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Disciplina e diritto del
 rapporto di Lavoro




     Dispensa per i corsi



         Bruno Marzemin
-2-




Questa dispensa è liberamente distribuibile da tutti e senza alcun diritto di copyright.
Si ricorda al lettore di verificare sempre l’aggiornamento delle normative presenti nella dispensa al fine di
poter avere una maggior visione e conoscenza delle aree legislative in esame.

Per qualsiasi errore rilevato nella presente si prega di scrivere a:
brunomarzemin@gmail.com

Redatta in maggio 2012
1. INTRODUZIONE AL DIRITTO DEL LAVORO: DEFINIZIONE E RIFERIMENTI NORMATIVI

1.1 Definizione del diritto di lavoro
      È il complesso di norme che disciplinano il rapporto di lavoro e che tutelano, oltre che l’interesse
economico, anche la libertà, la dignità e la personalità del lavoratore.
                                                                                                                                                    -3-
Esso è suddiviso in:
    diritto del lavoro in senso stretto (disciplina il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore dalla sua
        costituzione alla sua cessazione);
    diritto sindacale (riguarda la disciplina dei rapporti sindacali e la contrattazione collettiva);
    legislazione sociale (complesso di norme di previdenza e assistenza sociale che regolano i rapporti
        tra Stato, datori e prestatori di lavoro, e che si propongono di garantire il lavoratore dal rischio di
        perdita del reddito al verificarsi di determinati eventi che impediscono lo svolgimento della
        prestazione lavorativa, quali ad esempio, la malattia, l’infortunio, la maternità, ecc.).


1.2 Le fonti del diritto

        Il rapporto di lavoro è regolamentato da una molteplicità di fonti (scritte o orali) che sono disposte
secondo un sistema “piramidale”, rispettando una scala gerarchica, per cui fonti di grado superiore
vincolano quelle di grado inferiore.
In ordine di importanza troviamo:

le fonti nazionali (diritto internazionale e diritto comunitario);
le fonti statuali (Costituzione, leggi costituzionali; leggi ordinarie e atti avente forza di legge, quali i decreti
legge ed i decreti legislativi; regolamenti, quali i DPR ed i decreti ministeriali);
le fonti regionali (Statuto regionale; leggi regionali; regolamenti regionali, quali Delibere di Giunta regionale
o decreti dei Dirigenti);

le fonti sindacali e/o contrattuali
      Collettive (datori di lavoro e lavoratori sono rappresentati dalle rispettive associazioni di categoria):
          ‐ Accordi interconfederali;
          ‐ CCNL1
          ‐ Contratti integrativi territoriali di Secondo livello e Contratti integrativi aziendali;
      Individuali (l’accordo è stipulato direttamente tra il singolo datore di lavoro e il singolo lavoratore):
          ‐ Contratto individuale di lavoro.

Usi e consuetudini (fonti di fatto, norme non scritte)


1.3 Tipologie di rapporto di lavoro

       La prestazione lavorativa di un soggetto a favore di un altro può essere inquadrata in uno dei
seguenti rapporti:

Lavoro subordinato (Art. 2094 c.c.)

       “È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga, mediante retribuzione, a collaborare nell’impresa,
prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”.

1
  I Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL) sono accordi sottoscritti dai sindacati dei lavoratori e dalle associazioni degli
imprenditori a livello nazionale, con i quali vengono regolamentati tutti i rapporti di lavoro che riguardano i lavoratori del settore
economico a cui si riferiscono (es. terziario, turismo, metalmeccanici, chimici, tessili, ecc.). Oltre ai CCNL, che coprono tutte le
categorie e l’intero territorio nazionale, esistono anche: accordi confederali, che si attuano a livello nazionale e hanno contenuti molto
generali validi per tutti i settori economici; contratti territoriali di secondo livello e aziendali, che hanno una funzione integrativa rispetto
al contratto nazionale e sono finalizzati a rispondere meglio ai bisogni del territorio e della singola impresa (stabilendo, per esempio,
premi di rendimento legati alla produttività del lavoro oppure l’organizzazione del lavoro. I contratti aziendali e quelli territoriali di
secondo livello normalmente regolano quegli aspetti che, nei CCNL, sono demandati ad una contrattazione decentrata.
           I contratti di lavoro sono documenti complessi, formati da due parti: una parte economica, che stabilisce salari, stipendi e
altre forme di remunerazione, dei lavoratori e ha una durata di due anni; un’altra (cosiddetta “normativa”), che stabilisce orari di
lavoro, inquadramenti di qualifica, assenze e permessi, disciplina e sanzioni, diritti sindacali e ha una durata di quattro anni.
Elemento qualificante del rapporto è in tal caso la subordinazione, da intendersi quale
assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e gerarchico del datore di lavoro.

Lavoro autonomo: contratto d’opera (Art. 2222 c.c.)

        “Quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o servizio, con lavoro                                   -4-
prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente…”

       Elemento qualificante del rapporto è l’autonomia nella gestione dei tempi, dei luoghi e della
modalità di organizzazione della propria attività e l’incidenza del rischio di impresa.

Collaborazioni a progetto (cd. Rapporto di lavoro subordinato) – (Art. 61 Decreto Legislativo
276/2003)

          “Rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di
subordinazione, di cui all’Art. 4092, n. 3 del C.P.C., devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici
e programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal lavoratore…”
          Il lavoro “parasubordinato”, che intercorre tra due soggetti, il “collaboratore” (ossia chi presta
l’attività lavorativa) e il “committente” (ossia chi beneficia dell’opera lavorativa), si definisce come tale
perché presenta caratteristiche proprie, in parte, del lavoro autonomo e, in parte, del lavoro subordinato. Il
collaboratore, infatti, analogamente ad un lavoratore autonomo, si impegna a compiere un’opera o un
servizio a favore del committente, senza alcun vincolo di subordinazione ma, a differenza dei lavoratori
autonomi, gli vengono estese delle prestazioni e delle tutele tipiche dei lavoratori subordinati (quali ad
esempio gli assegni per il nucleo familiare, l’indennità di malattia, l’indennità di maternità, la tutela in caso
d’infortunio).

Gli elementi che contraddistinguono tale tipologia di rapporto sono:
      la collaborazione nello svolgimento di ogni attività finalizzata al raggiungimento di scopi determinati
        da altri; il collaboratore è autonomo nella scelta della modalità di adempimento della prestazione,
        ma deve svolgere la stessa in funzione delle finalità e delle necessità organizzative del
        committente;
      il coordinamento: il committente ha la possibilità di fornire direttive al collaboratore nei limiti
        dell’autonomia professionale di quest’ultimo;
      la continuità: si tratta di una prestazione che non è occasionale ma perdura nel tempo così come
        definito nel contratto;
      la natura prevalentemente personale della prestazione: vi è una prevalenza del carattere personale
        dell’apporto lavorativo del collaboratore rispetto all’impiego di mezzi e/o di altri soggetti, teso ad
        ottenere un risultato.


1.4 I soggetti del rapporto subordinato

         Datore di lavoro è colui che riceve da altri una prestazione lavorativa, corrispondendo in cambio
una retribuzione.
Il contratto di lavoro subordinato è qualificato dalla dottrina “a prestazioni corrispettive”.
La responsabilità imprenditoriale può essere assunta individualmente, come nel caso di una ditta
individuale o può essere condivisa tra più persone, come nel caso di una società di persone.

        I prestatori di lavoro subordinato si distinguono in:
dirigenti che ricoprono ruoli all’interno dell’impresa caratterizzati da elevato livello di professionalità,
autonomia e potere decisionale;
quadri che, pur non appartenendo alla categoria dei dirigenti, svolgono con carattere continuativo funzioni
di rilevante importanza per il raggiungimento degli obiettivi dell’impresa. Hanno un’autonoma
responsabilità delle funzioni che vengono loro affidate e dipendono direttamente dai dirigenti;
impiegati che svolgono attività professionali, attività amministrative, tecniche, etc. con funzioni di
collaborazione all’impresa;


2
 Art. 409 del Codice di Procedura Civile: “…altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione d’opera continuativa e
coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato.
operai che svolgono compiti di tipo prevalentemente manuale. Si distinguono in: specializzati, qualificati e
comuni.

         A queste categorie se ne possono aggiungere altre due, eventualmente individuate dalla
contrattazione collettiva:
funzionari: figura intermedia tra quella impiegatizia e quella dirigenziale. L’elemento che li contraddistingue
è il potere di firma;
                                                                                                                      -5-
intermedi: massima categoria degli operai, svolgono mansioni di fiducia e responsabilità oppure guidano e
controllano gruppi di operai (es.: capo-officina, caporeparto, capo-cantiere). Sono i preposti.


1.4 Le organizzazioni di rappresentanza delle parti sociali


Associazioni di rappresentanza dei datori di lavoro

        Le organizzazioni associative di rappresentanza dei datori di lavoro sono distinte per grandi settori
dell’economia: industria, terziario, artigianato ed agricoltura.

        In primo grado sono formati dalle Associazioni mandamentali o provinciali (es.: Ascom
Castelfranco, Ascom Treviso, Ascom Padova, ecc.) che, a loro volta, al loro interno dividono gli associati a
seconda delle Federazioni Nazionali di categoria di riferimento (es.: Federmoda, Federalberghi, ecc.),
attuando il principio del doppio inquadramento.

         Le Associazioni provinciali di carattere generale e le Federazioni Nazionali di categoria
costituiscono le Confederazioni generali (es.: Confcommercio).

        Congiuntamente le Associazioni provinciali di una regione costituiscono il riferimento regionale di
quella Confederazione (es.: Confcommercio Veneto)
Riepiloghiamo qui di seguito le principali associazioni dei datori di lavoro:
     CONFINDUSTRIA (Confederazione generale dell’industria italiana);
     CONFAPI (Confederazione italiana della piccola e media industria);
     CONFCOMMERCIO (Confederazione generale italiana del commercio, del turismo e dei servizi);
     CNA (Confederazione nazionale dell’artigianato);
     CONFAGRICOLTURA (Confederazione generale italiana agricoltura);
     CONFESERCENTI.

Sindacati dei lavoratori

         L’organizzazione dei sindacati dei lavoratori è piuttosto complessa. Essa è articolata su base
verticale e su base orizzontale.
         Su base verticale abbiamo i sindacati provinciali di categoria (associano tutti i lavoratori occupati
presso un medesimo tipo di impresa) che si associano in Federazioni nazionali di categoria (per
esempio, per il settore metalmeccanico, FIOM – Federazione Impiegati Operai Metallurgici, FIM –
Federazione Italiana Metalmeccanici, UILM – Unione Italiana Lavoratori Metalmeccanici) le quali, a loro
volta, sono organizzate nella Confederazione sindacale (es.: CGIL, CISL, UIL) che associa tutte le
categorie a livello nazionale.
         I sindacati provinciali, però, si uniscono anche in linea orizzontale nella unione territoriale, che
assume nomi diversi a seconda della sede centrale sindacale cui fa capo (nella CGIL, Camera del lavoro;
nella CISL, Unione sindacale provinciale; nella UIL, Camera sindacale provinciale).
La distinzione fondamentale del sistema sindacale italiano si pone dunque tra i sindacati confederali, che
sono quelli di maggiori dimensioni e si propongono come rappresentativi di tutte le componenti lavorative,
facendo riferimento a tutti i settori economici, essi sono:
      la CGIL (Confederazione generale italiana del lavoro);
      la CISL (Confederazione italiana sindacati dei lavoratori);
      la UIL (Unione italiana del lavoro);
      la UGL (Unione generale del lavoro).
A livello aziendale possono essere elette le RSU – rappresentanze sindacali unitarie –, che rappresentano e
difendono gli interessi di tutti i lavoratori sul luogo di lavoro e sono titolari dei diritti sindacali relativi a:
gestione permessi sindacali, assemblee dei lavoratori, affissioni, nonché della contrattazione aziendale,
con il concorso e il sostegno dei sindacati di categoria.
2. IL CONTRATTO DI LAVORO


2.1 La costituzione del rapporto di lavoro

       La forma del contratto di lavoro è generalmente libera, nel senso che non sono previste particolari
                                                                                                                      -6-
modalità di espressione del consenso, tranne in alcune ipotesi, tassativamente previste, in cui la legge
prevede obbligatoriamente la forma scritta (es.: apprendistato, contratto a tempo determinato,
contratto di inserimento, ecc.).

         Quando stipulano il contratto di lavoro, le parti possono prevedere l’effettuazione di un periodo di
prova, il cui scopo è quello di permettere, sia al datore di lavoro che al lavoratore, di valutare la
convenienza della prosecuzione del rapporto di lavoro e durante il quale le parti sono libere di recedere dal
contratto, senza obbligo di fornire una motivazione e di dare il preavviso o di pagare la relativa indennità
sostitutiva.
Le caratteristiche del patto di prova sono:
     forma: deve essere scritta;
     compatibilità: con tutti i contratti (a tempo indeterminato, a tempo determinato, part-time,
         apprendistato, contratto di inserimento, somministrazione di lavoro, ecc.);
     durata: la prova, di solito, ha un termine massimo, ma può essere stabilito anche un termine
         minimo necessario. Il termine massimo, di solito, è fissato dal CCNL, in relazione anche ai singoli
         livelli di inquadramento e, comunque, non può essere superiore a 6 mesi, per dirigenti ed impiegati,
         e a 3 mesi per tutte le altre categorie di impiegati.
     Diritti ed obblighi delle parti: datore di lavoro e lavoratore sono obbligati a consentire ad effettuare
         la prova. Vi è inoltre la parificazione economica e normativa tra i lavoratori in prova e quelli non in
         prova, per cui durante la prova spettano al lavoratore tutti i trattamenti quali, ad esempio, le ferie, il
         TFR, le mensilità aggiuntive, l’anzianità di servizio anche se è stato esercitato il diritto di recesso.

PATTO DI NON CONCORRENZA POST-CONTRATTUALE

          È possibile, inoltre, che il datore di lavoro e il lavoratore concordino, in fase di assunzione o
durante lo svolgimento del rapporto di lavoro che, successivamente alla cessazione dello stesso, il
lavoratore rimanga obbligato, per un certo periodo di tempo, a non svolgere attività, in proprio o alle
dipendenze di altri, in concorrenza con il precedente datore di lavoro. Il patto può riguardare non solo
dipendenti che svolgono mansioni direttive o di alto livello, ma anche coloro che, pur essendo impiegati in
compiti esecutivi, operino in settori in cui l’imprenditore possa subire pregiudizio.
Affinché sia valido, il patto di non concorrenza deve obbligatoriamente soddisfare i seguenti requisiti:
      essere stipulato in forma scritta (questo perché il lavoratore si deve rendere conto dell’obbligo
          che assume);
      essere limitato nell’oggetto (l’ampiezza dell’oggetto non può essere tale da comprimere in
          maniera eccessivamente gravosa le future possibilità occupazionali del soggetto e le sue capacità
          reddituali);
      essere limitato per quanto riguarda il luogo (questo non ha un’autonoma rilevanza, ma va valutato
          in relazione al vincolo delle attività vietate). Es.: una stessa estensione territoriale può essere
          ritenuta “congrua” oppure no, a seconda che si combini con una riduzione dell’attività più o meno
          penetrante. Può essere l’intero territorio nazionale o un’area maggiore (per esempio uno più paesi
          dell’Unione europea), con riferimento all’effettivo interesse dell’impresa;
      essere oneroso (ossia deve prevedere un corrispettivo per il lavoratore, che potrà essere erogato,
          ad esempio, mensilmente, in aggiunta alla normale retribuzione e dovrà essere “congruo” ossia
          adeguato rispetto all’obbligo che viene imposto);
      avere un limite di tempo (la durata massima, normalmente, è di 3 anni. 5 anni per i dirigenti; tale
          termine decorre dal primo giorno successivo alla cessazione del rapporto di lavoro).
Se il patto viene violato dal lavoratore, l’azienda potrà farsi restituire i compensi eventualmente già erogati,
a tale titolo, nel corso del rapporto di lavoro e chiedere un risarcimento danni al lavoratore (ad esempio per
perdita di clientela, diminuzione del fatturato, ecc.). Poiché i danni subiti dal datore di lavoro devono essere
provati, di solito nello stesso patto di non concorrenza, a scopo precauzionale, viene già stabilita una
“penale” in via preventiva.
2.2 La durata della prestazione lavorativa

       Con l’entrata in vigore, il 29 aprile 2003, del D. Lgs. 66/2003, si è introdotta nel nostro ordinamento
una nuova disciplina dell’orario di lavoro, che si applica anche agli apprendisti maggiorenni.

Orario normale di lavoro
                                                                                                                      -7-
        Si intende qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e
nell’esercizio delle sue attività o delle sue funzioni. L’orario normale di lavoro è fissato in 40 ore settimanali.
La contrattazione collettiva può prevedere una durata inferiore.

Riposo giornaliero

        Ferma restando la durata normale dell’orario di lavoro settimanale, il lavoratore ha diritto a 11 ore di
riposo consecutivo ogni 24 ore. Solo in caso di attività con prestazioni frazionate a giornata, il riposo può
non essere consecutivo.

Durata massima dell’orario di lavoro

         Il legislatore lo ha fissato indirettamente: infatti, avendo stabilito la durata minima del riposo
giornaliero (11 ore consecutive), si deduce che la prestazione di lavoro giornaliero non può superare le
13 ore al giorno, fermo restando i limiti massimi stabiliti dalla contrattazione collettiva e non superiori in
ogni caso alla durata media di 48 ore settimanali, comprensive dello straordinario. Tale media va verificata
su un periodo di 4 mesi, elevabili a 6 o a 12 dalla contrattazione collettiva (ai fini della determinazione del
periodo, non vanno considerati i periodi di assenza per ferie e malattia).

Lavoro notturno

      È considerato lavoratore notturno colui che durante il periodo notturno (periodo di almeno 7 ore
consecutive comprendenti l’intervallo tra mezzanotte e le 5 del mattino) svolga almeno:
      1) 3 ore del suo tempo di lavoro giornaliero in modo normale;
      2) una parte del suo orario di lavoro secondo le norme definite dai contratti collettivi. In mancanza di
         tale contrattazione, è considerato lavoratore notturno chi svolge lavoro di notte per un minimo di
         80 giorni lavorativi all’anno, riproporzionati in caso di part-time.
Il lavoro notturno non può superare le 8 ore in media nelle 24 ore.

Riposi settimanali

          Il lavoratore ha diritto ogni sette giorni ad un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutive, di
regola in coincidenza con la domenica (ci sono casi definiti dai contratti di settore, però, in cui il riposo può
essere fissato anche in una giornata diversa dalla domenica – ad esempio in attività svolte a ciclo continuo,
in attività di vendita a dettaglio, nel settore turistico, in quello sanitario, ecc.).

Lavoro straordinario

         Il ricorso al lavoro straordinario, intendendo per tale il lavoro prestato oltre l’orario normale delle
40 ore settimanali, è subordinato al rispetto di determinate procedure come la comunicazione da parte
del datore di lavoro, che occupi nell’attività produttiva più di 10 dipendenti e abbia superato le 48 ore
settimanali tramite straordinario, alla Direzione Provinciale del Lavoro (DPL) – Servizio Ispettivo –
competente per territorio. In genere è regolamentato dalla contrattazione collettiva, che fissa anche un
limite giornaliero alla prestazione lavorativa e provvedere a determinarne le modalità di esecuzione. In
mancanza di tale disciplina, il ricorso allo straordinario è ammesso solo previo accordo tra datore di lavoro
e lavoratore per un periodo massimo non superiore a 250 ore annuali.
In aggiunta alle ipotesi previste dalla contrattazione collettiva, è ammesso il ricorso allo straordinario per:
         ‐ esigenze tecnico-produttive;
         ‐ cause di forza maggiore;
         ‐ eventi particolari.
2.3 La malattia

         La malattia è un’alterazione dello stato di salute che abbia, come conseguenza, un’assoluta o
parziale incapacità al lavoro e che comporti la necessità di assistenza medica e la somministrazione di mezzi
terapeutici.

         Tale evento determina la sospensione del rapporto di lavoro e il divieto per il datore di lavoro di                            -8-
licenziare il lavoratore per tutta la durata del periodo di comporto (cioè il periodo di conservazione del
posto di lavoro) stabilito generalmente dai contratti collettivi.

Aventi diritti all’indennità INPS:
    operai nell’industria, dell’artigianato e del commercio (sono esclusi pertanto gli apprendisti, gli
        impiegati, i quadri ed e i dirigenti);
    impiegati del commercio.

Adempimenti del lavoratore
Il lavoratore dipendente che ritenga di essere ammalato deve sottoporsi, preferibilmente dal primo giorno
di inizio della malattia, ad un accertamento sanitario, da una parte del medico curante, che rilascia
un’apposita certificazione;
inoltre il lavoratore ha l’obbligo di comunicare tempestivamente al datore di lavoro di essere ammalato (ad
esempio, telefonicamente), ciò al fine di giustificare l’assenza dal lavoro.

Certificato di malattia
Il lavoratore deve trasmettere al datore di lavoro ed eventualmente all’INPS (quando sussista il diritto
all’indennità economica di malattia a suo carico), entro due giorni dal relativo rilascio, una certificazione
sanitaria del medico curante, contenente l’indicazione esatta e completa del recapito al fine di consentire
l’effettuazione delle visite di controllo.
La trasmissione all’INPS può avvenire in uno dei seguenti modi:
         ‐ consegna diretta, dal lunedì al venerdì, ad una delle Agenzie INPS della provincia;
         ‐ invio alle stesse Agenzie INPS della provincia, con lettera raccomandata con ricevuta di
             ritorno.

Obbligo di reperibilità
Il lavoratore, durante la malattia, è tenuto a rispettare le seguenti fasce di reperibilità:
          ‐ dalle ore 10 alle ore 12;
          ‐ dalle ore 17 alle ore 19
di tutti i giorni, compresi i festivi se coperti da certificato di malattia.
L’obbligo di osservanza delle fasce di reperibilità è generale e inderogabile e, pertanto, il lavoratore, in
questi orari, oltre a rimanere a casa, deve collaborare fattivamente per consentire la regolare effettuazione
della visita di controllo, accertandosi anche che non vi siano impedimenti che possano in qualche modo
ostacolarla (controllando ad esempio che il campanello o il citofono funzioni regolarmente).

Sanzioni per ingiustificata3 assenza alla visita di controllo
Alla prima assenza: perdita totale dell’indennità per i primi 10 giorni;
alla seconda assenza: perdita del 50% dell’indennità per l’ulteriore periodo;
alla terza assenza: perdita totale dell’indennità dalla data dell’ultima visita.
Il lavoratore, che sia risultato assente alla visita domiciliare, sarà inviato dal medico fiscale, tramite il rilascio
di un invito contenente giorno e ora, a presentarsi alla visita ambulatoriale presso il Centro medico INPS.

Decorrenza e periodo massimo di indennizzabilità della malattia
L’indennità economica previdenziale viene erogata dal 4°giorno di malattia, computato:
     dalla data di inizio della malattia dichiarata dal lavoratore e riportata sull’attestazione medica alla
        voce “Dichiara di essere ammalato dal …”, se la visita cui si è sottoposto il lavoratore è effettuata
        lo stesso giorno di inizio della malattia o nel giorno immediatamente successivo;
     dalla data di effettuazione della visita medica, nel caso in cui nella certificazione non risulti la data
        di inizio della malattia dichiarata dal lavoratore.




3
 Vi sono dei casi, infatti, quali, ad esempio per forza maggiore, concomitanza di una visita medica generica e/o specialistica, per i
quali, se il lavoratore produce idonea documentazione, l’assenza della visita di controllo potrebbe essere giustificata dall’INPS.
I primi 3 giorni, denominati “carenza”, non sono indennizzati dall’INPS, ma la contrattazione collettiva
ha previsto che nella quasi generalità dei casi sia il datore di lavoro a retribuire tali giorni, corrispondendo la
normale retribuzione o parte di essa.
    Il periodo massimo di indennizzabilità della malattia da parte dell’INPS è di 180 giorni in un anno
solare (intendendo per tale periodo che va dal 1° gennaio al 31 dicembre).

Trattamento economico INPS
                                                                                                                      -9-
Agli operai ed agli impiegati del terziario, l’indennità è erogata dall’INPS secondo il seguente schema:
     dal 4° al 20° giorno di malattia, 50% della retribuzione media giornaliera per le giornate
        indennizzabili (i primi tre giorni di malattia nella generalità dei casi sono posti a carico del datore di
        lavoro);
     dal 21° al 180° giorno di malattia, 66,7% della retribuzione media globale giornaliera.

Trattamento economico a carico del datore di lavoro
    Generalmente i CCNL stabiliscono che, anche quando la malattia è indennizzata dall’INPS, il datore di
lavoro “integri” tale indennità, fino ad un determinato importo, che può essere una quota o il 100% della
normale retribuzione.

   Nel terziario, ad esempio, detta integrazione è prevista nella misura che consenta il raggiungimento del
seguente trattamento complessivo (INPS + datore di lavoro) della retribuzione giornaliera netta:
   1) 100% per i primi 3 giorni (periodo di carenza);
   2) 75% dal 4° al 20° giorno;
   3) 100% dal 29° giorno in poi.


2.4 L’infortunio e la malattia professionale

Nozione di infortunio sul lavoro
        L’infortunio sul lavoro è un evento avvenuto per causa violenta e in occasione di lavoro, da cui
derivino la morte, l’inabilità permanente al lavoro – assoluta o parziale – che determini l’astensione dal
lavoro per più di 3 giorni.

Causa violenta
         È un fattore che opera dall’esterno, con azione intensa e concentrata nel tempo (questo differenzia
l’infortunio dalla malattia professionale, dove la causa è lenta e progressiva).

Occasione di lavoro
         Deve sussistere un nesso, quanto meno mediato ed indiretto, tra attività lavorativa e sinistro. Non è
sufficiente che l’infortunio avvenga durante e sul luogo di lavoro, deve collegarsi in modo diretto e indiretto
allo svolgimento dell’attività lavorativa, ossia il lavoro deve aver determinato il rischio, anche al di fuori
dell’orario di lavoro.

Infortunio “in itinere”
        Trattasi di quell’infortunio, coperto da assicurazione INAIL, che può accadere al dipendente
durante il normale percorso:
         ‐ di andata e ritorno da casa al lavoro;
         ‐ di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti, qualora non
             sia presente un servizio di mensa aziendale.

Nozione di malattia professionale
        È la conseguenza di una lenta, graduale e progressiva azione lesiva sull’organismo del lavoratore.
Deve essere contratta nell’esercizio delle attività assicurate, la causa che la determina deve essere “lenta”
e deve sussistere un rapporto causale diretto con il tipo di lavoro svolto (rapporto di causa-effetto).

Soggetti assicurati all’INAIL
        Sono assicurati coloro che, in modo permanente o avventizio, prestano alle dipendenze e sotto la
direzione altrui, opera manuale retribuita, qualunque sia la forma di retribuzione. Tra le varie categorie,
sono assicurati anche gli apprendisti.
Prestazioni sanitarie: protesi, cure termali e soggiorni climatici
         In conseguenza dei postumi o dell’infortunio o della malattia professionale, ai propri assicurati,
l’INAIL fornisce gratuitamente e periodicamente gli strumenti ed i mezzi tecnologici (protesi) necessari per
lo svolgimento della loro vita quotidiana e di relazione.
         Entro i termini di revisione della rendita (10 anni in caso di infortunio, 15 anni in caso di malattia
professionale) e a giudizio del medico dell’INAIL, i lavoratori infortunati o affetti da malattia professionale
possono usufruirne, nei limiti posti dalla vigente legislazione, di cure idrofangotermali e soggiorni climatici.
                                                                                                                      - 10 -
Le spese di viaggio e di soggiorno in alberghi convenzionati sono a carico dell’INAIL sia per l’invalido sia
per l’accompagnatore, se viene dimostrata la necessità della sua presenza.

Trattamento economico INAIL nel caso di indennità temporanea assoluta
          Nel caso in cui il lavoratore non possa lavorare, la legge prevede che, dal 4° giorno successivo
all’infortunio o alla malattia professionale e per tutto il periodo di malattia (cioè fino a guarigione
clinica), l’INAIL corrisponda un’indennità giornaliera pari:
          ‐ al 60% della retribuzione media giornaliera, per i primi 90 giorni;
          ‐ al 75% della retribuzione media giornaliera, dal 91° giorno in poi di astensione dal lavoro.

Trattamento economico nel caso di indennità temporanea assoluta
Il datore di lavoro è obbligato a corrispondere:
      l’intera retribuzione, per il giorno in cui si è verificato l’infortunio o si è manifestata la malattia
         professionale;
      il 60% della stessa retribuzione, per i tre giorni successivi (cd. “periodo di carenza”);
      i CCNL stabiliscono la misura dell’eventuale “integrazione” a carico del datore di lavoro.

    Nel terziario detta integrazione è riconosciuta sino a raggiungere complessivamente (ind. INAIL +
datore di lavoro) le seguenti misure della retribuzione giornaliera netta:
    1) 60% per i giorni di carenza;
    2) 90% dal 5° al 20° giorno;
    3) 100% per i giorni dal 21° in poi.

Conservazione del posto di lavoro
Il datore di lavoro non può licenziare il lavoratore in infortunio o malattia professionale, per un periodo di
conservazione del posto la cui durata è, in genere, stabilita dalla contrattazione collettiva.


2.5 La maternità

       Le disposizioni di tutela sulla maternità e sui congedi parentali si applicano a tutti i lavoratori
subordinati (inclusi gli apprendisti ed i soci di cooperative).

Divieto di licenziamento
        La lavoratrice madre non può essere licenziata dall’inizio della gestazione (che si considera
avvenuta 300 giorni prima della data presunta del parto) e fino al compimento di 1 anno di età del
bambino (escluse le ipotesi di: giusta causa, cessazione dell’azienda, scadenza contratto a termine). Il
padre lavoratore non può essere licenziato, in caso di fruizione del congedo di paternità, per tutta la
durata del congedo stesso e fino al compimento di 1 anno di età del bambino.

Tutela per i dipendenti
          Le garanzie poste dalla legge a tutela della maternità riguardano un arco temporale che decorre
dall’inizio della gravidanza sino al compimento degli 8 anni di età del bambino (si va oltre tali limiti in caso
di adozione e di affidamento). Alcuni benefici riguardano esclusivamente la lavoratrice madre, in quanto
collegati strettamente all’evento maternità, altri sono rivolti ad entrambi i genitori, per ampliare la possibilità
di cura del bambino.

Assenze disciplinate dalla legge (Art. 2 D. Lgs 151/2001)
    Astensione obbligatoria dal lavoro della lavoratrice (cd. “congedo di maternità”);
    astensione dal lavoro del lavoratore, fruito in alternativa al congedo di maternità (cd. “congedo di
       paternità”);
    astensione facoltativa della lavoratrice o del lavoratore (cd. “congedo parentale”);
    permessi per controlli prenatali della lavoratrice;
    riposi giornalieri (o “permessi per allattamento”);
  astensione facoltativa dal lavoro della lavoratrice o del lavoratore in dipendenza della malattia
       stessa (cd. “congedo per malattia del figlio”).
Esaminiamoli distintamente uno alla volta:

Astensione obbligatoria dal lavoro (congedo di maternità)

Ipotesi generale                                                                                                           - 11 -
        La legge individua un periodo durante il quale la lavoratrice ha l’obbligo di astenersi dal lavoro e il
datore di lavoro ha il divieto di adibirla ad attività lavorative.
Generalmente tale periodo è il seguente:
         ‐ i 2 mesi precedenti la data presunta del parto (a cui si aggiunge eventualmente il periodo tra
             la data presunta e quella effettiva);
         ‐ i 3 mesi successivi al parto.

Documentazione

         Prima dell’inizio del periodo di divieto di lavoro, le lavoratrici devono consegnare al datore di lavoro
e all’INPS la domanda di indennità di malattia su apposito modello (Mod. MAT), eventualmente corredata
dal certificato medico indicante la data presunta del parto. La data indicata nel certificato fa stato,
nonostante qualsiasi errore di previsione.
Per poter usufruire del periodo di astensione successiva al parto, la lavoratrice deve presentare al datore di
lavoro e all’INPS, entro 30 giorni, il certificato di assistenza al parto (da cui risulti la data di nascita del figlio)
ovvero la dichiarazione sostitutiva (ai sensi dell’art. 46 del DPR 445/2000).

Flessibilità dell’astensione obbligatoria (congedo di maternità)

         Ferma restando la durata complessiva dell’astensione obbligatoria (5 mesi) è stata introdotta la
facoltà, per le lavoratrici, di astenersi dal lavoro anche soltanto dal mese precedente la data presunta del
parto, posticipando il periodo non fruito prima del parto al periodo successivo, che, pertanto, potrà essere
prolungato fino a 4 mesi, presentando domanda al datore di lavoro e all’INPS. La lavoratrice, quindi, può
scegliere come articolare il periodo di astensione: o due mesi prima e tre dopo, oppure un mese prima e
quattro dopo. Quest’ultima scelta (quella di posticipare il periodo), però, è subordinata all’attestazione
sanitaria del ginecologo del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato nonché a quella
del medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro (ove la
legislazione vigente preveda un obbligo di sorveglianza sanitaria) che accerti che non arreca pregiudizio
alla sua salute e del nascituro.
L’astensione obbligatoria può essere prorogata, con provvedimento della Direzione provinciale del lavoro,
adottato anche su richiesta della lavoratrice, per tutto il periodo di gravidanza e fino a 7 mesi dopo il parto,
qualora la lavoratrice sia addetta a lavori pericolosi, faticosi e insalubri e non possa essere spostata ad
altre mansioni.

Documentazione

Per poter usufruire della flessibilità dell’astensione obbligatoria la lavoratrice deve presentare al datore di
lavoro e all’INPS la domanda di congedo per maternità-astensione obbligatoria allegando i certificati
acquisiti nel corso del settimo mese di gravidanza.

Trattamento economico per periodi di astensione obbligatoria
Durante l’astensione obbligatoria la lavoratrice ha diritto ad un’indennità a carico dell’INPS, pari all’80%
della retribuzione media giornaliera percepita; i periodi di congedo di maternità devono essere
computati nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilità o alla
gratifica natalizia e alle ferie.

Anticipazione e/o proroga dell’astensione obbligatoria
L’astensione obbligatoria può essere anticipata, previo accertamento medico, per il periodo fissato dalla
Direzione provinciale del lavoro:
     su istanza della lavoratrice, per gravi complicanze della gravidanza o di preesistenti forme
        morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza (in tal caso l’ASL
        esegue l’accertamento sanitario e la Direzione provinciale del lavoro ne prende semplicemente atto
        e ne emette l’autorizzazione);
     su richiesta della lavoratrice, del datore di lavoro o per iniziativa della stessa Direzione
        provinciale del lavoro:
     quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute
                           della donna e del bambino;
                        quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni.
In entrambi i casi succitati, la Direzione provinciale del lavoro decide direttamente, svolgendo gli
accertamenti necessari e delegando alle ASL competenti gli opportuni accertamenti di carattere sanitario
circa il fatto che la lavoratrice addetta a lavori pericolosi, faticosi e insalubri non possa essere spostata ad
altre mansioni.
                                                                                                                    - 12 -

Congedo di paternità

Ipotesi
        I padri lavoratori hanno il diritto ad astenersi dal lavoro, in alternativa alla madre, per tutta la
durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice. Tale congedo
è, pertanto, finalizzato a garantire al neonato l’assistenza materiale ed affettiva di un genitore. Per questo
motivo viene riconosciuto al padre lavoratore a prescindere dal fatto che la madre sia lavoratrice
(dipendente, autonoma) o casalinga.

Condizioni
Il diritto è riconosciuto solo nei seguenti casi:
           ‐ morte o grave infermità della madre;
           ‐ abbandono da parte della madre;
           ‐ affidamento esclusivo del bambino al padre.
Sussistendo le condizioni di cui sopra il diritto spetta anche nell’ipotesi in cui la madre non sia o non sia
stata lavoratrice.

Documentazione
Il lavoratore dovrà presentare al proprio datore di lavoro e all’INPS la seguente documentazione:
         ‐ apposita domanda di indennità di maternità;
         ‐ nel caso di morte, grave infermità della madre o affidamento del bambino al solo padre, un
              documento che certifichi tali condizioni;
         ‐ in caso di abbandono della madre, una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà.

Trattamento economico
        Il periodo di congedo in esame varrà, anche per il padre lavoratore, agli stessi fini già riconosciuti
alla lavoratrice madre (computo nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alla
tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia e alle ferie) e sarà sostenuto dal trattamento economico già
previsto dalla lavoratrice madre e pari all’80% della retribuzione media giornaliera.

Convalida dimissioni
         La richiesta di dimissioni presentata dalla lavoratrice o dal lavoratore durante il primo anno di età di
vita del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento (che non necessita
di preavviso) deve essere in ogni caso convalidata dal Servizio Ispezione della Direzione provinciale del
lavoro, al fine di verificare la libera volontà del/la lavoratore/trice che recede dal rapporto. In caso di
dimissioni la lavoratrice ha diritto all’indennità sostitutiva di preavviso. Il padre ha diritto all’indennità
sostitutiva del preavviso solo se ha fruito del congedo parentale.

Congedo parentale (astensione facoltativa)

         Oltre il periodo di astensione obbligatoria (o di congedo di paternità), i genitori hanno la facoltà di
assentarsi dal lavoro per un ulteriore periodo, in certi casi retribuito in misura ridotta, in altri viene invece
trattato come assenza non retribuita.

Titolarità del diritto
         Per quanto concerne il congedo parentale, viene conferito alla madre ed al padre un diritto
individuale a tale astensione. In sostanza, anche i padri lavoratori dipendenti – esclusi quelli a domicilio,
quelli addetti a servizi domestici ed i lavoratori autonomi – hanno ora un proprio diritto di astensione
facoltativa, indipendentemente dall’esistenza o meno di un diritto della madre, la quale, pertanto, può
essere anche non lavoratrice.
         La conseguenza più rilevante di tale riconoscimento, come ha precisato l’INPS, è che il padre
possa utilizzare il congedo parentale anche contemporaneamente alla madre, durante i mesi di
astensione obbligatoria della madre successivi al parto e durante il periodo nel quale la stessa beneficia dei
riposi giornalieri.
Durata
        Ciascun genitore ha il diritto di assentarsi nei primi 8 anni di vita del bambino per un periodo
massimo, continuativo o frazionato, di 6 mesi ma complessivamente i genitori non possono eccedere il
limite di 10 mesi, che diventano 11 se il padre si astiene dal lavoro per un periodo continuativo non
inferiore a 3 mesi. In particolare, il diritto all’astensione facoltativa compete entro i seguenti limiti:
        ‐ alla lavoratrice madre, il periodo di congedo di astensione obbligatoria, per un periodo,
                                                                                                                      - 13 -
             continuativo o frazionato, non superiore a 6 mesi;
        ‐ al padre lavoratore, dalla nascita del figlio, per un periodo, continuativo o frazionato, non
             superiore a 6 mesi. Qualora il padre usufruisca di un periodo di congedo non inferiore a 3 mesi
             anche frazionati, il limite massimo di astensione per il padre è elevato a 7 mesi, portando di
             conseguenza a 11 mesi il periodo complessivo di congedo parentale concesso ai genitori;
        ‐ qualora vi sia un solo genitore, questo ha diritto, oltre ad un periodo di astensione continuativo
             o frazionato fino a 10 mesi.

Documentazione
Il lavoratore/trice dovrà:
       salvo casi di oggettiva impossibilità, comunicare al datore di lavoro che intende avvalersi
         dell’astensione facoltativa, secondo le modalità ed i criteri definiti dai contratti collettivi e,
         comunque, con un preavviso di almeno 15 giorni;
       presentare apposita domanda al datore di lavoro e all’INPS (Mod. AST. FAC) precisando il periodo
         di assenza, completa di:
               certificato di nascita o dichiarazione sostitutiva dalla quale risulti la maternità e la paternità;
               una dichiarazione di responsabilità non autenticata sia del genitore richiedente che
                  dell’altro genitore, relativa ai periodi di astensione facoltativa degli stessi fruiti, con
                  l’indicazione del datore di lavoro, o, per quanto riguarda l’altro genitore, una sua
                  dichiarazione relativa alla qualità di non avente diritto all’astensione (es.: libero
                  professionista, autonomo, lavoratore a domicilio, ecc.);
               impegno di entrambi i genitori a comunicare eventuali variazioni successive.

Dal momento che il periodo di congedo è frazionabile, tale adempimento dovrà essere ripetuto ogni volta.

Trattamento economico dell’astensione facoltativa
         Durante il periodo di congedo parentale, l’INPS corrisponde una indennità giornaliera pari al 30%
della retribuzione media globale giornaliera percepita in questi termini:
         ‐ fino al compimento del terzo anno di vita del bambino (cioè fino al giorno, compreso, del terzo
             compleanno) e per un periodo massimo complessivo tra genitori di 6 mesi, senza condizioni di
             reddito;
         ‐ fino al compimento degli 8 anni di vita del bambino e, comunque, per il periodo rimanente di
             astensione (sino a 10 o 11 mesi complessivi tra i genitori oppure per i periodi massimi
             individuali) l’indennità viene riconosciuta quando il reddito individuale del genitore interessato
             sia inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione a carico dell’assicurazione
             generale obbligatoria (quanto ai limiti di reddito ricordati, l’importo minimo di pensione per il
             2004 è pari a 5.358,34 € che, moltiplicato per 5, è uguale a 13.395, 85 €).

Riposi giornalieri (c.d. allattamento)

         Durante il primo anno di vita del bambino, la lavoratrice madre (escluse le lavoratrici domestiche, a
domicilio e le lavoratrici autonome e parasubordinate) ha diritto a riposi giornalieri (c.d. “permessi per
allattamento”) retribuiti con possibilità di uscire dall’azienda. Tali ore sono considerate lavorative a tutti gli
effetti.

Durata dei permessi
        ‐ 2 ore (due riposi di un’ora ciascuno), quando l’orario giornaliero sia pari o superiori alle sei ore
            (le due ore possono essere fruite separatamente. Per esempio, un’ora in entrata e un’ora in
            uscita, oppure cumulate);
        ‐ 1 ora (un solo riposo), se l’orario giornaliero è inferiore a 6 ore.

Diritto del padre ai riposi giornalieri
         Al padre lavoratore dipendente è riconosciuta la possibilità di fruire dei riposi per allattamento e del
relativo trattamento economico:
         ‐ nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre;
‐   in alternativa alla madre lavoratrice dipendente, che non se ne avvalga (compresa l’ipotesi in
            cui la lavoratrice dipendente appartenga a categoria non avente diritto ai riposi in questione,
            vale a dire sia lavoratrice domestica o a domicilio);
        ‐   nel caso in cui la madre non sia una lavoratrice dipendente;
        ‐   nel caso di morte o di grave infermità della madre.

Riposi per parti plurimi
                                                                                                                   - 14 -
        I periodi di riposo spettante durante il primo anno di vita del bambino sono raddoppiati in caso di
parto plurimo e le ore aggiuntive possono essere fruite anche dal padre, tranne nel caso in cui la
madre non sia lavoratrice o sia lavoratrice autonoma, per l’evidente impossibilità di aggiungere ore quando
la madre non ha diritto ai riposi.

Trattamento economico dei riposi giornalieri
        Le ore di riposo giornaliero vengono retribuite come normale orario di lavoro mediante un’indennità
che è a carico esclusivo dell’INPS. Condizione per aver accesso a tale beneficio è la presenza al lavoro.

Documentazione
           Per la concessione dei riposi giornalieri dovranno osservarsi le seguenti disposizioni valevoli fino
all’introduzione della relativa modulistica:
           ‐ domanda della madre: deve essere presentata al datore di lavoro, secondo le disposizioni già
               in vigore;
           ‐ domanda del padre: deve essere presentata all’INPS e al datore di lavoro, corredata dal
               certificato di nascita da cui risulti la paternità e la maternità (ovvero da dichiarazione
               sostitutiva).
Nel caso di figli affidati al solo padre è necessario presentare anche la certificazione (o dichiarazione
sostitutiva) di morte della madre, ovvero la certificazione sanitaria attestante la grave infermità della madre,
ovvero un provvedimento formale cui risulti l’affidamento esclusivo del bambino al padre.
Nel caso di richiesta in alternativa alla madre lavoratrice dipendente, la domanda deve essere corredata da
una dichiarazione della madre relativa alla non fruizione delle ore di riposo, confermata dal relativo datore
di lavoro.
Nel caso in cui la madre sia lavoratrice non dipendente, la domanda deve essere corredata da una
dichiarazione della madre relativa alla sua attività di lavoro non dipendente.
In tutti i casi entrambi i genitore devono impegnarsi a comunicare eventuali variazioni successive.

Riposi e permessi per figli con handicap grave (L.104/1992; Art. 42 Decreto Legislativo 151/2001)
        La lavoratrice madre o il padre lavoratore possono chiedere di usufruire, in alternativa al
prolungamento del congedo parentale fino ai 3 anni, dei seguenti permessi:
        ‐ fino al compimento del 3° anno di vita del bambino: nn. 2 ore di permesso giornaliero
            retribuito;
        ‐ successivamente al compimento del 3° anno di vita del bambino, la lavoratrice madre o, in
            alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, di minore con handicap in situazione di gravità
            hanno diritto a 3 giorni di permesso mensile, coperti da contribuzione figurativa, fruibili anche
            in maniera continuativa nell’ambito del mese, a condizione che la persona con handicap in
            situazione di gravità non sia ricoverata a tempo pieno.

Copertura contributiva

Astensione obbligatoria o congedo di paternità
        Tale periodo è considerato utile ai fini pensionistici. L’accredito dei contributi figurativi viene
effettuato dall’INPS su domanda dell’interessato.
Astensione facoltativa, riposi giornalieri e assenze per malattie del bambino: accredito figurativo, con
copertura ridotta o integrale.
3. LA CESSAZIONE DEL CONTRATTO

         La cessazione del contratto di lavoro può avvenire per iniziativa del lavoratore (dimissioni), per
iniziativa del datore di lavoro (licenziamento), oppure per cause estranee alla volontà di entrambi (es.:
morte del lavoratore).
                                                                                                                      - 15 -

3.1 Le dimissioni

Le dimissioni del lavoratore possono essere:
     volontarie: non serve una giustificazione e devono essere comunicate per iscritto all’azienda,
        osservando un periodo di preavviso, previsto dal CCNL di riferimento, differenziato a seconda del
        livello di inquadramento e dell’anzianità di servizio presso quel datore di lavoro;
     per giusta causa: giustificate da una grave inadempimento del datore di lavoro (es.: mancato o
        ritardato pagamento della retribuzione, omesso versamento dei contributi, pretesa del datore di
        lavoro di prestazioni illecite del dipendente). Non richiedono l’obbligo per il lavoratore di dare il
        preavviso, mentre gli spetta l’indennità sostitutiva di preavviso.


3.2 Il licenziamento

Il licenziamento può avvenire solo per precise motivazioni:
       per giusta causa, cioè un inadempimento di obblighi contrattuali o extracontrattuali talmente grave
          da far venir meno la fiducia sui cui è basato il rapporto di lavoro e da non consentirne la
          prosecuzione, anche provvisoria (ad esempio, un comportamento particolarmente grave del
          lavoratore, come un furto in azienda). In questo caso il datore di lavoro può recedere in “in tronco”,
          senza dare il preavviso;
       per giustificato motivo soggettivo: quando riguarda gravi inadempimenti degli obblighi contrattuali
          del lavoratore. Si tratta di comportamenti del lavoratore meno gravi della giusta causa, tant’è vero
          che il datore di lavoro deve dare il preavviso e pagare la relativa indennità (ad es.: nella generalità
          dei casi, l’abbandono del posto di lavoro, a meno che questo non provochi pregiudizio
          all’incolumità di persone o alla sicurezza degli impianti per cui diventa “giusta causa”), o oggettivo
          per fatti inerenti l’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa
          (ad es.: la cessazione dell’attività produttiva, con preavviso o con pagamento dell’indennità
          sostitutiva al preavviso).

    Il licenziamento deve essere intimato con atto scritto. Inoltre, qualora la lettera di licenziamento
non contenga i motivi, il lavoratore può, entro 15 giorni dalla comunicazione del licenziamento stesso,
chiederli al datore di lavoro, che è obbligato a comunicarglieli entro 7 giorni dalla richiesta. Se le ragioni
addotte dal lavoro non appaiono convincenti, il dipendente licenziato, entro 60 giorni (decorrenti dalla
comunicazione del recesso o dalla comunicazione dei motivi) può impegnare il licenziamento, rivolgendosi
al giudice del lavoro, che deve valutare se il licenziamento sia motivato da una giusta causa o da un
giustificato motivo.

    In ogni caso, prima di ricorrere al giudice, è necessario promuovere il tentativo di conciliazione e
arbitrato. Si tratta di una procedura, di regola attivata da una organizzazione sindacale, che si svolge
presso la Direzione provinciale del lavoro e che ha il compito di cercare una soluzione “bonaria” della
controversia.

   Nel caso in cui si accertasse che non sussiste né la giusta causa, né il giustificato motivo, il giudice
annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro:
         ‐ a “reintegrare” il lavoratore nel suo posto di lavoro e a risarcirgli il danno con un’indennità non
              inferiore a 5 mensilità, in aziende con più di 15 dipendenti in ciascuna unità produttiva, o che
              occupino più di 15 dipendenti nello stesso Comune, oppure che occupino più di 60 dipendenti,
              dovunque essi si trovino;
         ‐ a riassumere il dipendente o in alternativa a versargli un’indennità risarcitoria, che va da un
              minimo di 2,5 mensilità ad un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in
              aziende che occupino fino a 15 dipendenti per ogni unità produttiva o fino a 60 dipendenti
              ovunque si trovino.
3.3 Il preavviso

         Generalmente chi esercita il diritto di recesso dal contratto di lavoro deve rispettare un periodo di
preavviso, la cui durata è stabilita dai contratti collettivi e varia a seconda della categoria dei lavoratori
(operai ed impiegati), dal livello di inquadramento, dall’anzianità. Nel caso di periodo di prova non è
necessario dare il preavviso.
         L’obbligo di preavviso è una norma stabilita a favore del datore di lavoro che perciò può, a richiesta      - 16 -
dell’interessato o di propria iniziativa, consentire un periodo ridotto o annullarlo totalmente, così come
accordare o meno l’effettuazione di ferie o altre tipologie di assenze durante il periodo di preavviso (in
teoria, infatti, il preavviso andrebbe lavorato e, pertanto, le ferie lo sospenderebbero).
         Azienda e dipendente possono anche accordarsi per prolungare il periodo di preavviso. Se il
lavoratore non osserva il periodo di preavviso, ha una decurtazione economica sulle competenze di
chiusura, compreso il trattamento di fine rapporto, corrispondente alla retribuzione maturata per ogni
giorno di mancato preavviso (cd. Indennità sostitutiva di preavviso).



4. DIRITTI E DOVERI DEI LAVORATORI


4.1 Diritti del lavoratore

         Lo Statuto dei lavoratori (Legge 300/1970) ha lo scopo di tutelare la libertà dei lavoratori sul posto
di lavoro.
Difende il diritto di esprimere la propria opinione; vieta al datore di lavoro di svolgere indagini sulle opinioni
pubbliche, religiose o sindacali o sulla vita privata dei dipendenti o delle persone da assumere; riconosce il
diritto di tenere assemblee nei posti di lavoro; di controllare che nell’azienda siano rispettate le norme per
la prevenzione degli incendi e per la tutela della salute dei lavoratori, ecc.
         È importante ricordare che, in maniera sindacale, lo Statuto dei lavoratori si applica nella sua
totalità solo in aziende con un numero di dipendenti superiori a 15.


4.2 Doveri del lavoratore

Diligenza (Art. 2104, comma 1, Codice civile)

         “Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta,
dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale…”.
Ciò si concretizza, fondamentalmente, nella scrupolosità, cautela, attenzione nello svolgere il proprio
lavoro.

Fedeltà (Art. 2105 Codice Civile)

        “Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con
l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o
farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”.

Ciò comporta per il lavoratore:
    1) il divieto di fare concorrenza all’imprenditore durante lo svolgimento del rapporto di lavoro e cessa
       quando si risolve il rapporto, a meno che le parti non abbiano stipulato un apposito patto di non
       concorrenza (visto in precedenza), che avrà validità dal giorno successivo alla cessazione del
       rapporto in poi;
    2) un obbligo di riservatezza (divieto di divulgare notizie riguardanti l’impresa, oppure fare un’attività
       denigratoria).

Obbedienza (Art. 2104, comma 2, Codice Civile)

        Il lavoratore “deve inoltre osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro
impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende”.

In caso contrario, può essere soggetto alla sottostante procedura disciplinare.
4.3 La procedura disciplinare

        È la facoltà che ha il datore di lavoro di adottare provvedimenti sanzionatori nei confronti dei
lavoratori, in caso di inosservanza delle disposizioni impartite (Art. 2106 del Codice Civile).
                                                                                                                   - 17 -
A riguardo, lo Statuto dei lavoratori, all’Art. 7 della Legge 300/1970, fissa le modalità concrete di esercizio
del potere disciplinare del datore di lavoro, prevedendo la seguente procedura:
      affissione del codice disciplinare in luogo accessibile a tutti;
      preventiva e specifica contestazione dell’addebito: il datore di lavoro, che venga a conoscenza di
        un fatto che può costituire un’infrazione disciplinare , deve immediatamente contestare l’addebito
        al lavoratore, descrivendo i fatti in maniera oggettiva, specificando ora, luogo, presenza di
        eventuali testimoni, ecc. Tale contestazione, che deve avvenire per iscritto, può essere inviata al
        lavoratore tramite raccomandata A.R. oppure consegnatagli con raccomandata a mano
        (possibilmente con la presenza di un testimone) oppure via fax o e-mail;
      audizione a difesa del lavoratore: entro 5 giorni dal ricevimento della contestazione, il lavoratore
        può presentare le proprie difese e controdeduzioni (il datore di lavoro ha l’obbligo di sentirlo, se il
        lavoratore lo richiede). Ciò potrà avvenire sia in forma verbale che in forma scritta. Nel corso del
        procedimento il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui
        aderisce o conferisce mandato;
      intimazione del provvedimento disciplinare: che potrà essere un richiamo scritto, una multa, la
        sospensione dal lavoro e dalla retribuzione fino ai casi più gravi di licenziamento disciplinare. Una
        volta esperita l’audizione a difesa del lavoratore o, comunque, trascorsi i cinque giorni di
        calendario dal ricevimento della contestazione, il datore di lavoro è libero di intimare la sanzione, la
        cui materiale esecuzione potrà avvenire anche in un momento successivo;
      impugnazione del provvedimento disciplinare. Di fronte all’irrogazione di una sanzione disciplinare,
        il lavoratore che voglia opporsi ha due alternative:
               promuovere, entro i 20 giorni successivi all’applicazione della sanzione, la costituzione di
                  un collegio di conciliazione ed arbitrato al fine di ottenere la revoca o la conversione del
                  provvedimento. La promozione di tale collegio sospende, fino alla decisione, l’efficacia
                  della sanzione disciplinare già intimata.
               Impugnare la sanzione rivolgendosi all’autorità giudiziaria. In questo caso, però, non viene
                  sospesa l’esecutività della sanzione.

Recidiva

        È una circostanza aggravante dell’addebito, che si verifica quando, nell’arco di un biennio, il
lavoratore reitera il comportamento che ha dato luogo ad un precedente provvedimento disciplinare.

La legge dispone che, decorsi due anni dalla loro applicazione, non si possa più tenere conto delle
sanzioni disciplinari già irrogate.
ESEMPIO DI CONTESTAZIONE DI ADDEBITO


Luogo e data



                                                                                                              - 18 -
                                                                               Egr. Sig.
        RACCOMANDATA R.R.                                                              Mario Rossi
                                                                               Indirizzo
                                                                               Città




Oggetto: CONTESTAZIONE DI ADDEBITO EX ART. 7 L.300/1970


        Ai sensi e per gli effetti di cui all’Art. 7 legge 20 maggio 1970, n. 300, nonché dell’art. ……… del

CCNL ………………………….., Le contestiamo quanto segue.

        Il giorno …………, alle ore ……….., Lei (segue una descrizione compiuta, ma priva di giudizi, dei

fatti                                                                                           addebitati)

………………………………………………………………………………………………………………………… .

        Tutto ciò premesso, La invitiamo a presentare le Sue eventuali controdeduzioni entro 5 giorni dal

ricevimento della presente.

        L’Azienda si riserva di adottare nei Suoi confronti il provvedimento disciplinare contrattualmente

previsto.




        Distinti saluti.



                                                               Timbro e firma del datore di lavoro
ESEMPIO DI PROVVEDIMENTO DISCIPLINARE


Luogo e data



                                                                                                           - 19 -
                                                                                Egr. Sig.
        RACCOMANDATA R.R.                                                               Mario Rossi
                                                                                Indirizzo
                                                                                Città




OGGETTO: PROVVEDIMENTO DISCIPLINARE



        Facciamo seguito alla nostra lettera raccomandata R.R., spedita in data …………. e da Lei ricevuta

in data ………………………, il cui contenuto si intende qui di seguito integralmente richiamato.

        La Società, in assenza di Sue giustificazioni, conferma che, a suo giudizio, quanto contestatoLe

integra la fattispecie di cui all’art. ……………….. – Parte seconda – CCNL …………………………..

        In conseguenza di ciò, ci vediamo costretti ad adottare nei Suoi confronti il provvedimento

disciplinare del richiamo scritto.

        La informiamo altresì che, qualora nel futuro dovessero verificarsi ulteriori mancanze,

potranno essere applicate nei suoi confronti più gravi sanzioni disciplinari.




        Distinti saluti.



                                                             Timbro e firma del datore di lavoro
5. LA RETRIBUZIONE


5.1 Caratteristiche generali

                                                                                                                    - 20 -
        Il principale obbligo del datore di lavoro nei confronti del lavoratore è il pagamento della
retribuzione pattuita.

        La retribuzione è definita come il corrispettivo che il prestatore di lavoro subordinato riceve, in
denaro od in natura direttamente dal datore di lavoro, quale compenso per il lavoro svolto.
In via generale, la retribuzione è determinata liberamente dalle parti, nel rispetto del limite minimo della
paga base fissata dai contratti collettivi.

L’art. 36 della Costituzione Italiana, a tal proposito, dice espressamente che:

“…il lavoratore ha il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro ed in ogni
caso sufficiente ad assicurare a sé ed alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.

Quindi, la retribuzione dovrà essere:
   i) proporzionata al tipo di prestazione svolta ed al tempo impiegato;
   ii) sufficiente per le esigenze del lavoratore e della sua famiglia;
   iii) determinata al momento dell’assunzione;
   iv) obbligatoria (è un diritto irrinunciabile);
   v) continuativa.

     Inoltre per quanto concerne la parità di retribuzione tra uomo e donna, la Costituzione sancisce
con il comma 1 dell’art. 37 che la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse
retribuzioni che spettano al lavoratore uomo. Tale principio è stato ribadito dall’art. 2 della Legge 903
del 9 dicembre 1977 (“Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro”): “la lavoratrice ha
diritto alla stessa retribuzione del lavoratore quando le prestazioni richieste siano uguali o di pari valore”.
La retribuzione inoltre può essere:
          ‐ a tempo (somma che il lavoratore percepisce per ogni unità di tempo di lavoro – ore, giorno,
               settimana, mese, ecc. – senza considerare il volume di lavoro svolto). Si distingue in stipendio
               (per dirigenti, quadri ed impiegati, stabilito in misura fissa mensile) e salario (che spetta agli
               operai ed è di norma fissato ad ore);
          ‐ a cottimo (somma percepita dal lavoratore in funzione dell’entità della prestazione. Più si
               produce, più si viene retribuiti);
          ‐ in denaro;
          ‐ in natura (es.: concessione di un alloggio, servizio mensa, concessione di un’autovettura,
               ecc.).

È utile precisare che la retribuzione propriamente detta si compone di tre parti:
    1) retribuzione diretta, corrisposta periodicamente (di norma mensilmente) relativa alla concreta
         prestazione del lavoratore;
    2) retribuzione indiretta, dovuta a specifici istituti regolati per legge e/o per contratto (indirettamente
         legati alla prestazione lavorativa), ed erogata in circostanze determinate (come ferie, festività,
         tredicesima mensilità, permessi, ecc…);
    3) retribuzione differita, è una quota di retribuzione accantonata dal datore di lavoro ed è erogata al
         termine del rapporto di lavoro (TFR) e parzialmente prelevabile per circostanze particolari definite
         per legge e/o per contratto.



5.2 La composizione della retribuzione diretta

Gli elementi che costituiscono la retribuzione diretta sono:
      la paga base (o minimo contrattuale): consiste nel trattamento economico minimo che il
        contratto di categoria riconosce ad ogni lavoratore ad un certo livello di inquadramento;
   l’indennità di contingenza: somma che ha avuto, fino al 1991, la funzione di adeguare la
        retribuzione agli aumenti del costo della vita. Tale meccanismo di adeguamento è cessato dal
        primo gennaio 1992, ma l’importo dell’indennità maturato fino a quella data continua ad esser
        pagato. In molti contratti, poi, l’indennità è conglobata nel minimo contrattuale;
       l’EDR (Elemento Distinto della Retribuzione): è un importo che dal primo gennaio 1995 è stato
        conglobato nel valore della contingenza ed era pari a 10,33 € mensili che venivano corrisposti a
        tutti i lavoratori del settore privato (esclusi i dirigenti) indipendentemente dal contratto applicato e
                                                                                                                    - 21 -
        dalla qualifica rivestita;
       gli scatti di anzianità: in genere biennali o triennali, variano in base alla qualifica. La loro
        maturazione , che è legata all’anzianità di servizio dei singoli dipendenti in una determinata
        azienda, decorre dal primo giorno del mese immediatamente successivo a quello in cui si compie
        lo scatto di anzianità. Possono essere fissati in cifra fissa oppure in percentuale su determinati
        elementi retributivi stabiliti dai contratti collettivi;
       altre voci di retribuzione (elementi accessori): vanno a sommarsi alle precedenti (es.:
        superminimo, che è la quota di retribuzione che, per accordo delle parti, viene corrisposta al
        lavoratore in aggiunta rispetto alla paga base, per particolari meriti del lavoratore; indennità varie
        quali, ad esempio, l’indennità di cassa, l’indennità per lavori nocivi, l’indennità sostitutiva di mensa,
        di trasferta, ecc., maggiorazioni per lavoro straordinario, notturno, turni e via dicendo);
       terzo elemento: è un importo che esiste solo in alcuni contratti (es.: commercio, turismo) ed è un
        valore che si diversifica a livello provinciale (es.: a Padova è pari a 7,75 € dal 1 luglio 1972).


5.3 L’assegno per il nucleo familiare (ANF)

        Inoltre, fanno parte della retribuzione anche gli assegni per il nucleo familiare (ANF), cioè le somme
che spettano al lavoratore per le persone a suo carico. Si tratta di una prestazione previdenziale erogata in
denaro a tutti i lavoratori subordinati che si trovino in determinate situazioni di reddito e familiari, la cui
funzione è quella di “integrare” la retribuzione. È erogata con cadenza mensile, dall’INPS o dal datore di
lavoro, su richiesta del lavoratore o del pensionato, insieme agli elementi della retribuzione o della
pensione.

Aventi diritto
        L’ANF spetta a tutti i lavoratori dipendenti (dagli apprendisti, ai lavoratori a tempo parziale, ai
disoccupati, ai cassintegrati, ai lavoratori in mobilità, ai soci di cooperative, ecc.) ed ai pensionati.
Spetta anche ai lavoratori parasubordinati, cioè a coloro che sono iscritti alla Gestione Separata dell’INPS.

Nucleo familiare
Deve essere individuato rispetto al soggetto che richiede l’assegno ed è composto da:
       il richiedente assegno (soggetto avente diritto);
       il coniuge non legalmente ed effettivamente separato e che non abbia abbandonato la famiglia;
       i figli legittimi ed equiparati (es. legittimati, adottivi, naturali legalmente riconosciuti) minorenni;
       figli ed equiparati maggiorenni inabili che si trovano nell’assoluta e permanente impossibilità di
         dedicarsi ad un lavoro a causa di un difetto fisico o mentale;
       fratelli, sorelle, nipoti maggiorenni;
       fratelli, sorelle e nipoti maggiorenni qualora si trovino nell’impossibilità di lavorare a causa di
         infermità fisica o mentale e siano comunque orfani di entrambi i genitori, senza diritto alla pensione
         ai superstiti.
Per attestare la composizione del proprio nucleo familiare, il dipendente che richiede l’assegno familiare
deve presentare una certificazione dello stato di famiglia rilasciata dal Comune di residenza. Questa va
presentata in occasione della prima domanda di assegno e va rinnovata ogni 5 anni (per gli stranieri invece
il rinnovo è annuale), a meno che non intervengano nel frattempo variazioni del nucleo familiare, caso in cui
va presentato un nuovo stato di famiglia (es.: un nuovo figlio).

Reddito familiare
        Una volta individuata la composizione del nucleo familiare, nel periodo di riferimento della
domanda, il reddito da considerare sarà quello risultante dalla somma dei redditi, assoggettabili ad IRPEF,
percepiti nell’anno solare precedente il 1° luglio dell’anno in cui la domanda si riferisce (ed è valido fino al
30 giugno dell’anno successivo), da tutti i soggetti che compongono tale nucleo, al momento della
domanda.

Concessione dell’Assegno per il Nucleo Familiare
      L’assegno spetta se il reddito del nucleo familiare derivi, per almeno il 70%, da lavoro dipendente.
Livelli di reddito familiare
          Ai fini del riconoscimento del diritto all’ANF, alla determinazione dell’importo spettante, bisogna
fare riferimento ai livelli di reddito familiare correlati al numero di componenti il nucleo familiare.

L’importo dell’ANF da corrispondere sarà determinato a seconda del:
        ‐ reddito complessivo prodotto dal nucleo familiare;
                                                                                                                   - 22 -
        ‐ dal numero dei componenti il nucleo stesso.

Dall’incrocio di questi due elementi, che si trovano in tabelle pubblicate annualmente dall’INPS, spetterà un
determinato importo.
         Al momento attuale della stesura del presente scritto (maggio 2012) sono in vigore i livelli di reddito
ANF aventi come validità dal 1° luglio 2011 fino al 30 giugno 2012.

         Riportiamo, a titolo puramente esemplificativo, di seguito una tabella relativa a nuclei familiari con
entrambi i genitori e almeno un figlio minore, da cui si evince che, se il reddito annuo del nucleo familiare è
di 20.000,00 € ed i componenti sono 3 (dipendente, moglie e 1 figlio), l’importo spettante è pari a 89,45
euro (rispetto al 2007, questo è aumentato di circa 10 euro, essendo il valore precedente di 79,38 €).
         La tabella è parziale, essendo nel formato integrale molto più consistente. Per ottenere quella
aggiornata basta digitare “tabella assegno nucleo familiare (anno in corso)” su un motore di ricerca di
internet.

Decorrenza del diritto
        Il diritto all’assegno decorre dal primo giorno del periodo di paga nel corso del quale si verificano le
condizioni prescritte per il riconoscimento del diritto (es.: nascita di un figlio, matrimonio, ecc.).
Esempio di tabella dell’Assegno per il nucleo familiare


Le parti sottolineate in giallo corrispondo all’esempio citato nella pag. precedente:
famiglia con 3 componenti e reddito di 20.000,00 €

                                                                                        - 23 -
6. LA BUSTA PAGA


6.1 Il prospetto paga

                                                                                                                  - 24 -
        La busta paga (chiamata anche prospetto paga o cedolino paga) “…è il prospetto che il datore
di lavoro fornisce al dipendente dove viene indicato l'importo che esso percepisce (il netto) per un
determinato periodo di lavoro. In essa viene anche regolamentato il rapporto con lo stato attraverso le
imposte e gli enti previdenziali”.

         La funzione della busta paga è quello di documentare quanto il lavoratore percepisce in un dato
periodo lavorativo da un determinato datore di lavoro (per cui è molto importante che i lavoratori osservino
tutte le buste paga di tutta la loro carriera lavorativa, anche dopo eventualmente aver cambiato posto di
lavoro).

       Qualora il datore di lavoro ritardi od ometta (in tutto od in parte) il pagamento della retribuzione, si
determina un “credito” a favore del lavoratore, che si prescrive normalmente nel termine di 5 anni.

Riportiamo qui di seguito un esempio di busta paga:
Legenda voci:

 Indica la retribuzione base definita dal Contratto di lavoro;
 indica la retribuzione del Lordo effettivo;
 descrive gli elementi che vengono considerati per determinare la retribuzione lorda;
 indica la parte della retribuzione che viene corrisposta per pensione, ass. sanitaria, ecc.;
                                                                                                                   - 25 -
 indica la parte di imposte che il lavoratore paga allo Stato;
 vengono indicati gli importi degli eventuali assegni familiari;
 indica l’importo netto della retribuzione da ricevere.

6.2 Dal loro al netto

      La retribuzione lorda non corrisponde a quanto percepisce di fatto il lavoratore, in quanto, da tale
somma, vengono detratti i contributi previdenziali a carico del lavoratore e le ritenute fiscali mentre
vengono sommati importi non soggetti a trattenute (ad esempio, gli ANF).


6.3 L’imponibile contributivo

        Di norma la retribuzione lorda coincide con l’imponibile contributivo (nel senso che sul suo
ammontare si effettuano le trattenute previdenziali che vedremo nel paragrafo successivo), con esclusione
di alcune somme esenti da contribuzione (quali ad esempio il TFR, le somme corrisposte in occasione della
cessazione del rapporto di lavoro al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori, le somme anticipate dal
datore di lavoro per conto dell’INPS come indennità di malattia, maternità, ANF, ecc.).


6.4 Le trattenute previdenziali (INPS)

        Vengono trattenute dai compensi lordi le somme dovute a titolo di contributi previdenziali ed
assistenziali (versate dal datore di lavoro all’INPS per pagare i lavoratori anche quando sono ammalati, in
astensione obbligatoria o facoltativa per maternità/paternità, ecc. e per pagare le pensioni al termine della
vita lavorativa). Si tratta di un’aliquota che viene applicata sulla retribuzione imponibile e che è pari
all’8,89% o al 9,19% (tale aliquota è differenziata in base al tipo di azienda e alla qualifica del lavoratore).
Ad esempio, l’aliquota dell’8,89% è applicata agli operai di aziende del settore industriale fino a 15
dipendenti, mentre il 9,19% è applicato sempre al medesimo tipo di azienda, ma per gli impiegati). Per gli
apprendisti invece la trattenuta è ridotta al 5,54%.


6.5 Le trattenute fiscali (IRPEF)

         Il datore di lavoro, in qualità di sostituto d’imposta (ossia di soggetto che si sostituisce
all’Amministrazione finanziaria nel prelievo fiscale, in quanto la legge gli impone l’obbligo di effettuare i
versamenti all’erario per conto dei lavoratori, trattenendo le imposte da loro dovute), effettua una ritenuta a
titolo di acconto dell’IRPEF, dovuta dai lavoratori. A decorrere dal 1° gennaio 2003 la tassazione del
reddito delle persone fisiche ha subito delle sostanziali modifiche, soprattutto per l’introduzione della
cosiddetta “no tax area” (ai sensi dell’art. 10/bis del Testo Unico Imposte sui Redditi), ossia una nuova
deduzione che porta a quantificare parte di reddito che non è assoggettata a tassazione. Pertanto,
dall’imponibile fiscale lordo bisogna sottrarre la deduzione cd. “no-tax area”, per determinare
l’imponibile fiscale netto, sul quale viene calcolata l’imposta lorda a carico del lavoratore applicando le
aliquote di tassazione per scaglioni di reddito. Dall’imposta lorda vanno poi sottratte le detrazioni e si
ottiene così l’imposta netta dovuta mensilmente dal lavoratore.
La tassazione, quindi, è determinata secondo il seguente schema:


                                         Reddito complessivo
                                                   -
                                 oneri deducibili da art. 10 del TUIR4
                                                                                                                                            - 26 -
                                                   =
                      imponibile fiscale lordo (base di calcolo delle addizionali)
                                                   -
                        nuova deduzione da art. 10/bis del TUIR (no tax area)
                                                   =
                                       imponibile fiscale netto
                                                   X
                                       aliquota % (a scaglioni)
                                                   =
                                             imposta lorda
                                                   -
                                    detrazioni da art. 13 del TUIR5
                                                   =
                                             imposta netta



6.6 Il conguaglio fiscale di fine anno

         La tassazione del normale periodo di paga sopracitata ha carattere “provvisorio”, in quanto relativa
ai redditi percepiti dal dipendente mensilmente, nel periodo di paga considerato.
Alla fine del periodo di imposta (a dicembre, cioè) oppure alla risoluzione del rapporto di lavoro, il datore di
lavoro è tenuto a “ridefinire” l’imposta su base annua, considerando il cumulo di tutti i redditi che ha
corrisposto al dipendente nei vari periodi di paga. Ciò consente al datore di lavoro di determinare se è
stata assolta per intero l’imposta e, pertanto, di passare da una tassazione “provvisoria” ad una
“definitiva”. Nel caso in cui le trattenute risultino inferiori a quanto dovuto, verrà effettuata un’ulteriore
trattenuta pari alla differenza tra quanto dovuto e quanto già versato (conguaglio a debito). Nel caso
contrario, il lavoratore verrà rimborsato del maggior versamento di imposta effettuato (conguaglio a
credito).

         In sede di conguaglio, sull’imponibile fiscale lordo, viene definito anche l’importo dell’addizionale
regionale all’IRPEF (imposta introdotta nel 1997 e dovuta alla Regione in cui il lavoratore ha la residenza
alla data del 31 dicembre dell’anno in cui l’imposta si riferisce) e dell’addizione comunale all’IRPEF
(imposta introdotta dal 1° gennaio 1999 e dovuta al comune in cui il lavoratore ha la residenza alla data del
31 dicembre dell’anno in cui l’imposta si riferisce); questi vengono trattenuti, nell’importo massimo di 11
rate (termine per l’ultima rata: novembre) o in un’unica soluzione, a partire dall’anno successivo.


6.7 Il CUD (Certificazione Unica del Datore di Lavoro)

        Il modello CUD è una certificazione che attesta i dati relativi ai redditi e alla contribuzione
previdenziale dei lavoratori dipendenti: il modello deve riportare i redditi da lavoro dipendente e assimilati
corrisposti, le detrazioni usufruite, le ritenute subite, le indennità di fine rapporto e le eventuali anticipazioni,
ecc. Questo modello deve essere consegnato dal datore di lavoro, a ogni dipendente, entro il 15 marzo
dell’anno successivo a quello di corresponsione delle retribuzioni, oppure 12 giorni dalla richiesta del
lavoratore in caso di cessazione del rapporto di lavoro.



4
  Si tratta di importi particolari, quali ad esempio l’assegno periodico corrisposto al coniuge, spese mediche e di assistenza specifiche
necessarie nei casi di grave e permanente invalidità o menomazione, ecc.
5
  Sono le detrazioni per: reddito da lavoro dipendente, coniuge a carico, per figli e altri familiari a carico.
6.8 La dichiarazione dei redditi e il modello 730

        Il modello CUD può essere successivamente utilizzato, al fine della presentazione della
dichiarazione dei redditi, tramite modello 730.
Il modello 730 è compilato con l’ausilio di un CAF (Centro di assistenza fiscale) autorizzato, ed il reddito da
lavoro dipendente che si evince dal o dai CUD e gli altri redditi annuali quali i redditi fondiari, di capitale,
assimilabili al lavoro dipendente e alcuni redditi diversi.                                                                           - 27 -

        Il modello 730 è utile anche al fine della detrazione dall’imposta di oneri e spese quali, a titolo
esemplificativo, possono essere: alcune spese assicurative, le spese per gli interessi dei mutui della prima
casa, le spese mediche, le spese sostenute per gli asili nido, ecc., e la deduzione dalla base imponibile
IRPEF di oneri e spese quali, a titolo sempre esemplificativo, i contributi e premi per forme pensionistiche
complementari e mutualistiche, l’assegno periodico corrisposto al coniuge, ecc.

        La peculiarità della dichiarazione dei redditi compilata, tramite modello 730, è che l’eventuale
credito o debito è accreditato o addebitato direttamente nella prima busta paga utile del dipendente.



7. IL TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO


7.1 Cos’è il trattamento di fine rapporto (TFR)

         Il Trattamento di Fine Rapporto (TFR), che dal 1° giugno 1982 sostituisce l’indennità di anzianità, è
quell’elemento di retribuzione il cui pagamento viene normalmente differito alla cessazione, per qualsiasi
motivo (dimissioni, licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, morte6), del rapporto di lavoro e
consiste in linea di principio nell’accantonamento di una somma , per ciascun anno di servizio, pari
all’importo della retribuzione dell’anno divisa per 13,5. Escludendo la quota maturata nell’anno di
riferimento, la somma degli accantonamenti annui viene rivalutata al 31 dicembre di ogni anno, in base ad
un tasso di rivalutazione costituito dai seguenti coefficienti: 1,5% fisso + 75% dell’aumento dell’indice
ISTAT.

Beneficiari
Tutti i lavoratori dipendenti, compresi quelli in prova.


7.2 Anticipazione del TFR

        Il lavoratore ha il diritto di chiedere una sola volta nel corso del rapporto di lavoro un’anticipazione,
non superiore al 70% del TFR, cui avrebbe diritto in caso di cessazione del rapporto di lavoro alla data
della sua domanda. Tale importo andrà a decurtare il TFR spettante alla fine del rapporto.
Le condizioni dell’anticipazione sono le seguenti:
     il diritto spetta ai lavoratori che abbiano maturato almeno 8 anni di servizio presso lo stesso datore
        di lavoro;
     il datore di lavoro è obbligato ad accogliere le richieste nel limite annuo del 10% dei lavoratori
        aventi diritto e, comunque, del 4% del numero totale dei dipendenti7;
     i motivi per i quali può essere concessa sono:
               spese sanitarie per terapie e interventi straordinari riconosciuti dalle ASL;
               acquisto prima casa di abitazione per sé o per i propri figli;
               congedi per: astensione facoltativa per maternità, formazione e formazione continua.
Vi è la possibilità che i contratti collettivi, di categoria e aziendali, nonché patti individuali stabiliscano
condizioni di miglior favore.


7.3 Fondo di garanzia


6
 In tal caso la somma spettante sarà devoluta ai familiari del lavoratore deceduto insieme all’indennità sostitutiva di preavviso.
7
 La Cassazione afferma che il regime di anticipazione si applica a tutte le aziende, con l’eccezione di quelle che occupano meno di
25 dipendenti (in tal caso, infatti, il 4% previsto dalla legge darebbe un importo inferiore a 1).
Dato che il TFR rappresenta un “credito” del lavoratore, che matura progressivamente nel corso
del rapporto, è previsto che, in caso di insolvenza del datore di lavoro (fallimento, concordato preventivo,
liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria), intervenga il Fondo di garanzia
costituito presso l’INPS che liquida le somme spettanti al lavoratore, compresi interessi e rivalutazione
monetaria, entro 60 giorni dalla richiesta dello stesso.


                                                                                                                   - 28 -
7.4 Utilizzo del TFR per la previdenza complementare e i fondi pensione

       Come si vedrà approfonditamente nel successivo capitolo 9, il TFR è stato considerato l’elemento
cardine per addivenire ad una riforma della previdenza, aprendo in Italia il canale della previdenza
complementare.



8. TIPOLOGIE DI CONTRATTI DI LAVORO


8.1 Contratto a tempo indeterminato

         Il contratto a tempo indeterminato è stato per molti anni il contratto principale applicato ai
lavoratori italiani. Resta, ancor oggi, sicuramente il contratto di riferimento, anche se ha perso quote del
mercato di lavoro in favore di altre tipologie di contratto più “flessibili”. Esso può essere a tempo pieno o a
part-time.
         La caratteristica principale di questo tipo di contratto è che in esso non viene indicata alcuna
scadenza del rapporto di lavoro.
Nel contratto a tempo indeterminato può essere previsto, anche attraverso la Contrattazione collettiva, un
periodo di prova iniziale, durante il quale le parti possono sciogliere il rapporto di lavoro senza preavviso.
Superato tale periodo, l’assunzione diventa definitiva e, quindi, soggetta a quanto previsto dal CCNL per
tale tipologia di contratto.


8.2 Contratto a tempo determinato

        Sempre più frequentemente negli ultimi anni vengono proposti contratti a termine, che dopo anni di
rigida disciplina, in cui costituivano l’eccezione rispetto alla regola del contratto a tempo indeterminato,
sono stati sostanzialmente “liberalizzati”, con il Decreto legislativo 6/9/2001, n° 368, tant’è vero che oggi le
ragioni che giustificano il ricorso a tale tipologia di contratto non devono più essere legate
necessariamente a situazioni eccezionali, straordinarie ed imprevedibili (è sufficiente che le motivazioni
siano “oggettive” e “verificabili”).

          In un contratto a termine viene indicata una data precisa di scadenza, in coincidenza della quale si
ha la cessazione del rapporto di lavoro, e il riferimento alla causa del contratto a termine (es.: sostituzione
di maternità o malattia, ecc.).
Il contratto a termine deve essere stipulato in forma scritta. Alla scadenza del contratto, il rapporto di
lavoro si scioglie senza che sia necessario effettuare le procedure di licenziamento previste per il contratto
a tempo indeterminato.
I casi in cui è possibile stipulare un contratto a termine sono i più vari:
ragioni di carattere tecnico (es.: necessità, in situazioni di carattere contingente, di disporre di personale
con qualifiche e specializzazioni diverse da quelle possedute dall’organico dell’azienda);
produttivo ed organizzativo (es.: esigenza di far fronte a richieste di mercato al di sopra della media);
sostitutivo, nel caso di lavoratori assenti per i quali esiste la conservazione del posto di lavoro (infortunio,
malattia, gravidanza e puerperio).
In ogni caso, per quanto elastica sia la lettera della norma, si deve sempre tener presente che la ragione
tecnica o produttiva od organizzativa deve comunque legittimare l’apposizione di un termine al contratto
che altrimenti sarebbe a tempo indeterminato.
          Il termine del contratto può essere prorogato una sola volta, a condizione che sia giustificata da
ragioni oggettive (che devono essere provata dal datore di lavoro) e con il consenso del lavoratore, quando
la durata è inferiore ai 3 anni (in ogni caso la durata complessiva del contratto a termine più la proroga non
può essere superiore a 3 anni). La proroga deve riferirsi alla stessa attività lavorativa per la quale il
contratto è stato stipulato.
Il lavoratore a tempo determinato non può essere discriminante rispetto ai colleghi a tempo
indeterminato per quel che riguarda ferie, tredicesima mensilità e trattamento di fine rapporto (in
proporzione al periodo lavorativo previsto) e a ogni altro trattamento previsto per i lavoratori inquadrati allo
stesso livello.
         La continuazione del rapporto dopo la scadenza del termine non comporta di per sé la
trasformazione del rapporto a tempo indeterminato. Infatti, in caso di continuazione del rapporto dopo la
scadenza, il datore di lavoro deve corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione, in
                                                                                                                      - 29 -
misura del 20% per ogni giorno di prosecuzione fino al decimo; per ogni giorno ulteriore la maggiorazione
è fissata nella misura del 40%. La trasformazione del rapporto a tempo indeterminato si verifica solo nel
caso di continuazione del rapporto oltre il ventesimo giorno, se il contratto aveva una durata inferiore a sei
mesi, ovvero negli altri casi oltre il 30° giorno.
         Tra un contratto a termine e l’altro deve intercorrere un intervallo minimo: si tratta di dieci giorni,
ovvero di venti, a seconda che il contratto sia di durata fino a 6 mesi o sia superiore. Se questo intervallo
non viene rispettato, il secondo contratto si reputa a tempo indeterminato; se i due rapporti si succedono
senza soluzione di continuità, si considera a tempo indeterminato l’intero rapporto, dalla data di
stipulazione del primo contratto.
         Il contratto a tempo determinato può essere trasformato in contratto a tempo indeterminato, previo
consenso del lavoratore. A causa della delicatezza ed eccezionalità che riveste questo tipo di contratto
deve essere usata da parte del datore di lavoro la massima cautela ed attenzione essendo frequente in
questa tipologia l’insorgere di contenzioso e di impugnative.


8.3 Contratto a tempo pieno - Contratto a tempo parziale

          I contratti di lavoro a tempo pieno sono i contratti maggiormente diffusi. Essi presuppongono un
monte ore settimanale stabilito al massimo in 40 ore.
Il contratto a tempo parziale che, a differenza di altri paesi europei, non è molto diffuso in Italia, ha un
orario che risulta inferiore a quello a tempo pieno.
Il rapporto di lavoro a tempo parziale (part-time) può essere:
          ‐ orizzontale, quando la riduzione d’orario è riferita al normale orario giornaliero (ad esempio:
               anziché lavorare 8 ore al giorno per 5 giorni alla settimana, si lavora 4 ore al giorno per 5 giorni
               alla settimana);
          ‐ verticale, quando la prestazione è svolta a tempo pieno, ma per periodi predeterminati nella
               settimana, nel mese e nell’anno (ad esempio: si lavora 8 ore al giorno per 3 giorni alla
               settimana, oppure si lavora a tempo pieno solo in alcuni mesi dell’anno);
          ‐ misto, quando la riduzione di orario è ottenuta combinando le due modalità sopra elencate.
I contratti collettivi possono prevedere anche clausole “flessibili” di orario (con le quali il datore di lavoro
può modificare la collocazione dell’orario) oppure clausole “elastiche” (con le quali il datore di lavoro può
estendere ossia variare in aumento la durata della prestazione lavorativa). Se tali clausole non sono
stabilite dalla contrattazione collettiva, le parti possono comunque accordarsi direttamente per lo
svolgimento di lavoro flessibile o elastico. In ogni caso è previsto un preavviso a favore del lavoratore di
almeno due giorni lavorativi e il diritto a specifiche compensazioni. La disponibilità del lavoratore a clausole
flessibili o elastiche deve essere formalizzata per atto scritto, contestuale o anche successivo
all’assunzione.
          Il contratto di lavoro part-time è un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato o
indeterminato. Deve essere stipulato in forma scritta. La durata della prestazione lavorativa, così come la
collocazione temporale dell’orario di lavoro (nel giorno, nella settimana, nel mese, nell’anno) devono essere
indicate nel contratto scritto.
          Il datore di lavoro, nei casi e nelle modalità previste dai Contratti collettivi e, in mancanza di essi,
sulla base del consenso del lavoratore può richiedere lo svolgimento di ore di lavoro “supplementare” (con
tale terminologia si intendono tutte le ore di lavoro svolte oltre l’orario di lavoro concordato dalle parti ed
entro il limite del tempo pieno); per quanto riguarda il lavoro “straordinario” (da intendersi oltre il predetto
limite), non è previsto alcun obbligo di forma per la richiesta di effettuazione dello stesso, applicandosi in
tal caso la disciplina vigente per i rapporti a tempo pieno. Il numero massimo di ore supplementari
effettuabili, le relative causali, le conseguenze del superamento delle ore di lavoro supplementare sono
stabilite dal contratto collettivo nazionale.
          È anche possibile che il rapporto di lavoro, sorto a tempo pieno, sia trasformato a tempo parziale:
per far ciò è necessario un atto scritto, convalidato dalla Direzione provinciale del lavoro competente per
territorio (al contrario, invece, se un contratto da part-time viene trasformato a tempo pieno, non sono
previsti obblighi di forma né di convalida in sede amministrativa).
Possono svolgere lavoro part-time sia coloro che hanno un contratto di lavoro a termine, sia coloro che
hanno un contratto di apprendistato (purché in tal caso sia salvaguardata la finalità formativa).
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  • 1. Disciplina e diritto del rapporto di Lavoro Dispensa per i corsi Bruno Marzemin
  • 2. -2- Questa dispensa è liberamente distribuibile da tutti e senza alcun diritto di copyright. Si ricorda al lettore di verificare sempre l’aggiornamento delle normative presenti nella dispensa al fine di poter avere una maggior visione e conoscenza delle aree legislative in esame. Per qualsiasi errore rilevato nella presente si prega di scrivere a: brunomarzemin@gmail.com Redatta in maggio 2012
  • 3. 1. INTRODUZIONE AL DIRITTO DEL LAVORO: DEFINIZIONE E RIFERIMENTI NORMATIVI 1.1 Definizione del diritto di lavoro È il complesso di norme che disciplinano il rapporto di lavoro e che tutelano, oltre che l’interesse economico, anche la libertà, la dignità e la personalità del lavoratore. -3- Esso è suddiviso in:  diritto del lavoro in senso stretto (disciplina il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore dalla sua costituzione alla sua cessazione);  diritto sindacale (riguarda la disciplina dei rapporti sindacali e la contrattazione collettiva);  legislazione sociale (complesso di norme di previdenza e assistenza sociale che regolano i rapporti tra Stato, datori e prestatori di lavoro, e che si propongono di garantire il lavoratore dal rischio di perdita del reddito al verificarsi di determinati eventi che impediscono lo svolgimento della prestazione lavorativa, quali ad esempio, la malattia, l’infortunio, la maternità, ecc.). 1.2 Le fonti del diritto Il rapporto di lavoro è regolamentato da una molteplicità di fonti (scritte o orali) che sono disposte secondo un sistema “piramidale”, rispettando una scala gerarchica, per cui fonti di grado superiore vincolano quelle di grado inferiore. In ordine di importanza troviamo: le fonti nazionali (diritto internazionale e diritto comunitario); le fonti statuali (Costituzione, leggi costituzionali; leggi ordinarie e atti avente forza di legge, quali i decreti legge ed i decreti legislativi; regolamenti, quali i DPR ed i decreti ministeriali); le fonti regionali (Statuto regionale; leggi regionali; regolamenti regionali, quali Delibere di Giunta regionale o decreti dei Dirigenti); le fonti sindacali e/o contrattuali  Collettive (datori di lavoro e lavoratori sono rappresentati dalle rispettive associazioni di categoria): ‐ Accordi interconfederali; ‐ CCNL1 ‐ Contratti integrativi territoriali di Secondo livello e Contratti integrativi aziendali;  Individuali (l’accordo è stipulato direttamente tra il singolo datore di lavoro e il singolo lavoratore): ‐ Contratto individuale di lavoro. Usi e consuetudini (fonti di fatto, norme non scritte) 1.3 Tipologie di rapporto di lavoro La prestazione lavorativa di un soggetto a favore di un altro può essere inquadrata in uno dei seguenti rapporti: Lavoro subordinato (Art. 2094 c.c.) “È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga, mediante retribuzione, a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”. 1 I Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL) sono accordi sottoscritti dai sindacati dei lavoratori e dalle associazioni degli imprenditori a livello nazionale, con i quali vengono regolamentati tutti i rapporti di lavoro che riguardano i lavoratori del settore economico a cui si riferiscono (es. terziario, turismo, metalmeccanici, chimici, tessili, ecc.). Oltre ai CCNL, che coprono tutte le categorie e l’intero territorio nazionale, esistono anche: accordi confederali, che si attuano a livello nazionale e hanno contenuti molto generali validi per tutti i settori economici; contratti territoriali di secondo livello e aziendali, che hanno una funzione integrativa rispetto al contratto nazionale e sono finalizzati a rispondere meglio ai bisogni del territorio e della singola impresa (stabilendo, per esempio, premi di rendimento legati alla produttività del lavoro oppure l’organizzazione del lavoro. I contratti aziendali e quelli territoriali di secondo livello normalmente regolano quegli aspetti che, nei CCNL, sono demandati ad una contrattazione decentrata. I contratti di lavoro sono documenti complessi, formati da due parti: una parte economica, che stabilisce salari, stipendi e altre forme di remunerazione, dei lavoratori e ha una durata di due anni; un’altra (cosiddetta “normativa”), che stabilisce orari di lavoro, inquadramenti di qualifica, assenze e permessi, disciplina e sanzioni, diritti sindacali e ha una durata di quattro anni.
  • 4. Elemento qualificante del rapporto è in tal caso la subordinazione, da intendersi quale assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e gerarchico del datore di lavoro. Lavoro autonomo: contratto d’opera (Art. 2222 c.c.) “Quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o servizio, con lavoro -4- prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente…” Elemento qualificante del rapporto è l’autonomia nella gestione dei tempi, dei luoghi e della modalità di organizzazione della propria attività e l’incidenza del rischio di impresa. Collaborazioni a progetto (cd. Rapporto di lavoro subordinato) – (Art. 61 Decreto Legislativo 276/2003) “Rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all’Art. 4092, n. 3 del C.P.C., devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici e programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal lavoratore…” Il lavoro “parasubordinato”, che intercorre tra due soggetti, il “collaboratore” (ossia chi presta l’attività lavorativa) e il “committente” (ossia chi beneficia dell’opera lavorativa), si definisce come tale perché presenta caratteristiche proprie, in parte, del lavoro autonomo e, in parte, del lavoro subordinato. Il collaboratore, infatti, analogamente ad un lavoratore autonomo, si impegna a compiere un’opera o un servizio a favore del committente, senza alcun vincolo di subordinazione ma, a differenza dei lavoratori autonomi, gli vengono estese delle prestazioni e delle tutele tipiche dei lavoratori subordinati (quali ad esempio gli assegni per il nucleo familiare, l’indennità di malattia, l’indennità di maternità, la tutela in caso d’infortunio). Gli elementi che contraddistinguono tale tipologia di rapporto sono:  la collaborazione nello svolgimento di ogni attività finalizzata al raggiungimento di scopi determinati da altri; il collaboratore è autonomo nella scelta della modalità di adempimento della prestazione, ma deve svolgere la stessa in funzione delle finalità e delle necessità organizzative del committente;  il coordinamento: il committente ha la possibilità di fornire direttive al collaboratore nei limiti dell’autonomia professionale di quest’ultimo;  la continuità: si tratta di una prestazione che non è occasionale ma perdura nel tempo così come definito nel contratto;  la natura prevalentemente personale della prestazione: vi è una prevalenza del carattere personale dell’apporto lavorativo del collaboratore rispetto all’impiego di mezzi e/o di altri soggetti, teso ad ottenere un risultato. 1.4 I soggetti del rapporto subordinato Datore di lavoro è colui che riceve da altri una prestazione lavorativa, corrispondendo in cambio una retribuzione. Il contratto di lavoro subordinato è qualificato dalla dottrina “a prestazioni corrispettive”. La responsabilità imprenditoriale può essere assunta individualmente, come nel caso di una ditta individuale o può essere condivisa tra più persone, come nel caso di una società di persone. I prestatori di lavoro subordinato si distinguono in: dirigenti che ricoprono ruoli all’interno dell’impresa caratterizzati da elevato livello di professionalità, autonomia e potere decisionale; quadri che, pur non appartenendo alla categoria dei dirigenti, svolgono con carattere continuativo funzioni di rilevante importanza per il raggiungimento degli obiettivi dell’impresa. Hanno un’autonoma responsabilità delle funzioni che vengono loro affidate e dipendono direttamente dai dirigenti; impiegati che svolgono attività professionali, attività amministrative, tecniche, etc. con funzioni di collaborazione all’impresa; 2 Art. 409 del Codice di Procedura Civile: “…altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione d’opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato.
  • 5. operai che svolgono compiti di tipo prevalentemente manuale. Si distinguono in: specializzati, qualificati e comuni. A queste categorie se ne possono aggiungere altre due, eventualmente individuate dalla contrattazione collettiva: funzionari: figura intermedia tra quella impiegatizia e quella dirigenziale. L’elemento che li contraddistingue è il potere di firma; -5- intermedi: massima categoria degli operai, svolgono mansioni di fiducia e responsabilità oppure guidano e controllano gruppi di operai (es.: capo-officina, caporeparto, capo-cantiere). Sono i preposti. 1.4 Le organizzazioni di rappresentanza delle parti sociali Associazioni di rappresentanza dei datori di lavoro Le organizzazioni associative di rappresentanza dei datori di lavoro sono distinte per grandi settori dell’economia: industria, terziario, artigianato ed agricoltura. In primo grado sono formati dalle Associazioni mandamentali o provinciali (es.: Ascom Castelfranco, Ascom Treviso, Ascom Padova, ecc.) che, a loro volta, al loro interno dividono gli associati a seconda delle Federazioni Nazionali di categoria di riferimento (es.: Federmoda, Federalberghi, ecc.), attuando il principio del doppio inquadramento. Le Associazioni provinciali di carattere generale e le Federazioni Nazionali di categoria costituiscono le Confederazioni generali (es.: Confcommercio). Congiuntamente le Associazioni provinciali di una regione costituiscono il riferimento regionale di quella Confederazione (es.: Confcommercio Veneto) Riepiloghiamo qui di seguito le principali associazioni dei datori di lavoro:  CONFINDUSTRIA (Confederazione generale dell’industria italiana);  CONFAPI (Confederazione italiana della piccola e media industria);  CONFCOMMERCIO (Confederazione generale italiana del commercio, del turismo e dei servizi);  CNA (Confederazione nazionale dell’artigianato);  CONFAGRICOLTURA (Confederazione generale italiana agricoltura);  CONFESERCENTI. Sindacati dei lavoratori L’organizzazione dei sindacati dei lavoratori è piuttosto complessa. Essa è articolata su base verticale e su base orizzontale. Su base verticale abbiamo i sindacati provinciali di categoria (associano tutti i lavoratori occupati presso un medesimo tipo di impresa) che si associano in Federazioni nazionali di categoria (per esempio, per il settore metalmeccanico, FIOM – Federazione Impiegati Operai Metallurgici, FIM – Federazione Italiana Metalmeccanici, UILM – Unione Italiana Lavoratori Metalmeccanici) le quali, a loro volta, sono organizzate nella Confederazione sindacale (es.: CGIL, CISL, UIL) che associa tutte le categorie a livello nazionale. I sindacati provinciali, però, si uniscono anche in linea orizzontale nella unione territoriale, che assume nomi diversi a seconda della sede centrale sindacale cui fa capo (nella CGIL, Camera del lavoro; nella CISL, Unione sindacale provinciale; nella UIL, Camera sindacale provinciale). La distinzione fondamentale del sistema sindacale italiano si pone dunque tra i sindacati confederali, che sono quelli di maggiori dimensioni e si propongono come rappresentativi di tutte le componenti lavorative, facendo riferimento a tutti i settori economici, essi sono:  la CGIL (Confederazione generale italiana del lavoro);  la CISL (Confederazione italiana sindacati dei lavoratori);  la UIL (Unione italiana del lavoro);  la UGL (Unione generale del lavoro). A livello aziendale possono essere elette le RSU – rappresentanze sindacali unitarie –, che rappresentano e difendono gli interessi di tutti i lavoratori sul luogo di lavoro e sono titolari dei diritti sindacali relativi a: gestione permessi sindacali, assemblee dei lavoratori, affissioni, nonché della contrattazione aziendale, con il concorso e il sostegno dei sindacati di categoria.
  • 6. 2. IL CONTRATTO DI LAVORO 2.1 La costituzione del rapporto di lavoro La forma del contratto di lavoro è generalmente libera, nel senso che non sono previste particolari -6- modalità di espressione del consenso, tranne in alcune ipotesi, tassativamente previste, in cui la legge prevede obbligatoriamente la forma scritta (es.: apprendistato, contratto a tempo determinato, contratto di inserimento, ecc.). Quando stipulano il contratto di lavoro, le parti possono prevedere l’effettuazione di un periodo di prova, il cui scopo è quello di permettere, sia al datore di lavoro che al lavoratore, di valutare la convenienza della prosecuzione del rapporto di lavoro e durante il quale le parti sono libere di recedere dal contratto, senza obbligo di fornire una motivazione e di dare il preavviso o di pagare la relativa indennità sostitutiva. Le caratteristiche del patto di prova sono:  forma: deve essere scritta;  compatibilità: con tutti i contratti (a tempo indeterminato, a tempo determinato, part-time, apprendistato, contratto di inserimento, somministrazione di lavoro, ecc.);  durata: la prova, di solito, ha un termine massimo, ma può essere stabilito anche un termine minimo necessario. Il termine massimo, di solito, è fissato dal CCNL, in relazione anche ai singoli livelli di inquadramento e, comunque, non può essere superiore a 6 mesi, per dirigenti ed impiegati, e a 3 mesi per tutte le altre categorie di impiegati.  Diritti ed obblighi delle parti: datore di lavoro e lavoratore sono obbligati a consentire ad effettuare la prova. Vi è inoltre la parificazione economica e normativa tra i lavoratori in prova e quelli non in prova, per cui durante la prova spettano al lavoratore tutti i trattamenti quali, ad esempio, le ferie, il TFR, le mensilità aggiuntive, l’anzianità di servizio anche se è stato esercitato il diritto di recesso. PATTO DI NON CONCORRENZA POST-CONTRATTUALE È possibile, inoltre, che il datore di lavoro e il lavoratore concordino, in fase di assunzione o durante lo svolgimento del rapporto di lavoro che, successivamente alla cessazione dello stesso, il lavoratore rimanga obbligato, per un certo periodo di tempo, a non svolgere attività, in proprio o alle dipendenze di altri, in concorrenza con il precedente datore di lavoro. Il patto può riguardare non solo dipendenti che svolgono mansioni direttive o di alto livello, ma anche coloro che, pur essendo impiegati in compiti esecutivi, operino in settori in cui l’imprenditore possa subire pregiudizio. Affinché sia valido, il patto di non concorrenza deve obbligatoriamente soddisfare i seguenti requisiti:  essere stipulato in forma scritta (questo perché il lavoratore si deve rendere conto dell’obbligo che assume);  essere limitato nell’oggetto (l’ampiezza dell’oggetto non può essere tale da comprimere in maniera eccessivamente gravosa le future possibilità occupazionali del soggetto e le sue capacità reddituali);  essere limitato per quanto riguarda il luogo (questo non ha un’autonoma rilevanza, ma va valutato in relazione al vincolo delle attività vietate). Es.: una stessa estensione territoriale può essere ritenuta “congrua” oppure no, a seconda che si combini con una riduzione dell’attività più o meno penetrante. Può essere l’intero territorio nazionale o un’area maggiore (per esempio uno più paesi dell’Unione europea), con riferimento all’effettivo interesse dell’impresa;  essere oneroso (ossia deve prevedere un corrispettivo per il lavoratore, che potrà essere erogato, ad esempio, mensilmente, in aggiunta alla normale retribuzione e dovrà essere “congruo” ossia adeguato rispetto all’obbligo che viene imposto);  avere un limite di tempo (la durata massima, normalmente, è di 3 anni. 5 anni per i dirigenti; tale termine decorre dal primo giorno successivo alla cessazione del rapporto di lavoro). Se il patto viene violato dal lavoratore, l’azienda potrà farsi restituire i compensi eventualmente già erogati, a tale titolo, nel corso del rapporto di lavoro e chiedere un risarcimento danni al lavoratore (ad esempio per perdita di clientela, diminuzione del fatturato, ecc.). Poiché i danni subiti dal datore di lavoro devono essere provati, di solito nello stesso patto di non concorrenza, a scopo precauzionale, viene già stabilita una “penale” in via preventiva.
  • 7. 2.2 La durata della prestazione lavorativa Con l’entrata in vigore, il 29 aprile 2003, del D. Lgs. 66/2003, si è introdotta nel nostro ordinamento una nuova disciplina dell’orario di lavoro, che si applica anche agli apprendisti maggiorenni. Orario normale di lavoro -7- Si intende qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio delle sue attività o delle sue funzioni. L’orario normale di lavoro è fissato in 40 ore settimanali. La contrattazione collettiva può prevedere una durata inferiore. Riposo giornaliero Ferma restando la durata normale dell’orario di lavoro settimanale, il lavoratore ha diritto a 11 ore di riposo consecutivo ogni 24 ore. Solo in caso di attività con prestazioni frazionate a giornata, il riposo può non essere consecutivo. Durata massima dell’orario di lavoro Il legislatore lo ha fissato indirettamente: infatti, avendo stabilito la durata minima del riposo giornaliero (11 ore consecutive), si deduce che la prestazione di lavoro giornaliero non può superare le 13 ore al giorno, fermo restando i limiti massimi stabiliti dalla contrattazione collettiva e non superiori in ogni caso alla durata media di 48 ore settimanali, comprensive dello straordinario. Tale media va verificata su un periodo di 4 mesi, elevabili a 6 o a 12 dalla contrattazione collettiva (ai fini della determinazione del periodo, non vanno considerati i periodi di assenza per ferie e malattia). Lavoro notturno È considerato lavoratore notturno colui che durante il periodo notturno (periodo di almeno 7 ore consecutive comprendenti l’intervallo tra mezzanotte e le 5 del mattino) svolga almeno: 1) 3 ore del suo tempo di lavoro giornaliero in modo normale; 2) una parte del suo orario di lavoro secondo le norme definite dai contratti collettivi. In mancanza di tale contrattazione, è considerato lavoratore notturno chi svolge lavoro di notte per un minimo di 80 giorni lavorativi all’anno, riproporzionati in caso di part-time. Il lavoro notturno non può superare le 8 ore in media nelle 24 ore. Riposi settimanali Il lavoratore ha diritto ogni sette giorni ad un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutive, di regola in coincidenza con la domenica (ci sono casi definiti dai contratti di settore, però, in cui il riposo può essere fissato anche in una giornata diversa dalla domenica – ad esempio in attività svolte a ciclo continuo, in attività di vendita a dettaglio, nel settore turistico, in quello sanitario, ecc.). Lavoro straordinario Il ricorso al lavoro straordinario, intendendo per tale il lavoro prestato oltre l’orario normale delle 40 ore settimanali, è subordinato al rispetto di determinate procedure come la comunicazione da parte del datore di lavoro, che occupi nell’attività produttiva più di 10 dipendenti e abbia superato le 48 ore settimanali tramite straordinario, alla Direzione Provinciale del Lavoro (DPL) – Servizio Ispettivo – competente per territorio. In genere è regolamentato dalla contrattazione collettiva, che fissa anche un limite giornaliero alla prestazione lavorativa e provvedere a determinarne le modalità di esecuzione. In mancanza di tale disciplina, il ricorso allo straordinario è ammesso solo previo accordo tra datore di lavoro e lavoratore per un periodo massimo non superiore a 250 ore annuali. In aggiunta alle ipotesi previste dalla contrattazione collettiva, è ammesso il ricorso allo straordinario per: ‐ esigenze tecnico-produttive; ‐ cause di forza maggiore; ‐ eventi particolari.
  • 8. 2.3 La malattia La malattia è un’alterazione dello stato di salute che abbia, come conseguenza, un’assoluta o parziale incapacità al lavoro e che comporti la necessità di assistenza medica e la somministrazione di mezzi terapeutici. Tale evento determina la sospensione del rapporto di lavoro e il divieto per il datore di lavoro di -8- licenziare il lavoratore per tutta la durata del periodo di comporto (cioè il periodo di conservazione del posto di lavoro) stabilito generalmente dai contratti collettivi. Aventi diritti all’indennità INPS:  operai nell’industria, dell’artigianato e del commercio (sono esclusi pertanto gli apprendisti, gli impiegati, i quadri ed e i dirigenti);  impiegati del commercio. Adempimenti del lavoratore Il lavoratore dipendente che ritenga di essere ammalato deve sottoporsi, preferibilmente dal primo giorno di inizio della malattia, ad un accertamento sanitario, da una parte del medico curante, che rilascia un’apposita certificazione; inoltre il lavoratore ha l’obbligo di comunicare tempestivamente al datore di lavoro di essere ammalato (ad esempio, telefonicamente), ciò al fine di giustificare l’assenza dal lavoro. Certificato di malattia Il lavoratore deve trasmettere al datore di lavoro ed eventualmente all’INPS (quando sussista il diritto all’indennità economica di malattia a suo carico), entro due giorni dal relativo rilascio, una certificazione sanitaria del medico curante, contenente l’indicazione esatta e completa del recapito al fine di consentire l’effettuazione delle visite di controllo. La trasmissione all’INPS può avvenire in uno dei seguenti modi: ‐ consegna diretta, dal lunedì al venerdì, ad una delle Agenzie INPS della provincia; ‐ invio alle stesse Agenzie INPS della provincia, con lettera raccomandata con ricevuta di ritorno. Obbligo di reperibilità Il lavoratore, durante la malattia, è tenuto a rispettare le seguenti fasce di reperibilità: ‐ dalle ore 10 alle ore 12; ‐ dalle ore 17 alle ore 19 di tutti i giorni, compresi i festivi se coperti da certificato di malattia. L’obbligo di osservanza delle fasce di reperibilità è generale e inderogabile e, pertanto, il lavoratore, in questi orari, oltre a rimanere a casa, deve collaborare fattivamente per consentire la regolare effettuazione della visita di controllo, accertandosi anche che non vi siano impedimenti che possano in qualche modo ostacolarla (controllando ad esempio che il campanello o il citofono funzioni regolarmente). Sanzioni per ingiustificata3 assenza alla visita di controllo Alla prima assenza: perdita totale dell’indennità per i primi 10 giorni; alla seconda assenza: perdita del 50% dell’indennità per l’ulteriore periodo; alla terza assenza: perdita totale dell’indennità dalla data dell’ultima visita. Il lavoratore, che sia risultato assente alla visita domiciliare, sarà inviato dal medico fiscale, tramite il rilascio di un invito contenente giorno e ora, a presentarsi alla visita ambulatoriale presso il Centro medico INPS. Decorrenza e periodo massimo di indennizzabilità della malattia L’indennità economica previdenziale viene erogata dal 4°giorno di malattia, computato:  dalla data di inizio della malattia dichiarata dal lavoratore e riportata sull’attestazione medica alla voce “Dichiara di essere ammalato dal …”, se la visita cui si è sottoposto il lavoratore è effettuata lo stesso giorno di inizio della malattia o nel giorno immediatamente successivo;  dalla data di effettuazione della visita medica, nel caso in cui nella certificazione non risulti la data di inizio della malattia dichiarata dal lavoratore. 3 Vi sono dei casi, infatti, quali, ad esempio per forza maggiore, concomitanza di una visita medica generica e/o specialistica, per i quali, se il lavoratore produce idonea documentazione, l’assenza della visita di controllo potrebbe essere giustificata dall’INPS.
  • 9. I primi 3 giorni, denominati “carenza”, non sono indennizzati dall’INPS, ma la contrattazione collettiva ha previsto che nella quasi generalità dei casi sia il datore di lavoro a retribuire tali giorni, corrispondendo la normale retribuzione o parte di essa. Il periodo massimo di indennizzabilità della malattia da parte dell’INPS è di 180 giorni in un anno solare (intendendo per tale periodo che va dal 1° gennaio al 31 dicembre). Trattamento economico INPS -9- Agli operai ed agli impiegati del terziario, l’indennità è erogata dall’INPS secondo il seguente schema:  dal 4° al 20° giorno di malattia, 50% della retribuzione media giornaliera per le giornate indennizzabili (i primi tre giorni di malattia nella generalità dei casi sono posti a carico del datore di lavoro);  dal 21° al 180° giorno di malattia, 66,7% della retribuzione media globale giornaliera. Trattamento economico a carico del datore di lavoro Generalmente i CCNL stabiliscono che, anche quando la malattia è indennizzata dall’INPS, il datore di lavoro “integri” tale indennità, fino ad un determinato importo, che può essere una quota o il 100% della normale retribuzione. Nel terziario, ad esempio, detta integrazione è prevista nella misura che consenta il raggiungimento del seguente trattamento complessivo (INPS + datore di lavoro) della retribuzione giornaliera netta: 1) 100% per i primi 3 giorni (periodo di carenza); 2) 75% dal 4° al 20° giorno; 3) 100% dal 29° giorno in poi. 2.4 L’infortunio e la malattia professionale Nozione di infortunio sul lavoro L’infortunio sul lavoro è un evento avvenuto per causa violenta e in occasione di lavoro, da cui derivino la morte, l’inabilità permanente al lavoro – assoluta o parziale – che determini l’astensione dal lavoro per più di 3 giorni. Causa violenta È un fattore che opera dall’esterno, con azione intensa e concentrata nel tempo (questo differenzia l’infortunio dalla malattia professionale, dove la causa è lenta e progressiva). Occasione di lavoro Deve sussistere un nesso, quanto meno mediato ed indiretto, tra attività lavorativa e sinistro. Non è sufficiente che l’infortunio avvenga durante e sul luogo di lavoro, deve collegarsi in modo diretto e indiretto allo svolgimento dell’attività lavorativa, ossia il lavoro deve aver determinato il rischio, anche al di fuori dell’orario di lavoro. Infortunio “in itinere” Trattasi di quell’infortunio, coperto da assicurazione INAIL, che può accadere al dipendente durante il normale percorso: ‐ di andata e ritorno da casa al lavoro; ‐ di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti, qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale. Nozione di malattia professionale È la conseguenza di una lenta, graduale e progressiva azione lesiva sull’organismo del lavoratore. Deve essere contratta nell’esercizio delle attività assicurate, la causa che la determina deve essere “lenta” e deve sussistere un rapporto causale diretto con il tipo di lavoro svolto (rapporto di causa-effetto). Soggetti assicurati all’INAIL Sono assicurati coloro che, in modo permanente o avventizio, prestano alle dipendenze e sotto la direzione altrui, opera manuale retribuita, qualunque sia la forma di retribuzione. Tra le varie categorie, sono assicurati anche gli apprendisti.
  • 10. Prestazioni sanitarie: protesi, cure termali e soggiorni climatici In conseguenza dei postumi o dell’infortunio o della malattia professionale, ai propri assicurati, l’INAIL fornisce gratuitamente e periodicamente gli strumenti ed i mezzi tecnologici (protesi) necessari per lo svolgimento della loro vita quotidiana e di relazione. Entro i termini di revisione della rendita (10 anni in caso di infortunio, 15 anni in caso di malattia professionale) e a giudizio del medico dell’INAIL, i lavoratori infortunati o affetti da malattia professionale possono usufruirne, nei limiti posti dalla vigente legislazione, di cure idrofangotermali e soggiorni climatici. - 10 - Le spese di viaggio e di soggiorno in alberghi convenzionati sono a carico dell’INAIL sia per l’invalido sia per l’accompagnatore, se viene dimostrata la necessità della sua presenza. Trattamento economico INAIL nel caso di indennità temporanea assoluta Nel caso in cui il lavoratore non possa lavorare, la legge prevede che, dal 4° giorno successivo all’infortunio o alla malattia professionale e per tutto il periodo di malattia (cioè fino a guarigione clinica), l’INAIL corrisponda un’indennità giornaliera pari: ‐ al 60% della retribuzione media giornaliera, per i primi 90 giorni; ‐ al 75% della retribuzione media giornaliera, dal 91° giorno in poi di astensione dal lavoro. Trattamento economico nel caso di indennità temporanea assoluta Il datore di lavoro è obbligato a corrispondere:  l’intera retribuzione, per il giorno in cui si è verificato l’infortunio o si è manifestata la malattia professionale;  il 60% della stessa retribuzione, per i tre giorni successivi (cd. “periodo di carenza”);  i CCNL stabiliscono la misura dell’eventuale “integrazione” a carico del datore di lavoro. Nel terziario detta integrazione è riconosciuta sino a raggiungere complessivamente (ind. INAIL + datore di lavoro) le seguenti misure della retribuzione giornaliera netta: 1) 60% per i giorni di carenza; 2) 90% dal 5° al 20° giorno; 3) 100% per i giorni dal 21° in poi. Conservazione del posto di lavoro Il datore di lavoro non può licenziare il lavoratore in infortunio o malattia professionale, per un periodo di conservazione del posto la cui durata è, in genere, stabilita dalla contrattazione collettiva. 2.5 La maternità Le disposizioni di tutela sulla maternità e sui congedi parentali si applicano a tutti i lavoratori subordinati (inclusi gli apprendisti ed i soci di cooperative). Divieto di licenziamento La lavoratrice madre non può essere licenziata dall’inizio della gestazione (che si considera avvenuta 300 giorni prima della data presunta del parto) e fino al compimento di 1 anno di età del bambino (escluse le ipotesi di: giusta causa, cessazione dell’azienda, scadenza contratto a termine). Il padre lavoratore non può essere licenziato, in caso di fruizione del congedo di paternità, per tutta la durata del congedo stesso e fino al compimento di 1 anno di età del bambino. Tutela per i dipendenti Le garanzie poste dalla legge a tutela della maternità riguardano un arco temporale che decorre dall’inizio della gravidanza sino al compimento degli 8 anni di età del bambino (si va oltre tali limiti in caso di adozione e di affidamento). Alcuni benefici riguardano esclusivamente la lavoratrice madre, in quanto collegati strettamente all’evento maternità, altri sono rivolti ad entrambi i genitori, per ampliare la possibilità di cura del bambino. Assenze disciplinate dalla legge (Art. 2 D. Lgs 151/2001)  Astensione obbligatoria dal lavoro della lavoratrice (cd. “congedo di maternità”);  astensione dal lavoro del lavoratore, fruito in alternativa al congedo di maternità (cd. “congedo di paternità”);  astensione facoltativa della lavoratrice o del lavoratore (cd. “congedo parentale”);  permessi per controlli prenatali della lavoratrice;  riposi giornalieri (o “permessi per allattamento”);
  • 11.  astensione facoltativa dal lavoro della lavoratrice o del lavoratore in dipendenza della malattia stessa (cd. “congedo per malattia del figlio”). Esaminiamoli distintamente uno alla volta: Astensione obbligatoria dal lavoro (congedo di maternità) Ipotesi generale - 11 - La legge individua un periodo durante il quale la lavoratrice ha l’obbligo di astenersi dal lavoro e il datore di lavoro ha il divieto di adibirla ad attività lavorative. Generalmente tale periodo è il seguente: ‐ i 2 mesi precedenti la data presunta del parto (a cui si aggiunge eventualmente il periodo tra la data presunta e quella effettiva); ‐ i 3 mesi successivi al parto. Documentazione Prima dell’inizio del periodo di divieto di lavoro, le lavoratrici devono consegnare al datore di lavoro e all’INPS la domanda di indennità di malattia su apposito modello (Mod. MAT), eventualmente corredata dal certificato medico indicante la data presunta del parto. La data indicata nel certificato fa stato, nonostante qualsiasi errore di previsione. Per poter usufruire del periodo di astensione successiva al parto, la lavoratrice deve presentare al datore di lavoro e all’INPS, entro 30 giorni, il certificato di assistenza al parto (da cui risulti la data di nascita del figlio) ovvero la dichiarazione sostitutiva (ai sensi dell’art. 46 del DPR 445/2000). Flessibilità dell’astensione obbligatoria (congedo di maternità) Ferma restando la durata complessiva dell’astensione obbligatoria (5 mesi) è stata introdotta la facoltà, per le lavoratrici, di astenersi dal lavoro anche soltanto dal mese precedente la data presunta del parto, posticipando il periodo non fruito prima del parto al periodo successivo, che, pertanto, potrà essere prolungato fino a 4 mesi, presentando domanda al datore di lavoro e all’INPS. La lavoratrice, quindi, può scegliere come articolare il periodo di astensione: o due mesi prima e tre dopo, oppure un mese prima e quattro dopo. Quest’ultima scelta (quella di posticipare il periodo), però, è subordinata all’attestazione sanitaria del ginecologo del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato nonché a quella del medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro (ove la legislazione vigente preveda un obbligo di sorveglianza sanitaria) che accerti che non arreca pregiudizio alla sua salute e del nascituro. L’astensione obbligatoria può essere prorogata, con provvedimento della Direzione provinciale del lavoro, adottato anche su richiesta della lavoratrice, per tutto il periodo di gravidanza e fino a 7 mesi dopo il parto, qualora la lavoratrice sia addetta a lavori pericolosi, faticosi e insalubri e non possa essere spostata ad altre mansioni. Documentazione Per poter usufruire della flessibilità dell’astensione obbligatoria la lavoratrice deve presentare al datore di lavoro e all’INPS la domanda di congedo per maternità-astensione obbligatoria allegando i certificati acquisiti nel corso del settimo mese di gravidanza. Trattamento economico per periodi di astensione obbligatoria Durante l’astensione obbligatoria la lavoratrice ha diritto ad un’indennità a carico dell’INPS, pari all’80% della retribuzione media giornaliera percepita; i periodi di congedo di maternità devono essere computati nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia e alle ferie. Anticipazione e/o proroga dell’astensione obbligatoria L’astensione obbligatoria può essere anticipata, previo accertamento medico, per il periodo fissato dalla Direzione provinciale del lavoro:  su istanza della lavoratrice, per gravi complicanze della gravidanza o di preesistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza (in tal caso l’ASL esegue l’accertamento sanitario e la Direzione provinciale del lavoro ne prende semplicemente atto e ne emette l’autorizzazione);  su richiesta della lavoratrice, del datore di lavoro o per iniziativa della stessa Direzione provinciale del lavoro:
  • 12. quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino;  quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni. In entrambi i casi succitati, la Direzione provinciale del lavoro decide direttamente, svolgendo gli accertamenti necessari e delegando alle ASL competenti gli opportuni accertamenti di carattere sanitario circa il fatto che la lavoratrice addetta a lavori pericolosi, faticosi e insalubri non possa essere spostata ad altre mansioni. - 12 - Congedo di paternità Ipotesi I padri lavoratori hanno il diritto ad astenersi dal lavoro, in alternativa alla madre, per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice. Tale congedo è, pertanto, finalizzato a garantire al neonato l’assistenza materiale ed affettiva di un genitore. Per questo motivo viene riconosciuto al padre lavoratore a prescindere dal fatto che la madre sia lavoratrice (dipendente, autonoma) o casalinga. Condizioni Il diritto è riconosciuto solo nei seguenti casi: ‐ morte o grave infermità della madre; ‐ abbandono da parte della madre; ‐ affidamento esclusivo del bambino al padre. Sussistendo le condizioni di cui sopra il diritto spetta anche nell’ipotesi in cui la madre non sia o non sia stata lavoratrice. Documentazione Il lavoratore dovrà presentare al proprio datore di lavoro e all’INPS la seguente documentazione: ‐ apposita domanda di indennità di maternità; ‐ nel caso di morte, grave infermità della madre o affidamento del bambino al solo padre, un documento che certifichi tali condizioni; ‐ in caso di abbandono della madre, una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà. Trattamento economico Il periodo di congedo in esame varrà, anche per il padre lavoratore, agli stessi fini già riconosciuti alla lavoratrice madre (computo nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia e alle ferie) e sarà sostenuto dal trattamento economico già previsto dalla lavoratrice madre e pari all’80% della retribuzione media giornaliera. Convalida dimissioni La richiesta di dimissioni presentata dalla lavoratrice o dal lavoratore durante il primo anno di età di vita del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento (che non necessita di preavviso) deve essere in ogni caso convalidata dal Servizio Ispezione della Direzione provinciale del lavoro, al fine di verificare la libera volontà del/la lavoratore/trice che recede dal rapporto. In caso di dimissioni la lavoratrice ha diritto all’indennità sostitutiva di preavviso. Il padre ha diritto all’indennità sostitutiva del preavviso solo se ha fruito del congedo parentale. Congedo parentale (astensione facoltativa) Oltre il periodo di astensione obbligatoria (o di congedo di paternità), i genitori hanno la facoltà di assentarsi dal lavoro per un ulteriore periodo, in certi casi retribuito in misura ridotta, in altri viene invece trattato come assenza non retribuita. Titolarità del diritto Per quanto concerne il congedo parentale, viene conferito alla madre ed al padre un diritto individuale a tale astensione. In sostanza, anche i padri lavoratori dipendenti – esclusi quelli a domicilio, quelli addetti a servizi domestici ed i lavoratori autonomi – hanno ora un proprio diritto di astensione facoltativa, indipendentemente dall’esistenza o meno di un diritto della madre, la quale, pertanto, può essere anche non lavoratrice. La conseguenza più rilevante di tale riconoscimento, come ha precisato l’INPS, è che il padre possa utilizzare il congedo parentale anche contemporaneamente alla madre, durante i mesi di astensione obbligatoria della madre successivi al parto e durante il periodo nel quale la stessa beneficia dei riposi giornalieri.
  • 13. Durata Ciascun genitore ha il diritto di assentarsi nei primi 8 anni di vita del bambino per un periodo massimo, continuativo o frazionato, di 6 mesi ma complessivamente i genitori non possono eccedere il limite di 10 mesi, che diventano 11 se il padre si astiene dal lavoro per un periodo continuativo non inferiore a 3 mesi. In particolare, il diritto all’astensione facoltativa compete entro i seguenti limiti: ‐ alla lavoratrice madre, il periodo di congedo di astensione obbligatoria, per un periodo, - 13 - continuativo o frazionato, non superiore a 6 mesi; ‐ al padre lavoratore, dalla nascita del figlio, per un periodo, continuativo o frazionato, non superiore a 6 mesi. Qualora il padre usufruisca di un periodo di congedo non inferiore a 3 mesi anche frazionati, il limite massimo di astensione per il padre è elevato a 7 mesi, portando di conseguenza a 11 mesi il periodo complessivo di congedo parentale concesso ai genitori; ‐ qualora vi sia un solo genitore, questo ha diritto, oltre ad un periodo di astensione continuativo o frazionato fino a 10 mesi. Documentazione Il lavoratore/trice dovrà:  salvo casi di oggettiva impossibilità, comunicare al datore di lavoro che intende avvalersi dell’astensione facoltativa, secondo le modalità ed i criteri definiti dai contratti collettivi e, comunque, con un preavviso di almeno 15 giorni;  presentare apposita domanda al datore di lavoro e all’INPS (Mod. AST. FAC) precisando il periodo di assenza, completa di:  certificato di nascita o dichiarazione sostitutiva dalla quale risulti la maternità e la paternità;  una dichiarazione di responsabilità non autenticata sia del genitore richiedente che dell’altro genitore, relativa ai periodi di astensione facoltativa degli stessi fruiti, con l’indicazione del datore di lavoro, o, per quanto riguarda l’altro genitore, una sua dichiarazione relativa alla qualità di non avente diritto all’astensione (es.: libero professionista, autonomo, lavoratore a domicilio, ecc.);  impegno di entrambi i genitori a comunicare eventuali variazioni successive. Dal momento che il periodo di congedo è frazionabile, tale adempimento dovrà essere ripetuto ogni volta. Trattamento economico dell’astensione facoltativa Durante il periodo di congedo parentale, l’INPS corrisponde una indennità giornaliera pari al 30% della retribuzione media globale giornaliera percepita in questi termini: ‐ fino al compimento del terzo anno di vita del bambino (cioè fino al giorno, compreso, del terzo compleanno) e per un periodo massimo complessivo tra genitori di 6 mesi, senza condizioni di reddito; ‐ fino al compimento degli 8 anni di vita del bambino e, comunque, per il periodo rimanente di astensione (sino a 10 o 11 mesi complessivi tra i genitori oppure per i periodi massimi individuali) l’indennità viene riconosciuta quando il reddito individuale del genitore interessato sia inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria (quanto ai limiti di reddito ricordati, l’importo minimo di pensione per il 2004 è pari a 5.358,34 € che, moltiplicato per 5, è uguale a 13.395, 85 €). Riposi giornalieri (c.d. allattamento) Durante il primo anno di vita del bambino, la lavoratrice madre (escluse le lavoratrici domestiche, a domicilio e le lavoratrici autonome e parasubordinate) ha diritto a riposi giornalieri (c.d. “permessi per allattamento”) retribuiti con possibilità di uscire dall’azienda. Tali ore sono considerate lavorative a tutti gli effetti. Durata dei permessi ‐ 2 ore (due riposi di un’ora ciascuno), quando l’orario giornaliero sia pari o superiori alle sei ore (le due ore possono essere fruite separatamente. Per esempio, un’ora in entrata e un’ora in uscita, oppure cumulate); ‐ 1 ora (un solo riposo), se l’orario giornaliero è inferiore a 6 ore. Diritto del padre ai riposi giornalieri Al padre lavoratore dipendente è riconosciuta la possibilità di fruire dei riposi per allattamento e del relativo trattamento economico: ‐ nel caso in cui i figli siano affidati al solo padre;
  • 14. in alternativa alla madre lavoratrice dipendente, che non se ne avvalga (compresa l’ipotesi in cui la lavoratrice dipendente appartenga a categoria non avente diritto ai riposi in questione, vale a dire sia lavoratrice domestica o a domicilio); ‐ nel caso in cui la madre non sia una lavoratrice dipendente; ‐ nel caso di morte o di grave infermità della madre. Riposi per parti plurimi - 14 - I periodi di riposo spettante durante il primo anno di vita del bambino sono raddoppiati in caso di parto plurimo e le ore aggiuntive possono essere fruite anche dal padre, tranne nel caso in cui la madre non sia lavoratrice o sia lavoratrice autonoma, per l’evidente impossibilità di aggiungere ore quando la madre non ha diritto ai riposi. Trattamento economico dei riposi giornalieri Le ore di riposo giornaliero vengono retribuite come normale orario di lavoro mediante un’indennità che è a carico esclusivo dell’INPS. Condizione per aver accesso a tale beneficio è la presenza al lavoro. Documentazione Per la concessione dei riposi giornalieri dovranno osservarsi le seguenti disposizioni valevoli fino all’introduzione della relativa modulistica: ‐ domanda della madre: deve essere presentata al datore di lavoro, secondo le disposizioni già in vigore; ‐ domanda del padre: deve essere presentata all’INPS e al datore di lavoro, corredata dal certificato di nascita da cui risulti la paternità e la maternità (ovvero da dichiarazione sostitutiva). Nel caso di figli affidati al solo padre è necessario presentare anche la certificazione (o dichiarazione sostitutiva) di morte della madre, ovvero la certificazione sanitaria attestante la grave infermità della madre, ovvero un provvedimento formale cui risulti l’affidamento esclusivo del bambino al padre. Nel caso di richiesta in alternativa alla madre lavoratrice dipendente, la domanda deve essere corredata da una dichiarazione della madre relativa alla non fruizione delle ore di riposo, confermata dal relativo datore di lavoro. Nel caso in cui la madre sia lavoratrice non dipendente, la domanda deve essere corredata da una dichiarazione della madre relativa alla sua attività di lavoro non dipendente. In tutti i casi entrambi i genitore devono impegnarsi a comunicare eventuali variazioni successive. Riposi e permessi per figli con handicap grave (L.104/1992; Art. 42 Decreto Legislativo 151/2001) La lavoratrice madre o il padre lavoratore possono chiedere di usufruire, in alternativa al prolungamento del congedo parentale fino ai 3 anni, dei seguenti permessi: ‐ fino al compimento del 3° anno di vita del bambino: nn. 2 ore di permesso giornaliero retribuito; ‐ successivamente al compimento del 3° anno di vita del bambino, la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, di minore con handicap in situazione di gravità hanno diritto a 3 giorni di permesso mensile, coperti da contribuzione figurativa, fruibili anche in maniera continuativa nell’ambito del mese, a condizione che la persona con handicap in situazione di gravità non sia ricoverata a tempo pieno. Copertura contributiva Astensione obbligatoria o congedo di paternità Tale periodo è considerato utile ai fini pensionistici. L’accredito dei contributi figurativi viene effettuato dall’INPS su domanda dell’interessato. Astensione facoltativa, riposi giornalieri e assenze per malattie del bambino: accredito figurativo, con copertura ridotta o integrale.
  • 15. 3. LA CESSAZIONE DEL CONTRATTO La cessazione del contratto di lavoro può avvenire per iniziativa del lavoratore (dimissioni), per iniziativa del datore di lavoro (licenziamento), oppure per cause estranee alla volontà di entrambi (es.: morte del lavoratore). - 15 - 3.1 Le dimissioni Le dimissioni del lavoratore possono essere:  volontarie: non serve una giustificazione e devono essere comunicate per iscritto all’azienda, osservando un periodo di preavviso, previsto dal CCNL di riferimento, differenziato a seconda del livello di inquadramento e dell’anzianità di servizio presso quel datore di lavoro;  per giusta causa: giustificate da una grave inadempimento del datore di lavoro (es.: mancato o ritardato pagamento della retribuzione, omesso versamento dei contributi, pretesa del datore di lavoro di prestazioni illecite del dipendente). Non richiedono l’obbligo per il lavoratore di dare il preavviso, mentre gli spetta l’indennità sostitutiva di preavviso. 3.2 Il licenziamento Il licenziamento può avvenire solo per precise motivazioni:  per giusta causa, cioè un inadempimento di obblighi contrattuali o extracontrattuali talmente grave da far venir meno la fiducia sui cui è basato il rapporto di lavoro e da non consentirne la prosecuzione, anche provvisoria (ad esempio, un comportamento particolarmente grave del lavoratore, come un furto in azienda). In questo caso il datore di lavoro può recedere in “in tronco”, senza dare il preavviso;  per giustificato motivo soggettivo: quando riguarda gravi inadempimenti degli obblighi contrattuali del lavoratore. Si tratta di comportamenti del lavoratore meno gravi della giusta causa, tant’è vero che il datore di lavoro deve dare il preavviso e pagare la relativa indennità (ad es.: nella generalità dei casi, l’abbandono del posto di lavoro, a meno che questo non provochi pregiudizio all’incolumità di persone o alla sicurezza degli impianti per cui diventa “giusta causa”), o oggettivo per fatti inerenti l’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa (ad es.: la cessazione dell’attività produttiva, con preavviso o con pagamento dell’indennità sostitutiva al preavviso). Il licenziamento deve essere intimato con atto scritto. Inoltre, qualora la lettera di licenziamento non contenga i motivi, il lavoratore può, entro 15 giorni dalla comunicazione del licenziamento stesso, chiederli al datore di lavoro, che è obbligato a comunicarglieli entro 7 giorni dalla richiesta. Se le ragioni addotte dal lavoro non appaiono convincenti, il dipendente licenziato, entro 60 giorni (decorrenti dalla comunicazione del recesso o dalla comunicazione dei motivi) può impegnare il licenziamento, rivolgendosi al giudice del lavoro, che deve valutare se il licenziamento sia motivato da una giusta causa o da un giustificato motivo. In ogni caso, prima di ricorrere al giudice, è necessario promuovere il tentativo di conciliazione e arbitrato. Si tratta di una procedura, di regola attivata da una organizzazione sindacale, che si svolge presso la Direzione provinciale del lavoro e che ha il compito di cercare una soluzione “bonaria” della controversia. Nel caso in cui si accertasse che non sussiste né la giusta causa, né il giustificato motivo, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro: ‐ a “reintegrare” il lavoratore nel suo posto di lavoro e a risarcirgli il danno con un’indennità non inferiore a 5 mensilità, in aziende con più di 15 dipendenti in ciascuna unità produttiva, o che occupino più di 15 dipendenti nello stesso Comune, oppure che occupino più di 60 dipendenti, dovunque essi si trovino; ‐ a riassumere il dipendente o in alternativa a versargli un’indennità risarcitoria, che va da un minimo di 2,5 mensilità ad un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, in aziende che occupino fino a 15 dipendenti per ogni unità produttiva o fino a 60 dipendenti ovunque si trovino.
  • 16. 3.3 Il preavviso Generalmente chi esercita il diritto di recesso dal contratto di lavoro deve rispettare un periodo di preavviso, la cui durata è stabilita dai contratti collettivi e varia a seconda della categoria dei lavoratori (operai ed impiegati), dal livello di inquadramento, dall’anzianità. Nel caso di periodo di prova non è necessario dare il preavviso. L’obbligo di preavviso è una norma stabilita a favore del datore di lavoro che perciò può, a richiesta - 16 - dell’interessato o di propria iniziativa, consentire un periodo ridotto o annullarlo totalmente, così come accordare o meno l’effettuazione di ferie o altre tipologie di assenze durante il periodo di preavviso (in teoria, infatti, il preavviso andrebbe lavorato e, pertanto, le ferie lo sospenderebbero). Azienda e dipendente possono anche accordarsi per prolungare il periodo di preavviso. Se il lavoratore non osserva il periodo di preavviso, ha una decurtazione economica sulle competenze di chiusura, compreso il trattamento di fine rapporto, corrispondente alla retribuzione maturata per ogni giorno di mancato preavviso (cd. Indennità sostitutiva di preavviso). 4. DIRITTI E DOVERI DEI LAVORATORI 4.1 Diritti del lavoratore Lo Statuto dei lavoratori (Legge 300/1970) ha lo scopo di tutelare la libertà dei lavoratori sul posto di lavoro. Difende il diritto di esprimere la propria opinione; vieta al datore di lavoro di svolgere indagini sulle opinioni pubbliche, religiose o sindacali o sulla vita privata dei dipendenti o delle persone da assumere; riconosce il diritto di tenere assemblee nei posti di lavoro; di controllare che nell’azienda siano rispettate le norme per la prevenzione degli incendi e per la tutela della salute dei lavoratori, ecc. È importante ricordare che, in maniera sindacale, lo Statuto dei lavoratori si applica nella sua totalità solo in aziende con un numero di dipendenti superiori a 15. 4.2 Doveri del lavoratore Diligenza (Art. 2104, comma 1, Codice civile) “Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale…”. Ciò si concretizza, fondamentalmente, nella scrupolosità, cautela, attenzione nello svolgere il proprio lavoro. Fedeltà (Art. 2105 Codice Civile) “Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio”. Ciò comporta per il lavoratore: 1) il divieto di fare concorrenza all’imprenditore durante lo svolgimento del rapporto di lavoro e cessa quando si risolve il rapporto, a meno che le parti non abbiano stipulato un apposito patto di non concorrenza (visto in precedenza), che avrà validità dal giorno successivo alla cessazione del rapporto in poi; 2) un obbligo di riservatezza (divieto di divulgare notizie riguardanti l’impresa, oppure fare un’attività denigratoria). Obbedienza (Art. 2104, comma 2, Codice Civile) Il lavoratore “deve inoltre osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende”. In caso contrario, può essere soggetto alla sottostante procedura disciplinare.
  • 17. 4.3 La procedura disciplinare È la facoltà che ha il datore di lavoro di adottare provvedimenti sanzionatori nei confronti dei lavoratori, in caso di inosservanza delle disposizioni impartite (Art. 2106 del Codice Civile). - 17 - A riguardo, lo Statuto dei lavoratori, all’Art. 7 della Legge 300/1970, fissa le modalità concrete di esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro, prevedendo la seguente procedura:  affissione del codice disciplinare in luogo accessibile a tutti;  preventiva e specifica contestazione dell’addebito: il datore di lavoro, che venga a conoscenza di un fatto che può costituire un’infrazione disciplinare , deve immediatamente contestare l’addebito al lavoratore, descrivendo i fatti in maniera oggettiva, specificando ora, luogo, presenza di eventuali testimoni, ecc. Tale contestazione, che deve avvenire per iscritto, può essere inviata al lavoratore tramite raccomandata A.R. oppure consegnatagli con raccomandata a mano (possibilmente con la presenza di un testimone) oppure via fax o e-mail;  audizione a difesa del lavoratore: entro 5 giorni dal ricevimento della contestazione, il lavoratore può presentare le proprie difese e controdeduzioni (il datore di lavoro ha l’obbligo di sentirlo, se il lavoratore lo richiede). Ciò potrà avvenire sia in forma verbale che in forma scritta. Nel corso del procedimento il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato;  intimazione del provvedimento disciplinare: che potrà essere un richiamo scritto, una multa, la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione fino ai casi più gravi di licenziamento disciplinare. Una volta esperita l’audizione a difesa del lavoratore o, comunque, trascorsi i cinque giorni di calendario dal ricevimento della contestazione, il datore di lavoro è libero di intimare la sanzione, la cui materiale esecuzione potrà avvenire anche in un momento successivo;  impugnazione del provvedimento disciplinare. Di fronte all’irrogazione di una sanzione disciplinare, il lavoratore che voglia opporsi ha due alternative:  promuovere, entro i 20 giorni successivi all’applicazione della sanzione, la costituzione di un collegio di conciliazione ed arbitrato al fine di ottenere la revoca o la conversione del provvedimento. La promozione di tale collegio sospende, fino alla decisione, l’efficacia della sanzione disciplinare già intimata.  Impugnare la sanzione rivolgendosi all’autorità giudiziaria. In questo caso, però, non viene sospesa l’esecutività della sanzione. Recidiva È una circostanza aggravante dell’addebito, che si verifica quando, nell’arco di un biennio, il lavoratore reitera il comportamento che ha dato luogo ad un precedente provvedimento disciplinare. La legge dispone che, decorsi due anni dalla loro applicazione, non si possa più tenere conto delle sanzioni disciplinari già irrogate.
  • 18. ESEMPIO DI CONTESTAZIONE DI ADDEBITO Luogo e data - 18 - Egr. Sig. RACCOMANDATA R.R. Mario Rossi Indirizzo Città Oggetto: CONTESTAZIONE DI ADDEBITO EX ART. 7 L.300/1970 Ai sensi e per gli effetti di cui all’Art. 7 legge 20 maggio 1970, n. 300, nonché dell’art. ……… del CCNL ………………………….., Le contestiamo quanto segue. Il giorno …………, alle ore ……….., Lei (segue una descrizione compiuta, ma priva di giudizi, dei fatti addebitati) ………………………………………………………………………………………………………………………… . Tutto ciò premesso, La invitiamo a presentare le Sue eventuali controdeduzioni entro 5 giorni dal ricevimento della presente. L’Azienda si riserva di adottare nei Suoi confronti il provvedimento disciplinare contrattualmente previsto. Distinti saluti. Timbro e firma del datore di lavoro
  • 19. ESEMPIO DI PROVVEDIMENTO DISCIPLINARE Luogo e data - 19 - Egr. Sig. RACCOMANDATA R.R. Mario Rossi Indirizzo Città OGGETTO: PROVVEDIMENTO DISCIPLINARE Facciamo seguito alla nostra lettera raccomandata R.R., spedita in data …………. e da Lei ricevuta in data ………………………, il cui contenuto si intende qui di seguito integralmente richiamato. La Società, in assenza di Sue giustificazioni, conferma che, a suo giudizio, quanto contestatoLe integra la fattispecie di cui all’art. ……………….. – Parte seconda – CCNL ………………………….. In conseguenza di ciò, ci vediamo costretti ad adottare nei Suoi confronti il provvedimento disciplinare del richiamo scritto. La informiamo altresì che, qualora nel futuro dovessero verificarsi ulteriori mancanze, potranno essere applicate nei suoi confronti più gravi sanzioni disciplinari. Distinti saluti. Timbro e firma del datore di lavoro
  • 20. 5. LA RETRIBUZIONE 5.1 Caratteristiche generali - 20 - Il principale obbligo del datore di lavoro nei confronti del lavoratore è il pagamento della retribuzione pattuita. La retribuzione è definita come il corrispettivo che il prestatore di lavoro subordinato riceve, in denaro od in natura direttamente dal datore di lavoro, quale compenso per il lavoro svolto. In via generale, la retribuzione è determinata liberamente dalle parti, nel rispetto del limite minimo della paga base fissata dai contratti collettivi. L’art. 36 della Costituzione Italiana, a tal proposito, dice espressamente che: “…il lavoratore ha il diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro ed in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé ed alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Quindi, la retribuzione dovrà essere: i) proporzionata al tipo di prestazione svolta ed al tempo impiegato; ii) sufficiente per le esigenze del lavoratore e della sua famiglia; iii) determinata al momento dell’assunzione; iv) obbligatoria (è un diritto irrinunciabile); v) continuativa. Inoltre per quanto concerne la parità di retribuzione tra uomo e donna, la Costituzione sancisce con il comma 1 dell’art. 37 che la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore uomo. Tale principio è stato ribadito dall’art. 2 della Legge 903 del 9 dicembre 1977 (“Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro”): “la lavoratrice ha diritto alla stessa retribuzione del lavoratore quando le prestazioni richieste siano uguali o di pari valore”. La retribuzione inoltre può essere: ‐ a tempo (somma che il lavoratore percepisce per ogni unità di tempo di lavoro – ore, giorno, settimana, mese, ecc. – senza considerare il volume di lavoro svolto). Si distingue in stipendio (per dirigenti, quadri ed impiegati, stabilito in misura fissa mensile) e salario (che spetta agli operai ed è di norma fissato ad ore); ‐ a cottimo (somma percepita dal lavoratore in funzione dell’entità della prestazione. Più si produce, più si viene retribuiti); ‐ in denaro; ‐ in natura (es.: concessione di un alloggio, servizio mensa, concessione di un’autovettura, ecc.). È utile precisare che la retribuzione propriamente detta si compone di tre parti: 1) retribuzione diretta, corrisposta periodicamente (di norma mensilmente) relativa alla concreta prestazione del lavoratore; 2) retribuzione indiretta, dovuta a specifici istituti regolati per legge e/o per contratto (indirettamente legati alla prestazione lavorativa), ed erogata in circostanze determinate (come ferie, festività, tredicesima mensilità, permessi, ecc…); 3) retribuzione differita, è una quota di retribuzione accantonata dal datore di lavoro ed è erogata al termine del rapporto di lavoro (TFR) e parzialmente prelevabile per circostanze particolari definite per legge e/o per contratto. 5.2 La composizione della retribuzione diretta Gli elementi che costituiscono la retribuzione diretta sono:  la paga base (o minimo contrattuale): consiste nel trattamento economico minimo che il contratto di categoria riconosce ad ogni lavoratore ad un certo livello di inquadramento;
  • 21. l’indennità di contingenza: somma che ha avuto, fino al 1991, la funzione di adeguare la retribuzione agli aumenti del costo della vita. Tale meccanismo di adeguamento è cessato dal primo gennaio 1992, ma l’importo dell’indennità maturato fino a quella data continua ad esser pagato. In molti contratti, poi, l’indennità è conglobata nel minimo contrattuale;  l’EDR (Elemento Distinto della Retribuzione): è un importo che dal primo gennaio 1995 è stato conglobato nel valore della contingenza ed era pari a 10,33 € mensili che venivano corrisposti a tutti i lavoratori del settore privato (esclusi i dirigenti) indipendentemente dal contratto applicato e - 21 - dalla qualifica rivestita;  gli scatti di anzianità: in genere biennali o triennali, variano in base alla qualifica. La loro maturazione , che è legata all’anzianità di servizio dei singoli dipendenti in una determinata azienda, decorre dal primo giorno del mese immediatamente successivo a quello in cui si compie lo scatto di anzianità. Possono essere fissati in cifra fissa oppure in percentuale su determinati elementi retributivi stabiliti dai contratti collettivi;  altre voci di retribuzione (elementi accessori): vanno a sommarsi alle precedenti (es.: superminimo, che è la quota di retribuzione che, per accordo delle parti, viene corrisposta al lavoratore in aggiunta rispetto alla paga base, per particolari meriti del lavoratore; indennità varie quali, ad esempio, l’indennità di cassa, l’indennità per lavori nocivi, l’indennità sostitutiva di mensa, di trasferta, ecc., maggiorazioni per lavoro straordinario, notturno, turni e via dicendo);  terzo elemento: è un importo che esiste solo in alcuni contratti (es.: commercio, turismo) ed è un valore che si diversifica a livello provinciale (es.: a Padova è pari a 7,75 € dal 1 luglio 1972). 5.3 L’assegno per il nucleo familiare (ANF) Inoltre, fanno parte della retribuzione anche gli assegni per il nucleo familiare (ANF), cioè le somme che spettano al lavoratore per le persone a suo carico. Si tratta di una prestazione previdenziale erogata in denaro a tutti i lavoratori subordinati che si trovino in determinate situazioni di reddito e familiari, la cui funzione è quella di “integrare” la retribuzione. È erogata con cadenza mensile, dall’INPS o dal datore di lavoro, su richiesta del lavoratore o del pensionato, insieme agli elementi della retribuzione o della pensione. Aventi diritto L’ANF spetta a tutti i lavoratori dipendenti (dagli apprendisti, ai lavoratori a tempo parziale, ai disoccupati, ai cassintegrati, ai lavoratori in mobilità, ai soci di cooperative, ecc.) ed ai pensionati. Spetta anche ai lavoratori parasubordinati, cioè a coloro che sono iscritti alla Gestione Separata dell’INPS. Nucleo familiare Deve essere individuato rispetto al soggetto che richiede l’assegno ed è composto da:  il richiedente assegno (soggetto avente diritto);  il coniuge non legalmente ed effettivamente separato e che non abbia abbandonato la famiglia;  i figli legittimi ed equiparati (es. legittimati, adottivi, naturali legalmente riconosciuti) minorenni;  figli ed equiparati maggiorenni inabili che si trovano nell’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un lavoro a causa di un difetto fisico o mentale;  fratelli, sorelle, nipoti maggiorenni;  fratelli, sorelle e nipoti maggiorenni qualora si trovino nell’impossibilità di lavorare a causa di infermità fisica o mentale e siano comunque orfani di entrambi i genitori, senza diritto alla pensione ai superstiti. Per attestare la composizione del proprio nucleo familiare, il dipendente che richiede l’assegno familiare deve presentare una certificazione dello stato di famiglia rilasciata dal Comune di residenza. Questa va presentata in occasione della prima domanda di assegno e va rinnovata ogni 5 anni (per gli stranieri invece il rinnovo è annuale), a meno che non intervengano nel frattempo variazioni del nucleo familiare, caso in cui va presentato un nuovo stato di famiglia (es.: un nuovo figlio). Reddito familiare Una volta individuata la composizione del nucleo familiare, nel periodo di riferimento della domanda, il reddito da considerare sarà quello risultante dalla somma dei redditi, assoggettabili ad IRPEF, percepiti nell’anno solare precedente il 1° luglio dell’anno in cui la domanda si riferisce (ed è valido fino al 30 giugno dell’anno successivo), da tutti i soggetti che compongono tale nucleo, al momento della domanda. Concessione dell’Assegno per il Nucleo Familiare L’assegno spetta se il reddito del nucleo familiare derivi, per almeno il 70%, da lavoro dipendente.
  • 22. Livelli di reddito familiare Ai fini del riconoscimento del diritto all’ANF, alla determinazione dell’importo spettante, bisogna fare riferimento ai livelli di reddito familiare correlati al numero di componenti il nucleo familiare. L’importo dell’ANF da corrispondere sarà determinato a seconda del: ‐ reddito complessivo prodotto dal nucleo familiare; - 22 - ‐ dal numero dei componenti il nucleo stesso. Dall’incrocio di questi due elementi, che si trovano in tabelle pubblicate annualmente dall’INPS, spetterà un determinato importo. Al momento attuale della stesura del presente scritto (maggio 2012) sono in vigore i livelli di reddito ANF aventi come validità dal 1° luglio 2011 fino al 30 giugno 2012. Riportiamo, a titolo puramente esemplificativo, di seguito una tabella relativa a nuclei familiari con entrambi i genitori e almeno un figlio minore, da cui si evince che, se il reddito annuo del nucleo familiare è di 20.000,00 € ed i componenti sono 3 (dipendente, moglie e 1 figlio), l’importo spettante è pari a 89,45 euro (rispetto al 2007, questo è aumentato di circa 10 euro, essendo il valore precedente di 79,38 €). La tabella è parziale, essendo nel formato integrale molto più consistente. Per ottenere quella aggiornata basta digitare “tabella assegno nucleo familiare (anno in corso)” su un motore di ricerca di internet. Decorrenza del diritto Il diritto all’assegno decorre dal primo giorno del periodo di paga nel corso del quale si verificano le condizioni prescritte per il riconoscimento del diritto (es.: nascita di un figlio, matrimonio, ecc.).
  • 23. Esempio di tabella dell’Assegno per il nucleo familiare Le parti sottolineate in giallo corrispondo all’esempio citato nella pag. precedente: famiglia con 3 componenti e reddito di 20.000,00 € - 23 -
  • 24. 6. LA BUSTA PAGA 6.1 Il prospetto paga - 24 - La busta paga (chiamata anche prospetto paga o cedolino paga) “…è il prospetto che il datore di lavoro fornisce al dipendente dove viene indicato l'importo che esso percepisce (il netto) per un determinato periodo di lavoro. In essa viene anche regolamentato il rapporto con lo stato attraverso le imposte e gli enti previdenziali”. La funzione della busta paga è quello di documentare quanto il lavoratore percepisce in un dato periodo lavorativo da un determinato datore di lavoro (per cui è molto importante che i lavoratori osservino tutte le buste paga di tutta la loro carriera lavorativa, anche dopo eventualmente aver cambiato posto di lavoro). Qualora il datore di lavoro ritardi od ometta (in tutto od in parte) il pagamento della retribuzione, si determina un “credito” a favore del lavoratore, che si prescrive normalmente nel termine di 5 anni. Riportiamo qui di seguito un esempio di busta paga:
  • 25. Legenda voci:  Indica la retribuzione base definita dal Contratto di lavoro;  indica la retribuzione del Lordo effettivo;  descrive gli elementi che vengono considerati per determinare la retribuzione lorda;  indica la parte della retribuzione che viene corrisposta per pensione, ass. sanitaria, ecc.; - 25 -  indica la parte di imposte che il lavoratore paga allo Stato;  vengono indicati gli importi degli eventuali assegni familiari;  indica l’importo netto della retribuzione da ricevere. 6.2 Dal loro al netto La retribuzione lorda non corrisponde a quanto percepisce di fatto il lavoratore, in quanto, da tale somma, vengono detratti i contributi previdenziali a carico del lavoratore e le ritenute fiscali mentre vengono sommati importi non soggetti a trattenute (ad esempio, gli ANF). 6.3 L’imponibile contributivo Di norma la retribuzione lorda coincide con l’imponibile contributivo (nel senso che sul suo ammontare si effettuano le trattenute previdenziali che vedremo nel paragrafo successivo), con esclusione di alcune somme esenti da contribuzione (quali ad esempio il TFR, le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro al fine di incentivare l’esodo dei lavoratori, le somme anticipate dal datore di lavoro per conto dell’INPS come indennità di malattia, maternità, ANF, ecc.). 6.4 Le trattenute previdenziali (INPS) Vengono trattenute dai compensi lordi le somme dovute a titolo di contributi previdenziali ed assistenziali (versate dal datore di lavoro all’INPS per pagare i lavoratori anche quando sono ammalati, in astensione obbligatoria o facoltativa per maternità/paternità, ecc. e per pagare le pensioni al termine della vita lavorativa). Si tratta di un’aliquota che viene applicata sulla retribuzione imponibile e che è pari all’8,89% o al 9,19% (tale aliquota è differenziata in base al tipo di azienda e alla qualifica del lavoratore). Ad esempio, l’aliquota dell’8,89% è applicata agli operai di aziende del settore industriale fino a 15 dipendenti, mentre il 9,19% è applicato sempre al medesimo tipo di azienda, ma per gli impiegati). Per gli apprendisti invece la trattenuta è ridotta al 5,54%. 6.5 Le trattenute fiscali (IRPEF) Il datore di lavoro, in qualità di sostituto d’imposta (ossia di soggetto che si sostituisce all’Amministrazione finanziaria nel prelievo fiscale, in quanto la legge gli impone l’obbligo di effettuare i versamenti all’erario per conto dei lavoratori, trattenendo le imposte da loro dovute), effettua una ritenuta a titolo di acconto dell’IRPEF, dovuta dai lavoratori. A decorrere dal 1° gennaio 2003 la tassazione del reddito delle persone fisiche ha subito delle sostanziali modifiche, soprattutto per l’introduzione della cosiddetta “no tax area” (ai sensi dell’art. 10/bis del Testo Unico Imposte sui Redditi), ossia una nuova deduzione che porta a quantificare parte di reddito che non è assoggettata a tassazione. Pertanto, dall’imponibile fiscale lordo bisogna sottrarre la deduzione cd. “no-tax area”, per determinare l’imponibile fiscale netto, sul quale viene calcolata l’imposta lorda a carico del lavoratore applicando le aliquote di tassazione per scaglioni di reddito. Dall’imposta lorda vanno poi sottratte le detrazioni e si ottiene così l’imposta netta dovuta mensilmente dal lavoratore.
  • 26. La tassazione, quindi, è determinata secondo il seguente schema: Reddito complessivo - oneri deducibili da art. 10 del TUIR4 - 26 - = imponibile fiscale lordo (base di calcolo delle addizionali) - nuova deduzione da art. 10/bis del TUIR (no tax area) = imponibile fiscale netto X aliquota % (a scaglioni) = imposta lorda - detrazioni da art. 13 del TUIR5 = imposta netta 6.6 Il conguaglio fiscale di fine anno La tassazione del normale periodo di paga sopracitata ha carattere “provvisorio”, in quanto relativa ai redditi percepiti dal dipendente mensilmente, nel periodo di paga considerato. Alla fine del periodo di imposta (a dicembre, cioè) oppure alla risoluzione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro è tenuto a “ridefinire” l’imposta su base annua, considerando il cumulo di tutti i redditi che ha corrisposto al dipendente nei vari periodi di paga. Ciò consente al datore di lavoro di determinare se è stata assolta per intero l’imposta e, pertanto, di passare da una tassazione “provvisoria” ad una “definitiva”. Nel caso in cui le trattenute risultino inferiori a quanto dovuto, verrà effettuata un’ulteriore trattenuta pari alla differenza tra quanto dovuto e quanto già versato (conguaglio a debito). Nel caso contrario, il lavoratore verrà rimborsato del maggior versamento di imposta effettuato (conguaglio a credito). In sede di conguaglio, sull’imponibile fiscale lordo, viene definito anche l’importo dell’addizionale regionale all’IRPEF (imposta introdotta nel 1997 e dovuta alla Regione in cui il lavoratore ha la residenza alla data del 31 dicembre dell’anno in cui l’imposta si riferisce) e dell’addizione comunale all’IRPEF (imposta introdotta dal 1° gennaio 1999 e dovuta al comune in cui il lavoratore ha la residenza alla data del 31 dicembre dell’anno in cui l’imposta si riferisce); questi vengono trattenuti, nell’importo massimo di 11 rate (termine per l’ultima rata: novembre) o in un’unica soluzione, a partire dall’anno successivo. 6.7 Il CUD (Certificazione Unica del Datore di Lavoro) Il modello CUD è una certificazione che attesta i dati relativi ai redditi e alla contribuzione previdenziale dei lavoratori dipendenti: il modello deve riportare i redditi da lavoro dipendente e assimilati corrisposti, le detrazioni usufruite, le ritenute subite, le indennità di fine rapporto e le eventuali anticipazioni, ecc. Questo modello deve essere consegnato dal datore di lavoro, a ogni dipendente, entro il 15 marzo dell’anno successivo a quello di corresponsione delle retribuzioni, oppure 12 giorni dalla richiesta del lavoratore in caso di cessazione del rapporto di lavoro. 4 Si tratta di importi particolari, quali ad esempio l’assegno periodico corrisposto al coniuge, spese mediche e di assistenza specifiche necessarie nei casi di grave e permanente invalidità o menomazione, ecc. 5 Sono le detrazioni per: reddito da lavoro dipendente, coniuge a carico, per figli e altri familiari a carico.
  • 27. 6.8 La dichiarazione dei redditi e il modello 730 Il modello CUD può essere successivamente utilizzato, al fine della presentazione della dichiarazione dei redditi, tramite modello 730. Il modello 730 è compilato con l’ausilio di un CAF (Centro di assistenza fiscale) autorizzato, ed il reddito da lavoro dipendente che si evince dal o dai CUD e gli altri redditi annuali quali i redditi fondiari, di capitale, assimilabili al lavoro dipendente e alcuni redditi diversi. - 27 - Il modello 730 è utile anche al fine della detrazione dall’imposta di oneri e spese quali, a titolo esemplificativo, possono essere: alcune spese assicurative, le spese per gli interessi dei mutui della prima casa, le spese mediche, le spese sostenute per gli asili nido, ecc., e la deduzione dalla base imponibile IRPEF di oneri e spese quali, a titolo sempre esemplificativo, i contributi e premi per forme pensionistiche complementari e mutualistiche, l’assegno periodico corrisposto al coniuge, ecc. La peculiarità della dichiarazione dei redditi compilata, tramite modello 730, è che l’eventuale credito o debito è accreditato o addebitato direttamente nella prima busta paga utile del dipendente. 7. IL TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO 7.1 Cos’è il trattamento di fine rapporto (TFR) Il Trattamento di Fine Rapporto (TFR), che dal 1° giugno 1982 sostituisce l’indennità di anzianità, è quell’elemento di retribuzione il cui pagamento viene normalmente differito alla cessazione, per qualsiasi motivo (dimissioni, licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, morte6), del rapporto di lavoro e consiste in linea di principio nell’accantonamento di una somma , per ciascun anno di servizio, pari all’importo della retribuzione dell’anno divisa per 13,5. Escludendo la quota maturata nell’anno di riferimento, la somma degli accantonamenti annui viene rivalutata al 31 dicembre di ogni anno, in base ad un tasso di rivalutazione costituito dai seguenti coefficienti: 1,5% fisso + 75% dell’aumento dell’indice ISTAT. Beneficiari Tutti i lavoratori dipendenti, compresi quelli in prova. 7.2 Anticipazione del TFR Il lavoratore ha il diritto di chiedere una sola volta nel corso del rapporto di lavoro un’anticipazione, non superiore al 70% del TFR, cui avrebbe diritto in caso di cessazione del rapporto di lavoro alla data della sua domanda. Tale importo andrà a decurtare il TFR spettante alla fine del rapporto. Le condizioni dell’anticipazione sono le seguenti:  il diritto spetta ai lavoratori che abbiano maturato almeno 8 anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro;  il datore di lavoro è obbligato ad accogliere le richieste nel limite annuo del 10% dei lavoratori aventi diritto e, comunque, del 4% del numero totale dei dipendenti7;  i motivi per i quali può essere concessa sono:  spese sanitarie per terapie e interventi straordinari riconosciuti dalle ASL;  acquisto prima casa di abitazione per sé o per i propri figli;  congedi per: astensione facoltativa per maternità, formazione e formazione continua. Vi è la possibilità che i contratti collettivi, di categoria e aziendali, nonché patti individuali stabiliscano condizioni di miglior favore. 7.3 Fondo di garanzia 6 In tal caso la somma spettante sarà devoluta ai familiari del lavoratore deceduto insieme all’indennità sostitutiva di preavviso. 7 La Cassazione afferma che il regime di anticipazione si applica a tutte le aziende, con l’eccezione di quelle che occupano meno di 25 dipendenti (in tal caso, infatti, il 4% previsto dalla legge darebbe un importo inferiore a 1).
  • 28. Dato che il TFR rappresenta un “credito” del lavoratore, che matura progressivamente nel corso del rapporto, è previsto che, in caso di insolvenza del datore di lavoro (fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria), intervenga il Fondo di garanzia costituito presso l’INPS che liquida le somme spettanti al lavoratore, compresi interessi e rivalutazione monetaria, entro 60 giorni dalla richiesta dello stesso. - 28 - 7.4 Utilizzo del TFR per la previdenza complementare e i fondi pensione Come si vedrà approfonditamente nel successivo capitolo 9, il TFR è stato considerato l’elemento cardine per addivenire ad una riforma della previdenza, aprendo in Italia il canale della previdenza complementare. 8. TIPOLOGIE DI CONTRATTI DI LAVORO 8.1 Contratto a tempo indeterminato Il contratto a tempo indeterminato è stato per molti anni il contratto principale applicato ai lavoratori italiani. Resta, ancor oggi, sicuramente il contratto di riferimento, anche se ha perso quote del mercato di lavoro in favore di altre tipologie di contratto più “flessibili”. Esso può essere a tempo pieno o a part-time. La caratteristica principale di questo tipo di contratto è che in esso non viene indicata alcuna scadenza del rapporto di lavoro. Nel contratto a tempo indeterminato può essere previsto, anche attraverso la Contrattazione collettiva, un periodo di prova iniziale, durante il quale le parti possono sciogliere il rapporto di lavoro senza preavviso. Superato tale periodo, l’assunzione diventa definitiva e, quindi, soggetta a quanto previsto dal CCNL per tale tipologia di contratto. 8.2 Contratto a tempo determinato Sempre più frequentemente negli ultimi anni vengono proposti contratti a termine, che dopo anni di rigida disciplina, in cui costituivano l’eccezione rispetto alla regola del contratto a tempo indeterminato, sono stati sostanzialmente “liberalizzati”, con il Decreto legislativo 6/9/2001, n° 368, tant’è vero che oggi le ragioni che giustificano il ricorso a tale tipologia di contratto non devono più essere legate necessariamente a situazioni eccezionali, straordinarie ed imprevedibili (è sufficiente che le motivazioni siano “oggettive” e “verificabili”). In un contratto a termine viene indicata una data precisa di scadenza, in coincidenza della quale si ha la cessazione del rapporto di lavoro, e il riferimento alla causa del contratto a termine (es.: sostituzione di maternità o malattia, ecc.). Il contratto a termine deve essere stipulato in forma scritta. Alla scadenza del contratto, il rapporto di lavoro si scioglie senza che sia necessario effettuare le procedure di licenziamento previste per il contratto a tempo indeterminato. I casi in cui è possibile stipulare un contratto a termine sono i più vari: ragioni di carattere tecnico (es.: necessità, in situazioni di carattere contingente, di disporre di personale con qualifiche e specializzazioni diverse da quelle possedute dall’organico dell’azienda); produttivo ed organizzativo (es.: esigenza di far fronte a richieste di mercato al di sopra della media); sostitutivo, nel caso di lavoratori assenti per i quali esiste la conservazione del posto di lavoro (infortunio, malattia, gravidanza e puerperio). In ogni caso, per quanto elastica sia la lettera della norma, si deve sempre tener presente che la ragione tecnica o produttiva od organizzativa deve comunque legittimare l’apposizione di un termine al contratto che altrimenti sarebbe a tempo indeterminato. Il termine del contratto può essere prorogato una sola volta, a condizione che sia giustificata da ragioni oggettive (che devono essere provata dal datore di lavoro) e con il consenso del lavoratore, quando la durata è inferiore ai 3 anni (in ogni caso la durata complessiva del contratto a termine più la proroga non può essere superiore a 3 anni). La proroga deve riferirsi alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato.
  • 29. Il lavoratore a tempo determinato non può essere discriminante rispetto ai colleghi a tempo indeterminato per quel che riguarda ferie, tredicesima mensilità e trattamento di fine rapporto (in proporzione al periodo lavorativo previsto) e a ogni altro trattamento previsto per i lavoratori inquadrati allo stesso livello. La continuazione del rapporto dopo la scadenza del termine non comporta di per sé la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato. Infatti, in caso di continuazione del rapporto dopo la scadenza, il datore di lavoro deve corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione, in - 29 - misura del 20% per ogni giorno di prosecuzione fino al decimo; per ogni giorno ulteriore la maggiorazione è fissata nella misura del 40%. La trasformazione del rapporto a tempo indeterminato si verifica solo nel caso di continuazione del rapporto oltre il ventesimo giorno, se il contratto aveva una durata inferiore a sei mesi, ovvero negli altri casi oltre il 30° giorno. Tra un contratto a termine e l’altro deve intercorrere un intervallo minimo: si tratta di dieci giorni, ovvero di venti, a seconda che il contratto sia di durata fino a 6 mesi o sia superiore. Se questo intervallo non viene rispettato, il secondo contratto si reputa a tempo indeterminato; se i due rapporti si succedono senza soluzione di continuità, si considera a tempo indeterminato l’intero rapporto, dalla data di stipulazione del primo contratto. Il contratto a tempo determinato può essere trasformato in contratto a tempo indeterminato, previo consenso del lavoratore. A causa della delicatezza ed eccezionalità che riveste questo tipo di contratto deve essere usata da parte del datore di lavoro la massima cautela ed attenzione essendo frequente in questa tipologia l’insorgere di contenzioso e di impugnative. 8.3 Contratto a tempo pieno - Contratto a tempo parziale I contratti di lavoro a tempo pieno sono i contratti maggiormente diffusi. Essi presuppongono un monte ore settimanale stabilito al massimo in 40 ore. Il contratto a tempo parziale che, a differenza di altri paesi europei, non è molto diffuso in Italia, ha un orario che risulta inferiore a quello a tempo pieno. Il rapporto di lavoro a tempo parziale (part-time) può essere: ‐ orizzontale, quando la riduzione d’orario è riferita al normale orario giornaliero (ad esempio: anziché lavorare 8 ore al giorno per 5 giorni alla settimana, si lavora 4 ore al giorno per 5 giorni alla settimana); ‐ verticale, quando la prestazione è svolta a tempo pieno, ma per periodi predeterminati nella settimana, nel mese e nell’anno (ad esempio: si lavora 8 ore al giorno per 3 giorni alla settimana, oppure si lavora a tempo pieno solo in alcuni mesi dell’anno); ‐ misto, quando la riduzione di orario è ottenuta combinando le due modalità sopra elencate. I contratti collettivi possono prevedere anche clausole “flessibili” di orario (con le quali il datore di lavoro può modificare la collocazione dell’orario) oppure clausole “elastiche” (con le quali il datore di lavoro può estendere ossia variare in aumento la durata della prestazione lavorativa). Se tali clausole non sono stabilite dalla contrattazione collettiva, le parti possono comunque accordarsi direttamente per lo svolgimento di lavoro flessibile o elastico. In ogni caso è previsto un preavviso a favore del lavoratore di almeno due giorni lavorativi e il diritto a specifiche compensazioni. La disponibilità del lavoratore a clausole flessibili o elastiche deve essere formalizzata per atto scritto, contestuale o anche successivo all’assunzione. Il contratto di lavoro part-time è un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato o indeterminato. Deve essere stipulato in forma scritta. La durata della prestazione lavorativa, così come la collocazione temporale dell’orario di lavoro (nel giorno, nella settimana, nel mese, nell’anno) devono essere indicate nel contratto scritto. Il datore di lavoro, nei casi e nelle modalità previste dai Contratti collettivi e, in mancanza di essi, sulla base del consenso del lavoratore può richiedere lo svolgimento di ore di lavoro “supplementare” (con tale terminologia si intendono tutte le ore di lavoro svolte oltre l’orario di lavoro concordato dalle parti ed entro il limite del tempo pieno); per quanto riguarda il lavoro “straordinario” (da intendersi oltre il predetto limite), non è previsto alcun obbligo di forma per la richiesta di effettuazione dello stesso, applicandosi in tal caso la disciplina vigente per i rapporti a tempo pieno. Il numero massimo di ore supplementari effettuabili, le relative causali, le conseguenze del superamento delle ore di lavoro supplementare sono stabilite dal contratto collettivo nazionale. È anche possibile che il rapporto di lavoro, sorto a tempo pieno, sia trasformato a tempo parziale: per far ciò è necessario un atto scritto, convalidato dalla Direzione provinciale del lavoro competente per territorio (al contrario, invece, se un contratto da part-time viene trasformato a tempo pieno, non sono previsti obblighi di forma né di convalida in sede amministrativa). Possono svolgere lavoro part-time sia coloro che hanno un contratto di lavoro a termine, sia coloro che hanno un contratto di apprendistato (purché in tal caso sia salvaguardata la finalità formativa).