lui, quali infor- mazioni mettere assieme che vadano oltre quel che l’occhio nudo, oggi, può cogliere del suo antico eco? Un volume, nella storia del monastero cluniacense di Castelletto Cervo - che appartiene, sin dalla fine dell’undicesimo secolo, a uno degli ordini monastici più diffusi e potenti del Medioevo europeo - man- cava. Ecco perché l’uscita di una raccolta di studi, condotta sulla base del la- voro eseguito da esperti coordinati dal Dipartimen- to di Studi Umanistici del- l’Università del Piemonte Orientale, segna un nuovo capitolo della riscoperta e valorizzazione del sito. Un capitolo, quello rappresen- tato da “Il priorato clunia- cense di Castelletto Cervo. Scavi e ricerche 2006-2014” (Firenze, Edizioni all’Inse- gna del Giglio, 2015), che porta anche il titolo di “re- stituzione”; come spiega Eleonora Destefanis, ricer- catrice di Archeologia cri- stiana e medievale di Upo, nonché la sua curatrice: «La pubblicazione restitui- sce al territorio i risultati di questo lavoro, che si fa fruibile per la collettività. Nel volume ci si addentra nelle operazioni di restauro e di ricerca archeologica, alle quali si unisce una pro- spettiva storica, che con- templa una descrizione det- tagliata fino ai giorni no- stri, o meglio fino al vente- simo secolo». E sarà proprio l’oggi, in- fatti, a diventare momento di presentazione del volu- me, già illustrato a Vercelli e atteso a Biella per sabato, 9 aprile. Appuntamento al- le ore 10, nell’auditorium di Palazzo Gromo Losa, e, a seguire, alle ore 15 diret- tamente al monastero, per la visita sul campo. Tra scavi e analisi. Un piccolo salto all’indietro ci riporta al 2006 e, precisa- mente, al progetto Alfieri lanciato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di To- rino. Oggetto: l’edilizia sto- rica connessa alle vie di transumanza, localizzabili tra alta pianura vercellese e le montagne biellesi, e nel- la quale il complesso mo- nastico di Castelletto ben si inseriva, con uno sguardo diretto al mondo transalpi- no, per il suo legame con Cluny e la Borgogna. Esemplare unico in Pie- monte: «Il monastero di Castelletto ci ha colpito da subito, era un sito ai margi- ni, su di esso erano state fatte pubblicazioni impor- tanti ma ridotte. Sapevamo che aveva grandi potenzia- lità: era un priorato princi- pale nella nostra regione», aggiunge Eleonora Deste- fanis. «Abbiamo, quindi, proce- duto in tre fasi: lo studio dei documenti scritti d’ar- chivio, la raccolta dei dati disponibili e un progetto di ricerca specifico sulle strut- ture del sito, ovvero scavo e analisi delle architetture ancora esistenti. Operazio- ni che sono state prepara- zione alle scelte del succes- sivo restauro». Sono 43 gli autori del volume sul priorato dei Santi Pietro e Paolo, pub- blicato con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Biella. Tra di loro, geologi, archeologi, ingegneri, chimici, fisici, storici e storici dell’arte. Ma anche grafici e fotogra- fi, ai quali si deve una gal- leria di immagini con rico- struzioni tridimensionali. Tanti quanti, insomma, i profili dei professionisti che hanno lavorato attorno al- l’avancorpo della chiesa di Castelletto, che è stata an- che “cantiere-scuola” per molti universitari. Sono stati loro il “braccio” di un progetto che ha contato sul supporto di diversi soggetti: Comune e parrocchia di Castelletto Cervo, l’Ufficio beni culturali e architetto- nici dell’Arcidiocesi di Ver- celli, le Soprintendenze competenti, persino il Poli- tecnico di Torino. Sul futuro. «L’idea, ora, è quella di continuare con la promozione del mona- stero, che è incluso nella Federazione europea dei 180 siti cluniacensi - con- clude Eleonora Destefanis - Tra le iniziative, c’è la pro- secuzione delle visite, già aperte ogni terza domenica del mese; l’avvicinamento alle scuole, come accaduto con il progetto “Muse alla Lavagna” o, ancora, il po- tenziamento del sito inter- net di riferimento. Avvici- nare i giovani alla pratica archeologica significa pre- servare un’eredità». l Giovanna Boglietti Sopra, alcune immagini del sito di Eleonora Destefanis, Giorgio Viazzo e Nicola Pozzato Dallosperonedelsoldatoacavalloallachiesanascosta CASTELLETTO CERVO Ma cos’è emerso dai lavori di scavo e analisi, portati avanti dall’Upo? Si tratta, parole di Eleonora Destefanis, di “sorprese importanti”: «Innanzi- tutto, tracce di una presenza insedia- tiva antica dell’alto Medioevo, prece- dente la costituzione del monastero, che emerge da un piccolo impianto di lavorazione dei metalli, nell’area del chiostro - spiega l’esperta -; poi, l’a- rea funeraria, a nord del monastero, della quale abbiamo scavato una par- te e che ha evidenziato la presenza di uomini, donne e bambini di popola- zione laica. Quanto al monastero, nello specifico, è stato messo in luce lo sviluppo del chiostro medievale, gli usi e le trasformazioni apportate nel tempo; nelle gallerie ritrovate, si sono scoperte anche sepolture: noto il ri- trovamento di uno sperone di metal- lo, che doveva appartenere a un uo- mo di rango elevato, un cavaliere. Elemento che apre a riflessioni sulle relazioni del monastero con l’esterno. Ancora, si è rimessa in luce la secon- da chiesa del complesso, che riprende il modello della casa madre di Cluny, è dedicata a Maria e serviva ai mona- ci malati o morenti o come luogo di funzioni funerarie e commemorative da svolgersi nel cuore del monastero. In Italia, se ne trovano pochissime di chiese simili, e nessuna conservata così bene». VITA & ARTI L’EVENTO AL PIAZZO IL VOLUME La presentazione pubblica sabato del paese. Per quanto riguarda inve- ce i reperti rinvenuti durante gli scavi, si tratta soprattutto di materiali di epoca moder- na (dal 1600 in avanti): «Nei ricetti - spiega Leardi - si ri- leva in genere una grande povertà di materiali più anti- chi perché si tratta di siti uti- lizzati in modo continuativo nel corso dei secoli, dove non si è verificato l’accumu- lo di quelle tracce (oggetti, manufatti, resti di attività, ri- fiuti) che, nelle strutture che subiscono un processo di “abbandono”, si depositano permettendo oggi agli ar- cheologi di ricostruire e da- tare la loro storia passata». Oltre a questi due metodi di indagine, il lavoro di Leardi ha poi utilizzato l’e- same e la digitalizzazione dei documenti dell’Archivio storico comunale di Cande- lo - utile per delineare le fasi costruttive dell’insediamen- to - e la ricognizione delle architetture storiche presenti sul territorio comunale (ad esempio una ghiacciaia, una fucina, i resti di due mulini): analisi che hanno permesso di confermare l’importante ruolo dei ricetti come “fatto- re di successo” dei borghi medievali, capaci di attrarre popolazione e quindi di de- terminare l’egemonia delle comunità che li erigevano, a danno di altri nuclei abitati. Questo approccio multidi- sciplinare ha così consentito, incrociando diverse fonti documentali, di fare il punto delle conoscenze sul tema e di aggiungere nuovi tasselli alla comprensione di un fe- nomeno che ha fortemente caratterizzato la storia e la geografia del nostro territo- rio. l Simona Perolo Dice la curatrice: «Così restituiamo quanto fatto tra il 2006 e il 2014» “Il priorato cluniacense di Castelletto Cervo. Scavi e ricerche 2006-2014” è il titolo del libro che verrà presentato sabato, 9 aprile, alle ore 10, a Palazzo Gromo Losa.