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PIER PAOLO SPOSATO




      COSA DEVI SAPERE SE LA TUA

            AZIENDA È IN CRISI




         CIG – CIGS – MOBILITA’ – PENSIONE
RISOLUZIONE CONSENSUALE DEL RAPPORTO DI LAVORO




                      1
Sommario




Introduzione                               pag   4
1. La Cassa Integrazione.                  »     7
1.1 La Cassa Integrazione ordinaria        »     11
1.2 La Cassa Integrazione straordinaria     »    13
1.3 La Cassa Integrazione in deroga        »     16
1.4 Domande e risposte                     »     18
2. La pensione                             »     20
2.1 La pensione di anzianità               »     21
2.2 La pensione di vecchiaia               »     23
2.3 Ricongiunzione e totalizzazione        »     26
2.4 Domande e risposte                      »    31
3. I processi di riduzione del personale   »     33
3.1 Il licenziamento individuale            »    33
3.2 I licenziamenti collettivi              »    37
3.3 Il licenziamento individuale plurimo    »    40
3.4 L’indennità di mobilità                »     41
3.5 Domande e risposte                     »     46
4. La Risoluzione consensuale              »     49
4.1 L’incentivo all’esodo                  »     51
4.2 Tassazione dell’incentivo all’esodo     »    56
4.3 Domande e risposte                     »     59

                                   2
Conclusioni       »   61
Allegati          »   63




              3
Introduzione



La crisi economica continua a produrre i suoi effetti sul mercato
del lavoro e, anche se alcune statistiche sono in miglioramento, si
prevede che le aziende continueranno a mettere in atto tutti gli
accorgimenti     necessari     per   migliorare   la   produttività   e
fronteggiare, con più competitività, la concorrenza globale. Ogni
azienda, in funzione del proprio business, deve trovare quali sono
gli strumenti più adatti per ottenere i due obiettivi succitati, ma, in
linea generale, tutte tendono a ridurre il costo del lavoro,
attraverso tre interventi:
   attivazione di processi di Cassa Integrazione Ordinaria o
   Speciale;
   riduzione del personale attraverso i licenziamenti collettivi o
   individuali plurimi;
   risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro.


È ovvio che questi non sono gli unici strumenti a disposizione per
migliorare la produttività e la competitività delle imprese; chi ha i
mezzi e le capacità, deve investire molto sulla ricerca e
sull’innovazione. C’è chi ha bisogno solamente di gestire al
meglio la propria situazione finanziaria e, in questo caso,
l’impatto sulla forza lavoro può essere molto limitato. Esistono,
però, tutta una serie di altre iniziative, quali delocalizzazione degli

                                     4
impianti,     processi   di   acquisizione,   fusioni   tra   aziende,
cambiamenti di attività che, alla fine, richiedono interventi di
riorganizzazione e/o ristrutturazione delle aziende. Questi
interventi, molto frequentemente, portano ad una riduzione del
personale e, nuovamente, alla necessità di attivare i processi di
CIG o di Mobilità.


Mi sono accorto, con una certa sorpresa, che, a livello dei
dipendenti, non è così diffusa, come pensavo la conoscenza delle
regole che le aziende devono seguire nel mettere in atto tali
processi; ancora più sorprendentemente molti lavoratori non
conoscono bene i loro diritti e alcune aziende se n’approfittano
per imporre soluzioni non sempre corrette. Ciò è ben evidente
dalle richieste di aiuto che ricevo sul mio blog Il lavoro
dipendente.


Chi volesse investire un poco di tempo, e andare a vedere i
commenti che ricevo, avrebbe la controprova di quanto affermo.
Esistono tre possibili spiegazioni per questa situazione:
  mancano o non sono operative strutture sindacali competenti a
  livello della piccola/media industria;
  le tante informazioni che sono reperibili sul web, non sono
  sempre facilmente interpretabili e, frequentemente non sono
  aggiornate, con il mutare delle leggi;




                                   5
manca, comunque, un quadro organico, che chiarisca, in
  un’unica fonte, tutti gli aspetti connessi con la sospensione o
  interruzione del rapporto di lavoro.


Prendere una decisione se accettare o no una proposta aziendale,
se impugnare l’essere inseriti nella Cassa Integrazione o in
Mobilità, richiede, sempre, la conoscenza di diverse informazioni
quali:
  come agiscono i criteri di scelta dei dipendenti;
  il valore delle somme che si percepiscono in Cassa
  Integrazione o in Mobilità e per quanto tempo;
  come dovrebbe essere sottoscritta una risoluzione consensuale
  del rapporto di lavoro;
  quanto tempo manca alla maturazione del diritto alla pensione.


Non è sempre possibile, di questi tempi, evitare di trovarsi nel bel
mezzo di crisi aziendali e subirne gli effetti; troverai, però, in
questo ebook, tutte le informazioni necessarie, per valutare se le
decisioni ed i comportamenti del datore di lavoro e dei sindacati
rispettano o meno le leggi che disciplinano tali situazioni.




                                  6
1° CAPITOLO
             LA CASSA INTEGRAZIONE



Iniziamo il nostro percorso, con il prendere in considerazione le
tematiche relative alla Cassa Integrazione, che rappresenta il caso
in cui il rapporto di lavoro viene sospeso e non risolto in maniera
definitiva. La Cassa Integrazione Guadagni (da adesso CIG) fa
parte di quegli interventi definiti come « prestazioni a sostegno
del reddito ». La stessa definizione ci dice che questi interventi
sono stati studiati per far arrivare un aiuto economico a quei
lavoratori, che, essendo dipendenti di aziende in crisi, potrebbero
andare incontro ad una perdita del salario, per periodi più o meno
lunghi.


Considerato, però, che le crisi aziendali possono avere cause
molto diverse, lo Stato ha individuato due tipologie di Cassa
Integrazione: la Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria (CIGO) e
la Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (CIGS). La CIGO è
prevista nel caso l’azienda stia subendo una contrazione
dell’attività produttiva dovuta ad una delle seguenti cause:
  situazioni temporanee che non siano responsabilità del datore
  di lavoro o dei lavoratori;
  situazioni temporanee di mercato;
  problemi stagionali causati dal maltempo.
                                 7
Avrai notato che in tutti e tre i casi é sottolineato l’aspetto
temporaneo della crisi; ciò significa che, per quanto esista una
situazione difficile, l’azienda non mette in discussione i posti di
lavoro.


NOTA N. 1: l’attivazione della CIGO è prevista per quelle
aziende che, a fronte di crisi temporanee, devono sospendere,
parzialmente o totalmente, l’attività lavorativa di una parte
dei propri dipendenti.


L’INPS, durante il periodo di CIGO, eroga un’integrazione
salariale a favore dei lavoratori, sospesi dall'obbligo di eseguire la
prestazione lavorativa o che lavorano ad orario ridotto. Le
aziende, nella pratica, accedono ad un fondo costituito presso
l’INPS, attraverso contributi fissi a carico dei datori di lavoro, ed
erogano loro stesse l’integrazione ai dipendenti sospesi.


Si viene, in questo modo, incontro alle aziende che si trovano in
momentanea difficoltà, sollevandole in parte dei costi della
manodopera temporaneamente non utilizzata. Le aziende, da parte
loro, s’impegnano, al termine del periodo di crisi, a ristabilire la
normale attività lavorativa e le conseguenti retribuzioni, poiché è
certa la ripresa dell’attività produttiva. Diverso è il caso per la
CIGS, che viene utilizzata se l’azienda sta attraversando una crisi
strutturale, non temporanea, al punto che si prevede una definitiva


                                  8
riduzione degli organici. Le aziende ricorrono alla CIGS nei
seguenti casi:
  ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione industriale;
  permanente stato di crisi
  fallimento     dell’azienda,   liquidazione   coatta,   concordato
  fallimentare e concordato preventivo.


Le aziende, a differenza di quanto accade nei processi di CIGO,
non assicurano, al termine del periodo di CIGS, il rientro di tutti i
lavoratori; è previsto, per contro che, esauriti i tentativi di
riassorbire il personale, l’azienda potrà ricorrere a licenziamenti
collettivi, ponendo in mobilità tutti i dipendenti rimasti senza
posto lavoro.


Queste sono le premesse per inquadrare l’argomento; è
necessario, però, analizzare i due processi in dettaglio, stante le
tante variabili che vanno considerate. Farò solo un rapido cenno a
quelli che sono gli obblighi delle imprese da un punto di vista
procedurale; voglio, infatti, focalizzare la tua attenzione su quegli
aspetti decisionali e comportamentali, dei sindacati e dei datori di
lavoro, che possono influenzare la scelta dei dipendenti da porre
in CIG o mobilità.


Le aziende, ricevendo un aiuto dall’esterno, devono, ovviamente,
seguire una procedura che è simile sia per attivare la CIGO che
per la CIGS; s’inizia con una consultazione sindacale, seguita, di
                                  9
norma da un esame congiunto della richiesta aziendale, esame che
deve esaurirsi in un determinato periodo di tempo. Il datore di
lavoro deve, poi, presentare la domanda ad una Commissione,
appositamente costituita presso l’INPS e, solo dopo la sua
approvazione, potrà procedere a sospendere i dipendenti
dall’attività lavorativa.


La procedura per la CIGS è un poco più complessa, dato che il
fondo per la sua gestione è finanziato dallo Stato; anche in questo
caso le operazioni iniziano con le consultazioni sindacali, ma il
piano aziendale deve contenere oltre ai criteri di scelta e al
numero di dipendenti coinvolti e (similmente alla CIGO), anche
le modalità di rotazione degli stessi. La domanda va presentata
alla Provincia, o alla Regione o al Ministero del Lavoro, a
seconda se l’impresa ha le proprie unità ubicate solo a livello
provinciale, o a livello regionale o su tutto il territorio nazionale;
l’eventuale approvazione é concessa dal Ministero del Lavoro,
tramite apposito decreto.


Ti avverto che sarebbe necessario fare dei distinguo, poiché le
procedure prevedono obblighi e clausole che non ho qui riportato;
come avevo premesso l’e-book non è pensato per i datori di
lavoro, ma per aiutare i dipendenti a capire se, nei loro confronti,
vengono adottati provvedimenti rispettosi delle norme di legge , o
vengono tentati illeciti e soprusi.


                                  10
1.1 Cassa integrazione guadagni ordinaria
La prima preoccupazione di qualunque lavoratore, in aziende in
crisi, è quella di capire se e come cambierà la sua situazione
economica, una volta che sia posto in cassa integrazione e quali
riflessi avrà sulla sua vita, nell’immediato futuro. Vediamo,
allora, gli aspetti che sono di tuo interesse come, ad esempio, a
quali aziende si applica, quali dipendenti ne possono usufruire,
quali sono i criteri di scelta, per quanto tempo si può stare in CIG,
quale é l’assegno d’integrazione salariale ecc. Il primo punto da
evidenziare è che, purtroppo, non tutte le imprese e non tutti i
lavoratori possono utilizzare questo ammortizzatore sociale, in
caso di crisi aziendale.


È, dunque, importante sapere quali sono i settori produttivi
ammessi ad usufruire della CIGO e con quali regole; mi limiterò a
chiarire i criteri generali e, nel caso tu avessi la necessità di
approfondire questo aspetto, ti suggerisco di consultare il sito
dell’INPS dove sono dettagliati tutti i comparti, autorizzati ad
utilizzare la CIGO.


È, in ogni modo, necessario verificare sempre se si è in possesso
d’informazioni aggiornate, poiché le leggi cambiano; i dipendenti
ammessi alla CIGO, al momento in cui si sta scrivendo l’e-book,
sono:
  operai, impiegati e quadri del settore industria;
                                 11
operai, impiegati e quadri del settore edilizia.
Il secondo aspetto, che definisce i contorni della Cassa
Integrazione, si riferisce al trattamento corrisposto ai dipendenti,
durante il periodo di sospensione dell’attività.


L’azienda può, infatti, decidere di porre i dipendenti in Cassa
Integrazione a zero ore, sospendendo completamente l’attività,
oppure procedendo con una riduzione parziale; nel primo caso
l’azienda non erogherà alcuna retribuzione ed il dipendente
riceverà un’indennità pari al 80% della sua retribuzione lorda. Il
dipendente, nel secondo caso, riceverà una parte di retribuzione
per le ore lavorate ed una parte d’indennità, pari al 80% della
retribuzione persa per le ore non lavorate.


L’ammontare lordo così determinato subisce una trattenuta del
5,84%; ogni anno, inoltre, viene stabilito un ammontare massimo
del trattamento d’integrazione salariale, ammontare che può avere
due valori a seconda se il salario del dipendente è inferiore o
superiore ad una cifra, anch’essa determinata anno per anno. Le
aziende del settore industriale sono autorizzate all’attivazione
della CIGO per un periodo di 13 settimane, prorogabile fino ad un
massimo di 52; quelle del settore edilizio hanno le stesse
procedure, ma la proroga è concessa solo se hanno applicato la
riduzione e non l’azzeramento dell’orario di lavoro.




                                 12
1.2 Cassa integrazione guadagni straordinaria
Vorrei anteporre all’approfondimento sulla CIGS un messaggio,
rivolto ai dipendenti, ai sindacati e agli organi istituzionali, che si
trovassero a subire o valutare una richiesta aziendale per
l’attivazione di questo ammortizzatore sociale. È necessario porre
molta attenzione, poiché esistono casi per i quali si prospetta un
uso distorto della CIGS che, come abbiamo anticipato, spetta agli
operai, impiegati e quadri, in caso di ristrutturazione, di
riorganizzazione, di conversione e di crisi aziendale.


Nessun dubbio che, in condizioni di reale crisi, le aziende possano
utilizzare degli strumenti di flessibilità, per poter ristrutturare o
riconvertire la propria organizzazione e, se possibile, riprendere la
propria attività.


Esistono, però, dei casi dove la cassa integrazione straordinaria
viene richiesta anche quando questa crisi non esiste; mi riferisco a
processi di acquisizione e fusione, decisi a livello internazionale
fra aziende multinazionali, che si ripercuotono in Italia e che
possono portare alla perdita di posti di lavoro nelle consociate
italiane delle multinazionali interessate.


Gli episodi più eclatanti riguardano imprese multinazionali che,
con l’obiettivo di conquistare sempre più alte posizioni di mercato
e, disponendo di grandi liquidità, decidono di acquisire o fondersi
con aziende, caratterizzate da listini e clienti ad alto potenziale.
                                  13
È chiaro, però, che le aziende acquirenti non sono interessate ad
incamerare anche le strutture delle aziende acquisite, quindi,
laddove possibile, mettono in atto processi di ristrutturazione
mirati ad allontanare il personale di questa ultime. L’obiettivo è,
di norma, raggiunto, attuando una serie di processi di cassa
integrazione straordinaria, seguiti da una procedura di mobilità
magari incentivata.


Il problema sta nel fatto che, in alcuni casi, le consociate italiane
di queste aziende multinazionali non sono in crisi e, dunque, è
lecito   domandarsi    per    quale   motivo    debbano     ricevere
un’autorizzazione ad attivare una procedura di CIGS.


Nessuno può negare a qualunque azienda il diritto di procedere
con fusioni, acquisizioni, ristrutturazioni, ma non é socialmente
accettabile che le ripercussioni di questo diritto ricadano sulle
spalle di lavoratori a migliaia di chilometri di distanza dai luoghi
dove certe decisioni sono maturate e che, malgrado operino in
aziende locali fondamentalmente sane, debbano perdere i loro
posti di lavoro.


Vediamo, ora, così come abbiamo fatto per la CIGO, chi può
usufruire di questo ammortizzatore sociale, per quanto tempo e
con quali caratteristiche. Riporto integralmente la definizione che
si trova nel sito dell’INPS, poiché inquadra perfettamente
                                 14
l’obiettivo che lo Stato vuole raggiungere, autorizzando le aziende
ad utilizzare questa prestazione a sostegno del reddito.


NOTA N. 2: la CIGS è una prestazione economica erogata
dall’INPS, per integrare o sostituire la retribuzione dei
lavoratori, al fine di fronteggiare gravi situazioni di eccedenza
occupazionale, che potrebbero portare a licenziamenti di
massa.


Faccio notare che la prima intenzione di una procedura di CIGS é
quella di salvare dei posti di lavoro e, dunque, è molto più ampia,
rispetto alla CIGO, la popolazione dei lavoratori di datori di
lavoro che può usufruire di questa procedura. Esiste però, per i
datori di lavoro un prerequisito fondamentale:


NOTA N. 3: possono accedere alla CIGS solo quelle aziende
che hanno occupato, nel semestre precedente alla richiesta,
più di 15 dipendenti.


Tutti i settori produttivi sono, in pratica, compresi nell’elenco di
chi può invocare un procedimento di CIGS e, a livello dei
lavoratori, rimangono esclusi solo pochissime categorie quali i
dirigenti, gli apprendisti, i lavoratori a domicilio e quelli con
contratto d’inserimento. Il trattamento corrisposto ai dipendenti in
CIGS è definito con le stesse regole, le stesse condizioni e la
stessa tassazione prevista per la CIGO. La durata della CIGS è,
                                 15
invece, variabile secondo le condizioni che hanno portato alla sua
attivazione:
  24 mesi, eventualmente prorogabili di ulteriori 12 mesi per due
  volte,   in    caso    di   ristrutturazione,   riconversione   e
  riorganizzazione aziendale:
  12 mesi prorogabili di ulteriori 12 mesi in caso di crisi
  aziendale;
  12 mesi eventualmente prorogabili di ulteriori 6 mesi in caso di
  procedure concorsuali.


1.3 Cassa Integrazione in deroga
È necessario, per completare il quadro degli interventi di CIG,
fare un cenno anche alla procedura della Cassa Integrazione in
deroga. Questa procedura si applica ad una serie di realtà
imprenditoriali non prese in considerazione dalla CIG ordinaria
ed individuate da specifici accordi tra governo e regioni.


Le aziende destinatarie di questa particolare cassa integrazione
sono le artigiane, le industriali che impiegano sino a 15
dipendenti, quelle che, pur rientrando nei criteri della CIG
ordinaria, devono sospendere i lavoratori apprendisti e, infine,
quelle che hanno esaurito gli strumenti ordinari o la cassa
integrazione guadagni straordinaria per crisi aziendale.


NOTA N. 4: la CIG in deroga spetta a tutti i lavoratori
subordinati, compresi gli apprendisti, quelli con contratto di
                                 16
somministrazione e lavoranti a domicilio, ma rimangono,
sempre, esclusi i dirigenti.


I lavoratori, per accedere alla CIG in deroga, devono rispondere
alle seguenti condizioni:
  avere un’anzianità lavorativa, nell'azienda che richiede il
  trattamento, di almeno 90 giorni alla data della richiesta;
  aver dato la propria immediata disponibilità al lavoro o, in
  alternativa ad un percorso di riqualificazione professionale;
  tale dichiarazione va presentata presso il centro per l'impiego
  competente. Il lavoratore, in caso di rifiuto, perde il diritto alla
  prestazione.


La durata della CIG in deroga è stabilita dagli accordi con le
regioni, ma, di solito, non supera i 12 mesi. L’indennità è
calcolata con gli stessi criteri visti per la cassa integrazione
ordinaria.




                                 17
DOMANDE & RISPOSTE


D: l’azienda ha comunicato che aprirà una procedura di mobilità
per un gruppo di dipendenti, senza aver prima richiesto la CIGS.
È possibile?
R: in determinati casi, quando è dimostrabile che l’azienda deve
necessariamente ricorrere ad una riduzione del personale, è
possibile aprire immediatamente una procedura di mobilità.
D: perché l'azienda dovrebbe pagare un dipendente per chiudere
il contratto di lavoro, quando potrebbe lasciarlo in cassa
integrazione straordinaria e pagare molto meno? Perché
conviene all'azienda offrire dei soldi e fino a che limite gli
conviene? Che scomodità procura un dipendente in cassa
integrazione straordinaria?
R: se l'azienda sta offrendo incentivi all'esodo, prima del termine
della CIGS, può significare che ritiene di dover procedere ad una
riduzione del personale. Adottare delle risoluzioni consensuali del
rapporto di lavoro e procedure di mobilità volontaria le
faciliterebbe molto tale processo.
D: a seguito di un processo di acquisizione, sono stato messo in
CIGS a zero ore, ma le mie mansioni sono svolte da dipendenti
della   società   acquirente.    Esistono   i   presupposti    per
l'impugnazione del provvedimento di CIG?
R: se lei è stato messo in CIGS, la sua mansione o dovrebbe
risultare, al momento, non operativa o smembrata ed affidata a
diversi dipendenti; nel caso risultasse affidata ad un singolo
                                 18
dipendente della nuova azienda, lei potrebbe chiedere la verifica
sul rispetto dei criteri per la scelta dei lavoratori da porre in CIGS.
Potrebbe chiedere il reintegro, ovviamente tramite un legale,
laddove i criteri (anzianità aziendale, carichi di famiglia e
parametro tecnico organizzativo) non fossero stati rispettati.
D: l’azienda è tenuta per legge ad usare prima tutti gli strumenti
necessari per mantenere posto di lavoro, tipo CIG, o tramite gli
incentivi all'esodo può licenziare alcuni dipendenti e poi, se la
situazione peggiora, andare in CIG per restanti dipendenti?
R: qualunque azienda può proporre la risoluzione consensuale del
rapporto di lavoro ad un dipendente in qualunque momento,
laddove il lavoratore sia dia disponibile, a fronte di un
soddisfacente accordo economico. Questo é un libero accordo tra
le parti, per cui nulla vieta all'azienda di verificare se ci sono
dipendenti    disposti   a   risolvere   il   rapporto    di   lavoro,
indipendentemente dall'apertura di una procedura di CIG. E'
ovvio che il lavoratore deve trovare delle convenienze
economiche in questa operazione.
D: la Cassa Integrazione può essere avviata senza la previsione
di una successiva procedura di Mobilità?
R: Certamente, poiché questo significherebbe che l'azienda, dopo
il periodo di CIG, non intende operare una riduzione di personale.




                                  19
2° CAPITOLO
                       LA PENSIONE



Ti starai domandando per quale motivo ho inserito un capitolo
dedicato alla pensione in un testo che tratta degli ammortizzatori
sociali; la pensione non è una prestazione a sostegno del reddito,
ma, in certi procedimenti di riduzione del personale, si rende
necessario conoscere molto bene le leggi che ne regolano la
maturazione del diritto ed il successivo percepimento.


Alcuni processi di mobilità, come vedremo in seguito,
considerano, come criterio d’inclusione nelle liste, il tempo alla
pensione; certe aziende, nei processi di riorganizzazione,
propongono ai dipendenti la risoluzione consensuale del rapporto
di lavoro, a fronte dell’erogazione di un incentivo all’esodo.


Questa proposta, spesso, è rivolta a lavoratori con un’anzianità
contributiva sufficientemente vicina a quella necessaria per la
maturazione del diritto alla pensione, in un tempo relativamente
breve, o durante il periodo di mobilità. Esistono infine
procedimenti di licenziamento collettivo nei quali, previo accordo
con i sindacati, la volontarietà viene considerata come criterio di
scelta del personale da porre in mobilità; anche in questo caso
molti volontari sono dipendenti, che potrebbero accedere alla
                                 20
pensione nel volgere di qualche anno. Il problema è che certi
calcoli non sono sempre semplici da effettuare, a cui si aggiunge
la continua evoluzione delle leggi che regolano l’accesso alla
pensione.


NOTA N. 5: accertate sempre accuratamente la vostra
posizione pensionistica, prima di accettare qualunque
proposta di mobilità volontaria o di risoluzione consensuale
del rapporto di lavoro.


2.1 Pensione di anzianità
La pensione di anzianità è una prestazione economica, erogata
dall’assicurazione generale obbligatoria, la quale può essere
ottenuta, indipendentemente dal compimento del 65° anno di età,
seppure sia richiesto il raggiungimento di determinati requisiti.
Nessuna attività lavorativa, se non di natura autonoma o
parasubordinata, può essere svolta al percepimento della pensione
di anzianità.


Le leggi, che si sono succedute nel tempo sul tema delle pensioni,
hanno profondamente modificato questo istituto; è oggi in vigore
il così detto« sistema delle quote », secondo il quale il diritto alla
pensione di anzianità si matura, quando si raggiunge una
determinata     quota,   come    somma      dell’età   anagrafica   e
dell’anzianità contributiva. Fermo restando il requisito minimo di
35 anni di contribuzione, il sistema è, peraltro, in evoluzione,
                                  21
poiché sono previste quote crescenti, variando, nel tempo il
         minimo requisito anagrafico:
             minimo 60 anni di età e quota 96 dal 1.1.2011 al 31.12.2012;
             minimo 61 anni di età e quota 97 a partire dal 1.1.2013
         Questa progressione vale per il lavoratori dipendenti; per i
         lavoratori autonomi le quote richieste sono più alte:
             minimo 61 anni di età e quota 97 dal 1.1.2011 al 31.12.2012;
             minimo 62 anni di età e quota 98 a partire dal 1.1.2013


         Si matura, in alternativa, il diritto alla pensione al raggiungimento
         dei 40 anni di contribuzione, indipendentemente dall’età
         anagrafica. Le recenti modifiche apportate alle procedure di
         pensionamento hanno introdotto un altro elemento, che riveste
         grande importanza, per chi risolve il rapporto di lavoro,
         considerando come criterio decisionale il tempo alla pensione.


         NOTA N. 6: i lavoratori, a partire dal 1.1.2011, potranno
         percepire la pensione dopo 12 mesi dalla maturazione del
         diritto, se la pensione è liquidata dal FPLD 1 o dai fondi
         pensione sostitutivi l’Assicurazione Generale Obbligatoria;
         dovranno attendere, invece, 18 mesi dalla maturazione del
         diritto, se la pensione è liquidata dalle gestioni speciali dei
         lavoratori autonomi.




1
    Fondo pensione lavoratori dipendenti

                                           22
Vale ancora il così detto sistema delle « finestre », definito nella
pregressa procedura, per una serie di situazioni per le quali si
rendeva necessario salvare i diritti acquisiti:
   lavoratori che, essendosi accordati con le aziende per risolvere
   il rapporto di lavoro, erano nel periodo di preavviso al 30
   giugno 2010:
   lavoratori che, per raggiunti limiti di età, non potrebbero più
   svolgere una specifica attività lavorativa.


Mi sembra inoltre importante rassicurare, seppure nel limite
massimo consentito dalla legge di 10.000 unità, tutti quei
dipendenti che, sulla base di accordi sindacali, risultavano:
   collocati in mobilità ordinaria alla data del 30 Aprile 2010;
   collocati in mobilità lunga alla data del 30 Aprile 2010.
Anche per questi lavoratori varranno le finestre stabilite nella
previgente procedura.


2.2 Pensioni di vecchiaia
La pensione di vecchiaia, a differenza di quella di anzianità, si
matura al raggiungimento di una determinata età anagrafica e
dell’accreditamento di un numero minimo di contributi; i
requisiti, però, variano a seconda del sistema con cui verrà
liquidata la pensione. Ti faccio presente, a meno che tu non sia
già informato, che la pensione, in funzione dei contributi maturati
alla data del 31 Dicembre 1995, potrà essere calcolata con il
sistema retributivo, o contributivo, o misto. Ti consiglio, se hai
                                  23
bisogno di approfondire l’argomento, di visitare il sito dell’INPS
dedicato al calcolo delle pensioni.


Vediamo allora i requisiti richiesti, secondo le diverse condizioni
d’impiego e di trattamento pensionistico spettante:
  maturazione del diritto con 65 anni di età se uomini, 60 se
  donne e con 20 anni di anzianità contributiva (15 anni se già in
  servizio alla data del 31 Dicembre 1992). Queste condizioni
  valgono sino al Gennaio 2015 per chi potrà andare in
  pensione con il sistema retributivo o misto;
  maturazione del diritto con 65 anni di età se uomini, 60 se
  donne e con minimo 5 anni di anzianità contributiva. Queste
  condizioni valgono sino al Gennaio 2015 per chi dovrà
  andare o preferirà andare in pensione con il sistema
  contributivo;
  maturazione del diritto con 61 anni di età se dipendenti donne
  del settore pubblico.


È necessario aggiungere allo schema semplificato di cui sopra
altre informazioni che riguardano chi andrà in pensione con il
sistema contributivo, avendo iniziato a lavorare e, dunque, a
versare contributi dopo il 31 Dicembre 1995. Viviamo, dal punto
di vista pensionistico, in un periodo in cui sussistono i tre
differenti regimi (retributivo, contributivo e misto), ma nel 1995
fu promulgata una legge che introduceva, per questa popolazione
di lavoratori, una profonda innovazione. Non si prevedeva più
                                 24
una distinzione tra pensione di anzianità e pensione di vecchiaia,
ma si istituiva un trattamento pensionistico definito, in modo
univoco, pensione di vecchiaia. Si sono succeduti, nel tempo,
diversi adeguamenti a questa legge, per effetto dei quali i
lavoratori, la cui pensione sarà calcolata con il sistema
contributivo, raggiungono il requisito per la nuova pensione di
vecchiaia, non solo al compimento del 65° anno di età, ma,
anche, al raggiungimento dei requisiti previsti per la vecchia
pensione di anzianità.


Vediamo di riassumere una materia complicata ed in continua
evoluzione:
  va in pensione con il sistema retributivo chi poteva vantare 18
  anni di contributi al 31 Dicembre 1995;
  va in pensione con il sistema misto che poteva vantare meno di
  18 anni di contributi al 31 Dicembre 1995;
  va in pensione con il sistema contributivo chi ha iniziato a
  versare contributi solo dopo il 31 Dicembre 1995, o chi sceglie
  liberamente questo trattamento.


I lavoratori, anche per la pensione di vecchiaia, conseguono il
diritto al percepimento della stessa, trascorsi 12 mesi dalla data di
maturazione dei requisiti anagrafici e contributivi, se dipendenti e
18 mesi se autonomi. Esistono poi tutta una serie di trattamenti
particolari e di deroghe a quanto sopra detto, ma rimando per
questo alla specifica pagina sul portale dell'INPS.
                                 25
Sono cosciente che questi due paragrafi sulle pensioni di anzianità
e di vecchiaia non esauriscono tutto ciò che ci sarebbe da spiegare
in campo pensionistico; la materia non solo è complessa ma,
come già detto, in continua evoluzione, al punto che, dopo il
Gennaio 2015, i requisiti per la nuova pensione di vecchiaia
verranno aggiornati, con cadenza triennale, in base agli
incrementi della speranza di vita calcolati dall'Istat. Lo stesso
dicasi per i requisiti richiesti alle lavoratrici del pubblico impiego,
requisiti che cambieranno, già con il gennaio 2012.


L’obiettivo che mi ero posto non era, però, quello di fare un
trattato sul sistema pensionistico Italiano, ma di sensibilizzare
quei lavoratori, con tempi alla pensione relativamente brevi, a
porre molta attenzione nel caso dovessero affrontare processi di
mobilità o risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro con
incentivi all’esodo. È importante, in questi casi, capire se le
proposte aziendali assicurano una sufficiente copertura economica
per il periodo di tempo che si dovrà attendere, prima di arrivare a
percepire la pensione. Credo e spero che, con le informazioni
succitate, tu, in casi di necessità, sia in grado di valutare la
correttezza e convenienza delle proposte ricevute.


2.3 Ricongiunzione e totalizzazione
E’ ormai molto frequente che un lavoratore, giunto alla
maturazione del diritto alla pensione, si trovi con dei contributi
pensionistici versati in diversi enti previdenziali o nello stesso
                                  26
ente con periodi di discontinuità; si pone in questi casi il
problema se e come sia possibile procedere con la ricongiunzione
dei diversi contributi pensionistici per poter ottenere un’unica
pensione. La situazione va studiata secondo tre parametri:
  possibilità di procedere con la ricongiunzione;
  valutazione degli eventuali costi;
  convenienza economica.
È necessario chiarire immediatamente che, in effetti, si può
procedere con due diversi sistemi per mettere a frutto tutti i
contributi versati: la ricongiunzione vera e propria o la
totalizzazione dei contributi pensionistici.


NOTA N. 7: la ricongiunzione é la riunificazione presso un
unico ente dei periodi assicurativi maturati dal lavoratore in
differenti settori di lavoro. Lo scopo é quello di ottenere un
un’unica pensione, calcolata su tutti i contributi pensionistici
versati nei diversi enti previdenziali.


Un   dipendente,    iscritto   ad        un   ente   pensionistico,   può
ricongiungere, presso lo stesso ente, tutti i contributi accumulati
in periodi diversi, effettuando in tal modo la così detta
ricongiunzione passiva. Può ugualmente decidere di trasferire
nell’ente stesso i contributi versati, in periodi precedenti o
coincidenti, presso altre gestioni previdenziali, procedendo in
pratica ad una ricongiunzione attiva. Solo i seguenti contributi
pensionistici si possono ricongiungere:
                                    27
dallo Stato al fondo pensioni lavoratori dipendenti (FPLD),
  costituito presso l’Inps. La possibilità di ricongiunzione è data
  a tutti i dipendenti degli enti pubblici a condizione che siano
  cessati dal servizio senza aver maturato il diritto a pensione;
  da altri fondi al fondo pensioni lavoratori dipendenti. La
  possibilità di ricongiunzione è data a tutti i dipendenti iscritti
  ad una o più casse pensionistiche allo scopo di ottenere
  un’unica pensione anche se il lavoratore non è mai stato iscritto
  all’Inps;
  dall’Inps ad altri fondi. La possibilità di ricongiunzione è data
  a tutti i dipendenti iscritti all’Assicurazione Generale
  Obbligatoria allo scopo di ottenere un’unica pensione a
  condizione che il lavoratore sia iscritto, all’atto della domanda,
  al fondo presso il quale intende trasferire la contribuzione,
  oppure lo sia stato per almeno 8 anni;
  dalle   gestioni    autonome   al   fondo   pensioni    lavoratori
  dipendenti. La possibilità di ricongiunzione è data a tutti i
  lavoratori autonomi, allo scopo di ottenere un’unica pensione,
  a condizione che il lavoratore, dopo l’iscrizione nella gestione
  autonoma, possa far valere almeno 5 anni d’iscrizione al fondo
  pensioni lavoratori dipendenti presso il quale intende trasferire
  la contribuzione.


Il ricongiungimento può essere più o meno oneroso, secondo gli
spostamenti richiesti; i calcoli sono complessi e, in caso di
necessità, è meglio rivolgersi all’Inps o ad alcuni patronati che
                                 28
possiedono       i     software    per       effettuare   delle    proiezioni
sufficientemente attendibili. Cito ad esempio il patronato Acli, ed
il patronato Inca. Il ricongiungimento permette di ricevere
un’unica pensione, calcolata con le regole del fondo presso cui si
sono fatti confluire i contributi.


NOTA N. 8: la totalizzazione permette, a chi ha versamenti in
diversi fondi non sufficienti a maturare il diritto alla pensione,
di cumulare i diversi periodi assicurativi per conseguire la
pensione di vecchiaia o di anzianità.


Sono interessati alla totalizzazione in particolare i co.co.co e
co.co.pro, inscritti alla gestione separata INPS, per i quali non si
poteva procedere con la ricongiunzione.
Possono richiedere la totalizzazione dei contributi pensionistici i
lavoratori iscritti:
   a due o più forme di assicurazione obbligatoria per l’invalidità,
   la vecchiaia e i superstiti;
   alle       forme      sostitutive,        esclusive    ed      esonerative
   dell’assicurazione generale obbligatoria;
   alle forme pensionistiche obbligatorie gestite dagli Enti
   previdenziali privatizzati;
   agli appositi albi o elenchi, gestiti dagli Enti previdenziali
   privati;
   alla gestione separata dei lavoratori parasubordinati;


                                        29
al fondo di previdenza per il clero secolare e per i ministri di
   culto delle confessioni religiose diverse dalla cattolica.


I periodi assicurativi da ricongiungere, che non possono essere
coincidenti temporalmente, devono aver una durata di almeno tre
anni. La pensione sarà calcolata sul totale dei contributi maturati,
ed ogni fondo pensione erogherà la quota parte di sua
competenza. La domanda va, ovviamente, fatta al momento in cui
si va in pensione e presentata al fondo in cui si sono versati gli
ultimi contributi. La totalizzazione dei contributi é completamente
gratuita ma il calcolo dell’anzianità contributiva e della pensione
da liquidare ( calcolo molto complesso), fanno sì che in alcuni
casi e quando possibile, sia più conveniente procedere con la
ricongiunzione, anche se onerosa.


Queste considerazioni possono venire utili a chi, temendo od
intuendo di potersi trovare, prima o poi, ad affrontare una crisi
della propria azienda, sarebbe in condizione di anticipare la
valutazione di operazioni di ricongiungimento o di totalizzazione
dei contributi versati.




                                  30
DOMANDE & RISPOSTE


D: mi é stato proposto di risolvere il rapporto di lavoro e di
aderire volontariamente alla mobilità, durante la quale dovrei
maturare il diritto alla pensione. Cosa succederebbe se, nel
frattempo, venissero cambiati i criteri di accesso alle pensioni?
R: l’azienda dovrebbe darsi disponibile a rivedere l'accordo
sottoscritto, per individuare soluzioni alternative qualora al
termine del periodo di mobilità si verificasse l’impossibilità di
accesso alla pensione, per sopravvenute modifiche legislative.
Questo impegno dovrebbe essere riportato nel verbale di
conciliazione.
D: mi é stato detto che la ricongiunzione dei contributi INPDAP
con i contributi versati al FLDP, non é più gratuita. Le risulta
che sia vero? Ho consultato il sito dell'INPS, ma non ho trovato
nulla a tale proposito.
R: le ricongiunzioni, le cui domande sono state presentate dopo il
1/7/2010, per effetto della legge 122/2010, non sono più gratuite.
D: durante il periodo di mobilità, per effetto dei contributivi
figurativi, raggiungerò i 40 anni di contribuzione. L'indennità di
mobilità mi verrà erogata solo sino al raggiungimento dei 40 anni
di contribuzione o sino all'effettivo percepimento della pensione?
R: le norme che disciplinano l'apertura delle nuove finestre
pensionistiche, si dovrebbero applicare anche ai lavoratori in
mobilità che raggiungono il requisito pensionistico, dal 1 gennaio
2011 in avanti. Questi lavoratori, con la nuova normativa,
                                31
sarebbero costretti ad attendere 12 mesi, dalla maturazione dal
requisito pensionistico, per poter ottenere l’assegno relativo alla
pensione. L’articolo 12, comma 5, della Legge 122/2010, afferma
che solo 10.000 lavoratori, tra quelli posti in mobilità, potranno
beneficiare delle vecchie finestre di uscita: sarà l’INPS a
monitorare le relative domande per la compilazione della lista in
questione.
Tale situazione, che potrebbe riguardare moltissimi lavoratori
posti in mobilità in tutta Italia, ha costretto il governo a
riconsiderare quanto sopra e con la legge 220 del 2010, ha
stabilito che il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di
concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, nei limiti
delle risorse disponibili del Fondo sociale per occupazione e
formazione, può disporre la concessione del prolungamento
dell'indennità di mobilità, per il periodo di tempo necessario al
raggiungimento della decorrenza del trattamento pensionistico:
con questa soluzione si eviterebbe il verificarsi di periodi di
vuoto, in cui non si percepirebbe più l’indennità di mobilità e non
si avrebbe ancora diritto a percepire la pensione. E' dunque
necessario riferirsi necessariamente agli uffici dell'INPS per
ottenere delle precise informazioni di carattere personale.




                                 32
3° CAPITOLO
          I PROCESSI DI RIDUZIONE DEL
                         PERSONALE



Lo scopo di questo capitolo è quello di introdurti ad una materia
difficile, quale quella dei licenziamenti, poiché, nei momenti di
crisi, le aziende possono legalmente ricorrere a quelli che
vengono     definiti   licenziamenti      collettivi   e   licenziamenti
individuali plurimi. Occorre, per comprendere bene le differenze,
introdurre l’argomento dei licenziamenti individuali propriamente
detti, in quanto, frequentemente, si tende a confondere questi con
quelli adottabili nelle aziende in crisi, per effettuare delle
riduzioni di personale. Alcuni datori di lavoro disonesti giocano
sull’equivoco, minacciando licenziamenti, che in effetti, non
potrebbero mai adottare; capiamo dunque bene le differenze.


Licenziamento individuale
Mi sono accorto, dai commenti ricevuti sul mio blog che, a livello
dei dipendenti, ci sono scarse conoscenze delle problematiche
relative al licenziamento individuale; in particolare non sono
chiare le differenze tra tutela reale e tutela obbligatoria, nel caso il
licenziamento si rivelasse illegittimo.



                                  33
Lungi da me nel credere di poter fornire, in poche righe, una
completa analisi dell’argomento, riassumo, per chi avesse bisogno
di chiarimenti, gli aspetti fondamentali del problema.


NOTA N. 9: il licenziamento individuale, intimato al di fuori
di processi di riduzione del personale, se non é motivato dalla
giusta causa o da un giustificato motivo oggettivo/soggettivo, é
illegittimo.


È, però, necessario, dal punto di vista legale, fare delle distinzioni
in quelle che sono le dimensioni dell’azienda e le conseguenze
per il datore di lavoro, a seconda che si tratti di dipendenti sotto
tutela obbligatoria o tutela reale del posto di lavoro. Le aziende,
che hanno fino a 15 dipendenti (fino a 5 se aziende agricole) e che
sono sotto il regime della così detta tutela obbligatoria del posto
di lavoro, possono licenziare i dipendenti anche per oggettive
esigenze organizzative o produttive, comunicando per iscritto il
licenziamento.


Il dipendente ha tempo 15 giorni, dal ricevimento della
comunicazione, per richiedere al datore di lavoro i motivi del
licenziamento; l’azienda ha, a sua volta, tempo 7 giorni per
rispondere a tale richiesta. Il dipendente, attraverso un proprio
legale, potrà presentare ricorso contro il licenziamento e, nel caso
questo fosse riconosciuto illegittimo, l’azienda potrà essere
condannata, a scelta del datore di lavoro:
                                  34
alla riassunzione del dipendente;
   al pagamento di una somma, a titolo di indennità, variabile da
   un minimo di 2,5 ad un massimo di 14 mensilità, a seconda di
   elementi presi in considerazione dal giudice, quali l’anzianità
   del dipendente, le dimensioni dell’azienda ecc. È inutile dire
   che, ben difficilmente, il datore di lavoro opterà per la
   riassunzione del lavoratore.


E’ importante considerare una regola che vale per qualunque tipo
di licenziamento; questo é da considerarsi inefficace (non
illegittimo) se:
   é stato intimato senza la forma scritta;
   l’azienda non ha risposto alla richiesta di motivare il
   licenziamento;
   l’azienda ha risposto con ritardo alla richiesta di motivare il
   licenziamento.


Le aziende che hanno più di 15 dipendenti (più di 5 se agricole)
sono sotto il regime della tutela reale del posto di lavoro, e prima
di procedere al licenziamento, devono, nei casi di giusta causa o
giustificato motivo oggettivo, far pervenire al dipendente una
contestazione disciplinare. Ogni contratto nazionale stabilisce
entro quali tempi il lavoratore deve rispondere alla contestazione
disciplinare e, entro quanto l’azienda può, poi, procedere al
licenziamento, se non convinta delle ragioni esposte dal
dipendente.
                                  35
Il dipendente, qualora ritenga il licenziamento illegittimo, lo
dovrà impugnare entro 60 giorni dalla sua comunicazione;
l’impugnazione può essere esercitata in qualunque modo, anche
con semplice raccomandata al datore di lavoro ma é ovvio che
l’iter raccomandato é quello di rivolgersi sia ad un sindacato che
ad un legale di fiducia, frequentemente indicato dagli stessi
sindacati.


L’utilizzo della via giudiziale prevede che il legale depositi il
ricorso presso la cancelleria del tribunale di competenza, previo
esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione presso le
Commissioni appositamente individuate sul territorio. Sia il
dipendente che l’azienda potranno optare se accettare l’invito
della Commissione di Conciliazione, per tentare una transazione
extragiudiziale, o declinare l’invito ed attendere la convocazione
dalla magistratura del lavoro, per discutere la vertenza davanti ad
un giudice.


I tempi della magistratura del lavoro sono molto variabili a
seconda dei tribunali; le cause di lavoro dovrebbero iniziare e
terminare in un periodo di tempo di circa un anno, ma in alcuni
tribunali, specie del sud Italia, possono durare anche diversi anni.
Il giudice, nel caso ritenga il licenziamento nullo o ingiustificato
dispone che:


                                 36
il lavoratore sia reintegrato nel posto di lavoro, senza
  concedere all’azienda la possibilità di una alternativa di tipo
  risarcitorio;
  il datore di lavoro sia condannato ad un risarcimento del danno
  subito dal lavoratore, pari alla retribuzione globale di fatto, dal
  giorno del licenziamento sino alla effettiva reintegrazione (e
  comunque non inferiore a 5 mensilità di retribuzione).


Il datore di lavoro, nel caso non proceda al reintegro del
dipendente, dovrà continuare a pagargli ininterrottamente
un’indennità pari alle retribuzioni correnti; solo il lavoratore potrà
optare per la risoluzione del contratto di lavoro a fronte però del
pagamento di un’indennità pari a 15 mensilità .


Licenziamenti collettivi
Completamente diversi sono i licenziamenti collettivi, i quali
rientrano tra le azioni adottate dalle aziende per effettuare una
riduzione del personale. L’esigenza aziendale di procedere con
una riduzione di personale può concretizzarsi sia con un
licenziamento collettivo, sia con un licenziamento individuale
plurimo, per giustificato motivo oggettivo. Quali sono allora le
differenze?


NOTA N. 10: Il licenziamento collettivo é conseguenza di una
riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, mentre il
licenziamento individuale plurimo é adottabile quando la
                                  37
riduzione del personale é motivata da ragioni inerenti
l’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il regolare
funzionamento di essa.


La differenza, ad occhi non esperti può sembrare relativa, ma, dal
punto di vista procedurale e legale ha delle importanti
implicazioni. Il licenziamento collettivo può essere adottato dalle
aziende con più di 15 dipendenti, le quali devono porre in
mobilità perlomeno 5 dipendenti, in ambito provinciale (regionale
o nazionale secondo la dislocazione delle unità produttive sul
territorio), nell’arco di 120 giorni.


Il licenziamento collettivo dovrà essere motivato da una
riduzione, o trasformazione, o cessazione di attività o di lavoro.
Una volta individuati gli esuberi in termini di posizioni da abolire,
la scelta di quali lavoratori licenziare dovrà essere fatta,
utilizzando criteri di legge o, in alternativa, criteri concordati con
le organizzazioni sindacali di categoria. I criteri di legge sono:
   anzianità di servizio;
   carichi di famiglia;
   ragioni tecnico produttive.


I tre fattori dovrebbero avere un peso uguale, ma gli accordi
possono modificarne il valore al fine di meglio rispondere alla
situazione aziendale; mentre l’anzianità di servizio ed i carichi di
famiglia sono dati incontestabili, le ragioni tecnico produttive, in
                                   38
quanto determinate dall’azienda, possono portare a contestazioni
con impugnazione dei licenziamenti. Esistono poi accordi
sindacali nei quali è previsto, come unico criterio di scelta, il
tempo alla pensione o la volontarietà o la miscela di questi con i
criteri di legge.


Voglio, infine, segnalare una recente sentenza della Corte di
Cassazione (numero 1722/2011), con l’obiettivo di evitare
l’insorgere d’inutili vertenze tra datori di lavoro e lavoratori. La
Corte ha chiarito un aspetto importante sulla legittimità del
comportamento datoriale nella dichiarazione ed individuazione
dei dipendenti, da far rientrare nei licenziamenti collettivi.


La sentenza riguarda il caso in cui le aziende debbano attuare una
riduzione del personale estesa a tutta l'azienda e che, con
l'accordo dei sindacati, sia stato scelto come criterio d’inclusione
nelle     liste     di   mobilità,        l'accesso   alla   pensione.
Il datore di lavoro, a livello procedurale, in questo caso può
limitarsi a segnalare il numero complessivo di dipendenti da porre
in mobilità, seppure suddivisi tra i diversi profili professionali
presenti in azienda, senza dovere identificare i reparti e le unità di
provenienza.




                                     39
Licenziamento individuale plurimo
Il licenziamento individuale plurimo è adottabile dalle aziende
con un numero di dipendenti pari od inferiore a 15, e, dal punto di
vista pratico, si possono distinguere 2 diversi situazioni:
  licenziamento individuale per soppressione del posto di lavoro,
  quando la riduzione del personale é specifica come ad esempio
  nella chiusura di un ufficio, di una filiale, di un’attività in
  quanto data in outsourcing; é ovvio che in questi casi non sono
  adottabili i criteri di legge di cui ai licenziamenti collettivi. Il
  datore di lavoro deve tuttavia assolvere agli oneri probatori
  imposti dalla legge: egli dovrà dimostrare la reale esistenza del
  problema che legittima l’effettiva soppressione del posto, il
  nesso di causalità tra posto soppresso e attività svolta dal
  lavoratore licenziato ed infine la inutilizzabilità del lavoratore
  in altra posizione di lavoro disponibile in azienda;
  licenziamento individuale per riduzione del personale; questo é
  il caso tipico, quando l’obiettivo dell’azienda é quello di
  ridurre i costi di gestione per cui il problema investe tutta
  l’organizzazione e non singole mansioni. Si ripropongono
  dunque situazioni simili a quelle dei licenziamenti collettivi.
  Non c’é l’obbligo di licenziare i famosi 5 dipendenti ma, ad
  esempio, si può presentare la necessità di licenziare tre
  dipendenti su dieci che svolgono stesse mansioni o, come si
  dice in gergo, mansioni fungibili tra loro. Ecco allora che il
  datore di lavoro non potrà più licenziare, a sua discrezione, i
  dipendenti, ma dovranno essere adottati gli stessi criteri
                                 40
previsti per il licenziamenti collettivi, concordati o meno con le
  organizzazioni sindacali.


Indennità di mobilità
Abbiamo visto attraverso quali procedimenti le aziende possono
affrontare crisi temporanee e crisi strutturali, utilizzando gli
ammortizzatori sociali previsti dal nostro stato assistenziale;
dobbiamo ancora analizzare l’ultimo degli interventi a sostegno
del reddito, che viene erogato a quei lavoratori estromessi dal
mondo del lavoro con i licenziamenti collettivi o individuali
plurimi.


NOTA N. 11: l’indennità di mobilità è un intervento
economico erogato a favore dei lavoratori licenziati dalle
proprie aziende in difficoltà, che garantisce loro un'indennità
parzialmente sostitutiva della retribuzione persa.


È però necessario scendere in maggiori dettagli, poiché, come per
gli altri interventi a sostegno del reddito, anche per l’indennità di
mobilità sono previste clausole, che definiscono i requisiti
necessari per potervi accedere. Le aziende che possono utilizzare
questo ammortizzatore sociale sono, essenzialmente, quelle
autorizzate ad effettuare i licenziamenti collettivi e più in
dettaglio:



                                 41
imprese industriali che hanno impiegato più di 15 dipendenti
  nel semestre precedente a quello dell’attivazione della
  mobilità;
  imprese commerciali con più di 200 dipendenti nell’ultimo
  semestre come sopra:
  cooperative con più di 15 dipendenti;
  imprese artigiane facenti parte dell’indotto di aziende
  committenti che sono ricorse alla mobilità;
  alcune aziende in regime transitorio (commerciali con 50-200
  dipendenti, agenzie di viaggio con più di 50 dipendenti e
  imprese di vigilanza con più di 15 dipendenti).


I dipendenti di queste aziende accedono alle liste di mobilità se
possono vantare perlomeno 12 mesi di anzianità aziendale di cui
almeno 6 effettivamente lavorati. L’erogazione dell’indennità di
mobilità varia in funzione dell’età anagrafica del lavoratore e
della dislocazione territoriale dell’azienda di provenienza.
Tab. 1 - Indennità di mobilità; tempi di erogazione
     Età             Sede non nel sud           Sede nel Sud
  Sino a 40               12 mesi                 24 mesi
 Tra 40 e 50              24 mesi                 36 mesi
   Oltre 50               36 mesi                 48 mesi


L’ammontare dell’indennità di mobilità è pari al 80% della
retribuzione lorda (prendendo in considerazione solo le voci


                                42
fisse), spettante al lavoratore, ma varia con il variare del periodo
 di mobilità:
  nei primi 12 mesi di mobilità si percepisce il 100% della
  somma, come sopra calcolata, detratta del 5,84%;
  dal 13° mese e per tutto il periodo di mobilità, il trattamento
  sarà pari al 80% della somma percepita il primo anno.


Il lavoratore, al fine di ottenere l’erogazione dell’indennità, deve
presentare domanda sull’apposito modulo DS/21, presso le sedi
INPS, competenti territorialmente, entro il 68° giorno dalla data
del licenziamento. Può rivelarsi utile sapere che, nel caso il
lavoratore intenda dare inizio ad un lavoro autonomo, può
ottenere l'erogazione anticipata dell'indennità di mobilità da parte
dell'INPS; facendone relativa richiesta tramite il modello DS
21/ANT. La domanda, ovviamente, dovrà essere corredata della
documentazione comprovante l'inizio della nuova attività
lavorativa e l'indennità sarà versata all’interessato in un'unica
soluzione.


Cito, a puro titolo d’esempio, alcune attività, intraprese dopo
essere stati inseriti nelle liste di mobilità, che danno titolo a
richiedere l’anticipazione dell’indennità di mobilità:
  attività artigianale con iscrizione ai relativi albi;
  commerciante con iscrizione agli appositi registri;
  agente o rappresentante di commercio con l’iscrizione negli
  appositi ruoli;
                                  43
attività di libera professione con iscrizione negli appositi albi e
   l’apertura della relativa partita IVA;
   socio di cooperativa con l’iscrizione negli appositi elenchi.
La domanda dovrà essere presentata entro 60 giorni dall’inizio
della nuova attività.


Esistono, oltre a quella ordinaria, altre due forme di mobilità: la
mobilità lunga e la mobilità in deroga. La mobilità lunga, dal
punto di vista pratico, è stata istituita con l’obiettivo di gestire
degli esuberi che, essendo temporalmente vicini alla maturazione
dei diritti alla pensione, vengono accompagnati sino alla data del
suo percepimento.


NOTA N. 12: nella mobilità lunga, la permanenza nelle liste di
mobilità dovrebbe permettere il raggiungimento dell’età
anagrafica o dell’anzianità contributiva necessarie a maturare
il diritto alla pensione.


Questo tipo di mobilità, che viene concessa solo con appositi
decreti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, si applica
a lavoratori licenziati da:
   aziende del mezzogiorno;
   aziende che si trovano in aree con tasso di disoccupazione
   superiore alla media nazionale;
   imprese    del   settore   chimico,      tessile,   abbigliamento   e
   calzaturiero.
                                  44
Si sono succeduti nel tempo tali e tante leggi, interpretazioni ed
estensioni che, oggi, ci si trova in un vero e proprio ginepraio,
quando si tenta di capire a chi spetta e quali requisiti sono
richiesti. È compito delle aziende accertare se possono, in caso di
necessità, utilizzare procedure di mobilità lunga; agli eventuali
lavoratori, che si trovassero inseriti in queste liste di mobilità,
posso solo consigliare di recarsi immediatamente alle sedi INPS
di competenza, per verificare la loro posizione personale. Le
attuali leggi che regolano il percepimento delle pensioni sia di
vecchiaia che di anzianità, potrebbero, infatti, riservare delle
amare sorprese.


La mobilità in deroga, lo dice la stessa definizione, è stata istituita
per prendere in considerazione, se non tutte, almeno una parte di
quelle situazioni escluse dalla mobilità ordinaria; spetta, dunque,
a tutti i lavoratori subordinati, compresi apprendisti e lavoratori
con contratto di somministrazione e a lavoratori a cui è stato
prorogato il trattamento di mobilità ordinaria, a seguito di accordi
regionali. Valgono, fondamentalmente, le stesse regole della
mobilità ordinaria, con la differenza che la durata non è una
funzione dell’età del lavoratore, ma è una variabile stabilita dagli
accordi regionali.




                                  45
DOMANDE & RISPOSTE


D: l'azienda vuole attuare una procedura di mobilità, ma non ha
raggiunto alcun accordo con i sindacati. Con quali criteri
sceglierà i dipendenti da inserire nelle liste di mobilità?
R: dovrà usare i criteri stabiliti dalla legge e cioè anzianità
aziendale,   carichi   di   famiglia    e   un   parametro    tecnico
organizzativo definito dall'azienda.
D: i sindacati hanno raggiunto un accordo con l'azienda, in base
al quale a tutti i dipendenti che andranno in mobilità sarà
proposta la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro con un
incentivo all'esodo. Io non sono soddisfatto della somma che i
sindacati hanno concordato per la mia persona e per i dipendenti
con le mie stesse condizioni di anzianità, di servizio e carichi di
famiglia. Posso avere copia dell'accordo e chiedere una somma
diversa?
R: é un diritto dei dipendenti prendere visione dell'accordo
firmato dai sindacati. E' invece difficile chiedere una somma
diversa da quella stabilita negli accordi; se però si teme di aver
subito trattamenti illeciti é sempre possibile non firmare la
risoluzione consensuale ed impugnare l'eventuale licenziamento,
con l'assistenza di un legale di fiducia.
D: ammesso che i criteri per l'immissione nelle liste di mobilità
siano quelli stabiliti per legge, devono avere tutti lo stesso peso?
Per anzianità s'intende quella anagrafica o quella aziendale?

                                  46
R: il peso da dare ai singoli criteri dovrebbe essere concordato tra
azienda e sindacati. L'anzianità da considerare é quella aziendale.
D: possono mettermi in mobilità, anche se sono incinta? non c'è
nessuna tutela?
R: Durante il periodo di gravidanza, nel quale opera il divieto di
licenziamento, la lavoratrice non può essere sospesa dal lavoro,
salvo il caso in cui sospende l'attività dell'azienda o del reparto a
cui essa e' addetta, a patto che il reparto stesso abbia autonomia
funzionale. La lavoratrice non può altresì essere collocata in
mobilità a seguito di licenziamento collettivo, ai sensi della legge
23 luglio 1991, n. 223 e successive modificazioni, salva l'ipotesi
di collocamento in mobilità a seguito della cessazione dell'attività
dell'azienda di cui al comma 3, lettera b).(1) Il licenziamento
intimato alla lavoratrice in violazione delle disposizioni di cui ai
commi 1, 2 e 3, e' nullo.
D: vorrei sapere se fosse possibile concordare con l’azienda il
mio licenziamento con l'accesso alle liste di mobilità volontaria,
ma a condizione di ricevere un incentivo congruo e la garanzia
del proseguimento delle mie attività da esterno, attraverso un
contratto di consulenza. In sostanza è compatibile la mobilità con
la   trasformazione    del   lavoro   da    dipendente    a   tempo
indeterminato a consulente?
R: le leggi non sono chiare ed esistono pareri contrastanti tra
Corte di Cassazione ed INPS. Ci sono dei rischi nel caso in cui la
consulenza sia svolta per la stessa azienda che ha attivato la
mobilità e soprattutto se la consulenza viene svolta con la
                                 47
sottoscrizione di un contratto a progetto. Consultare il parere
INPS del Dicembre 2007 .




                              48
4° CAPITOLO
       LA RISOLUZIONE CONSENSUALE



La risoluzione consensuale del rapporto di lavoro è una procedura
con la quale si può interrompere un rapporto di lavoro,
diversamente dalle dimissioni e dal licenziamento. La risoluzione
consensuale     del   rapporto     di        lavoro   trova   applicazione
essenzialmente in due situazioni:
  fa parte del tentativo delle Commissioni di Conciliazione o del
  Giudice del lavoro, di concludere una vertenza tra datore di
  lavoro e lavoratore. È la soluzione, talvolta, proposta alle parti
  in casi d’impugnazione di trasferimenti di unità produttiva o di
  contestazione alle liste di mobilità, nei licenziamenti collettivi;
  è un accordo sottoscritto tra azienda e dipendente, in certe
  particolari   situazioni   che        si    vengono     a   determinare,
  essenzialmente, a seguito di processi di riorganizzazione
  aziendale o ristrutturazione aziendale.


NOTA N. 13: la risoluzione consensuale del rapporto di
lavoro, nelle sue linee essenziali, prevede che il dipendente si
dia disponibile ad interrompere il rapporto di lavoro a fronte
alla disponibilità aziendale ad erogare una somma concordata
tra le parti o tramite le organizzazioni sindacali.


                                   49
Le particolari situazioni che suggeriscono di prendere in
considerazione la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro,
ammesso che sia l’azienda a proporla, si riferiscono a dipendenti
vicino all’età pensionabile o a dipendenti che, nel caso appunto di
processi di ristrutturazione aziendale e a fronte degli incerti di una
vertenza, preferiscono accettare la proposta dell’azienda, se
economicamente interessante.


Questa pratica si accompagna, frequentemente, ai processi di
mobilità, poiché le aziende, incentivando economicamente la
risoluzione consensuale del contratto di lavoro, snelliscono
moltissimo le procedure dei licenziamenti collettivi


Laddove l’atto di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro
sia firmato davanti alle Commissioni di Conciliazione o di fronte
ad un giudice, non esistono problemi sulla sua applicazione e sul
rischio, per l’azienda, che l’atto venga impugnato, a posteriori, dal
dipendente. Presenta maggiori rischi il caso in cui l’atto di
risoluzione consensuale del rapporto di lavoro nasca come
transazione privata tra azienda e dipendente:
  é’ consigliabile, per il dipendente, trattare le cifre sempre al
  netto;
  é consigliabile, sia per il dipendente che per l’azienda, far
  validare l’atto con un verbale di conciliazione in sede
  sindacale. E’ tipico firmare un pre - accordo in azienda e, poi,
  controfirmare l’atto, ad esempio, nelle sedi confindustriali di
                                  50
fronte ai rappresentanti di categoria per l’azienda e a quelli
  sindacali per il dipendente;
  si dovrebbe, al momento della transazione privata, concordare
  una formulazione tipo (vedi allegato) per l’atto di risoluzione
  consensuale del rapporto di lavoro che, in tale modo, risulterà
  protettiva sia degli interessi del dipendente che di quelli
  dell’azienda.


Incentivo all’esodo
La risoluzione consensuale del rapporto di lavoro può rivelarsi
più o meno accettabile a seconda di come é stato effettuato il
calcolo dell’incentivo all’esodo. Premesso che qualunque
processo che porti alla perdita del posto di lavoro é un evento
traumatico, alcuni metodi di calcolo dell’incentivo all’esodo,
concordati tra aziende e sindacati, possono rendere tali eventi
meno drammatici, assicurando il percepimento di somme di una
certa importanza.


Il metodo che, tra quelli di mia conoscenza, mi sembra il più
equo, é basato sui seguenti principi:
  si applica a personale dipendente che ha diritto di accedere alle
  liste di mobilità;
  l’importo dell’incentivo all’esodo é calcolato tenendo presente
  quattro fattori e cioè: una base uguale per tutti, un fattore
  legato all’anzianità anagrafica, uno legato all’anzianità
  aziendale ed infine uno legato al numero di famigliari a carico;
                                 51
é presa come base del calcolo il valore dell’ultima retribuzione
   ordinaria netta mensile, percepita in busta paga;
Premesso che il calcolo dell’incentivo all’esodo non è regolato da
leggi e che, specialmente in certe situazioni, il potere negoziale è
nettamente sbilanciato a favore delle aziende, il numero delle
mensilità totali da erogare potrebbe essere determinato con il
metodo che segue.


Il metodo non è teorico, ma è stato realmente applicato in un caso
di fusione tra due grandi aziende multinazionali. Non ti nascondo
che molte ditte potrebbero non essere in grado di erogare lo
stesso tipo d’incentivo; gli imprenditori, d’altro canto, hanno una
responsabilità sociale e dovrebbero considerare che la perdita del
posto di lavoro può provocare dei veri e propri drammi
economici. Il calcolo che segue prevede che sia stabilita una base
uguale per tutti pari a 12 mensilità.


Tab. 1 – Calcolo dell’incentivo all’esodo.
                        Anzianità                    Famigliari
 Età      Mensilità                      Mensilità                Mensilità
                        aziendale                     a carico
31/33        3             ≤3               1            1           3
34/37        6             4-6              2            2           4
38/41        12            7-9              3           ≥3           5
42/45        14          10-12              4
46/49        16          13-15              5
50/52        18          16-18              6
 >53         20          19-20              7
                          > 21              8




                                    52
Si applicano i criteri della tabella precedente e, una volta stabilita
la somma totale in funzione dei diversi fattori, l’incentivo
all’esodo, che l’azienda dovrebbe erogare é ottenuto sottraendo al
totale le cifre percepite come indennità di preavviso e come
indennità di mobilità. Un esempio chiarirà il sistema di calcolo;
consideriamo un dipendente di 39 anni, con anzianità aziendale di
14 anni e senza famigliari a carico. Ipotizziamo una retribuzione
mensile netta di 1400 euro.


Prospetto di calcolo
A - Mensilità totali ( 12 + 12 + 5 ) pari a 29 x 1400 = 40.600 Euro
B - Preavviso spettante ( mesi 3 ), pari a 3 x 1600 = 4.800 Euro.
C – Mobilità spettante ( mesi 12 ) pari a 12 x 1026 = 12.312 Euro.
D – Incentivo all’esodo = A – B – C = 23.488 Euro.


L’incentivo all’esodo, che l’azienda deve provvedere a lordizzare
in funzione dell’aliquota del TFR, é corrisposto entro la fine del
mese successivo a quello di risoluzione consensuale del rapporto
di lavoro, previa sottoscrizione della transazione, ex art 411 c.p.c.,
dinanzi alla Commissione Paritetica, istituita presso gli Enti
bilaterali.


Ribadisco che il metodo, sopra suggerito, é proponibile nel caso
che la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro s’inserisca in
un processo di mobilità; ricordo nuovamente che l’incentivo
scaturisce da una negoziazione tra azienda e dipendente, o tra
                                  53
datore di lavoro e sindacati e può variare moltissimo da azienda
ad azienda. Posso solo suggerire ai dipendenti di valutare con
accuratezza la proposta aziendale, in quanto esistono situazioni
personali molto differenti tra di loro, che possono rendere più o
meno accettabile la somma offerta.
  Un dipendente che sia vicino alla pensione può richiedere una
  somma che lo accompagni verso la maturazione del diritto alla
  stessa.
  Un lavoratore ultraquarantenne potrebbe orientarsi su due
  annualità della sua retribuzione, considerando che gli occorrerà
  molto tempo per trovare una nuova opportunità professionale.
  Un dipendente, nel caso risolva il rapporto di lavoro
  consensualmente con una transazione, che preveda il passaggio
  dall’azienda A all’azienda B (situazione tipica nelle cessioni di
  rami d’azienda), dovrà necessariamente accontentarsi di
  somme più modeste. Può essere contemplata, però, una
  diminuzione della retribuzione mensile; in questo caso la
  somma da negoziare potrebbe essere calcolata moltiplicando la
  differenza di stipendio per un certo numero di mensilità (ad
  esempio 12 – 18 ).


Questi calcoli sono solo delle ipotesi, poiché non esiste alcuna
legge o accordo sociale, che obblighi le aziende ad erogare
determinati incentivi a seguito di una risoluzione consensuale del
rapporto di lavoro.


                                54
Il lavoratore, nei casi in cui l’azienda proponga delle somme
irragionevoli, dovrà valutare se ricorrere ad un legale o meno, per
difendere il suo posto di lavoro. C’è da considerare, nelle diverse
valutazioni da fare, il caso in cui la risoluzione consensuale del
rapporto di lavoro non sia finalizzata ad una successiva procedura
di mobilità


NOTA N. 14: il lavoratore che accetta una risoluzione
consensuale senza l’inserimento in una lista di mobilità, pur
essendo a tutti gli effetti un disoccupato, perde la possibilità di
richiedere l’indennità di disoccupazione. L’INPS, a cui il
problema era già stato posto, ha chiarito l’argomento con la
Circolare del 10 Ottobre 2006


L’indennità di disoccupazione può essere richiesta anche a fronte
di una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, sole se
questa sia stata determinata:
  dal trasferimento del lavoratore ad una notevole distanza dalla
  residenza del lavoratore /o dall’ultima sede di lavoro, pari ad
  una distanza superiore a 50 km dalla residenza del lavoratore
  ovvero se la stessa è raggiungibile in un tempo superiore a 80
  km con l’utilizzo di mezzi pubblici;
  da notevoli variazioni del rapporto di lavoro conseguenti a
  cessione d’azienda.




                                55
Mi sembra, infine, importante segnalare una recente sentenza
della Corte di Cassazione relativa al verbale di conciliazione in
sede sindacale (sentenza n. 3237 del 10 febbraio 2011). Il caso in
esame si riferisce ad una risoluzione consensuale del rapporto di
lavoro, il cui verbale di conciliazione, in forza dell’art. 411 del
c.p.c., é stato dichiarato non valido, a causa della mancata
sottoscrizione del rappresentante sindacale alla presenza e
contestualmente alla sottoscrizione da parte del lavoratore.


La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’azienda che,
avversa alla sentenza della Corte di Merito, sosteneva la validità
dell’accordo firmato, anche se non sottoscritto in sede sindacale.
E’ questa una sentenza che ribadisce l’importanza di seguire la
procedura stabilita dalla legge, nella risoluzione consensuale del
rapporto di lavoro, procedura a cui devono prestare uguale
attenzione sia i datori di lavoro che i lavoratori.


Tassazione dell’incentivo all’esodo
La     tassazione   dell’incentivo        all’esodo   é   un   argomento
strettamente connesso con quello sulla risoluzione consensuale
del rapporto di lavoro; la firma di un accordo in tal senso prevede,
di norma, l’erogazione, da parte dell’azienda, di due somme di
denaro:
     una somma a titolo di corrispettivo del consenso alla
     risoluzione del rapporto di lavoro (incentivo all’esodo);


                                     56
una somma a saldo, stralcio e definitiva transazione di ogni e
  qualsiasi diritto o titolo, sino al momento dell’accordo,
  eventualmente non soddisfatto e comunque connesso con il
  pregresso rapporto di lavoro.
L’art. 19, comma 4 bis, del TUIR stabiliva che le somme
corrisposte a titolo d’incentivo all’esodo ai lavoratori che
avessero compiuto 50 anni, se donne, o 55 anni, se uomini,
dovevano essere tassate con un’aliquota pari alla metà di quella
applicata per la tassazione del TFR.


La Corte di Giustizia della Comunità Europea, nel luglio del
2005, sentenziava che tale norma risultava in contrasto con i
principi comunitari di parità di trattamento tra uomini e donne;
nel frattempo, con l’entrata in vigore del D.L. 223 del 2006, le
somme      erogate    come     incentivo    all’esodo,   venivano
successivamente tassate con la stessa aliquota del Tfr, per cui la
tassazione agevolata veniva mantenuta solamente per i rapporti di
lavoro cessati prima del luglio 2006 o per somme erogate in base
ad accordi, aventi date anteriori all’entrata in vigore del decreto
legge.


Il disposto della sentenza sulla parità di trattamento tra uomini e
donne ha portato ad un contenzioso, sviluppatosi in questi anni tra
contribuenti maschi con età compresa tra i 50 e 55 anni, aziende e
Agenzie delle Entrate, per il recupero delle somme indebitamente
versate.
                                  57
La Corte di Giustizia, nel gennaio 2008 è ritornata sul problema
della disparità di trattamento uomo-donna, affermando che
«qualora sia stata accertata una discriminazione incompatibile
con il diritto comunitario, finché non siano adottate misure volte
a ripristinare la parità di trattamento, il giudice nazionale è
tenuto a disapplicare qualsiasi disposizione discriminatoria,
senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione da parte
del legislatore, e deve applicare ai componenti della categoria
sfavorita lo stesso regime che viene riservato alle persone
dell’altra categoria».


Chiunque, sia esso uomo o donna, abbia recentemente firmato
una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro o si accinga a
farlo, sappia dunque che:


NOTA N. 15: la somma concordata come incentivo all’esodo
sarà tassata con la stessa l’aliquota del Tfr e, pertanto, è
consigliabile farsela calcolare dall’azienda, per avere una
precisa idea sulla differenza tra lordo e netto o, meglio
ancora, concordare la somma al netto.




                                58
DOMANDE E RISPOSTE


D: ho firmato la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro e,
alla data concordata con l'azienda, entrerò in mobilità. Devo
presentare l'atto di risoluzione consensuale per richiedere
l'indennità di mobilità?
R: si deve presentare l'atto, poiché questo certifica che lei ha
risolto il rapporto di lavoro con l'azienda.
D: a me e ad alcuni colleghi l'azienda ha proposto la risoluzione
consensuale del rapporto di lavoro, offrendoci un incentivo di
1000 euro, il tfr dilazionato in 4 mesi, l'indennità di
disoccupazione pari a 8 mensilità e il diritto all'iscrizione alla
lista mobilità. Ma questo non è gia previsto per legge a parte i
miseri 1000 euro?
R: fatti salvi i 1000 euro, le altre clausole sono previsioni di legge
e non rientrano nelle liberalità aziendali. Vi sono state fornite,
oltretutto informazioni errate, poiché se firmate una risoluzione
consensuale, non avrete poi diritto all'indennità di disoccupazione
e, in ogni caso, indennità di disoccupazione e indennità di
mobilità sono incompatibili. L'azienda che fa certe affermazioni o
é gestita da un incompetente o tenta di imbrogliare i dipendenti.
D: nel calcolo delle mensilità per l'incentivo all'esodo, la
retribuzione netta mensile comprende la paga base ed anche il
superminimo individuale? In pratica è il netto che mi viene
accreditato in banca? Com’è considerato, ai fini del calcolo

                                  59
dell'incentivo all'esodo, il benefit dell'auto aziendale anche per
utilizzo privato?
R: la cifra presa come riferimento, di norma, dovrebbe
comprendere solo le voci fisse della retribuzione, quindi il
superminimo individuale andrebbe calcolato. Mi risulta molto più
difficile se non impossibile che venga calcolato anche il benefit
auto.
D: l'azienda mi sta proponendo di dimettermi ad una data
stabilita, a fronte della loro disponibilità ad elargirmi una cifra
da concordare. Posso accettare, se la cifra é interessante?
R: deve accettare solo una risoluzione consensuale del rapporto di
lavoro, meglio se controfirmata in sede confindustriale davanti
alle rappresentanze di categoria.
D: vorrei proporre al mio datore di lavoro di risolvere
consensualmente il rapporto di lavoro, ma non riesco a trovare
alcun riferimento normativo sull'argomento. La risoluzione
consensuale é normata dalla legge?
R: esiste il riferimento normativo sull’atto stesso come ribadito
dalla Cassazione, ricordando che il contratto di lavoro può essere
risolto, oltre che mediante gli atti unilaterali di recesso di cui agli
art. 2118 e 2119 cod. civ., per mezzo di negozi bilaterali
riconducibili alla previsione di cui all’art. 1372, primo comma,
cod. civ..




                                    60
CONCLUSIONI



Penso e spero di averti detto tutto quello che ti potrebbe essere
utile, nel malaugurato caso la tua azienda dovesse affrontare una
situazione di crisi e ci fossero a rischio sospensione di attività o
riduzioni dei posti di lavoro. Sarei felice, come autore di questo
mini e-book, che la sua lettura servisse solamente a fare cultura e
non dovesse essere usato per gestire difficili situazioni personali.


So anche che le informazioni ed i suggerimenti inseriti nel e-book
potrebbero aiutarti in molte circostanze, ma sono cosciente che
esistono comportamenti datoriali non gestibili dal singolo
lavoratore. Concludo, dunque, questo e-book con delle brevi
osservazioni sull’eventualità di dover ricorrere ad un legale di
fiducia, per vedere difesi i propri diritti. Mi limito a pochi
suggerimenti basilari.


La certezza del diritto è un’affermazione teorica per cui non
bisogna dare mai per certo di poter vincere una causa. Non
crediate, perciò, a quei legali che danno per certa la vittoria; un
legale corretto vi parlerà di percentuali di successo o di sconfitta.
Per decidere di iniziare una vertenza contro l’azienda,
personalmente, vorrei sentirmi dire che avrò il 70-80% di
probabilità di vincere. Sotto queste percentuali c’è seriamente da

                                 61
pensare se iniziare una vertenza o meno. Prima di affidare un
incarico ad un avvocato difensore domandatevi quali documenti
avete in vostra mano e quali testimoni potreste produrre a vostro
favore. Un bravo avvocato, senza ne documenti ne testimoni a
vostro favore, avrà ben poche possibilità di aiutarvi. Sappiate,
infine, che le organizzazioni sindacali hanno delle strutture a cui
ci si può rivolgere per avere una competente assistenza legale.
Potete, se volete, rivolgervi a:
   ALAI CISL fornisce tutela contrattuale, assistenza legale a
   coloro che sono coinvolti in forme di lavoro atipiche quale
   l’interinale, le collaborazioni a progetto, le socialmente utili.
   UFFICIO VERTENZE LEGALI CGIL da ampia assistenza
   legale,   tecnica   e   contrattuale,      promuovendo,     laddove
   necessario, le opportune azioni legali davanti alla magistratura.
   L’OSSERVATORIO           UIL     è   una     particolare   iniziativa
   indirizzata a contrastare la pratica del mobbing nelle aziende.




                                   62
ALLEGATI

   Atto di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.


La Società S.p.A, con sede in ............., e la signora XY, residente
in ...............
Premesso che:
1. la Società S.p.A. ha assunto alle proprie dipendenze la Signora
   XY in data ......;
2. la Società S.p.A. ha proposto alla Signora XY la risoluzione
   consensuale del rapporto di lavoro;
3. la Signora XY si è dichiarata disponibile ad acconsentire alla
   risoluzione del rapporto di lavoro alle condizioni da lei
   richieste;
4. la Società S.p.A. ha accettato di risolvere il rapporto di lavoro
   alle condizioni concordate con la signora XY;
Convengono quanto segue:
1. il rapporto di lavoro subordinato sorto fra Società S.p.A. e la
   signora XY in data ..... sarà definitivamente risolto ed estinto,
   per espresso consenso delle parti stesse, a tutti gli effetti, in
   data ...........;
2. la Società S.p.A. si impegna a corrispondere alla signora XY,
   entro il ........., oltre alle normali competenze di fine rapporto di
   lavoro:



                                  63
2.1.la somma di Euro...... netti, a titolo di corrispettivo del
      consenso alla risoluzione del rapporto di lavoro;
   2.2.la somma di Euro ....... netti a saldo, stralcio e definitiva
      transazione di ogni e qualsiasi diritto o titolo sino ad oggi
      eventualmente non soddisfatto e comunque connesso con il
      pregresso rapporto di lavoro.
La signora XY dichiara di accettare:
1. la somma di Euro ....... netti, a titolo di corrispettivo del
   consenso alla risoluzione del rapporto di lavoro;
2. la somma di Euro ..... netti a saldo, stralcio e definitiva
   transazione di ogni e qualsiasi diritto o titolo sino ad oggi
   eventualmente non soddisfatto e comunque connesso con il
   pregresso rapporto di lavoro.
La signora XY dà, pertanto, atto alla Società S.p.A. che, con
l'avvenuto pagamento delle somme, di cui ai precedenti punti 1 e
2, essa avrà adempiuto ad ogni obbligo contrattuale e legislativo
nella di lei confronti, dichiarando di ritenersi integralmente
soddisfatta e di non aver più nulla a pretendere dalla Società
stessa e da sue consociate o collegate, sia in ordine ai titoli tutti
come sopra singolarmente specificati, così come in ordine ad ogni
altro diritto, pretesa, ragione o titolo, sorti o che possano,
comunque, sorgere in connessione con il pregresso rapporto di
lavoro    e     rinunziando,       pertanto,   definitivamente      ed
irrevocabilmente, a ciascuno dei titoli, diritti o pretese stessi, così
come ad ogni azione od eccezione intesa a farli eventualmente
valere.
                                   64
Le parti dichiarano che con il presente atto di risoluzione
consensuale di rapporto di lavoro e transazione hanno inteso
definire ed estinguere ogni reciproco loro obbligo derivante dal
pregresso rapporto di lavoro, così come ogni questione comunque
connessa     con    il   rapporto      medesimo,     essendo     stata
preventivamente tra loro esaminata e discussa. Le parti si danno,
infine, atto di aver esaminato, discusso e definito ogni questione
comunque connessa con l'intercorso rapporto di lavoro, così come
gli importi, di cui sopra, dichiarando, pertanto, che la
sottoscrizione del presente atto riveste carattere transattivo e
definitivamente abdicativo, ai sensi e per gli effetti di cui all'art.
2113 c.c. La Società S.p.A. e la signora XY sottoscrivono il
presente atto per integrale accordo e definitiva accettazione di
tutto quanto in esso previsto.


Letto firmato e sottoscritto


Località e data




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Cosa devi sapere se la tua azienda in crisi

  • 1. PIER PAOLO SPOSATO COSA DEVI SAPERE SE LA TUA AZIENDA È IN CRISI CIG – CIGS – MOBILITA’ – PENSIONE RISOLUZIONE CONSENSUALE DEL RAPPORTO DI LAVORO 1
  • 2. Sommario Introduzione pag 4 1. La Cassa Integrazione. » 7 1.1 La Cassa Integrazione ordinaria » 11 1.2 La Cassa Integrazione straordinaria » 13 1.3 La Cassa Integrazione in deroga » 16 1.4 Domande e risposte » 18 2. La pensione » 20 2.1 La pensione di anzianità » 21 2.2 La pensione di vecchiaia » 23 2.3 Ricongiunzione e totalizzazione » 26 2.4 Domande e risposte » 31 3. I processi di riduzione del personale » 33 3.1 Il licenziamento individuale » 33 3.2 I licenziamenti collettivi » 37 3.3 Il licenziamento individuale plurimo » 40 3.4 L’indennità di mobilità » 41 3.5 Domande e risposte » 46 4. La Risoluzione consensuale » 49 4.1 L’incentivo all’esodo » 51 4.2 Tassazione dell’incentivo all’esodo » 56 4.3 Domande e risposte » 59 2
  • 3. Conclusioni » 61 Allegati » 63 3
  • 4. Introduzione La crisi economica continua a produrre i suoi effetti sul mercato del lavoro e, anche se alcune statistiche sono in miglioramento, si prevede che le aziende continueranno a mettere in atto tutti gli accorgimenti necessari per migliorare la produttività e fronteggiare, con più competitività, la concorrenza globale. Ogni azienda, in funzione del proprio business, deve trovare quali sono gli strumenti più adatti per ottenere i due obiettivi succitati, ma, in linea generale, tutte tendono a ridurre il costo del lavoro, attraverso tre interventi: attivazione di processi di Cassa Integrazione Ordinaria o Speciale; riduzione del personale attraverso i licenziamenti collettivi o individuali plurimi; risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro. È ovvio che questi non sono gli unici strumenti a disposizione per migliorare la produttività e la competitività delle imprese; chi ha i mezzi e le capacità, deve investire molto sulla ricerca e sull’innovazione. C’è chi ha bisogno solamente di gestire al meglio la propria situazione finanziaria e, in questo caso, l’impatto sulla forza lavoro può essere molto limitato. Esistono, però, tutta una serie di altre iniziative, quali delocalizzazione degli 4
  • 5. impianti, processi di acquisizione, fusioni tra aziende, cambiamenti di attività che, alla fine, richiedono interventi di riorganizzazione e/o ristrutturazione delle aziende. Questi interventi, molto frequentemente, portano ad una riduzione del personale e, nuovamente, alla necessità di attivare i processi di CIG o di Mobilità. Mi sono accorto, con una certa sorpresa, che, a livello dei dipendenti, non è così diffusa, come pensavo la conoscenza delle regole che le aziende devono seguire nel mettere in atto tali processi; ancora più sorprendentemente molti lavoratori non conoscono bene i loro diritti e alcune aziende se n’approfittano per imporre soluzioni non sempre corrette. Ciò è ben evidente dalle richieste di aiuto che ricevo sul mio blog Il lavoro dipendente. Chi volesse investire un poco di tempo, e andare a vedere i commenti che ricevo, avrebbe la controprova di quanto affermo. Esistono tre possibili spiegazioni per questa situazione: mancano o non sono operative strutture sindacali competenti a livello della piccola/media industria; le tante informazioni che sono reperibili sul web, non sono sempre facilmente interpretabili e, frequentemente non sono aggiornate, con il mutare delle leggi; 5
  • 6. manca, comunque, un quadro organico, che chiarisca, in un’unica fonte, tutti gli aspetti connessi con la sospensione o interruzione del rapporto di lavoro. Prendere una decisione se accettare o no una proposta aziendale, se impugnare l’essere inseriti nella Cassa Integrazione o in Mobilità, richiede, sempre, la conoscenza di diverse informazioni quali: come agiscono i criteri di scelta dei dipendenti; il valore delle somme che si percepiscono in Cassa Integrazione o in Mobilità e per quanto tempo; come dovrebbe essere sottoscritta una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro; quanto tempo manca alla maturazione del diritto alla pensione. Non è sempre possibile, di questi tempi, evitare di trovarsi nel bel mezzo di crisi aziendali e subirne gli effetti; troverai, però, in questo ebook, tutte le informazioni necessarie, per valutare se le decisioni ed i comportamenti del datore di lavoro e dei sindacati rispettano o meno le leggi che disciplinano tali situazioni. 6
  • 7. 1° CAPITOLO LA CASSA INTEGRAZIONE Iniziamo il nostro percorso, con il prendere in considerazione le tematiche relative alla Cassa Integrazione, che rappresenta il caso in cui il rapporto di lavoro viene sospeso e non risolto in maniera definitiva. La Cassa Integrazione Guadagni (da adesso CIG) fa parte di quegli interventi definiti come « prestazioni a sostegno del reddito ». La stessa definizione ci dice che questi interventi sono stati studiati per far arrivare un aiuto economico a quei lavoratori, che, essendo dipendenti di aziende in crisi, potrebbero andare incontro ad una perdita del salario, per periodi più o meno lunghi. Considerato, però, che le crisi aziendali possono avere cause molto diverse, lo Stato ha individuato due tipologie di Cassa Integrazione: la Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria (CIGO) e la Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (CIGS). La CIGO è prevista nel caso l’azienda stia subendo una contrazione dell’attività produttiva dovuta ad una delle seguenti cause: situazioni temporanee che non siano responsabilità del datore di lavoro o dei lavoratori; situazioni temporanee di mercato; problemi stagionali causati dal maltempo. 7
  • 8. Avrai notato che in tutti e tre i casi é sottolineato l’aspetto temporaneo della crisi; ciò significa che, per quanto esista una situazione difficile, l’azienda non mette in discussione i posti di lavoro. NOTA N. 1: l’attivazione della CIGO è prevista per quelle aziende che, a fronte di crisi temporanee, devono sospendere, parzialmente o totalmente, l’attività lavorativa di una parte dei propri dipendenti. L’INPS, durante il periodo di CIGO, eroga un’integrazione salariale a favore dei lavoratori, sospesi dall'obbligo di eseguire la prestazione lavorativa o che lavorano ad orario ridotto. Le aziende, nella pratica, accedono ad un fondo costituito presso l’INPS, attraverso contributi fissi a carico dei datori di lavoro, ed erogano loro stesse l’integrazione ai dipendenti sospesi. Si viene, in questo modo, incontro alle aziende che si trovano in momentanea difficoltà, sollevandole in parte dei costi della manodopera temporaneamente non utilizzata. Le aziende, da parte loro, s’impegnano, al termine del periodo di crisi, a ristabilire la normale attività lavorativa e le conseguenti retribuzioni, poiché è certa la ripresa dell’attività produttiva. Diverso è il caso per la CIGS, che viene utilizzata se l’azienda sta attraversando una crisi strutturale, non temporanea, al punto che si prevede una definitiva 8
  • 9. riduzione degli organici. Le aziende ricorrono alla CIGS nei seguenti casi: ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione industriale; permanente stato di crisi fallimento dell’azienda, liquidazione coatta, concordato fallimentare e concordato preventivo. Le aziende, a differenza di quanto accade nei processi di CIGO, non assicurano, al termine del periodo di CIGS, il rientro di tutti i lavoratori; è previsto, per contro che, esauriti i tentativi di riassorbire il personale, l’azienda potrà ricorrere a licenziamenti collettivi, ponendo in mobilità tutti i dipendenti rimasti senza posto lavoro. Queste sono le premesse per inquadrare l’argomento; è necessario, però, analizzare i due processi in dettaglio, stante le tante variabili che vanno considerate. Farò solo un rapido cenno a quelli che sono gli obblighi delle imprese da un punto di vista procedurale; voglio, infatti, focalizzare la tua attenzione su quegli aspetti decisionali e comportamentali, dei sindacati e dei datori di lavoro, che possono influenzare la scelta dei dipendenti da porre in CIG o mobilità. Le aziende, ricevendo un aiuto dall’esterno, devono, ovviamente, seguire una procedura che è simile sia per attivare la CIGO che per la CIGS; s’inizia con una consultazione sindacale, seguita, di 9
  • 10. norma da un esame congiunto della richiesta aziendale, esame che deve esaurirsi in un determinato periodo di tempo. Il datore di lavoro deve, poi, presentare la domanda ad una Commissione, appositamente costituita presso l’INPS e, solo dopo la sua approvazione, potrà procedere a sospendere i dipendenti dall’attività lavorativa. La procedura per la CIGS è un poco più complessa, dato che il fondo per la sua gestione è finanziato dallo Stato; anche in questo caso le operazioni iniziano con le consultazioni sindacali, ma il piano aziendale deve contenere oltre ai criteri di scelta e al numero di dipendenti coinvolti e (similmente alla CIGO), anche le modalità di rotazione degli stessi. La domanda va presentata alla Provincia, o alla Regione o al Ministero del Lavoro, a seconda se l’impresa ha le proprie unità ubicate solo a livello provinciale, o a livello regionale o su tutto il territorio nazionale; l’eventuale approvazione é concessa dal Ministero del Lavoro, tramite apposito decreto. Ti avverto che sarebbe necessario fare dei distinguo, poiché le procedure prevedono obblighi e clausole che non ho qui riportato; come avevo premesso l’e-book non è pensato per i datori di lavoro, ma per aiutare i dipendenti a capire se, nei loro confronti, vengono adottati provvedimenti rispettosi delle norme di legge , o vengono tentati illeciti e soprusi. 10
  • 11. 1.1 Cassa integrazione guadagni ordinaria La prima preoccupazione di qualunque lavoratore, in aziende in crisi, è quella di capire se e come cambierà la sua situazione economica, una volta che sia posto in cassa integrazione e quali riflessi avrà sulla sua vita, nell’immediato futuro. Vediamo, allora, gli aspetti che sono di tuo interesse come, ad esempio, a quali aziende si applica, quali dipendenti ne possono usufruire, quali sono i criteri di scelta, per quanto tempo si può stare in CIG, quale é l’assegno d’integrazione salariale ecc. Il primo punto da evidenziare è che, purtroppo, non tutte le imprese e non tutti i lavoratori possono utilizzare questo ammortizzatore sociale, in caso di crisi aziendale. È, dunque, importante sapere quali sono i settori produttivi ammessi ad usufruire della CIGO e con quali regole; mi limiterò a chiarire i criteri generali e, nel caso tu avessi la necessità di approfondire questo aspetto, ti suggerisco di consultare il sito dell’INPS dove sono dettagliati tutti i comparti, autorizzati ad utilizzare la CIGO. È, in ogni modo, necessario verificare sempre se si è in possesso d’informazioni aggiornate, poiché le leggi cambiano; i dipendenti ammessi alla CIGO, al momento in cui si sta scrivendo l’e-book, sono: operai, impiegati e quadri del settore industria; 11
  • 12. operai, impiegati e quadri del settore edilizia. Il secondo aspetto, che definisce i contorni della Cassa Integrazione, si riferisce al trattamento corrisposto ai dipendenti, durante il periodo di sospensione dell’attività. L’azienda può, infatti, decidere di porre i dipendenti in Cassa Integrazione a zero ore, sospendendo completamente l’attività, oppure procedendo con una riduzione parziale; nel primo caso l’azienda non erogherà alcuna retribuzione ed il dipendente riceverà un’indennità pari al 80% della sua retribuzione lorda. Il dipendente, nel secondo caso, riceverà una parte di retribuzione per le ore lavorate ed una parte d’indennità, pari al 80% della retribuzione persa per le ore non lavorate. L’ammontare lordo così determinato subisce una trattenuta del 5,84%; ogni anno, inoltre, viene stabilito un ammontare massimo del trattamento d’integrazione salariale, ammontare che può avere due valori a seconda se il salario del dipendente è inferiore o superiore ad una cifra, anch’essa determinata anno per anno. Le aziende del settore industriale sono autorizzate all’attivazione della CIGO per un periodo di 13 settimane, prorogabile fino ad un massimo di 52; quelle del settore edilizio hanno le stesse procedure, ma la proroga è concessa solo se hanno applicato la riduzione e non l’azzeramento dell’orario di lavoro. 12
  • 13. 1.2 Cassa integrazione guadagni straordinaria Vorrei anteporre all’approfondimento sulla CIGS un messaggio, rivolto ai dipendenti, ai sindacati e agli organi istituzionali, che si trovassero a subire o valutare una richiesta aziendale per l’attivazione di questo ammortizzatore sociale. È necessario porre molta attenzione, poiché esistono casi per i quali si prospetta un uso distorto della CIGS che, come abbiamo anticipato, spetta agli operai, impiegati e quadri, in caso di ristrutturazione, di riorganizzazione, di conversione e di crisi aziendale. Nessun dubbio che, in condizioni di reale crisi, le aziende possano utilizzare degli strumenti di flessibilità, per poter ristrutturare o riconvertire la propria organizzazione e, se possibile, riprendere la propria attività. Esistono, però, dei casi dove la cassa integrazione straordinaria viene richiesta anche quando questa crisi non esiste; mi riferisco a processi di acquisizione e fusione, decisi a livello internazionale fra aziende multinazionali, che si ripercuotono in Italia e che possono portare alla perdita di posti di lavoro nelle consociate italiane delle multinazionali interessate. Gli episodi più eclatanti riguardano imprese multinazionali che, con l’obiettivo di conquistare sempre più alte posizioni di mercato e, disponendo di grandi liquidità, decidono di acquisire o fondersi con aziende, caratterizzate da listini e clienti ad alto potenziale. 13
  • 14. È chiaro, però, che le aziende acquirenti non sono interessate ad incamerare anche le strutture delle aziende acquisite, quindi, laddove possibile, mettono in atto processi di ristrutturazione mirati ad allontanare il personale di questa ultime. L’obiettivo è, di norma, raggiunto, attuando una serie di processi di cassa integrazione straordinaria, seguiti da una procedura di mobilità magari incentivata. Il problema sta nel fatto che, in alcuni casi, le consociate italiane di queste aziende multinazionali non sono in crisi e, dunque, è lecito domandarsi per quale motivo debbano ricevere un’autorizzazione ad attivare una procedura di CIGS. Nessuno può negare a qualunque azienda il diritto di procedere con fusioni, acquisizioni, ristrutturazioni, ma non é socialmente accettabile che le ripercussioni di questo diritto ricadano sulle spalle di lavoratori a migliaia di chilometri di distanza dai luoghi dove certe decisioni sono maturate e che, malgrado operino in aziende locali fondamentalmente sane, debbano perdere i loro posti di lavoro. Vediamo, ora, così come abbiamo fatto per la CIGO, chi può usufruire di questo ammortizzatore sociale, per quanto tempo e con quali caratteristiche. Riporto integralmente la definizione che si trova nel sito dell’INPS, poiché inquadra perfettamente 14
  • 15. l’obiettivo che lo Stato vuole raggiungere, autorizzando le aziende ad utilizzare questa prestazione a sostegno del reddito. NOTA N. 2: la CIGS è una prestazione economica erogata dall’INPS, per integrare o sostituire la retribuzione dei lavoratori, al fine di fronteggiare gravi situazioni di eccedenza occupazionale, che potrebbero portare a licenziamenti di massa. Faccio notare che la prima intenzione di una procedura di CIGS é quella di salvare dei posti di lavoro e, dunque, è molto più ampia, rispetto alla CIGO, la popolazione dei lavoratori di datori di lavoro che può usufruire di questa procedura. Esiste però, per i datori di lavoro un prerequisito fondamentale: NOTA N. 3: possono accedere alla CIGS solo quelle aziende che hanno occupato, nel semestre precedente alla richiesta, più di 15 dipendenti. Tutti i settori produttivi sono, in pratica, compresi nell’elenco di chi può invocare un procedimento di CIGS e, a livello dei lavoratori, rimangono esclusi solo pochissime categorie quali i dirigenti, gli apprendisti, i lavoratori a domicilio e quelli con contratto d’inserimento. Il trattamento corrisposto ai dipendenti in CIGS è definito con le stesse regole, le stesse condizioni e la stessa tassazione prevista per la CIGO. La durata della CIGS è, 15
  • 16. invece, variabile secondo le condizioni che hanno portato alla sua attivazione: 24 mesi, eventualmente prorogabili di ulteriori 12 mesi per due volte, in caso di ristrutturazione, riconversione e riorganizzazione aziendale: 12 mesi prorogabili di ulteriori 12 mesi in caso di crisi aziendale; 12 mesi eventualmente prorogabili di ulteriori 6 mesi in caso di procedure concorsuali. 1.3 Cassa Integrazione in deroga È necessario, per completare il quadro degli interventi di CIG, fare un cenno anche alla procedura della Cassa Integrazione in deroga. Questa procedura si applica ad una serie di realtà imprenditoriali non prese in considerazione dalla CIG ordinaria ed individuate da specifici accordi tra governo e regioni. Le aziende destinatarie di questa particolare cassa integrazione sono le artigiane, le industriali che impiegano sino a 15 dipendenti, quelle che, pur rientrando nei criteri della CIG ordinaria, devono sospendere i lavoratori apprendisti e, infine, quelle che hanno esaurito gli strumenti ordinari o la cassa integrazione guadagni straordinaria per crisi aziendale. NOTA N. 4: la CIG in deroga spetta a tutti i lavoratori subordinati, compresi gli apprendisti, quelli con contratto di 16
  • 17. somministrazione e lavoranti a domicilio, ma rimangono, sempre, esclusi i dirigenti. I lavoratori, per accedere alla CIG in deroga, devono rispondere alle seguenti condizioni: avere un’anzianità lavorativa, nell'azienda che richiede il trattamento, di almeno 90 giorni alla data della richiesta; aver dato la propria immediata disponibilità al lavoro o, in alternativa ad un percorso di riqualificazione professionale; tale dichiarazione va presentata presso il centro per l'impiego competente. Il lavoratore, in caso di rifiuto, perde il diritto alla prestazione. La durata della CIG in deroga è stabilita dagli accordi con le regioni, ma, di solito, non supera i 12 mesi. L’indennità è calcolata con gli stessi criteri visti per la cassa integrazione ordinaria. 17
  • 18. DOMANDE & RISPOSTE D: l’azienda ha comunicato che aprirà una procedura di mobilità per un gruppo di dipendenti, senza aver prima richiesto la CIGS. È possibile? R: in determinati casi, quando è dimostrabile che l’azienda deve necessariamente ricorrere ad una riduzione del personale, è possibile aprire immediatamente una procedura di mobilità. D: perché l'azienda dovrebbe pagare un dipendente per chiudere il contratto di lavoro, quando potrebbe lasciarlo in cassa integrazione straordinaria e pagare molto meno? Perché conviene all'azienda offrire dei soldi e fino a che limite gli conviene? Che scomodità procura un dipendente in cassa integrazione straordinaria? R: se l'azienda sta offrendo incentivi all'esodo, prima del termine della CIGS, può significare che ritiene di dover procedere ad una riduzione del personale. Adottare delle risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro e procedure di mobilità volontaria le faciliterebbe molto tale processo. D: a seguito di un processo di acquisizione, sono stato messo in CIGS a zero ore, ma le mie mansioni sono svolte da dipendenti della società acquirente. Esistono i presupposti per l'impugnazione del provvedimento di CIG? R: se lei è stato messo in CIGS, la sua mansione o dovrebbe risultare, al momento, non operativa o smembrata ed affidata a diversi dipendenti; nel caso risultasse affidata ad un singolo 18
  • 19. dipendente della nuova azienda, lei potrebbe chiedere la verifica sul rispetto dei criteri per la scelta dei lavoratori da porre in CIGS. Potrebbe chiedere il reintegro, ovviamente tramite un legale, laddove i criteri (anzianità aziendale, carichi di famiglia e parametro tecnico organizzativo) non fossero stati rispettati. D: l’azienda è tenuta per legge ad usare prima tutti gli strumenti necessari per mantenere posto di lavoro, tipo CIG, o tramite gli incentivi all'esodo può licenziare alcuni dipendenti e poi, se la situazione peggiora, andare in CIG per restanti dipendenti? R: qualunque azienda può proporre la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro ad un dipendente in qualunque momento, laddove il lavoratore sia dia disponibile, a fronte di un soddisfacente accordo economico. Questo é un libero accordo tra le parti, per cui nulla vieta all'azienda di verificare se ci sono dipendenti disposti a risolvere il rapporto di lavoro, indipendentemente dall'apertura di una procedura di CIG. E' ovvio che il lavoratore deve trovare delle convenienze economiche in questa operazione. D: la Cassa Integrazione può essere avviata senza la previsione di una successiva procedura di Mobilità? R: Certamente, poiché questo significherebbe che l'azienda, dopo il periodo di CIG, non intende operare una riduzione di personale. 19
  • 20. 2° CAPITOLO LA PENSIONE Ti starai domandando per quale motivo ho inserito un capitolo dedicato alla pensione in un testo che tratta degli ammortizzatori sociali; la pensione non è una prestazione a sostegno del reddito, ma, in certi procedimenti di riduzione del personale, si rende necessario conoscere molto bene le leggi che ne regolano la maturazione del diritto ed il successivo percepimento. Alcuni processi di mobilità, come vedremo in seguito, considerano, come criterio d’inclusione nelle liste, il tempo alla pensione; certe aziende, nei processi di riorganizzazione, propongono ai dipendenti la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, a fronte dell’erogazione di un incentivo all’esodo. Questa proposta, spesso, è rivolta a lavoratori con un’anzianità contributiva sufficientemente vicina a quella necessaria per la maturazione del diritto alla pensione, in un tempo relativamente breve, o durante il periodo di mobilità. Esistono infine procedimenti di licenziamento collettivo nei quali, previo accordo con i sindacati, la volontarietà viene considerata come criterio di scelta del personale da porre in mobilità; anche in questo caso molti volontari sono dipendenti, che potrebbero accedere alla 20
  • 21. pensione nel volgere di qualche anno. Il problema è che certi calcoli non sono sempre semplici da effettuare, a cui si aggiunge la continua evoluzione delle leggi che regolano l’accesso alla pensione. NOTA N. 5: accertate sempre accuratamente la vostra posizione pensionistica, prima di accettare qualunque proposta di mobilità volontaria o di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. 2.1 Pensione di anzianità La pensione di anzianità è una prestazione economica, erogata dall’assicurazione generale obbligatoria, la quale può essere ottenuta, indipendentemente dal compimento del 65° anno di età, seppure sia richiesto il raggiungimento di determinati requisiti. Nessuna attività lavorativa, se non di natura autonoma o parasubordinata, può essere svolta al percepimento della pensione di anzianità. Le leggi, che si sono succedute nel tempo sul tema delle pensioni, hanno profondamente modificato questo istituto; è oggi in vigore il così detto« sistema delle quote », secondo il quale il diritto alla pensione di anzianità si matura, quando si raggiunge una determinata quota, come somma dell’età anagrafica e dell’anzianità contributiva. Fermo restando il requisito minimo di 35 anni di contribuzione, il sistema è, peraltro, in evoluzione, 21
  • 22. poiché sono previste quote crescenti, variando, nel tempo il minimo requisito anagrafico: minimo 60 anni di età e quota 96 dal 1.1.2011 al 31.12.2012; minimo 61 anni di età e quota 97 a partire dal 1.1.2013 Questa progressione vale per il lavoratori dipendenti; per i lavoratori autonomi le quote richieste sono più alte: minimo 61 anni di età e quota 97 dal 1.1.2011 al 31.12.2012; minimo 62 anni di età e quota 98 a partire dal 1.1.2013 Si matura, in alternativa, il diritto alla pensione al raggiungimento dei 40 anni di contribuzione, indipendentemente dall’età anagrafica. Le recenti modifiche apportate alle procedure di pensionamento hanno introdotto un altro elemento, che riveste grande importanza, per chi risolve il rapporto di lavoro, considerando come criterio decisionale il tempo alla pensione. NOTA N. 6: i lavoratori, a partire dal 1.1.2011, potranno percepire la pensione dopo 12 mesi dalla maturazione del diritto, se la pensione è liquidata dal FPLD 1 o dai fondi pensione sostitutivi l’Assicurazione Generale Obbligatoria; dovranno attendere, invece, 18 mesi dalla maturazione del diritto, se la pensione è liquidata dalle gestioni speciali dei lavoratori autonomi. 1 Fondo pensione lavoratori dipendenti 22
  • 23. Vale ancora il così detto sistema delle « finestre », definito nella pregressa procedura, per una serie di situazioni per le quali si rendeva necessario salvare i diritti acquisiti: lavoratori che, essendosi accordati con le aziende per risolvere il rapporto di lavoro, erano nel periodo di preavviso al 30 giugno 2010: lavoratori che, per raggiunti limiti di età, non potrebbero più svolgere una specifica attività lavorativa. Mi sembra inoltre importante rassicurare, seppure nel limite massimo consentito dalla legge di 10.000 unità, tutti quei dipendenti che, sulla base di accordi sindacali, risultavano: collocati in mobilità ordinaria alla data del 30 Aprile 2010; collocati in mobilità lunga alla data del 30 Aprile 2010. Anche per questi lavoratori varranno le finestre stabilite nella previgente procedura. 2.2 Pensioni di vecchiaia La pensione di vecchiaia, a differenza di quella di anzianità, si matura al raggiungimento di una determinata età anagrafica e dell’accreditamento di un numero minimo di contributi; i requisiti, però, variano a seconda del sistema con cui verrà liquidata la pensione. Ti faccio presente, a meno che tu non sia già informato, che la pensione, in funzione dei contributi maturati alla data del 31 Dicembre 1995, potrà essere calcolata con il sistema retributivo, o contributivo, o misto. Ti consiglio, se hai 23
  • 24. bisogno di approfondire l’argomento, di visitare il sito dell’INPS dedicato al calcolo delle pensioni. Vediamo allora i requisiti richiesti, secondo le diverse condizioni d’impiego e di trattamento pensionistico spettante: maturazione del diritto con 65 anni di età se uomini, 60 se donne e con 20 anni di anzianità contributiva (15 anni se già in servizio alla data del 31 Dicembre 1992). Queste condizioni valgono sino al Gennaio 2015 per chi potrà andare in pensione con il sistema retributivo o misto; maturazione del diritto con 65 anni di età se uomini, 60 se donne e con minimo 5 anni di anzianità contributiva. Queste condizioni valgono sino al Gennaio 2015 per chi dovrà andare o preferirà andare in pensione con il sistema contributivo; maturazione del diritto con 61 anni di età se dipendenti donne del settore pubblico. È necessario aggiungere allo schema semplificato di cui sopra altre informazioni che riguardano chi andrà in pensione con il sistema contributivo, avendo iniziato a lavorare e, dunque, a versare contributi dopo il 31 Dicembre 1995. Viviamo, dal punto di vista pensionistico, in un periodo in cui sussistono i tre differenti regimi (retributivo, contributivo e misto), ma nel 1995 fu promulgata una legge che introduceva, per questa popolazione di lavoratori, una profonda innovazione. Non si prevedeva più 24
  • 25. una distinzione tra pensione di anzianità e pensione di vecchiaia, ma si istituiva un trattamento pensionistico definito, in modo univoco, pensione di vecchiaia. Si sono succeduti, nel tempo, diversi adeguamenti a questa legge, per effetto dei quali i lavoratori, la cui pensione sarà calcolata con il sistema contributivo, raggiungono il requisito per la nuova pensione di vecchiaia, non solo al compimento del 65° anno di età, ma, anche, al raggiungimento dei requisiti previsti per la vecchia pensione di anzianità. Vediamo di riassumere una materia complicata ed in continua evoluzione: va in pensione con il sistema retributivo chi poteva vantare 18 anni di contributi al 31 Dicembre 1995; va in pensione con il sistema misto che poteva vantare meno di 18 anni di contributi al 31 Dicembre 1995; va in pensione con il sistema contributivo chi ha iniziato a versare contributi solo dopo il 31 Dicembre 1995, o chi sceglie liberamente questo trattamento. I lavoratori, anche per la pensione di vecchiaia, conseguono il diritto al percepimento della stessa, trascorsi 12 mesi dalla data di maturazione dei requisiti anagrafici e contributivi, se dipendenti e 18 mesi se autonomi. Esistono poi tutta una serie di trattamenti particolari e di deroghe a quanto sopra detto, ma rimando per questo alla specifica pagina sul portale dell'INPS. 25
  • 26. Sono cosciente che questi due paragrafi sulle pensioni di anzianità e di vecchiaia non esauriscono tutto ciò che ci sarebbe da spiegare in campo pensionistico; la materia non solo è complessa ma, come già detto, in continua evoluzione, al punto che, dopo il Gennaio 2015, i requisiti per la nuova pensione di vecchiaia verranno aggiornati, con cadenza triennale, in base agli incrementi della speranza di vita calcolati dall'Istat. Lo stesso dicasi per i requisiti richiesti alle lavoratrici del pubblico impiego, requisiti che cambieranno, già con il gennaio 2012. L’obiettivo che mi ero posto non era, però, quello di fare un trattato sul sistema pensionistico Italiano, ma di sensibilizzare quei lavoratori, con tempi alla pensione relativamente brevi, a porre molta attenzione nel caso dovessero affrontare processi di mobilità o risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro con incentivi all’esodo. È importante, in questi casi, capire se le proposte aziendali assicurano una sufficiente copertura economica per il periodo di tempo che si dovrà attendere, prima di arrivare a percepire la pensione. Credo e spero che, con le informazioni succitate, tu, in casi di necessità, sia in grado di valutare la correttezza e convenienza delle proposte ricevute. 2.3 Ricongiunzione e totalizzazione E’ ormai molto frequente che un lavoratore, giunto alla maturazione del diritto alla pensione, si trovi con dei contributi pensionistici versati in diversi enti previdenziali o nello stesso 26
  • 27. ente con periodi di discontinuità; si pone in questi casi il problema se e come sia possibile procedere con la ricongiunzione dei diversi contributi pensionistici per poter ottenere un’unica pensione. La situazione va studiata secondo tre parametri: possibilità di procedere con la ricongiunzione; valutazione degli eventuali costi; convenienza economica. È necessario chiarire immediatamente che, in effetti, si può procedere con due diversi sistemi per mettere a frutto tutti i contributi versati: la ricongiunzione vera e propria o la totalizzazione dei contributi pensionistici. NOTA N. 7: la ricongiunzione é la riunificazione presso un unico ente dei periodi assicurativi maturati dal lavoratore in differenti settori di lavoro. Lo scopo é quello di ottenere un un’unica pensione, calcolata su tutti i contributi pensionistici versati nei diversi enti previdenziali. Un dipendente, iscritto ad un ente pensionistico, può ricongiungere, presso lo stesso ente, tutti i contributi accumulati in periodi diversi, effettuando in tal modo la così detta ricongiunzione passiva. Può ugualmente decidere di trasferire nell’ente stesso i contributi versati, in periodi precedenti o coincidenti, presso altre gestioni previdenziali, procedendo in pratica ad una ricongiunzione attiva. Solo i seguenti contributi pensionistici si possono ricongiungere: 27
  • 28. dallo Stato al fondo pensioni lavoratori dipendenti (FPLD), costituito presso l’Inps. La possibilità di ricongiunzione è data a tutti i dipendenti degli enti pubblici a condizione che siano cessati dal servizio senza aver maturato il diritto a pensione; da altri fondi al fondo pensioni lavoratori dipendenti. La possibilità di ricongiunzione è data a tutti i dipendenti iscritti ad una o più casse pensionistiche allo scopo di ottenere un’unica pensione anche se il lavoratore non è mai stato iscritto all’Inps; dall’Inps ad altri fondi. La possibilità di ricongiunzione è data a tutti i dipendenti iscritti all’Assicurazione Generale Obbligatoria allo scopo di ottenere un’unica pensione a condizione che il lavoratore sia iscritto, all’atto della domanda, al fondo presso il quale intende trasferire la contribuzione, oppure lo sia stato per almeno 8 anni; dalle gestioni autonome al fondo pensioni lavoratori dipendenti. La possibilità di ricongiunzione è data a tutti i lavoratori autonomi, allo scopo di ottenere un’unica pensione, a condizione che il lavoratore, dopo l’iscrizione nella gestione autonoma, possa far valere almeno 5 anni d’iscrizione al fondo pensioni lavoratori dipendenti presso il quale intende trasferire la contribuzione. Il ricongiungimento può essere più o meno oneroso, secondo gli spostamenti richiesti; i calcoli sono complessi e, in caso di necessità, è meglio rivolgersi all’Inps o ad alcuni patronati che 28
  • 29. possiedono i software per effettuare delle proiezioni sufficientemente attendibili. Cito ad esempio il patronato Acli, ed il patronato Inca. Il ricongiungimento permette di ricevere un’unica pensione, calcolata con le regole del fondo presso cui si sono fatti confluire i contributi. NOTA N. 8: la totalizzazione permette, a chi ha versamenti in diversi fondi non sufficienti a maturare il diritto alla pensione, di cumulare i diversi periodi assicurativi per conseguire la pensione di vecchiaia o di anzianità. Sono interessati alla totalizzazione in particolare i co.co.co e co.co.pro, inscritti alla gestione separata INPS, per i quali non si poteva procedere con la ricongiunzione. Possono richiedere la totalizzazione dei contributi pensionistici i lavoratori iscritti: a due o più forme di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti; alle forme sostitutive, esclusive ed esonerative dell’assicurazione generale obbligatoria; alle forme pensionistiche obbligatorie gestite dagli Enti previdenziali privatizzati; agli appositi albi o elenchi, gestiti dagli Enti previdenziali privati; alla gestione separata dei lavoratori parasubordinati; 29
  • 30. al fondo di previdenza per il clero secolare e per i ministri di culto delle confessioni religiose diverse dalla cattolica. I periodi assicurativi da ricongiungere, che non possono essere coincidenti temporalmente, devono aver una durata di almeno tre anni. La pensione sarà calcolata sul totale dei contributi maturati, ed ogni fondo pensione erogherà la quota parte di sua competenza. La domanda va, ovviamente, fatta al momento in cui si va in pensione e presentata al fondo in cui si sono versati gli ultimi contributi. La totalizzazione dei contributi é completamente gratuita ma il calcolo dell’anzianità contributiva e della pensione da liquidare ( calcolo molto complesso), fanno sì che in alcuni casi e quando possibile, sia più conveniente procedere con la ricongiunzione, anche se onerosa. Queste considerazioni possono venire utili a chi, temendo od intuendo di potersi trovare, prima o poi, ad affrontare una crisi della propria azienda, sarebbe in condizione di anticipare la valutazione di operazioni di ricongiungimento o di totalizzazione dei contributi versati. 30
  • 31. DOMANDE & RISPOSTE D: mi é stato proposto di risolvere il rapporto di lavoro e di aderire volontariamente alla mobilità, durante la quale dovrei maturare il diritto alla pensione. Cosa succederebbe se, nel frattempo, venissero cambiati i criteri di accesso alle pensioni? R: l’azienda dovrebbe darsi disponibile a rivedere l'accordo sottoscritto, per individuare soluzioni alternative qualora al termine del periodo di mobilità si verificasse l’impossibilità di accesso alla pensione, per sopravvenute modifiche legislative. Questo impegno dovrebbe essere riportato nel verbale di conciliazione. D: mi é stato detto che la ricongiunzione dei contributi INPDAP con i contributi versati al FLDP, non é più gratuita. Le risulta che sia vero? Ho consultato il sito dell'INPS, ma non ho trovato nulla a tale proposito. R: le ricongiunzioni, le cui domande sono state presentate dopo il 1/7/2010, per effetto della legge 122/2010, non sono più gratuite. D: durante il periodo di mobilità, per effetto dei contributivi figurativi, raggiungerò i 40 anni di contribuzione. L'indennità di mobilità mi verrà erogata solo sino al raggiungimento dei 40 anni di contribuzione o sino all'effettivo percepimento della pensione? R: le norme che disciplinano l'apertura delle nuove finestre pensionistiche, si dovrebbero applicare anche ai lavoratori in mobilità che raggiungono il requisito pensionistico, dal 1 gennaio 2011 in avanti. Questi lavoratori, con la nuova normativa, 31
  • 32. sarebbero costretti ad attendere 12 mesi, dalla maturazione dal requisito pensionistico, per poter ottenere l’assegno relativo alla pensione. L’articolo 12, comma 5, della Legge 122/2010, afferma che solo 10.000 lavoratori, tra quelli posti in mobilità, potranno beneficiare delle vecchie finestre di uscita: sarà l’INPS a monitorare le relative domande per la compilazione della lista in questione. Tale situazione, che potrebbe riguardare moltissimi lavoratori posti in mobilità in tutta Italia, ha costretto il governo a riconsiderare quanto sopra e con la legge 220 del 2010, ha stabilito che il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, nei limiti delle risorse disponibili del Fondo sociale per occupazione e formazione, può disporre la concessione del prolungamento dell'indennità di mobilità, per il periodo di tempo necessario al raggiungimento della decorrenza del trattamento pensionistico: con questa soluzione si eviterebbe il verificarsi di periodi di vuoto, in cui non si percepirebbe più l’indennità di mobilità e non si avrebbe ancora diritto a percepire la pensione. E' dunque necessario riferirsi necessariamente agli uffici dell'INPS per ottenere delle precise informazioni di carattere personale. 32
  • 33. 3° CAPITOLO I PROCESSI DI RIDUZIONE DEL PERSONALE Lo scopo di questo capitolo è quello di introdurti ad una materia difficile, quale quella dei licenziamenti, poiché, nei momenti di crisi, le aziende possono legalmente ricorrere a quelli che vengono definiti licenziamenti collettivi e licenziamenti individuali plurimi. Occorre, per comprendere bene le differenze, introdurre l’argomento dei licenziamenti individuali propriamente detti, in quanto, frequentemente, si tende a confondere questi con quelli adottabili nelle aziende in crisi, per effettuare delle riduzioni di personale. Alcuni datori di lavoro disonesti giocano sull’equivoco, minacciando licenziamenti, che in effetti, non potrebbero mai adottare; capiamo dunque bene le differenze. Licenziamento individuale Mi sono accorto, dai commenti ricevuti sul mio blog che, a livello dei dipendenti, ci sono scarse conoscenze delle problematiche relative al licenziamento individuale; in particolare non sono chiare le differenze tra tutela reale e tutela obbligatoria, nel caso il licenziamento si rivelasse illegittimo. 33
  • 34. Lungi da me nel credere di poter fornire, in poche righe, una completa analisi dell’argomento, riassumo, per chi avesse bisogno di chiarimenti, gli aspetti fondamentali del problema. NOTA N. 9: il licenziamento individuale, intimato al di fuori di processi di riduzione del personale, se non é motivato dalla giusta causa o da un giustificato motivo oggettivo/soggettivo, é illegittimo. È, però, necessario, dal punto di vista legale, fare delle distinzioni in quelle che sono le dimensioni dell’azienda e le conseguenze per il datore di lavoro, a seconda che si tratti di dipendenti sotto tutela obbligatoria o tutela reale del posto di lavoro. Le aziende, che hanno fino a 15 dipendenti (fino a 5 se aziende agricole) e che sono sotto il regime della così detta tutela obbligatoria del posto di lavoro, possono licenziare i dipendenti anche per oggettive esigenze organizzative o produttive, comunicando per iscritto il licenziamento. Il dipendente ha tempo 15 giorni, dal ricevimento della comunicazione, per richiedere al datore di lavoro i motivi del licenziamento; l’azienda ha, a sua volta, tempo 7 giorni per rispondere a tale richiesta. Il dipendente, attraverso un proprio legale, potrà presentare ricorso contro il licenziamento e, nel caso questo fosse riconosciuto illegittimo, l’azienda potrà essere condannata, a scelta del datore di lavoro: 34
  • 35. alla riassunzione del dipendente; al pagamento di una somma, a titolo di indennità, variabile da un minimo di 2,5 ad un massimo di 14 mensilità, a seconda di elementi presi in considerazione dal giudice, quali l’anzianità del dipendente, le dimensioni dell’azienda ecc. È inutile dire che, ben difficilmente, il datore di lavoro opterà per la riassunzione del lavoratore. E’ importante considerare una regola che vale per qualunque tipo di licenziamento; questo é da considerarsi inefficace (non illegittimo) se: é stato intimato senza la forma scritta; l’azienda non ha risposto alla richiesta di motivare il licenziamento; l’azienda ha risposto con ritardo alla richiesta di motivare il licenziamento. Le aziende che hanno più di 15 dipendenti (più di 5 se agricole) sono sotto il regime della tutela reale del posto di lavoro, e prima di procedere al licenziamento, devono, nei casi di giusta causa o giustificato motivo oggettivo, far pervenire al dipendente una contestazione disciplinare. Ogni contratto nazionale stabilisce entro quali tempi il lavoratore deve rispondere alla contestazione disciplinare e, entro quanto l’azienda può, poi, procedere al licenziamento, se non convinta delle ragioni esposte dal dipendente. 35
  • 36. Il dipendente, qualora ritenga il licenziamento illegittimo, lo dovrà impugnare entro 60 giorni dalla sua comunicazione; l’impugnazione può essere esercitata in qualunque modo, anche con semplice raccomandata al datore di lavoro ma é ovvio che l’iter raccomandato é quello di rivolgersi sia ad un sindacato che ad un legale di fiducia, frequentemente indicato dagli stessi sindacati. L’utilizzo della via giudiziale prevede che il legale depositi il ricorso presso la cancelleria del tribunale di competenza, previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione presso le Commissioni appositamente individuate sul territorio. Sia il dipendente che l’azienda potranno optare se accettare l’invito della Commissione di Conciliazione, per tentare una transazione extragiudiziale, o declinare l’invito ed attendere la convocazione dalla magistratura del lavoro, per discutere la vertenza davanti ad un giudice. I tempi della magistratura del lavoro sono molto variabili a seconda dei tribunali; le cause di lavoro dovrebbero iniziare e terminare in un periodo di tempo di circa un anno, ma in alcuni tribunali, specie del sud Italia, possono durare anche diversi anni. Il giudice, nel caso ritenga il licenziamento nullo o ingiustificato dispone che: 36
  • 37. il lavoratore sia reintegrato nel posto di lavoro, senza concedere all’azienda la possibilità di una alternativa di tipo risarcitorio; il datore di lavoro sia condannato ad un risarcimento del danno subito dal lavoratore, pari alla retribuzione globale di fatto, dal giorno del licenziamento sino alla effettiva reintegrazione (e comunque non inferiore a 5 mensilità di retribuzione). Il datore di lavoro, nel caso non proceda al reintegro del dipendente, dovrà continuare a pagargli ininterrottamente un’indennità pari alle retribuzioni correnti; solo il lavoratore potrà optare per la risoluzione del contratto di lavoro a fronte però del pagamento di un’indennità pari a 15 mensilità . Licenziamenti collettivi Completamente diversi sono i licenziamenti collettivi, i quali rientrano tra le azioni adottate dalle aziende per effettuare una riduzione del personale. L’esigenza aziendale di procedere con una riduzione di personale può concretizzarsi sia con un licenziamento collettivo, sia con un licenziamento individuale plurimo, per giustificato motivo oggettivo. Quali sono allora le differenze? NOTA N. 10: Il licenziamento collettivo é conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, mentre il licenziamento individuale plurimo é adottabile quando la 37
  • 38. riduzione del personale é motivata da ragioni inerenti l’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa. La differenza, ad occhi non esperti può sembrare relativa, ma, dal punto di vista procedurale e legale ha delle importanti implicazioni. Il licenziamento collettivo può essere adottato dalle aziende con più di 15 dipendenti, le quali devono porre in mobilità perlomeno 5 dipendenti, in ambito provinciale (regionale o nazionale secondo la dislocazione delle unità produttive sul territorio), nell’arco di 120 giorni. Il licenziamento collettivo dovrà essere motivato da una riduzione, o trasformazione, o cessazione di attività o di lavoro. Una volta individuati gli esuberi in termini di posizioni da abolire, la scelta di quali lavoratori licenziare dovrà essere fatta, utilizzando criteri di legge o, in alternativa, criteri concordati con le organizzazioni sindacali di categoria. I criteri di legge sono: anzianità di servizio; carichi di famiglia; ragioni tecnico produttive. I tre fattori dovrebbero avere un peso uguale, ma gli accordi possono modificarne il valore al fine di meglio rispondere alla situazione aziendale; mentre l’anzianità di servizio ed i carichi di famiglia sono dati incontestabili, le ragioni tecnico produttive, in 38
  • 39. quanto determinate dall’azienda, possono portare a contestazioni con impugnazione dei licenziamenti. Esistono poi accordi sindacali nei quali è previsto, come unico criterio di scelta, il tempo alla pensione o la volontarietà o la miscela di questi con i criteri di legge. Voglio, infine, segnalare una recente sentenza della Corte di Cassazione (numero 1722/2011), con l’obiettivo di evitare l’insorgere d’inutili vertenze tra datori di lavoro e lavoratori. La Corte ha chiarito un aspetto importante sulla legittimità del comportamento datoriale nella dichiarazione ed individuazione dei dipendenti, da far rientrare nei licenziamenti collettivi. La sentenza riguarda il caso in cui le aziende debbano attuare una riduzione del personale estesa a tutta l'azienda e che, con l'accordo dei sindacati, sia stato scelto come criterio d’inclusione nelle liste di mobilità, l'accesso alla pensione. Il datore di lavoro, a livello procedurale, in questo caso può limitarsi a segnalare il numero complessivo di dipendenti da porre in mobilità, seppure suddivisi tra i diversi profili professionali presenti in azienda, senza dovere identificare i reparti e le unità di provenienza. 39
  • 40. Licenziamento individuale plurimo Il licenziamento individuale plurimo è adottabile dalle aziende con un numero di dipendenti pari od inferiore a 15, e, dal punto di vista pratico, si possono distinguere 2 diversi situazioni: licenziamento individuale per soppressione del posto di lavoro, quando la riduzione del personale é specifica come ad esempio nella chiusura di un ufficio, di una filiale, di un’attività in quanto data in outsourcing; é ovvio che in questi casi non sono adottabili i criteri di legge di cui ai licenziamenti collettivi. Il datore di lavoro deve tuttavia assolvere agli oneri probatori imposti dalla legge: egli dovrà dimostrare la reale esistenza del problema che legittima l’effettiva soppressione del posto, il nesso di causalità tra posto soppresso e attività svolta dal lavoratore licenziato ed infine la inutilizzabilità del lavoratore in altra posizione di lavoro disponibile in azienda; licenziamento individuale per riduzione del personale; questo é il caso tipico, quando l’obiettivo dell’azienda é quello di ridurre i costi di gestione per cui il problema investe tutta l’organizzazione e non singole mansioni. Si ripropongono dunque situazioni simili a quelle dei licenziamenti collettivi. Non c’é l’obbligo di licenziare i famosi 5 dipendenti ma, ad esempio, si può presentare la necessità di licenziare tre dipendenti su dieci che svolgono stesse mansioni o, come si dice in gergo, mansioni fungibili tra loro. Ecco allora che il datore di lavoro non potrà più licenziare, a sua discrezione, i dipendenti, ma dovranno essere adottati gli stessi criteri 40
  • 41. previsti per il licenziamenti collettivi, concordati o meno con le organizzazioni sindacali. Indennità di mobilità Abbiamo visto attraverso quali procedimenti le aziende possono affrontare crisi temporanee e crisi strutturali, utilizzando gli ammortizzatori sociali previsti dal nostro stato assistenziale; dobbiamo ancora analizzare l’ultimo degli interventi a sostegno del reddito, che viene erogato a quei lavoratori estromessi dal mondo del lavoro con i licenziamenti collettivi o individuali plurimi. NOTA N. 11: l’indennità di mobilità è un intervento economico erogato a favore dei lavoratori licenziati dalle proprie aziende in difficoltà, che garantisce loro un'indennità parzialmente sostitutiva della retribuzione persa. È però necessario scendere in maggiori dettagli, poiché, come per gli altri interventi a sostegno del reddito, anche per l’indennità di mobilità sono previste clausole, che definiscono i requisiti necessari per potervi accedere. Le aziende che possono utilizzare questo ammortizzatore sociale sono, essenzialmente, quelle autorizzate ad effettuare i licenziamenti collettivi e più in dettaglio: 41
  • 42. imprese industriali che hanno impiegato più di 15 dipendenti nel semestre precedente a quello dell’attivazione della mobilità; imprese commerciali con più di 200 dipendenti nell’ultimo semestre come sopra: cooperative con più di 15 dipendenti; imprese artigiane facenti parte dell’indotto di aziende committenti che sono ricorse alla mobilità; alcune aziende in regime transitorio (commerciali con 50-200 dipendenti, agenzie di viaggio con più di 50 dipendenti e imprese di vigilanza con più di 15 dipendenti). I dipendenti di queste aziende accedono alle liste di mobilità se possono vantare perlomeno 12 mesi di anzianità aziendale di cui almeno 6 effettivamente lavorati. L’erogazione dell’indennità di mobilità varia in funzione dell’età anagrafica del lavoratore e della dislocazione territoriale dell’azienda di provenienza. Tab. 1 - Indennità di mobilità; tempi di erogazione Età Sede non nel sud Sede nel Sud Sino a 40 12 mesi 24 mesi Tra 40 e 50 24 mesi 36 mesi Oltre 50 36 mesi 48 mesi L’ammontare dell’indennità di mobilità è pari al 80% della retribuzione lorda (prendendo in considerazione solo le voci 42
  • 43. fisse), spettante al lavoratore, ma varia con il variare del periodo di mobilità: nei primi 12 mesi di mobilità si percepisce il 100% della somma, come sopra calcolata, detratta del 5,84%; dal 13° mese e per tutto il periodo di mobilità, il trattamento sarà pari al 80% della somma percepita il primo anno. Il lavoratore, al fine di ottenere l’erogazione dell’indennità, deve presentare domanda sull’apposito modulo DS/21, presso le sedi INPS, competenti territorialmente, entro il 68° giorno dalla data del licenziamento. Può rivelarsi utile sapere che, nel caso il lavoratore intenda dare inizio ad un lavoro autonomo, può ottenere l'erogazione anticipata dell'indennità di mobilità da parte dell'INPS; facendone relativa richiesta tramite il modello DS 21/ANT. La domanda, ovviamente, dovrà essere corredata della documentazione comprovante l'inizio della nuova attività lavorativa e l'indennità sarà versata all’interessato in un'unica soluzione. Cito, a puro titolo d’esempio, alcune attività, intraprese dopo essere stati inseriti nelle liste di mobilità, che danno titolo a richiedere l’anticipazione dell’indennità di mobilità: attività artigianale con iscrizione ai relativi albi; commerciante con iscrizione agli appositi registri; agente o rappresentante di commercio con l’iscrizione negli appositi ruoli; 43
  • 44. attività di libera professione con iscrizione negli appositi albi e l’apertura della relativa partita IVA; socio di cooperativa con l’iscrizione negli appositi elenchi. La domanda dovrà essere presentata entro 60 giorni dall’inizio della nuova attività. Esistono, oltre a quella ordinaria, altre due forme di mobilità: la mobilità lunga e la mobilità in deroga. La mobilità lunga, dal punto di vista pratico, è stata istituita con l’obiettivo di gestire degli esuberi che, essendo temporalmente vicini alla maturazione dei diritti alla pensione, vengono accompagnati sino alla data del suo percepimento. NOTA N. 12: nella mobilità lunga, la permanenza nelle liste di mobilità dovrebbe permettere il raggiungimento dell’età anagrafica o dell’anzianità contributiva necessarie a maturare il diritto alla pensione. Questo tipo di mobilità, che viene concessa solo con appositi decreti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, si applica a lavoratori licenziati da: aziende del mezzogiorno; aziende che si trovano in aree con tasso di disoccupazione superiore alla media nazionale; imprese del settore chimico, tessile, abbigliamento e calzaturiero. 44
  • 45. Si sono succeduti nel tempo tali e tante leggi, interpretazioni ed estensioni che, oggi, ci si trova in un vero e proprio ginepraio, quando si tenta di capire a chi spetta e quali requisiti sono richiesti. È compito delle aziende accertare se possono, in caso di necessità, utilizzare procedure di mobilità lunga; agli eventuali lavoratori, che si trovassero inseriti in queste liste di mobilità, posso solo consigliare di recarsi immediatamente alle sedi INPS di competenza, per verificare la loro posizione personale. Le attuali leggi che regolano il percepimento delle pensioni sia di vecchiaia che di anzianità, potrebbero, infatti, riservare delle amare sorprese. La mobilità in deroga, lo dice la stessa definizione, è stata istituita per prendere in considerazione, se non tutte, almeno una parte di quelle situazioni escluse dalla mobilità ordinaria; spetta, dunque, a tutti i lavoratori subordinati, compresi apprendisti e lavoratori con contratto di somministrazione e a lavoratori a cui è stato prorogato il trattamento di mobilità ordinaria, a seguito di accordi regionali. Valgono, fondamentalmente, le stesse regole della mobilità ordinaria, con la differenza che la durata non è una funzione dell’età del lavoratore, ma è una variabile stabilita dagli accordi regionali. 45
  • 46. DOMANDE & RISPOSTE D: l'azienda vuole attuare una procedura di mobilità, ma non ha raggiunto alcun accordo con i sindacati. Con quali criteri sceglierà i dipendenti da inserire nelle liste di mobilità? R: dovrà usare i criteri stabiliti dalla legge e cioè anzianità aziendale, carichi di famiglia e un parametro tecnico organizzativo definito dall'azienda. D: i sindacati hanno raggiunto un accordo con l'azienda, in base al quale a tutti i dipendenti che andranno in mobilità sarà proposta la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro con un incentivo all'esodo. Io non sono soddisfatto della somma che i sindacati hanno concordato per la mia persona e per i dipendenti con le mie stesse condizioni di anzianità, di servizio e carichi di famiglia. Posso avere copia dell'accordo e chiedere una somma diversa? R: é un diritto dei dipendenti prendere visione dell'accordo firmato dai sindacati. E' invece difficile chiedere una somma diversa da quella stabilita negli accordi; se però si teme di aver subito trattamenti illeciti é sempre possibile non firmare la risoluzione consensuale ed impugnare l'eventuale licenziamento, con l'assistenza di un legale di fiducia. D: ammesso che i criteri per l'immissione nelle liste di mobilità siano quelli stabiliti per legge, devono avere tutti lo stesso peso? Per anzianità s'intende quella anagrafica o quella aziendale? 46
  • 47. R: il peso da dare ai singoli criteri dovrebbe essere concordato tra azienda e sindacati. L'anzianità da considerare é quella aziendale. D: possono mettermi in mobilità, anche se sono incinta? non c'è nessuna tutela? R: Durante il periodo di gravidanza, nel quale opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice non può essere sospesa dal lavoro, salvo il caso in cui sospende l'attività dell'azienda o del reparto a cui essa e' addetta, a patto che il reparto stesso abbia autonomia funzionale. La lavoratrice non può altresì essere collocata in mobilità a seguito di licenziamento collettivo, ai sensi della legge 23 luglio 1991, n. 223 e successive modificazioni, salva l'ipotesi di collocamento in mobilità a seguito della cessazione dell'attività dell'azienda di cui al comma 3, lettera b).(1) Il licenziamento intimato alla lavoratrice in violazione delle disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3, e' nullo. D: vorrei sapere se fosse possibile concordare con l’azienda il mio licenziamento con l'accesso alle liste di mobilità volontaria, ma a condizione di ricevere un incentivo congruo e la garanzia del proseguimento delle mie attività da esterno, attraverso un contratto di consulenza. In sostanza è compatibile la mobilità con la trasformazione del lavoro da dipendente a tempo indeterminato a consulente? R: le leggi non sono chiare ed esistono pareri contrastanti tra Corte di Cassazione ed INPS. Ci sono dei rischi nel caso in cui la consulenza sia svolta per la stessa azienda che ha attivato la mobilità e soprattutto se la consulenza viene svolta con la 47
  • 48. sottoscrizione di un contratto a progetto. Consultare il parere INPS del Dicembre 2007 . 48
  • 49. 4° CAPITOLO LA RISOLUZIONE CONSENSUALE La risoluzione consensuale del rapporto di lavoro è una procedura con la quale si può interrompere un rapporto di lavoro, diversamente dalle dimissioni e dal licenziamento. La risoluzione consensuale del rapporto di lavoro trova applicazione essenzialmente in due situazioni: fa parte del tentativo delle Commissioni di Conciliazione o del Giudice del lavoro, di concludere una vertenza tra datore di lavoro e lavoratore. È la soluzione, talvolta, proposta alle parti in casi d’impugnazione di trasferimenti di unità produttiva o di contestazione alle liste di mobilità, nei licenziamenti collettivi; è un accordo sottoscritto tra azienda e dipendente, in certe particolari situazioni che si vengono a determinare, essenzialmente, a seguito di processi di riorganizzazione aziendale o ristrutturazione aziendale. NOTA N. 13: la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, nelle sue linee essenziali, prevede che il dipendente si dia disponibile ad interrompere il rapporto di lavoro a fronte alla disponibilità aziendale ad erogare una somma concordata tra le parti o tramite le organizzazioni sindacali. 49
  • 50. Le particolari situazioni che suggeriscono di prendere in considerazione la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, ammesso che sia l’azienda a proporla, si riferiscono a dipendenti vicino all’età pensionabile o a dipendenti che, nel caso appunto di processi di ristrutturazione aziendale e a fronte degli incerti di una vertenza, preferiscono accettare la proposta dell’azienda, se economicamente interessante. Questa pratica si accompagna, frequentemente, ai processi di mobilità, poiché le aziende, incentivando economicamente la risoluzione consensuale del contratto di lavoro, snelliscono moltissimo le procedure dei licenziamenti collettivi Laddove l’atto di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro sia firmato davanti alle Commissioni di Conciliazione o di fronte ad un giudice, non esistono problemi sulla sua applicazione e sul rischio, per l’azienda, che l’atto venga impugnato, a posteriori, dal dipendente. Presenta maggiori rischi il caso in cui l’atto di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro nasca come transazione privata tra azienda e dipendente: é’ consigliabile, per il dipendente, trattare le cifre sempre al netto; é consigliabile, sia per il dipendente che per l’azienda, far validare l’atto con un verbale di conciliazione in sede sindacale. E’ tipico firmare un pre - accordo in azienda e, poi, controfirmare l’atto, ad esempio, nelle sedi confindustriali di 50
  • 51. fronte ai rappresentanti di categoria per l’azienda e a quelli sindacali per il dipendente; si dovrebbe, al momento della transazione privata, concordare una formulazione tipo (vedi allegato) per l’atto di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro che, in tale modo, risulterà protettiva sia degli interessi del dipendente che di quelli dell’azienda. Incentivo all’esodo La risoluzione consensuale del rapporto di lavoro può rivelarsi più o meno accettabile a seconda di come é stato effettuato il calcolo dell’incentivo all’esodo. Premesso che qualunque processo che porti alla perdita del posto di lavoro é un evento traumatico, alcuni metodi di calcolo dell’incentivo all’esodo, concordati tra aziende e sindacati, possono rendere tali eventi meno drammatici, assicurando il percepimento di somme di una certa importanza. Il metodo che, tra quelli di mia conoscenza, mi sembra il più equo, é basato sui seguenti principi: si applica a personale dipendente che ha diritto di accedere alle liste di mobilità; l’importo dell’incentivo all’esodo é calcolato tenendo presente quattro fattori e cioè: una base uguale per tutti, un fattore legato all’anzianità anagrafica, uno legato all’anzianità aziendale ed infine uno legato al numero di famigliari a carico; 51
  • 52. é presa come base del calcolo il valore dell’ultima retribuzione ordinaria netta mensile, percepita in busta paga; Premesso che il calcolo dell’incentivo all’esodo non è regolato da leggi e che, specialmente in certe situazioni, il potere negoziale è nettamente sbilanciato a favore delle aziende, il numero delle mensilità totali da erogare potrebbe essere determinato con il metodo che segue. Il metodo non è teorico, ma è stato realmente applicato in un caso di fusione tra due grandi aziende multinazionali. Non ti nascondo che molte ditte potrebbero non essere in grado di erogare lo stesso tipo d’incentivo; gli imprenditori, d’altro canto, hanno una responsabilità sociale e dovrebbero considerare che la perdita del posto di lavoro può provocare dei veri e propri drammi economici. Il calcolo che segue prevede che sia stabilita una base uguale per tutti pari a 12 mensilità. Tab. 1 – Calcolo dell’incentivo all’esodo. Anzianità Famigliari Età Mensilità Mensilità Mensilità aziendale a carico 31/33 3 ≤3 1 1 3 34/37 6 4-6 2 2 4 38/41 12 7-9 3 ≥3 5 42/45 14 10-12 4 46/49 16 13-15 5 50/52 18 16-18 6 >53 20 19-20 7 > 21 8 52
  • 53. Si applicano i criteri della tabella precedente e, una volta stabilita la somma totale in funzione dei diversi fattori, l’incentivo all’esodo, che l’azienda dovrebbe erogare é ottenuto sottraendo al totale le cifre percepite come indennità di preavviso e come indennità di mobilità. Un esempio chiarirà il sistema di calcolo; consideriamo un dipendente di 39 anni, con anzianità aziendale di 14 anni e senza famigliari a carico. Ipotizziamo una retribuzione mensile netta di 1400 euro. Prospetto di calcolo A - Mensilità totali ( 12 + 12 + 5 ) pari a 29 x 1400 = 40.600 Euro B - Preavviso spettante ( mesi 3 ), pari a 3 x 1600 = 4.800 Euro. C – Mobilità spettante ( mesi 12 ) pari a 12 x 1026 = 12.312 Euro. D – Incentivo all’esodo = A – B – C = 23.488 Euro. L’incentivo all’esodo, che l’azienda deve provvedere a lordizzare in funzione dell’aliquota del TFR, é corrisposto entro la fine del mese successivo a quello di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, previa sottoscrizione della transazione, ex art 411 c.p.c., dinanzi alla Commissione Paritetica, istituita presso gli Enti bilaterali. Ribadisco che il metodo, sopra suggerito, é proponibile nel caso che la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro s’inserisca in un processo di mobilità; ricordo nuovamente che l’incentivo scaturisce da una negoziazione tra azienda e dipendente, o tra 53
  • 54. datore di lavoro e sindacati e può variare moltissimo da azienda ad azienda. Posso solo suggerire ai dipendenti di valutare con accuratezza la proposta aziendale, in quanto esistono situazioni personali molto differenti tra di loro, che possono rendere più o meno accettabile la somma offerta. Un dipendente che sia vicino alla pensione può richiedere una somma che lo accompagni verso la maturazione del diritto alla stessa. Un lavoratore ultraquarantenne potrebbe orientarsi su due annualità della sua retribuzione, considerando che gli occorrerà molto tempo per trovare una nuova opportunità professionale. Un dipendente, nel caso risolva il rapporto di lavoro consensualmente con una transazione, che preveda il passaggio dall’azienda A all’azienda B (situazione tipica nelle cessioni di rami d’azienda), dovrà necessariamente accontentarsi di somme più modeste. Può essere contemplata, però, una diminuzione della retribuzione mensile; in questo caso la somma da negoziare potrebbe essere calcolata moltiplicando la differenza di stipendio per un certo numero di mensilità (ad esempio 12 – 18 ). Questi calcoli sono solo delle ipotesi, poiché non esiste alcuna legge o accordo sociale, che obblighi le aziende ad erogare determinati incentivi a seguito di una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. 54
  • 55. Il lavoratore, nei casi in cui l’azienda proponga delle somme irragionevoli, dovrà valutare se ricorrere ad un legale o meno, per difendere il suo posto di lavoro. C’è da considerare, nelle diverse valutazioni da fare, il caso in cui la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro non sia finalizzata ad una successiva procedura di mobilità NOTA N. 14: il lavoratore che accetta una risoluzione consensuale senza l’inserimento in una lista di mobilità, pur essendo a tutti gli effetti un disoccupato, perde la possibilità di richiedere l’indennità di disoccupazione. L’INPS, a cui il problema era già stato posto, ha chiarito l’argomento con la Circolare del 10 Ottobre 2006 L’indennità di disoccupazione può essere richiesta anche a fronte di una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, sole se questa sia stata determinata: dal trasferimento del lavoratore ad una notevole distanza dalla residenza del lavoratore /o dall’ultima sede di lavoro, pari ad una distanza superiore a 50 km dalla residenza del lavoratore ovvero se la stessa è raggiungibile in un tempo superiore a 80 km con l’utilizzo di mezzi pubblici; da notevoli variazioni del rapporto di lavoro conseguenti a cessione d’azienda. 55
  • 56. Mi sembra, infine, importante segnalare una recente sentenza della Corte di Cassazione relativa al verbale di conciliazione in sede sindacale (sentenza n. 3237 del 10 febbraio 2011). Il caso in esame si riferisce ad una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, il cui verbale di conciliazione, in forza dell’art. 411 del c.p.c., é stato dichiarato non valido, a causa della mancata sottoscrizione del rappresentante sindacale alla presenza e contestualmente alla sottoscrizione da parte del lavoratore. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’azienda che, avversa alla sentenza della Corte di Merito, sosteneva la validità dell’accordo firmato, anche se non sottoscritto in sede sindacale. E’ questa una sentenza che ribadisce l’importanza di seguire la procedura stabilita dalla legge, nella risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, procedura a cui devono prestare uguale attenzione sia i datori di lavoro che i lavoratori. Tassazione dell’incentivo all’esodo La tassazione dell’incentivo all’esodo é un argomento strettamente connesso con quello sulla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro; la firma di un accordo in tal senso prevede, di norma, l’erogazione, da parte dell’azienda, di due somme di denaro: una somma a titolo di corrispettivo del consenso alla risoluzione del rapporto di lavoro (incentivo all’esodo); 56
  • 57. una somma a saldo, stralcio e definitiva transazione di ogni e qualsiasi diritto o titolo, sino al momento dell’accordo, eventualmente non soddisfatto e comunque connesso con il pregresso rapporto di lavoro. L’art. 19, comma 4 bis, del TUIR stabiliva che le somme corrisposte a titolo d’incentivo all’esodo ai lavoratori che avessero compiuto 50 anni, se donne, o 55 anni, se uomini, dovevano essere tassate con un’aliquota pari alla metà di quella applicata per la tassazione del TFR. La Corte di Giustizia della Comunità Europea, nel luglio del 2005, sentenziava che tale norma risultava in contrasto con i principi comunitari di parità di trattamento tra uomini e donne; nel frattempo, con l’entrata in vigore del D.L. 223 del 2006, le somme erogate come incentivo all’esodo, venivano successivamente tassate con la stessa aliquota del Tfr, per cui la tassazione agevolata veniva mantenuta solamente per i rapporti di lavoro cessati prima del luglio 2006 o per somme erogate in base ad accordi, aventi date anteriori all’entrata in vigore del decreto legge. Il disposto della sentenza sulla parità di trattamento tra uomini e donne ha portato ad un contenzioso, sviluppatosi in questi anni tra contribuenti maschi con età compresa tra i 50 e 55 anni, aziende e Agenzie delle Entrate, per il recupero delle somme indebitamente versate. 57
  • 58. La Corte di Giustizia, nel gennaio 2008 è ritornata sul problema della disparità di trattamento uomo-donna, affermando che «qualora sia stata accertata una discriminazione incompatibile con il diritto comunitario, finché non siano adottate misure volte a ripristinare la parità di trattamento, il giudice nazionale è tenuto a disapplicare qualsiasi disposizione discriminatoria, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione da parte del legislatore, e deve applicare ai componenti della categoria sfavorita lo stesso regime che viene riservato alle persone dell’altra categoria». Chiunque, sia esso uomo o donna, abbia recentemente firmato una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro o si accinga a farlo, sappia dunque che: NOTA N. 15: la somma concordata come incentivo all’esodo sarà tassata con la stessa l’aliquota del Tfr e, pertanto, è consigliabile farsela calcolare dall’azienda, per avere una precisa idea sulla differenza tra lordo e netto o, meglio ancora, concordare la somma al netto. 58
  • 59. DOMANDE E RISPOSTE D: ho firmato la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro e, alla data concordata con l'azienda, entrerò in mobilità. Devo presentare l'atto di risoluzione consensuale per richiedere l'indennità di mobilità? R: si deve presentare l'atto, poiché questo certifica che lei ha risolto il rapporto di lavoro con l'azienda. D: a me e ad alcuni colleghi l'azienda ha proposto la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, offrendoci un incentivo di 1000 euro, il tfr dilazionato in 4 mesi, l'indennità di disoccupazione pari a 8 mensilità e il diritto all'iscrizione alla lista mobilità. Ma questo non è gia previsto per legge a parte i miseri 1000 euro? R: fatti salvi i 1000 euro, le altre clausole sono previsioni di legge e non rientrano nelle liberalità aziendali. Vi sono state fornite, oltretutto informazioni errate, poiché se firmate una risoluzione consensuale, non avrete poi diritto all'indennità di disoccupazione e, in ogni caso, indennità di disoccupazione e indennità di mobilità sono incompatibili. L'azienda che fa certe affermazioni o é gestita da un incompetente o tenta di imbrogliare i dipendenti. D: nel calcolo delle mensilità per l'incentivo all'esodo, la retribuzione netta mensile comprende la paga base ed anche il superminimo individuale? In pratica è il netto che mi viene accreditato in banca? Com’è considerato, ai fini del calcolo 59
  • 60. dell'incentivo all'esodo, il benefit dell'auto aziendale anche per utilizzo privato? R: la cifra presa come riferimento, di norma, dovrebbe comprendere solo le voci fisse della retribuzione, quindi il superminimo individuale andrebbe calcolato. Mi risulta molto più difficile se non impossibile che venga calcolato anche il benefit auto. D: l'azienda mi sta proponendo di dimettermi ad una data stabilita, a fronte della loro disponibilità ad elargirmi una cifra da concordare. Posso accettare, se la cifra é interessante? R: deve accettare solo una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, meglio se controfirmata in sede confindustriale davanti alle rappresentanze di categoria. D: vorrei proporre al mio datore di lavoro di risolvere consensualmente il rapporto di lavoro, ma non riesco a trovare alcun riferimento normativo sull'argomento. La risoluzione consensuale é normata dalla legge? R: esiste il riferimento normativo sull’atto stesso come ribadito dalla Cassazione, ricordando che il contratto di lavoro può essere risolto, oltre che mediante gli atti unilaterali di recesso di cui agli art. 2118 e 2119 cod. civ., per mezzo di negozi bilaterali riconducibili alla previsione di cui all’art. 1372, primo comma, cod. civ.. 60
  • 61. CONCLUSIONI Penso e spero di averti detto tutto quello che ti potrebbe essere utile, nel malaugurato caso la tua azienda dovesse affrontare una situazione di crisi e ci fossero a rischio sospensione di attività o riduzioni dei posti di lavoro. Sarei felice, come autore di questo mini e-book, che la sua lettura servisse solamente a fare cultura e non dovesse essere usato per gestire difficili situazioni personali. So anche che le informazioni ed i suggerimenti inseriti nel e-book potrebbero aiutarti in molte circostanze, ma sono cosciente che esistono comportamenti datoriali non gestibili dal singolo lavoratore. Concludo, dunque, questo e-book con delle brevi osservazioni sull’eventualità di dover ricorrere ad un legale di fiducia, per vedere difesi i propri diritti. Mi limito a pochi suggerimenti basilari. La certezza del diritto è un’affermazione teorica per cui non bisogna dare mai per certo di poter vincere una causa. Non crediate, perciò, a quei legali che danno per certa la vittoria; un legale corretto vi parlerà di percentuali di successo o di sconfitta. Per decidere di iniziare una vertenza contro l’azienda, personalmente, vorrei sentirmi dire che avrò il 70-80% di probabilità di vincere. Sotto queste percentuali c’è seriamente da 61
  • 62. pensare se iniziare una vertenza o meno. Prima di affidare un incarico ad un avvocato difensore domandatevi quali documenti avete in vostra mano e quali testimoni potreste produrre a vostro favore. Un bravo avvocato, senza ne documenti ne testimoni a vostro favore, avrà ben poche possibilità di aiutarvi. Sappiate, infine, che le organizzazioni sindacali hanno delle strutture a cui ci si può rivolgere per avere una competente assistenza legale. Potete, se volete, rivolgervi a: ALAI CISL fornisce tutela contrattuale, assistenza legale a coloro che sono coinvolti in forme di lavoro atipiche quale l’interinale, le collaborazioni a progetto, le socialmente utili. UFFICIO VERTENZE LEGALI CGIL da ampia assistenza legale, tecnica e contrattuale, promuovendo, laddove necessario, le opportune azioni legali davanti alla magistratura. L’OSSERVATORIO UIL è una particolare iniziativa indirizzata a contrastare la pratica del mobbing nelle aziende. 62
  • 63. ALLEGATI Atto di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. La Società S.p.A, con sede in ............., e la signora XY, residente in ............... Premesso che: 1. la Società S.p.A. ha assunto alle proprie dipendenze la Signora XY in data ......; 2. la Società S.p.A. ha proposto alla Signora XY la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro; 3. la Signora XY si è dichiarata disponibile ad acconsentire alla risoluzione del rapporto di lavoro alle condizioni da lei richieste; 4. la Società S.p.A. ha accettato di risolvere il rapporto di lavoro alle condizioni concordate con la signora XY; Convengono quanto segue: 1. il rapporto di lavoro subordinato sorto fra Società S.p.A. e la signora XY in data ..... sarà definitivamente risolto ed estinto, per espresso consenso delle parti stesse, a tutti gli effetti, in data ...........; 2. la Società S.p.A. si impegna a corrispondere alla signora XY, entro il ........., oltre alle normali competenze di fine rapporto di lavoro: 63
  • 64. 2.1.la somma di Euro...... netti, a titolo di corrispettivo del consenso alla risoluzione del rapporto di lavoro; 2.2.la somma di Euro ....... netti a saldo, stralcio e definitiva transazione di ogni e qualsiasi diritto o titolo sino ad oggi eventualmente non soddisfatto e comunque connesso con il pregresso rapporto di lavoro. La signora XY dichiara di accettare: 1. la somma di Euro ....... netti, a titolo di corrispettivo del consenso alla risoluzione del rapporto di lavoro; 2. la somma di Euro ..... netti a saldo, stralcio e definitiva transazione di ogni e qualsiasi diritto o titolo sino ad oggi eventualmente non soddisfatto e comunque connesso con il pregresso rapporto di lavoro. La signora XY dà, pertanto, atto alla Società S.p.A. che, con l'avvenuto pagamento delle somme, di cui ai precedenti punti 1 e 2, essa avrà adempiuto ad ogni obbligo contrattuale e legislativo nella di lei confronti, dichiarando di ritenersi integralmente soddisfatta e di non aver più nulla a pretendere dalla Società stessa e da sue consociate o collegate, sia in ordine ai titoli tutti come sopra singolarmente specificati, così come in ordine ad ogni altro diritto, pretesa, ragione o titolo, sorti o che possano, comunque, sorgere in connessione con il pregresso rapporto di lavoro e rinunziando, pertanto, definitivamente ed irrevocabilmente, a ciascuno dei titoli, diritti o pretese stessi, così come ad ogni azione od eccezione intesa a farli eventualmente valere. 64
  • 65. Le parti dichiarano che con il presente atto di risoluzione consensuale di rapporto di lavoro e transazione hanno inteso definire ed estinguere ogni reciproco loro obbligo derivante dal pregresso rapporto di lavoro, così come ogni questione comunque connessa con il rapporto medesimo, essendo stata preventivamente tra loro esaminata e discussa. Le parti si danno, infine, atto di aver esaminato, discusso e definito ogni questione comunque connessa con l'intercorso rapporto di lavoro, così come gli importi, di cui sopra, dichiarando, pertanto, che la sottoscrizione del presente atto riveste carattere transattivo e definitivamente abdicativo, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 2113 c.c. La Società S.p.A. e la signora XY sottoscrivono il presente atto per integrale accordo e definitiva accettazione di tutto quanto in esso previsto. Letto firmato e sottoscritto Località e data 65