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Karina Mello da Rocha




LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION
       E MULTICULTURALITA'




             Machina Institute
     Corso di Fashion Technology Design


              AA 2009/2010
KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA'




                                       SOMMARIO




•   Introduzione




•   Capitolo I – Street fashion: la moda scende in strada


    ◦ Street fashion: un excursus storico
    ◦ L'influenza della strada
    ◦ Celebrities versus common people
    ◦ The best of street fashion blogs and magazines
    ◦ Dalle immagini della civiltà alla civiltà dell'immagine




•   Capitolo II – Immigrazione e moda: convergenze necessarie


    ◦ Globalizzazione, flussi migratori e contemporaneità
    ◦ L'identità, tra identificazione e differenziazione
    ◦ Lo straniero
    ◦ Vestire la propria identità
    ◦ Il velo: un caso di studio




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•   Capitolo III – Il neo-etnico: gli stilisti interpretano l'inter-culturalità


    ◦ Neo-etnico: il trend della società globale
    ◦ I sapeurs congolesi (e la collezione SS 10 di Paul Smith)
    ◦ Le geografie mutevoli di Jean Paul Gaultier
    ◦ Il nomadismo di John Galliano '(AI 10/11)




•   Conclusioni


•   Bibliografia


•   Webografia




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                                         INTRODUZIONE




        La realtà contemporanea, il mondo in cui viviamo, sono caratterizzati da quella che molti
studiosi hanno definito una condizione di post-modernità. Come afferma Bauman (2003), mentre
l'era moderna ci offriva un mondo solido, forte, e ordinato, oggi la realtà che abbiamo di fronte è
liquida, destrutturata precaria,    priva di riferimenti stabili – infine, generatrice di ansia e
incertezza. Anche gli stati nazione, emblema politico dell'era moderna, segnano il passo. E' in
questo scenario, che si inseriscono le dinamiche dei flussi migratori, e del multiculturalismo, che
sollevano a loro volta le questioni della convivenza inter-etnica, dell'integrazione culturale, e,
ancora, dell'identità.


        In un mondo dove le garanzie di ordine e di senso sembrano venire meno, il confluire di
persone provenienti da luoghi e culture diverse aumenta in modo esponenziale il senso di
incertezza e paura riguardo la propria condizione. Nelle pagine che seguono, partendo proprio da
queste premesse, si cerca di indagare il ruolo della moda, nel contesto attuale.
        Appoggiandosi alla certezza che l'abito, l'abbigliamento, rivestono funzioni simboliche e
sociali molteplici, e tra di esse spicca certamente la comunicazione della propria identità – intesa
come identificazione o come distinzione, come appartenenza a un gruppo o come affermazione
individuale. L'abito può essere inteso quindi come un modo per marcare confini, simbolici e
reali, ma anche come strumento di legame e di riconoscimento reciproco.
        Su questo aveva scritto già Georg Simmel (1985), a inizio Novecento, trattando di
uniformità e diversificazione come elementi chiave dell'analisi sociale: conformismo e
individualismo, unità e differenziazione. E' questa una dialettica alla base di tutti i rapporti
sociali, a prescindere dall'epoca e dal contesto culturale.


        L'abito serve all'individuo per rappresentare la sua identità, ma è anche testimonianza
dell'evoluzione culturale, e del tipo di società che lo genera. Su questo punto l'antropologia ha
indagato molto, e offre consigli preziosi. In particolare, ci insegna quali sono le funzioni,



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molteplici, del vestiario, che dalla primitiva propensione a coprirsi in poi sono sempre state
animate dalla necessità di comunicare.
        L'abito è quindi visto come veicolo simbolico, che ci permette di comunicare
informazioni strategiche relative al nostro stato, alla nostra condizione – al nostro status
economico, sociale, alla nostra appartenenza di genere, di etnia, di religione, …


        Muovendo esattamente da questi presupposti ci siamo spostati, in termini di analisi, su un
secondo versante, quello della street fashion, ovvero delle tendenze che emergono dalla strada.
E, in questo scenario, abbiamo approcciato anche la relazione tra il fenomeno street e
l'esplosione delle nuove tecnologie, che della moda di strada propongono un'eco potente (quasi
assordante, a volte), attraverso blogs, magazine e applicazioni internet.
        Anche se ci è chiaro che l'esperienza che l'abito ci offre è multi-sensoriale (e coinvolge
quindi anche tatto, olfatto, gusto, udito oltre alla vista), siamo comunque figli di una civiltà
dell'immagine. Dove l'immagine, amplificata dai media di massa e da quelli elettronici, si fa
simbolo primario, e culto. Dove le rappresentazioni finiscono, persino, a volte, nella percezione
collettiva, a sostituire la realtà che dovrebbero rappresentare. Dove diventa difficile, a tratti,
distinguere tra realtà e rappresentazione.


        Il primo capitolo, che segue questa nota introduttiva, è dedicato alla street fashion – ne
ripercorre brevemente l'excursus storico, e ne valuta l'importanza attuale, in relazione alla moda
“alta”, e nel contesto dell'esplosione ormai affermata dei nuovi media elettronici.
        Il secondo capitolo si sposta sul ruolo della moda, e dell'abbigliamento, nello scenario
contemporaneo, caratterizzato da una società globale in cui flussi migratori e multi-etnicità sono
fenomeni di prim'ordine,       impossibili da negare, dalle conseguenze complesse, ma anche
portatori di un'enorme potenziale iconico e creativo.
        Il terzo e ultimo capitolo affronta il modo in cui il tema etnico “tradizionale” viene
riletto, sulle passerelle di queste ultime stagioni, da alcuni tra i fashion designer più celebri e
innovativi. Il trend, che abbiamo chiamato “neo-etnico”, è chiaramente figlio dell'influenza e
delle suggestioni offerte agli stilisti dai fenomeni analizzati nei capitoli I e II




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                 1. STREET FASHION, LA MODA SCENDE IN STRADA




1.1 Street fashion, un excursus storico


       Il fenomeno della street fashion, della moda di strada, non è certo una novità di questi
ultimi anni. Potrebbe sembrarlo, ai profani dell'universo moda. Ma gli osservatori più attenti
sanno che sono decenni, e non solo anni, che molti dei maggiori designer attingono alla strada,
come fonte di ispirazione, più o meno dichiarata.
       E che già oltre quarant'anni fa, quando l'haute couture dominava la scena fashion e il prêt-
à-porter non era che agli albori, erano proprio gli stili di strada, e in particolare gli abiti indossati
e reinventati dai più giovani, a fornire ispirazione a linfa agli stilisti più innovativi. Un genio
come Yves Saint Laurent e un grandissimo fashion designer come Pierre Cardin, giusto per fare
due nomi e restare nell'ambiente parigino. E, dagli anni Settanta in poi, la nota stilista londinese
Vivienne Westwood. Ma questi sono solo alcuni nomi, di particolare spicco, di un elenco che
potrebbe continuare per svariate pagine.


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            Il prêt-à-porter, con la sua collocazione mediana e ambivalente tra lusso e mercato, tra
esclusività elitaria e consumo di massa, ricuce in qualche modo lo stappo tra le persone comuni,
e il loro vestiario, e l'alta moda.
            E gli stili di strada servono da ispirazione ai designer del ready-to-wear, che porta
finalmente in passerella, dagli anni Settanta, minigonne, jeans, abiti da lavoro, pantaloni da
donna.


            Il New York Magazine di Maggio 2010, nell'edizione celebrativa dei primi quarant'anni
della rivista, propone sul proprio sito web una photogallery - da cui sono tratte alcune delle
immagini che seguono - in cui circa un terzo degli scatti sono street based. Giovani, operai,
studentesse, anziani, businessmen, casalinghe.
            Lo street style prima si è affacciato timidamente sulle passerelle, che in certi casi hanno
continuato a snobbarlo, e poi in tempi più recenti si è preso la rivincita, visto che oggi il legame
tra moda di strada e catwalks è sostanziale e strettissimo. E la sfida tra marchi e riviste sembra
quasi essere a “sono stato street io, molto prima di te...”.


1.2 L'influenza della strada


            L'influenza della strada, degli stili di strada, sugli stilisti e le loro creazioni, e quindi su
quello che poi vediamo prima sulle passerelle delle Fashion Weeks e poi nei negozi e nelle
boutique è innegabile.
            Certo negli ultimi quattro o cinque anni c'è stato un vero e proprio boom. C'è chi dice,
scherzando (ma non troppo) che i magazine di grido in questo momento hanno più fotografi per
le strade, durante le Settimane della Moda, che dentro i tendoni, i saloni e gli showroom, per le
sfilate..
            Scott Schuman, con il fotoblog The Sartorialist, è partito nell'autunno 2005. Tanti altri lo
hanno seguito – paparazzi dello sconosciuto, cacciatori di trend tra il rumore e il colore delle
strade delle metropoli. A caccia di abiti da fotografare e dettagli, dati che poi passano di mano in
mano, attraverso trend hunters, agenzie, laboratori, uffici stile.
            Non restano fuori dalla partita neppure le riviste più blasonate – come ad esempio Vogue



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e Dazed & Confused - non possono certo permettersi di “bucare” il fenomeno. In certi casi lo
cavalcano volentieri, in altri si adeguano. Certo è che le strade la fanno da padrone: sul web,
sulle riviste, e sulle passerelle.


1.3 Celebrities vs common people




        E' vero che a tratti si insinua un dubbio: quanto il trend della street fashion non è, invece,
poco più che un'ulteriore ramificazione laterale del culto dominante delle celebrities?


        Se pensiamo alle foto che giravano in rete e sulle riviste specializzate pochi mesi fa, che
mostravano alcuni audaci e bellissimi pezzi della collezione bondage dello stilista anglo-armeno
Ilya Fleet... E' vero, erano scatti di strada, ma il valore della foto era dato però sostanzialmente
dal volto, dal corpo, e soprattutto dal nome della persona inquadrato: la cantante Rihanna. Il fatto
che fosse uno scatto di strada, più che uno da red carpet, non era incidentale - è chiaro, le
tendenze street pics e celebrity cult si sovrappongono e sostengono a vicenda. Tuttavia, non era
neppure centrale. E trasmette il dubbio che appunto, in questi casi si sia di fronte più che altro a
una protesi, voyeuristica, del culto della celebrità (hollywodiana).


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       Tuttavia non vi è da scoraggiarsi: la gente comune – i common people – hanno il dovuto
spazio, nel contesto della street fashion. Anzi, con il diffondersi sempre più pervasivo del web
2.0 e degli user generated contents, i protagonisti della strada (e della moda di strada) sono
sempre più loro: le persone “normali”.




1.4 The best of street fashion blogs and magazines




       La rete, come è abbastanza evidente a chi ha una certa dimestichezza con i nuovi media,
è, anche in virtù di certe sue caratteristiche tecnologiche intrinseche, più reattiva, e più incline a
intercettare le tendenze emergenti, che i media tradizionali (giornali, radio, tv)..


       Anche in relazione al fenomeno della street fashion, che come abbiamo visto vanta una
storia di diversi decenni, ma che solo negli ultimissimi anni ha conosciuto un nuovo e



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potentissimo boom, il web e la comunità dei bloggers si sono dimostrati i più attenti, e i più
rapidi.
          Succede poi, come in altri contesti, che la carta stampata attinga dalla rete, operi selezioni
e rimandi.
          In certi casi di particolare successo, il virtuale, il puramente elettronico, diventa poi anche
cartaceo, diviene addirittura libro. Il caso senz'altro più celebre, in quanto a street fashion, è
quello del blog The Sartorialist, oggi un libro, in vendita anche nelle librerie italiane. Sulla scia
di The Sartorialist anche da Face Hunter (blog di fashion street pics quasi altrettanto celebre) è
stato tratto un libro.


          Non esistono riviste dedicate esclusivamente allo street fashion – non in Italia
quantomeno ( non di nostra conoscenza!)..
          D'altro canto, i costi della carta stampata non possono essere azzerati - altra differenza
con uno spazio virtuale, sulla rete internet, dove è possibile lanciare un blog con un investimento
economico pressoché nullo. Tuttavia esistono riviste che danno spazio allo street fashion in
modo non sporadico, bensì istituzionalizzato. E' il caso, per citare un buon nome, del mensile
PIG – che possiede anche una edizione italiana (in vendita in edicola e scaricabile liberamente
dal sito web).


          Online troviamo anche, tra le numerosissime risorse relative alla street fashion, anche una
classifica dei blog più influenti, in tal senso. La riportiamo qui, in breve, per segnalare i nomi che
contano. Oltre ovviamente ai già citati The Sartorialist e Face Hunter, troviamo Street Peepers,
Hel Looks, Savvy London, Stil in Berlin, The Style Scout, Prada and Meatballs, Easy Fashion in
Paris e Youcatwalk.


          Sono inoltre sempre più popolari le applicazioni web based e i contest a cui partecipare in
rete, in cui viene chiesto agli utenti/lettori/clienti di fare il proprio look, con gli abiti di un certo
brand, magari, e di pubblicare lo stesso sul sito web del produttore.
          Precursore in questo senso è stato Diesel – e non c'è da stupirsi, vista l'attenzione che il
marchio dedica da sempre alle tendenze più innovative e all'universo giovanile. Ma molti altri
attori – tra cui vari nomi del fashion system – si sono mossi o si stanno muovendo in questa



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direzione. Per citare un caso recente, segnaliamo l'iniziativa Fabulous Legs di Fornarina.


        In parallelo, proliferano anche le communities online, dove i fashion addict si scambiano
foto, consigli e look, realizzati offline e caricati come fotografie o creati direttamente sul sito
web. Tra queste comunità una di quelle di maggiore successo è sicuramente il. social network
brasiliano .bymk.


Dalle immagini della civiltà alla civiltà dell'immagine


        Non siamo ciechi di fronte al fatto che, prima attraverso la televisione e oggi sempre più
anche tramite l'apporto di internet, e del world wide web in particolare, la civiltà in cui viviamo
sta diventando sempre più “schiava” di un flusso di informazioni esorbitante, in cui le immagini
giocano un ruolo centrale e privilegiato.
        Con il loro potere iconico e simbolico, le immagini veicolano valori, stili, modelli di
comportamento in modo immediato, e spesso surrettizio. Fanno leva su componenti emotive più
che su ragionamenti razionali – cosa invece più propria delle parole, dette o scritte.
        Siamo insomma parte in qualche modo di una società dell'immagine, in cui tanto più una
realtà è complessa e difficile da interpretare e maggiore è il ruolo affidato alle immagini per
comunicarla. L'immagine non è sottoposta alla struttura logica del ragionamento: non deve
convincere, ma cattura, affascina. E abbiamo un pericoloso spostamento dalla razionalità
all'emotività, nei giudizi, nelle azioni, e nelle pianificazioni. E, insieme, le persone sembrano
giustamente preoccuparsi sempre di più dell'immagine di sé, e sempre meno di indagare ed
esprimere la complessità, profonda, del proprio animo. Ciò che conta, alla fine, è
sostanzialmente fare una buona impressione.
        All'etica, fondata su regole che si impongono alla ragione, che a sua volta ha la meglio
sulle sensazioni, si sostituisce sempre più l'estetica, e il culto dell'immagine, come ancoraggio
della nostra identità..




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             2. IMMIGRAZIONE E MODA: CONVERGENZE NECESSARIE


2.1 Globalizzazione, flussi migratori e contemporaneità


       Globalizzazione, ovvero sviluppo di un’economia globale, crescita vertiginosa del
potenziale tecnologico, espansione dei mezzi di comunicazione, e come conseguenza una
fortissima interdipendenza, economica in primis, ma anche politica e culturale, tra le parti che
costituiscono il mondo.
       Tutti gli autori sono concordi nel riconoscere una doppia tendenza associata al fenomeno
della globalizzazione: da un lato tempi e distanze si comprimono, fino quasi a sparire, e si avvia
un processo di unificazione, di abbattimento dei confini e di omologazione; dall'altro aumenta la
frammentazione, la percezione della diversità si fa sempre più acuta, e le regole di convivenza si
relativizzano.
       Dalla storia impariamo che i popoli da sempre si scontano, e si fondono – l'Europa stessa
è il risultato della fusione di un crogiolo di razze e civiltà. Come spiega bene Clifford (1993), “la
purezza della razza, della lingua, degli usi e delle tradizioni, semplicemente non esiste, ma è una
costruzione della mente umana.”



2.2 L'identità, tra identificazione e differenziazione

       L'incontro con l'altro è sempre problematico, e centrale. E' proprio la percezione
dell'altro, in senso lato, a rappresentare uno dei fondamenti della costruzione della nostra identità
– sia a livello individuale che a livello collettivo.
       L'arrivo di nuove comunità immigrate costituisce al tempo stesso un fattore di
arricchimento, di fascino e di mistero, e genera però spesso anche una percezione di minaccia,
alla propria identità, etnica e culturale. Percezione che si amplifica enormemente in un contesto,
quale quello odierno, dominato da ansia e incertezza.
       D'altro canto, flussi, spostamenti, migrazioni, viaggi, sono anche occasione di scambio e



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di conoscenza – di contatto con mondi alternativi, di esplorazione di universi sconosciuti, di
confronto con modelli culturali diversi dai nostri.
       Il mondo dell'abbigliamento è al centro di queste relazioni, e scambi. Attraverso i vestiti
si esprimono identità, e appartenenze multiple.
       Il multiculturalismo pone a confronto identità e culture diverse, e implica la definizione
di nuovi confini simbolici, a marcare distanze tra appartenenze reciproche, diversità, differenze,
separazioni.
       Le vesti, nella storia, raccontano anche dei cambiamenti e delle contaminazioni a cui
sono state sottoposte, nel corso dei secoli, le varie civiltà.
       La moda, che è per sua stessa natura novità costante, cambiamento (cambiamento
strutturale, sistemico), si inserisce bene in questo contesto sociale dinamico e in perenne
evoluzione. E – come vedremo meglio nel capitolo III – intercetta anche, sublimandole, alcune
tendenze proprie della contemporaneità inter-etnica e multiculturale.


       Moda – come già spiegava Simmel – è adesione a un codice condiviso, ma è anche
chiusura, rispetto ad altri gruppi sociali. Oggi la società non è certo più fatta di classi, tuttavia
persiste la logica dei gruppi, dello status, e dei simboli che li rappresentano.
       Comportamento, gusti, stile di abbigliamento: sono fattori chiavi per esibire la propria
appartenenza, e la distinzione.


       Gli studi sulle sub-culture, in particolare quelli dei cultural studies inglesi, hanno messo
bene in luce l'importanza del fattore abbigliamento nella caratterizzazione simbolica
dell'appartenenza a un gruppo. Prendiamo l'esempio – classico – della sottocultura skinhead.
Testa rasata, stivali scuri, bretelle: questi elementi sono considerati appropriati dal gruppo per
veicolare alcuni dei suoi valori cardine, ovvero forza, mascolinità, onore. Le sub-culture sono in
qualche modo forme tribali di vita (Polhemus, 1994), che comprendono rituali di iniziazione e
pratiche di modifica del corpo ad alto valore simbolico (tatuaggi, piercing, capigliature
particolari), funzionali a reiterare l'unità del gruppo e la sua integrità. L'apparenza – negli skin
heads quanto nei bikers, quanto nelle tribù amazzoniche o della Nuova Guinea – serve
innanzitutto a mostrare l'appartenenza al gruppo.




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        Osservare l'apparenza di un individuo ci permette di acquisire una serie di informazioni
fondamentali per decidere come rapportarci con quella persona. Il nostro corpo, e gli abiti con
cui lo (ri)vestiamo, sono il veicolo centrale di informazioni per i nostri simili, che ci scambiamo
quando ci incontriamo. Sono la nostra presenza fisica nel mondo in cui viviamo. L'abito, assieme
ad altri attributi fisici (es i tratti del volto), è la nostra identità, così come la offriamo agli occhi
degli altri.


        Sono esattamente questi presupposti che spingono le sottoculture ad appropriarsi di
elementi materiali, oggetti, accessori, per farne simboli carichi di significato, per chi ne sa
leggere la grammatica (pensiamo al caso delle spille da balia per il movimento punk).
        Sono questi stessi presupposti che spingono molti migranti ad adottare, in modo spesso
non consapevole, gli abiti “civilizzanti” della cultura ospitante, quale modo, simbolico di offrire
la propria rinuncia ai caratteri culturali ereditati, in nome di quelli nuovi, dominanti.




2.3 Lo straniero


        Lo straniero è colui che “è senza storia”. Allo straniero ci unisce il presente, ma il
passato, al di là delle volontà individuali, ci separa: siamo reciprocamente estranei. E su questa
base è facile la nascita di conflitti, scaturiti da incomprensione e ostilità, spesso frutto di
atteggiamenti che ci paiono inappropriati, sconvenienti, non adatti al contesto, fuori luogo.
Incivili.
        Se assecondiamo la famosa e bellissima metafora di Goffman (1969) della vita come
palcoscenico teatrale, di fatto lo straniero è qualcuno che entra a far parte della compagnia di
attori ma non conosce il copione, non è al corrente dello stile di recitazione, e neppure dei gusti
del pubblico. Agire in modo adeguato, per lui, è davvero difficile.
        Lo straniero non può affidarsi alle risorse potentissime che nella quotidianità ci offrono il
“pensare come al solito” e il “sapere dato per scontato”: nella società ospite, i suoi schemi
interpretativi non valgono. I suoi strumenti interpretativi falliscono miseramente.
        L'incertezza che lo straniero manifesta, la sua mancanza di un giusto senso della distanza,
il suo oscillare tra distacco e intimità eccessiva, sono secondo Schutz (1979), interpretate spesso


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in modo erroneo come non volontà da parte sua ad aderire ai modelli culturali, ai valori e alle
norme di vita della comunità. In verità egli è come perso un un labirinto, in cui non sa come
orientarsi. Ecco perché, la reazione successiva è a volte una scelta di isolamento, di fronte alla
impossibilità di un percorso di integrazione compiuto. O del tentativo, molto comune, di cercare
legami con membri della sua stessa comunità di origine, dove i codici di condotta sono più
semplici da decifrare, e vi è spazio per coltivare un sentimento di appartenenza, che attenui il
dolore del distacco, e dell'emarginazione.


       Il percorso dell'integrazione è lungo, tortuoso: le regole di etica e di etichetta che
governano la quotidianità della società ospite sono spesso radicalmente diverse da quelle a cui la
persona era abituata – e che aveva interiorizzato, e sapeva rispettare. L'integrazione passa per un
processo complesso di negoziazione, rielaborazione, attribuzione di senso legata al contesto
costante e difficoltosa.
       Si tratta di accettare una quantità enorme di precetti e convenzioni, legati
all'abbigliamento, all'alimentazione, al rapporto tra i sessi, all'atteggiamento da tenere in
pubblico.
       Essere stranieri significa quindi anche essere in mezzo, in bilico tra il rispetto e il
riconoscimento della propria identità di origine e la comprensione e l'accettazione di una identità
“altra”, in mezzo tra il proprio portato biografico e le aspettative e le speranze del proprio futuro,
in mezzo tra due mondi, e alla ricerca di una nuova identità in grado di comprenderli entrambi.




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2.4 Vestire la propria identità


       L'abito è dunque un modo primario di manifestazione del proprio io – per marcare una
diversità (dunque per promuovere una individualità), e per segnalare un'appartenenza (e quindi
sostenere una omologazione).
       Coloro che migrano, in questo senso, adottano scelte di vestiario che possono essere
ricondotte, in termini di valore simbolico, a tre grandi macro categorie. Secondo quanto scritto
da Brown (in Keenan, 2001), esse sono: l'assimilazione, il rifiuto, e l'identità congiunta.


       La teoria dell'assimilazione, che coincide con la prospettiva del melting pot, del crogiolo
delle razze e delle differenze, che si fondono fino a scomparire, prevede appunto che i migranti
finiscano per divenire non distinguibili dal resto della popolazione “indigena”. Gli stranieri
assimilano, fanno propri, assumono, norme, valori, atteggiamenti tipici della componente
maggioritaria della società, e vanno perdendo progressivamente i loro caratteri distintivi.


       Il rifiuto si colloca sull'asse opposto, e presuppone una volontà, più o meno esplicita e
consapevole, di mantenere i caratteri “ereditari”, i valori e i comportamenti acquisiti, e di
continuarne la pratica anche nella società ospite. E' una forma di reazione, che evidentemente è
più efficace e visibile quando strutturata a livello collettivo, rispetto al predominio culturale e
simbolico esercitato dalla cultura ospite. Alcuni autori hanno associato a questa forma di rifiuto,
che si manifesta chiaramente anche in termini di scelte di vestiario, alimentari, e religiose, il
termine di revival etnico.


       Infine, l'elaborazione di quella che è stata definita una identità congiunta, è,
evidentemente, una sorta di giusta via di mezzo. E' la strategia sviluppata per fare coesistere, a
livello individuale, di persona e di esistenza, vecchio e nuovo mondo, biografia ancestrale e
futuro immaginato, tradizioni e speranze. E' l'espressione di una volontà di ricomprendere il
senso di ogni azione e norma alla luce del suo contesto culturale.




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KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA'




2.5 Il velo: un caso di studio


        Il velo islamico è al centro di polemiche ricorrenti, in Italia e in Europa – in Francia in
particolare negli anni scorsi è diventato il centro di un vero e proprio “caso” di interesse
nazionale (qualcosa di analogo per dimensioni alla discussione sul crocifisso nelle scuole da
noi).
        Si tratta di un indumento che capita di vedere anche per le nostre strade, considerato che
anche da noi esiste una non piccola comunità musulmana, e che alcune delle donne che
abbracciano questa religione non rinunciano, anche in Italia, all'utilizzo del velo, per coprire i
capelli, e parte del volto..
        L'assunzione di base dietro alla condanna dell'utilizzo del velo è spesso la considerazione
che lo stesso sia un simbolo di sottomissione della donna, un elemento che ne marca l'inferiorità
rispetto alle persone di sesso maschile. Il ragionamento è quindi: da noi, le donne sono uguali
agli uomini, hanno pari diritti e dignità, e dunque hanno anche il diritto di uscire per strada a
capo scoperto.
        Chiaramente il discorso regge nella misura in cui il velo è frutto di un'imposizione, e
quindi decidiamo di offrire alle donne musulmane residenti in Italia la possibilità di non
utilizzarlo – ovvero una donna che esce a capo scoperto non è soggetta a nessun tipo di sanzione,
religiosa, morale, o di altro tipo.
        Le cose però si complicano nella misura in cui l'adozione e l'utilizzo del velo è frutto di
una scelta libera e consapevole. E le indagini, le inchieste fatte da giornalisti e sociologi, tanto da
noi quanto oltre le Alpi, sembrano confermare in toto questa valutazione: molto spesso l'utilizzo
del copricapo non è il frutto di un obbligo, ma di una volontà individuale.
        Gli studiosi più attenti sono andati oltre, ed hanno valutato come cambia l'Islam stesso,
“in trasferta”: l'esperienza religiosa diventa qualcosa di più individuale, legato alla dimensione
del singolo, che spesso reinterpreta anche i principi guida della sua fede alla luce di un contesto
differente. Le ragazze intervistate dicono di indossare il velo come forma di affermazione di sé, e
non come modo di conformarsi a una richiesta, o a un costume culturale. E, elemento prezioso e
da non sottovalutare, per loro il velo rappresenta anche un modo per marcare una distanza da un
elemento che non condividono della società ospite: nello specifico, il materialismo esasperato del



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mondo “occidentale”.
       Anche per le donne musulmane, di fronte alla sfida dell'inserimento in una nuova cultura
e in una nuova comunità, le strade che si prospettano sono sostanzialmente tre: quella
dell'assimilazione, quella del rifiuto, e quella dell'identità congiunta. Le giovani donne che
vediamo per le strade della nostra città, abbigliate “all'Europea” ma con il velo, o con altri
ornamenti tipici della loro cultura e tradizione, sapientemente cercano di combinare il proprio
passato con la realtà che le circonda, e di trovare uno spazio identitario in grado di coniugarli.
L'abbigliamento scelto rispecchia, e simbolizza, questo desiderio. Ci parla di loro, della loro
storia, e delle loro speranze.




                                                  21
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                3. IL NEO-ETNICO: GLI STILISTI INTERPRETANO L'INTER-
                                                 CULTURALITA'



3.1 Neo-etnico: il trend della società globale


       Gli stilisti hanno da sempre interesse ai temi etnici. Chi più chi meno, chiaro, a seconda
delle preferenze personali e del profilo della maison. Ma tra etnico, tribale, Africa, neo-coloniale,
e affini, lo spazio simbolico dell'universo fashion non può certo dirsi nuovo a tematiche e
tendenze “di importazione”. Tessuti, stampe, colori, a volte semplicemente suggestioni. I mondi
lontani, le culture primitive, l'Africa nera, il deserto, i tropici, sono stati presi come fonte
d'ispirazione in modo tutt'altro che sporadico.
       Tuttavia, negli ultimissimi anni stiamo assistendo a qualcosa di parzialmente diverso, e
nuovo: il tema etnico stra progressivamente lasciandosi alle spalle i suoi caratteri “tradizionali”
(di semplicemente esotico, di misteriosamente lontano, ...) per parlarci invece sempre di più di
viaggi intercontinentali, di contaminazioni, di compenetrazioni, simbiosi, sincretismi, innesti.
       E non è un caso che siano i nomi più freschi e talentuosi del mondo della moda a captare
per primi le nuove frequenze inter-culturali. Ne citiamo tre, che andremo poi ad osservare
“all'opera” nei prossimi paragrafi: Paul Smith, Jean Paul Gaultier e John Galliano.


3.2 I sapeurs congolesi (e la collezione SS 10 di Paul Smith)


       Il portale Trendland annunciava nel Novembre 2009 l'uscita del book fotografico di
Daniele Tamagni Gentlemen of Bacongo. Il libro documenta, atttraverso scatti stupendi, e di
qualità eccezionale, scene di vita sostanzialmente quotidiana dei membri della SAPE - Société
des Ambianceurs et des Personnes Élégantes. Il club, il cui nome possiamo tradurre in italiano
come “Società delle Persone Eleganti”, riunisce persone delle due capitali della Repubblica del
Congo e della Repubblica Democratica del Congo, Brazzaville e Kinshasa.
       Nel bel mezzo della miseria, in una delle zone più povere e maltrattate del pianeta, eccoci


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di fronte a questo club di dandy, che vestono in uno stile unico e folle, che imita quello dei coloni
Belgi e Francesi, di fine Ottocento. Insomma degli abitanti dell'Africa nera del secolo ventuno
che hanno come riferimento estetico e stilistico gli aristocratici francesi di quasi duecento anni
prima.
         Cosa ci dice invece, in addizione alla apparente follia di cui sopra, il fatto che la
collezione Donna Primavera Estate 2010 di Paul Smith richiami in modo chiaro proprio lo stile
dei Sapeurs?




3.2 Le geografie mutevoli di Jean Paul Gaultier


         La collezione Donna Autunno Inverno 10/11 di Jean Paul Gaultier ci parla di melting pot
globali, e inter-culturalità spinta. La moda si fa portavoce di un messaggio di fratellanza e
condivisione che spazza via ogni differenza etnica e geografica, per consentire rielaborazioni
iper-urbane di abiti tradizionali, marocchini o armeni, per mescolare usanze est europee e
suggestioni sudamericane, suoni asiatici e tessuti germanici.
         Non è una collezione etnica, è una collezione che porta chiaro il marchio JPG. Con
elementi presi giustamente dall'enorme calderone globale, che per chi sa beneficiarne propone a
uso e consumo di rimescolamenti e ri-contestualizzazioni ricami tibetani, jacquard atzechi,
fodere cinesi, fiori balcani, colbacchi di pelliccia, turbanti di batik, copricapo mongoli e
tacchi da camperos. L'identità che afferma questo guardaroba è senza dubbio multi-etnica:
contemporanea, e senza confini.




3.2 Il nomadismo di John Galliano (AI 10/11)


         Anche John Galliano sceglie di mescolare - e lo fa ovviamente con sapienza magistrale
che gli è propria - suggestioni e stili di provenienza geograficamente e culturalmente iper
diversificata.

         Nord Africa e Polo, Ande e Mongolia, Maghreb, civiltà Atzeca, Siberia. Ci sono tessuti,
ricami e colori provenienti da culture immensamente distanti tra loro. Galliano li ricombina e


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fonde in un potpourri unico, eccentrico e inconfondibile, dove uno stivaletto scamosciato svetta
su un tacco a spillo, e si abbina a un calzino di pizzo in lana. Per stupire, chiaro, e per
emozionarci sempre.




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                                          CONCLUSIONI



       Scrivere di fashion oggi, nel 2010, senza citare le tendenze che emergono dalla strada,
significa avere una visione sostanzialmente miope. Significa dimenticare una fetta importante
della torta. Infatti, riviste, blog, corsi universitari, e infine anche libri, sono ricchi di citazioni,
riferimenti per immagini, link alla street fashion. Che siano più le passerelle a influenzare lo stile
di strada, o che siano invece più gli street people a funzionare da ispirazione per la moda che
sfila, è probabilmente una domanda un po' oziosa. (E' nato prima l'uovo o la gallina? E, in che
contesto ha senso chiederselo?) In fondo, quello che è certo, e rilevante, è che strada e alta moda
si parlano, comunicano tra loro, si influenzano a vicenda. La moda è scesa in strada – grazie
anche a Zara e al fast fashion, certo. La strada è salita in passerella – da Yves Saint Laurent e
Vivienne Westwood in qua, di sicuro.
       Meno ovvio, invece, parlare di moda e di inter-cultura. Di fashion e di flussi migratori. Di
tendenze e di multiculturalismo, multi-etnia, incroci di razze. Si trova poco materiale, sia in
biblioteca, che in edicola, che in rete. (Certo, chiaro, internet come sempre è il media più
reattivo. Poi le riviste, le più attente – tipo Glamour. Poi, le università. I libri, sempre alla fine. A
consolidare un sapere. Istituzionalizzarlo definitivamente.)
       Insomma, sembra quasi che gli immigrati non si vestano. O che comunque non abbiano
gusti, preferenze. Che la ricchezza che portano con loro, e che non di rado fondono in modo
sorprendente e originale con il patrimonio di cultura e tradizione del paese in cui si trasferiscono,
non si noti. Eppure a scavare appena un poco sotto la superficie – o anche solo a girare per
strada, con gli occhi aperti (non solo agli scippatori, anche agli abiti delle persone) – emergono
un gran numero di cose belle.
       Gli stilisti, con la loro sensibilità acuta, con il loro orecchio teso a cogliere i fermenti, gli
sprazzi di energia creativa, le pieghe di originalità nel quotidiano, lo hanno già letto, prima di
molti di noi, il trend multiculturale. E infatti sulle passerelle l'etnico è ormai un must. Ed è un
neo-etnico – qualcosa di molto diverso dal tribale classico, associato magari al coloniale. E' un
neo-etnico compiutamente globalizzato e multiculturale. Degno della società in cui viviamo.


                                                   29
KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA'




Interconnessa, globalizzata, ricca, piena di sogni e di tristezze, irrimediabilmente interrazziale.
       Questo lavoro ha cercato di tirare le fila di queste due tendenze, e di inquadrarle nel
contesto più ampio della direzione assunta dalla moda contemporanea. Nella convinzione che
street fashion e multiculturalità possano rappresentare anche una risposta vincente alla crisi che
soffia sul settore moda.
       Il comparto fashion ha sofferto in questi ultimi due anni una flessione significativa, da cui
ancora non è riemerso in maniera chiara. Una crisi che ci parla dei legami indissolubili tra il
fashion e i mercati borsistici, la finanza globale. Una crisi che ci ricorda che moda oggi è, spesso,
molto più business che cultura.




                                                    30
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                                        BIBLIOGRAFIA



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                                                 31
KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA'




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                                                 32
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                                          WEBOGRAFIA



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                                                  33
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Moda, street fashion e interculturalità

  • 1. Karina Mello da Rocha LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' Machina Institute Corso di Fashion Technology Design AA 2009/2010
  • 2. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' SOMMARIO • Introduzione • Capitolo I – Street fashion: la moda scende in strada ◦ Street fashion: un excursus storico ◦ L'influenza della strada ◦ Celebrities versus common people ◦ The best of street fashion blogs and magazines ◦ Dalle immagini della civiltà alla civiltà dell'immagine • Capitolo II – Immigrazione e moda: convergenze necessarie ◦ Globalizzazione, flussi migratori e contemporaneità ◦ L'identità, tra identificazione e differenziazione ◦ Lo straniero ◦ Vestire la propria identità ◦ Il velo: un caso di studio 2
  • 3. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' • Capitolo III – Il neo-etnico: gli stilisti interpretano l'inter-culturalità ◦ Neo-etnico: il trend della società globale ◦ I sapeurs congolesi (e la collezione SS 10 di Paul Smith) ◦ Le geografie mutevoli di Jean Paul Gaultier ◦ Il nomadismo di John Galliano '(AI 10/11) • Conclusioni • Bibliografia • Webografia 3
  • 4. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' INTRODUZIONE La realtà contemporanea, il mondo in cui viviamo, sono caratterizzati da quella che molti studiosi hanno definito una condizione di post-modernità. Come afferma Bauman (2003), mentre l'era moderna ci offriva un mondo solido, forte, e ordinato, oggi la realtà che abbiamo di fronte è liquida, destrutturata precaria, priva di riferimenti stabili – infine, generatrice di ansia e incertezza. Anche gli stati nazione, emblema politico dell'era moderna, segnano il passo. E' in questo scenario, che si inseriscono le dinamiche dei flussi migratori, e del multiculturalismo, che sollevano a loro volta le questioni della convivenza inter-etnica, dell'integrazione culturale, e, ancora, dell'identità. In un mondo dove le garanzie di ordine e di senso sembrano venire meno, il confluire di persone provenienti da luoghi e culture diverse aumenta in modo esponenziale il senso di incertezza e paura riguardo la propria condizione. Nelle pagine che seguono, partendo proprio da queste premesse, si cerca di indagare il ruolo della moda, nel contesto attuale. Appoggiandosi alla certezza che l'abito, l'abbigliamento, rivestono funzioni simboliche e sociali molteplici, e tra di esse spicca certamente la comunicazione della propria identità – intesa come identificazione o come distinzione, come appartenenza a un gruppo o come affermazione individuale. L'abito può essere inteso quindi come un modo per marcare confini, simbolici e reali, ma anche come strumento di legame e di riconoscimento reciproco. Su questo aveva scritto già Georg Simmel (1985), a inizio Novecento, trattando di uniformità e diversificazione come elementi chiave dell'analisi sociale: conformismo e individualismo, unità e differenziazione. E' questa una dialettica alla base di tutti i rapporti sociali, a prescindere dall'epoca e dal contesto culturale. L'abito serve all'individuo per rappresentare la sua identità, ma è anche testimonianza dell'evoluzione culturale, e del tipo di società che lo genera. Su questo punto l'antropologia ha indagato molto, e offre consigli preziosi. In particolare, ci insegna quali sono le funzioni, 4
  • 5. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' molteplici, del vestiario, che dalla primitiva propensione a coprirsi in poi sono sempre state animate dalla necessità di comunicare. L'abito è quindi visto come veicolo simbolico, che ci permette di comunicare informazioni strategiche relative al nostro stato, alla nostra condizione – al nostro status economico, sociale, alla nostra appartenenza di genere, di etnia, di religione, … Muovendo esattamente da questi presupposti ci siamo spostati, in termini di analisi, su un secondo versante, quello della street fashion, ovvero delle tendenze che emergono dalla strada. E, in questo scenario, abbiamo approcciato anche la relazione tra il fenomeno street e l'esplosione delle nuove tecnologie, che della moda di strada propongono un'eco potente (quasi assordante, a volte), attraverso blogs, magazine e applicazioni internet. Anche se ci è chiaro che l'esperienza che l'abito ci offre è multi-sensoriale (e coinvolge quindi anche tatto, olfatto, gusto, udito oltre alla vista), siamo comunque figli di una civiltà dell'immagine. Dove l'immagine, amplificata dai media di massa e da quelli elettronici, si fa simbolo primario, e culto. Dove le rappresentazioni finiscono, persino, a volte, nella percezione collettiva, a sostituire la realtà che dovrebbero rappresentare. Dove diventa difficile, a tratti, distinguere tra realtà e rappresentazione. Il primo capitolo, che segue questa nota introduttiva, è dedicato alla street fashion – ne ripercorre brevemente l'excursus storico, e ne valuta l'importanza attuale, in relazione alla moda “alta”, e nel contesto dell'esplosione ormai affermata dei nuovi media elettronici. Il secondo capitolo si sposta sul ruolo della moda, e dell'abbigliamento, nello scenario contemporaneo, caratterizzato da una società globale in cui flussi migratori e multi-etnicità sono fenomeni di prim'ordine, impossibili da negare, dalle conseguenze complesse, ma anche portatori di un'enorme potenziale iconico e creativo. Il terzo e ultimo capitolo affronta il modo in cui il tema etnico “tradizionale” viene riletto, sulle passerelle di queste ultime stagioni, da alcuni tra i fashion designer più celebri e innovativi. Il trend, che abbiamo chiamato “neo-etnico”, è chiaramente figlio dell'influenza e delle suggestioni offerte agli stilisti dai fenomeni analizzati nei capitoli I e II 5
  • 6. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' 1. STREET FASHION, LA MODA SCENDE IN STRADA 1.1 Street fashion, un excursus storico Il fenomeno della street fashion, della moda di strada, non è certo una novità di questi ultimi anni. Potrebbe sembrarlo, ai profani dell'universo moda. Ma gli osservatori più attenti sanno che sono decenni, e non solo anni, che molti dei maggiori designer attingono alla strada, come fonte di ispirazione, più o meno dichiarata. E che già oltre quarant'anni fa, quando l'haute couture dominava la scena fashion e il prêt- à-porter non era che agli albori, erano proprio gli stili di strada, e in particolare gli abiti indossati e reinventati dai più giovani, a fornire ispirazione a linfa agli stilisti più innovativi. Un genio come Yves Saint Laurent e un grandissimo fashion designer come Pierre Cardin, giusto per fare due nomi e restare nell'ambiente parigino. E, dagli anni Settanta in poi, la nota stilista londinese Vivienne Westwood. Ma questi sono solo alcuni nomi, di particolare spicco, di un elenco che potrebbe continuare per svariate pagine. 6
  • 7. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' Il prêt-à-porter, con la sua collocazione mediana e ambivalente tra lusso e mercato, tra esclusività elitaria e consumo di massa, ricuce in qualche modo lo stappo tra le persone comuni, e il loro vestiario, e l'alta moda. E gli stili di strada servono da ispirazione ai designer del ready-to-wear, che porta finalmente in passerella, dagli anni Settanta, minigonne, jeans, abiti da lavoro, pantaloni da donna. Il New York Magazine di Maggio 2010, nell'edizione celebrativa dei primi quarant'anni della rivista, propone sul proprio sito web una photogallery - da cui sono tratte alcune delle immagini che seguono - in cui circa un terzo degli scatti sono street based. Giovani, operai, studentesse, anziani, businessmen, casalinghe. Lo street style prima si è affacciato timidamente sulle passerelle, che in certi casi hanno continuato a snobbarlo, e poi in tempi più recenti si è preso la rivincita, visto che oggi il legame tra moda di strada e catwalks è sostanziale e strettissimo. E la sfida tra marchi e riviste sembra quasi essere a “sono stato street io, molto prima di te...”. 1.2 L'influenza della strada L'influenza della strada, degli stili di strada, sugli stilisti e le loro creazioni, e quindi su quello che poi vediamo prima sulle passerelle delle Fashion Weeks e poi nei negozi e nelle boutique è innegabile. Certo negli ultimi quattro o cinque anni c'è stato un vero e proprio boom. C'è chi dice, scherzando (ma non troppo) che i magazine di grido in questo momento hanno più fotografi per le strade, durante le Settimane della Moda, che dentro i tendoni, i saloni e gli showroom, per le sfilate.. Scott Schuman, con il fotoblog The Sartorialist, è partito nell'autunno 2005. Tanti altri lo hanno seguito – paparazzi dello sconosciuto, cacciatori di trend tra il rumore e il colore delle strade delle metropoli. A caccia di abiti da fotografare e dettagli, dati che poi passano di mano in mano, attraverso trend hunters, agenzie, laboratori, uffici stile. Non restano fuori dalla partita neppure le riviste più blasonate – come ad esempio Vogue 7
  • 8. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' e Dazed & Confused - non possono certo permettersi di “bucare” il fenomeno. In certi casi lo cavalcano volentieri, in altri si adeguano. Certo è che le strade la fanno da padrone: sul web, sulle riviste, e sulle passerelle. 1.3 Celebrities vs common people E' vero che a tratti si insinua un dubbio: quanto il trend della street fashion non è, invece, poco più che un'ulteriore ramificazione laterale del culto dominante delle celebrities? Se pensiamo alle foto che giravano in rete e sulle riviste specializzate pochi mesi fa, che mostravano alcuni audaci e bellissimi pezzi della collezione bondage dello stilista anglo-armeno Ilya Fleet... E' vero, erano scatti di strada, ma il valore della foto era dato però sostanzialmente dal volto, dal corpo, e soprattutto dal nome della persona inquadrato: la cantante Rihanna. Il fatto che fosse uno scatto di strada, più che uno da red carpet, non era incidentale - è chiaro, le tendenze street pics e celebrity cult si sovrappongono e sostengono a vicenda. Tuttavia, non era neppure centrale. E trasmette il dubbio che appunto, in questi casi si sia di fronte più che altro a una protesi, voyeuristica, del culto della celebrità (hollywodiana). 8
  • 9. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' 9
  • 10. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' 10
  • 11. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' Tuttavia non vi è da scoraggiarsi: la gente comune – i common people – hanno il dovuto spazio, nel contesto della street fashion. Anzi, con il diffondersi sempre più pervasivo del web 2.0 e degli user generated contents, i protagonisti della strada (e della moda di strada) sono sempre più loro: le persone “normali”. 1.4 The best of street fashion blogs and magazines La rete, come è abbastanza evidente a chi ha una certa dimestichezza con i nuovi media, è, anche in virtù di certe sue caratteristiche tecnologiche intrinseche, più reattiva, e più incline a intercettare le tendenze emergenti, che i media tradizionali (giornali, radio, tv).. Anche in relazione al fenomeno della street fashion, che come abbiamo visto vanta una storia di diversi decenni, ma che solo negli ultimissimi anni ha conosciuto un nuovo e 11
  • 12. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' potentissimo boom, il web e la comunità dei bloggers si sono dimostrati i più attenti, e i più rapidi. Succede poi, come in altri contesti, che la carta stampata attinga dalla rete, operi selezioni e rimandi. In certi casi di particolare successo, il virtuale, il puramente elettronico, diventa poi anche cartaceo, diviene addirittura libro. Il caso senz'altro più celebre, in quanto a street fashion, è quello del blog The Sartorialist, oggi un libro, in vendita anche nelle librerie italiane. Sulla scia di The Sartorialist anche da Face Hunter (blog di fashion street pics quasi altrettanto celebre) è stato tratto un libro. Non esistono riviste dedicate esclusivamente allo street fashion – non in Italia quantomeno ( non di nostra conoscenza!).. D'altro canto, i costi della carta stampata non possono essere azzerati - altra differenza con uno spazio virtuale, sulla rete internet, dove è possibile lanciare un blog con un investimento economico pressoché nullo. Tuttavia esistono riviste che danno spazio allo street fashion in modo non sporadico, bensì istituzionalizzato. E' il caso, per citare un buon nome, del mensile PIG – che possiede anche una edizione italiana (in vendita in edicola e scaricabile liberamente dal sito web). Online troviamo anche, tra le numerosissime risorse relative alla street fashion, anche una classifica dei blog più influenti, in tal senso. La riportiamo qui, in breve, per segnalare i nomi che contano. Oltre ovviamente ai già citati The Sartorialist e Face Hunter, troviamo Street Peepers, Hel Looks, Savvy London, Stil in Berlin, The Style Scout, Prada and Meatballs, Easy Fashion in Paris e Youcatwalk. Sono inoltre sempre più popolari le applicazioni web based e i contest a cui partecipare in rete, in cui viene chiesto agli utenti/lettori/clienti di fare il proprio look, con gli abiti di un certo brand, magari, e di pubblicare lo stesso sul sito web del produttore. Precursore in questo senso è stato Diesel – e non c'è da stupirsi, vista l'attenzione che il marchio dedica da sempre alle tendenze più innovative e all'universo giovanile. Ma molti altri attori – tra cui vari nomi del fashion system – si sono mossi o si stanno muovendo in questa 12
  • 13. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' direzione. Per citare un caso recente, segnaliamo l'iniziativa Fabulous Legs di Fornarina. In parallelo, proliferano anche le communities online, dove i fashion addict si scambiano foto, consigli e look, realizzati offline e caricati come fotografie o creati direttamente sul sito web. Tra queste comunità una di quelle di maggiore successo è sicuramente il. social network brasiliano .bymk. Dalle immagini della civiltà alla civiltà dell'immagine Non siamo ciechi di fronte al fatto che, prima attraverso la televisione e oggi sempre più anche tramite l'apporto di internet, e del world wide web in particolare, la civiltà in cui viviamo sta diventando sempre più “schiava” di un flusso di informazioni esorbitante, in cui le immagini giocano un ruolo centrale e privilegiato. Con il loro potere iconico e simbolico, le immagini veicolano valori, stili, modelli di comportamento in modo immediato, e spesso surrettizio. Fanno leva su componenti emotive più che su ragionamenti razionali – cosa invece più propria delle parole, dette o scritte. Siamo insomma parte in qualche modo di una società dell'immagine, in cui tanto più una realtà è complessa e difficile da interpretare e maggiore è il ruolo affidato alle immagini per comunicarla. L'immagine non è sottoposta alla struttura logica del ragionamento: non deve convincere, ma cattura, affascina. E abbiamo un pericoloso spostamento dalla razionalità all'emotività, nei giudizi, nelle azioni, e nelle pianificazioni. E, insieme, le persone sembrano giustamente preoccuparsi sempre di più dell'immagine di sé, e sempre meno di indagare ed esprimere la complessità, profonda, del proprio animo. Ciò che conta, alla fine, è sostanzialmente fare una buona impressione. All'etica, fondata su regole che si impongono alla ragione, che a sua volta ha la meglio sulle sensazioni, si sostituisce sempre più l'estetica, e il culto dell'immagine, come ancoraggio della nostra identità.. 13
  • 14. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' 14
  • 15. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' 2. IMMIGRAZIONE E MODA: CONVERGENZE NECESSARIE 2.1 Globalizzazione, flussi migratori e contemporaneità Globalizzazione, ovvero sviluppo di un’economia globale, crescita vertiginosa del potenziale tecnologico, espansione dei mezzi di comunicazione, e come conseguenza una fortissima interdipendenza, economica in primis, ma anche politica e culturale, tra le parti che costituiscono il mondo. Tutti gli autori sono concordi nel riconoscere una doppia tendenza associata al fenomeno della globalizzazione: da un lato tempi e distanze si comprimono, fino quasi a sparire, e si avvia un processo di unificazione, di abbattimento dei confini e di omologazione; dall'altro aumenta la frammentazione, la percezione della diversità si fa sempre più acuta, e le regole di convivenza si relativizzano. Dalla storia impariamo che i popoli da sempre si scontano, e si fondono – l'Europa stessa è il risultato della fusione di un crogiolo di razze e civiltà. Come spiega bene Clifford (1993), “la purezza della razza, della lingua, degli usi e delle tradizioni, semplicemente non esiste, ma è una costruzione della mente umana.” 2.2 L'identità, tra identificazione e differenziazione L'incontro con l'altro è sempre problematico, e centrale. E' proprio la percezione dell'altro, in senso lato, a rappresentare uno dei fondamenti della costruzione della nostra identità – sia a livello individuale che a livello collettivo. L'arrivo di nuove comunità immigrate costituisce al tempo stesso un fattore di arricchimento, di fascino e di mistero, e genera però spesso anche una percezione di minaccia, alla propria identità, etnica e culturale. Percezione che si amplifica enormemente in un contesto, quale quello odierno, dominato da ansia e incertezza. D'altro canto, flussi, spostamenti, migrazioni, viaggi, sono anche occasione di scambio e 15
  • 16. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' di conoscenza – di contatto con mondi alternativi, di esplorazione di universi sconosciuti, di confronto con modelli culturali diversi dai nostri. Il mondo dell'abbigliamento è al centro di queste relazioni, e scambi. Attraverso i vestiti si esprimono identità, e appartenenze multiple. Il multiculturalismo pone a confronto identità e culture diverse, e implica la definizione di nuovi confini simbolici, a marcare distanze tra appartenenze reciproche, diversità, differenze, separazioni. Le vesti, nella storia, raccontano anche dei cambiamenti e delle contaminazioni a cui sono state sottoposte, nel corso dei secoli, le varie civiltà. La moda, che è per sua stessa natura novità costante, cambiamento (cambiamento strutturale, sistemico), si inserisce bene in questo contesto sociale dinamico e in perenne evoluzione. E – come vedremo meglio nel capitolo III – intercetta anche, sublimandole, alcune tendenze proprie della contemporaneità inter-etnica e multiculturale. Moda – come già spiegava Simmel – è adesione a un codice condiviso, ma è anche chiusura, rispetto ad altri gruppi sociali. Oggi la società non è certo più fatta di classi, tuttavia persiste la logica dei gruppi, dello status, e dei simboli che li rappresentano. Comportamento, gusti, stile di abbigliamento: sono fattori chiavi per esibire la propria appartenenza, e la distinzione. Gli studi sulle sub-culture, in particolare quelli dei cultural studies inglesi, hanno messo bene in luce l'importanza del fattore abbigliamento nella caratterizzazione simbolica dell'appartenenza a un gruppo. Prendiamo l'esempio – classico – della sottocultura skinhead. Testa rasata, stivali scuri, bretelle: questi elementi sono considerati appropriati dal gruppo per veicolare alcuni dei suoi valori cardine, ovvero forza, mascolinità, onore. Le sub-culture sono in qualche modo forme tribali di vita (Polhemus, 1994), che comprendono rituali di iniziazione e pratiche di modifica del corpo ad alto valore simbolico (tatuaggi, piercing, capigliature particolari), funzionali a reiterare l'unità del gruppo e la sua integrità. L'apparenza – negli skin heads quanto nei bikers, quanto nelle tribù amazzoniche o della Nuova Guinea – serve innanzitutto a mostrare l'appartenenza al gruppo. 16
  • 17. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' Osservare l'apparenza di un individuo ci permette di acquisire una serie di informazioni fondamentali per decidere come rapportarci con quella persona. Il nostro corpo, e gli abiti con cui lo (ri)vestiamo, sono il veicolo centrale di informazioni per i nostri simili, che ci scambiamo quando ci incontriamo. Sono la nostra presenza fisica nel mondo in cui viviamo. L'abito, assieme ad altri attributi fisici (es i tratti del volto), è la nostra identità, così come la offriamo agli occhi degli altri. Sono esattamente questi presupposti che spingono le sottoculture ad appropriarsi di elementi materiali, oggetti, accessori, per farne simboli carichi di significato, per chi ne sa leggere la grammatica (pensiamo al caso delle spille da balia per il movimento punk). Sono questi stessi presupposti che spingono molti migranti ad adottare, in modo spesso non consapevole, gli abiti “civilizzanti” della cultura ospitante, quale modo, simbolico di offrire la propria rinuncia ai caratteri culturali ereditati, in nome di quelli nuovi, dominanti. 2.3 Lo straniero Lo straniero è colui che “è senza storia”. Allo straniero ci unisce il presente, ma il passato, al di là delle volontà individuali, ci separa: siamo reciprocamente estranei. E su questa base è facile la nascita di conflitti, scaturiti da incomprensione e ostilità, spesso frutto di atteggiamenti che ci paiono inappropriati, sconvenienti, non adatti al contesto, fuori luogo. Incivili. Se assecondiamo la famosa e bellissima metafora di Goffman (1969) della vita come palcoscenico teatrale, di fatto lo straniero è qualcuno che entra a far parte della compagnia di attori ma non conosce il copione, non è al corrente dello stile di recitazione, e neppure dei gusti del pubblico. Agire in modo adeguato, per lui, è davvero difficile. Lo straniero non può affidarsi alle risorse potentissime che nella quotidianità ci offrono il “pensare come al solito” e il “sapere dato per scontato”: nella società ospite, i suoi schemi interpretativi non valgono. I suoi strumenti interpretativi falliscono miseramente. L'incertezza che lo straniero manifesta, la sua mancanza di un giusto senso della distanza, il suo oscillare tra distacco e intimità eccessiva, sono secondo Schutz (1979), interpretate spesso 17
  • 18. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' in modo erroneo come non volontà da parte sua ad aderire ai modelli culturali, ai valori e alle norme di vita della comunità. In verità egli è come perso un un labirinto, in cui non sa come orientarsi. Ecco perché, la reazione successiva è a volte una scelta di isolamento, di fronte alla impossibilità di un percorso di integrazione compiuto. O del tentativo, molto comune, di cercare legami con membri della sua stessa comunità di origine, dove i codici di condotta sono più semplici da decifrare, e vi è spazio per coltivare un sentimento di appartenenza, che attenui il dolore del distacco, e dell'emarginazione. Il percorso dell'integrazione è lungo, tortuoso: le regole di etica e di etichetta che governano la quotidianità della società ospite sono spesso radicalmente diverse da quelle a cui la persona era abituata – e che aveva interiorizzato, e sapeva rispettare. L'integrazione passa per un processo complesso di negoziazione, rielaborazione, attribuzione di senso legata al contesto costante e difficoltosa. Si tratta di accettare una quantità enorme di precetti e convenzioni, legati all'abbigliamento, all'alimentazione, al rapporto tra i sessi, all'atteggiamento da tenere in pubblico. Essere stranieri significa quindi anche essere in mezzo, in bilico tra il rispetto e il riconoscimento della propria identità di origine e la comprensione e l'accettazione di una identità “altra”, in mezzo tra il proprio portato biografico e le aspettative e le speranze del proprio futuro, in mezzo tra due mondi, e alla ricerca di una nuova identità in grado di comprenderli entrambi. 18
  • 19. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' 2.4 Vestire la propria identità L'abito è dunque un modo primario di manifestazione del proprio io – per marcare una diversità (dunque per promuovere una individualità), e per segnalare un'appartenenza (e quindi sostenere una omologazione). Coloro che migrano, in questo senso, adottano scelte di vestiario che possono essere ricondotte, in termini di valore simbolico, a tre grandi macro categorie. Secondo quanto scritto da Brown (in Keenan, 2001), esse sono: l'assimilazione, il rifiuto, e l'identità congiunta. La teoria dell'assimilazione, che coincide con la prospettiva del melting pot, del crogiolo delle razze e delle differenze, che si fondono fino a scomparire, prevede appunto che i migranti finiscano per divenire non distinguibili dal resto della popolazione “indigena”. Gli stranieri assimilano, fanno propri, assumono, norme, valori, atteggiamenti tipici della componente maggioritaria della società, e vanno perdendo progressivamente i loro caratteri distintivi. Il rifiuto si colloca sull'asse opposto, e presuppone una volontà, più o meno esplicita e consapevole, di mantenere i caratteri “ereditari”, i valori e i comportamenti acquisiti, e di continuarne la pratica anche nella società ospite. E' una forma di reazione, che evidentemente è più efficace e visibile quando strutturata a livello collettivo, rispetto al predominio culturale e simbolico esercitato dalla cultura ospite. Alcuni autori hanno associato a questa forma di rifiuto, che si manifesta chiaramente anche in termini di scelte di vestiario, alimentari, e religiose, il termine di revival etnico. Infine, l'elaborazione di quella che è stata definita una identità congiunta, è, evidentemente, una sorta di giusta via di mezzo. E' la strategia sviluppata per fare coesistere, a livello individuale, di persona e di esistenza, vecchio e nuovo mondo, biografia ancestrale e futuro immaginato, tradizioni e speranze. E' l'espressione di una volontà di ricomprendere il senso di ogni azione e norma alla luce del suo contesto culturale. 19
  • 20. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' 2.5 Il velo: un caso di studio Il velo islamico è al centro di polemiche ricorrenti, in Italia e in Europa – in Francia in particolare negli anni scorsi è diventato il centro di un vero e proprio “caso” di interesse nazionale (qualcosa di analogo per dimensioni alla discussione sul crocifisso nelle scuole da noi). Si tratta di un indumento che capita di vedere anche per le nostre strade, considerato che anche da noi esiste una non piccola comunità musulmana, e che alcune delle donne che abbracciano questa religione non rinunciano, anche in Italia, all'utilizzo del velo, per coprire i capelli, e parte del volto.. L'assunzione di base dietro alla condanna dell'utilizzo del velo è spesso la considerazione che lo stesso sia un simbolo di sottomissione della donna, un elemento che ne marca l'inferiorità rispetto alle persone di sesso maschile. Il ragionamento è quindi: da noi, le donne sono uguali agli uomini, hanno pari diritti e dignità, e dunque hanno anche il diritto di uscire per strada a capo scoperto. Chiaramente il discorso regge nella misura in cui il velo è frutto di un'imposizione, e quindi decidiamo di offrire alle donne musulmane residenti in Italia la possibilità di non utilizzarlo – ovvero una donna che esce a capo scoperto non è soggetta a nessun tipo di sanzione, religiosa, morale, o di altro tipo. Le cose però si complicano nella misura in cui l'adozione e l'utilizzo del velo è frutto di una scelta libera e consapevole. E le indagini, le inchieste fatte da giornalisti e sociologi, tanto da noi quanto oltre le Alpi, sembrano confermare in toto questa valutazione: molto spesso l'utilizzo del copricapo non è il frutto di un obbligo, ma di una volontà individuale. Gli studiosi più attenti sono andati oltre, ed hanno valutato come cambia l'Islam stesso, “in trasferta”: l'esperienza religiosa diventa qualcosa di più individuale, legato alla dimensione del singolo, che spesso reinterpreta anche i principi guida della sua fede alla luce di un contesto differente. Le ragazze intervistate dicono di indossare il velo come forma di affermazione di sé, e non come modo di conformarsi a una richiesta, o a un costume culturale. E, elemento prezioso e da non sottovalutare, per loro il velo rappresenta anche un modo per marcare una distanza da un elemento che non condividono della società ospite: nello specifico, il materialismo esasperato del 20
  • 21. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' mondo “occidentale”. Anche per le donne musulmane, di fronte alla sfida dell'inserimento in una nuova cultura e in una nuova comunità, le strade che si prospettano sono sostanzialmente tre: quella dell'assimilazione, quella del rifiuto, e quella dell'identità congiunta. Le giovani donne che vediamo per le strade della nostra città, abbigliate “all'Europea” ma con il velo, o con altri ornamenti tipici della loro cultura e tradizione, sapientemente cercano di combinare il proprio passato con la realtà che le circonda, e di trovare uno spazio identitario in grado di coniugarli. L'abbigliamento scelto rispecchia, e simbolizza, questo desiderio. Ci parla di loro, della loro storia, e delle loro speranze. 21
  • 22. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' 3. IL NEO-ETNICO: GLI STILISTI INTERPRETANO L'INTER- CULTURALITA' 3.1 Neo-etnico: il trend della società globale Gli stilisti hanno da sempre interesse ai temi etnici. Chi più chi meno, chiaro, a seconda delle preferenze personali e del profilo della maison. Ma tra etnico, tribale, Africa, neo-coloniale, e affini, lo spazio simbolico dell'universo fashion non può certo dirsi nuovo a tematiche e tendenze “di importazione”. Tessuti, stampe, colori, a volte semplicemente suggestioni. I mondi lontani, le culture primitive, l'Africa nera, il deserto, i tropici, sono stati presi come fonte d'ispirazione in modo tutt'altro che sporadico. Tuttavia, negli ultimissimi anni stiamo assistendo a qualcosa di parzialmente diverso, e nuovo: il tema etnico stra progressivamente lasciandosi alle spalle i suoi caratteri “tradizionali” (di semplicemente esotico, di misteriosamente lontano, ...) per parlarci invece sempre di più di viaggi intercontinentali, di contaminazioni, di compenetrazioni, simbiosi, sincretismi, innesti. E non è un caso che siano i nomi più freschi e talentuosi del mondo della moda a captare per primi le nuove frequenze inter-culturali. Ne citiamo tre, che andremo poi ad osservare “all'opera” nei prossimi paragrafi: Paul Smith, Jean Paul Gaultier e John Galliano. 3.2 I sapeurs congolesi (e la collezione SS 10 di Paul Smith) Il portale Trendland annunciava nel Novembre 2009 l'uscita del book fotografico di Daniele Tamagni Gentlemen of Bacongo. Il libro documenta, atttraverso scatti stupendi, e di qualità eccezionale, scene di vita sostanzialmente quotidiana dei membri della SAPE - Société des Ambianceurs et des Personnes Élégantes. Il club, il cui nome possiamo tradurre in italiano come “Società delle Persone Eleganti”, riunisce persone delle due capitali della Repubblica del Congo e della Repubblica Democratica del Congo, Brazzaville e Kinshasa. Nel bel mezzo della miseria, in una delle zone più povere e maltrattate del pianeta, eccoci 22
  • 23. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' di fronte a questo club di dandy, che vestono in uno stile unico e folle, che imita quello dei coloni Belgi e Francesi, di fine Ottocento. Insomma degli abitanti dell'Africa nera del secolo ventuno che hanno come riferimento estetico e stilistico gli aristocratici francesi di quasi duecento anni prima. Cosa ci dice invece, in addizione alla apparente follia di cui sopra, il fatto che la collezione Donna Primavera Estate 2010 di Paul Smith richiami in modo chiaro proprio lo stile dei Sapeurs? 3.2 Le geografie mutevoli di Jean Paul Gaultier La collezione Donna Autunno Inverno 10/11 di Jean Paul Gaultier ci parla di melting pot globali, e inter-culturalità spinta. La moda si fa portavoce di un messaggio di fratellanza e condivisione che spazza via ogni differenza etnica e geografica, per consentire rielaborazioni iper-urbane di abiti tradizionali, marocchini o armeni, per mescolare usanze est europee e suggestioni sudamericane, suoni asiatici e tessuti germanici. Non è una collezione etnica, è una collezione che porta chiaro il marchio JPG. Con elementi presi giustamente dall'enorme calderone globale, che per chi sa beneficiarne propone a uso e consumo di rimescolamenti e ri-contestualizzazioni ricami tibetani, jacquard atzechi, fodere cinesi, fiori balcani, colbacchi di pelliccia, turbanti di batik, copricapo mongoli e tacchi da camperos. L'identità che afferma questo guardaroba è senza dubbio multi-etnica: contemporanea, e senza confini. 3.2 Il nomadismo di John Galliano (AI 10/11) Anche John Galliano sceglie di mescolare - e lo fa ovviamente con sapienza magistrale che gli è propria - suggestioni e stili di provenienza geograficamente e culturalmente iper diversificata. Nord Africa e Polo, Ande e Mongolia, Maghreb, civiltà Atzeca, Siberia. Ci sono tessuti, ricami e colori provenienti da culture immensamente distanti tra loro. Galliano li ricombina e 23
  • 24. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' fonde in un potpourri unico, eccentrico e inconfondibile, dove uno stivaletto scamosciato svetta su un tacco a spillo, e si abbina a un calzino di pizzo in lana. Per stupire, chiaro, e per emozionarci sempre. 24
  • 25. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' 25
  • 26. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' 26
  • 27. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' 27
  • 28. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' 28
  • 29. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' CONCLUSIONI Scrivere di fashion oggi, nel 2010, senza citare le tendenze che emergono dalla strada, significa avere una visione sostanzialmente miope. Significa dimenticare una fetta importante della torta. Infatti, riviste, blog, corsi universitari, e infine anche libri, sono ricchi di citazioni, riferimenti per immagini, link alla street fashion. Che siano più le passerelle a influenzare lo stile di strada, o che siano invece più gli street people a funzionare da ispirazione per la moda che sfila, è probabilmente una domanda un po' oziosa. (E' nato prima l'uovo o la gallina? E, in che contesto ha senso chiederselo?) In fondo, quello che è certo, e rilevante, è che strada e alta moda si parlano, comunicano tra loro, si influenzano a vicenda. La moda è scesa in strada – grazie anche a Zara e al fast fashion, certo. La strada è salita in passerella – da Yves Saint Laurent e Vivienne Westwood in qua, di sicuro. Meno ovvio, invece, parlare di moda e di inter-cultura. Di fashion e di flussi migratori. Di tendenze e di multiculturalismo, multi-etnia, incroci di razze. Si trova poco materiale, sia in biblioteca, che in edicola, che in rete. (Certo, chiaro, internet come sempre è il media più reattivo. Poi le riviste, le più attente – tipo Glamour. Poi, le università. I libri, sempre alla fine. A consolidare un sapere. Istituzionalizzarlo definitivamente.) Insomma, sembra quasi che gli immigrati non si vestano. O che comunque non abbiano gusti, preferenze. Che la ricchezza che portano con loro, e che non di rado fondono in modo sorprendente e originale con il patrimonio di cultura e tradizione del paese in cui si trasferiscono, non si noti. Eppure a scavare appena un poco sotto la superficie – o anche solo a girare per strada, con gli occhi aperti (non solo agli scippatori, anche agli abiti delle persone) – emergono un gran numero di cose belle. Gli stilisti, con la loro sensibilità acuta, con il loro orecchio teso a cogliere i fermenti, gli sprazzi di energia creativa, le pieghe di originalità nel quotidiano, lo hanno già letto, prima di molti di noi, il trend multiculturale. E infatti sulle passerelle l'etnico è ormai un must. Ed è un neo-etnico – qualcosa di molto diverso dal tribale classico, associato magari al coloniale. E' un neo-etnico compiutamente globalizzato e multiculturale. Degno della società in cui viviamo. 29
  • 30. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' Interconnessa, globalizzata, ricca, piena di sogni e di tristezze, irrimediabilmente interrazziale. Questo lavoro ha cercato di tirare le fila di queste due tendenze, e di inquadrarle nel contesto più ampio della direzione assunta dalla moda contemporanea. Nella convinzione che street fashion e multiculturalità possano rappresentare anche una risposta vincente alla crisi che soffia sul settore moda. Il comparto fashion ha sofferto in questi ultimi due anni una flessione significativa, da cui ancora non è riemerso in maniera chiara. Una crisi che ci parla dei legami indissolubili tra il fashion e i mercati borsistici, la finanza globale. Una crisi che ci ricorda che moda oggi è, spesso, molto più business che cultura. 30
  • 31. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' BIBLIOGRAFIA Arnold R., Fashion, Desire and Anxiety: Image and Morality in the Twentieth Century, Rutgers University Press, Chapel Hill, 2001 Barthes R., Il sistema della moda, Einaudi, Torino, 1970 Bauman Z., Una nuova condizione umana,Vita e Pensiero, Milano, 2003 Bovone L., Comunicazione. Pratiche, percorsi, soggetti, Franco Angeli, Milano, 2000 Clifford J., I frutti puri impazziscono. Etnografia, letteratura ed arte nel XX secolo, Bollati Boringhieri, Torino 1993 Goffman E., La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino, Bologna, 1969 Hebdige D..Sottocultura: il fascino di uno stile innaturale, Costa & Nolan, Genova 1983 Meyrowitz J., Oltre il senso del luogo. L’impatto dei media elettronici sul comportamento sociale, Baskerville, Bologna, 1993 Keenan W. J. F., Dressed to Impress: Looking the Part, Oxford, Berg, 2001 Polhemus T. , Streetstyle From Sidewalk to Catwalk, Thames & Hudson, London, 1994 Roche D., Il linguaggio della moda. Alle origini dell'industria dell'abbigliamento, Einaudi, Torino, 1991 Rodic Y., Facehunter, Prestel USA; New York, 2010 Root R., Latin American Fashion Reader (Dress, Body, Culture), Berg Publishers, New York, 2005 Schuman S., The Sartorialist, Penguin, London, 2009 Schutz A.,. Saggi sociologici, Utet, Torino 1979 Silvester H., Natural Fashion: Tribal Decoration from Africa, Thames & Hudson, London, 2009 31
  • 32. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' Simmel G., La Moda, Editori Riuniti, Roma, 1985 Solomon M., Consumer Behavior in Fashion, Prentice Hall, New Jersey, 2008 Tamagni D., Gentlemen of Bacongo, Trolley, London, 2009 Vercellin G., Tra Veli e turbanti. Rituali sociali e vita privata nei mondi dell’Islam, Marsilio, Venezia, 2000 Zanfrini L., Sociologia della convivenza interetnica, Editori Laterza, Roma-Bari, 2004 32
  • 33. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' WEBOGRAFIA http://bitsandbobbins.com/2006/09/22/notes-and-thoughts-does-street-fashion-influence-fashion- or-vice-versa/ http://brickhouseofstyle.blogspot.com/ http://dimanoinmano.wordpress.com/2009/05/11/sfilata-di-moda-multietnica/ http://ferenc.biz/multi-ethnic-fashion-model-stephanie-fish-interview/ http://fr.wikipedia.org/wiki/Soci%C3%A9t%C3%A9_des_ambianceurs_et_des_personnes_ %C3%A9l%C3%A9gantes http://nymag.com/news/anniversary/slideshow/fashion/index6.html http://picturingfashion.blogspot.com/ http://pigmag.com/it/2010/05/25/street-files-sxsw-festival-austin-texas/ http://southafricanstreetstyle.wordpress.com/2008/07/29/multicultural-fashion-articles-from-the- guardian/ http://streetchic.wordpress.com/ http://street-fashion.net/milan-italy/ http://thefamiliarstrangers.com/snapshot-site-list/ http://thestreetfashion.wordpress.com/ http://www.bymk.com.br/ http://www.cultumedia.it/2010/01/street-fashion-revolution/ http://www.fashionhunter.net/ http://www.fashionsnoops.com/ http://www.fornarinafabulouslegs.com/ http://www.gazzettadiparma.it/mediagallery/foto/2643/PGN_-_L 33
  • 34. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' %26039%3BIpsia_e_la_moda_multietnica.html http://www.la7.it/news/dettaglio_video.asp?id_video=35715&cat=spettacolo http://www.noidonne.it/2228/moda-multietnica/ http://www.nytimes.com/2005/02/15/style/15iht-rwed.html http://www.rivistahydepark.org/lifestyle/fashion/street-fashion-la-moda-di-tutti-i-giorni-di- francesco-balestri/ http://www.sfilate.it/moda/articolo.cfm?id_articolo=17089 http://www.slowtrav.com/italy/fashion/index.htm http://www.slowtrav.com/photos/showgallery.php?cat=670 http://www.trendhunter.com/slideshow/multicultural-fashion-tribal-safari http://www.trendhunter.com/trends/multi-cultural-fashion-fusion-tao-fall-2009 --- molto buono http://trendland.net/2009/11/23/gentlemen-of-bakongo-the-african-dandies/ http://www.style-arena.jp/en/ http://www.style.it/moda/sfilate/ai-10-11-collezioni/john-galliano/Commento.aspx http://www.style.it/moda/sfilate/ai-10-11-collezioni/jean-paul-gaultier/Commento.aspx http://www.vita.it/news/view/45632 http://www.zupi.com.br/index.php/site_zupi/view/moda_x_muculmanos/ 34
  • 35. KARINA MELLO DA ROCHA - LA NUOVA MODA, TRA STREET FASHION E MULTICULTURALITA' 35